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Funzionamento dell'etilometro va provato dall'accusa (Cass. 38618/19)

19 settembre 2019, Cassazione penale

In tema di guida in stato di ebbrezza, allorquando l’alcoltest risulti positivo, costituisce onere della pubblica accusa fornire la prova del regolare funzionamento dell’etilometro, della sua omologazione e della sua sottoposizione a revisione.

Corte di Cassazione

Sezione IV Penale, sentenza 6 giugno – 19 settembre 2019, n. 38618

Presidente Montagni – Relatore Esposito

Ritenuto in fatto

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Pavia del 26 ottobre 2017, emessa a seguito di giudizio abbreviato, con cui B.B. era stato condannato alla pena di mesi quattro di arresto ed Euro mille di ammenda in relazione al reato di cui all’art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c) (guida di autoveicolo Bmw in stato di ebbrezza dovuta all’assunzione di sostanze alcoliche, essendo stato accertato un valore corrispondente al tasso alcolemico pari a 1,88 g/l alle ore (…) e pari a 1,84 g/l alle ore (…)).
Con l’unico motivo di appello, si deduce che spetta all’accusa l’onere di prova dell’attendibilità dell’etilometro.
La Corte territoriale ha preliminarmente rilevato che il verbale di Polizia Stradale non conteneva un’espressa menzione circa l’esecuzione della revisione dell’apparecchio. Ha poi escluso l’esistenza nell’ambito del processo penale di un onere formale della prova all’interno del processo penale, in forza del quale le parti dovrebbero ricercare e produrre gli elementi a sostegno della propria tesi.
Ad avviso della Corte di merito, l’esito positivo dell’alcoltest è idoneo a costituire prova della sussistenza dello stato di ebbrezza e, semmai, l’imputato avrebbe dovuto fornire la prova contraria a tale accertamento, dimostrando vizi o errori di strumentazione o di metodo nell’esecuzione dell’aspirazione ovvero vizi correlati all’omologazione dell’apparecchio.
2. Il B. , a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo due motivi di impugnazione.
2.1. Violazione dell’art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c), D.P.R. n. 495 del 2002, art. 379, comma 8, artt. 192 e 533 c.p.p. e art. 27 Cost., comma 2.
Si deduce che l’etilometro risultava solo omologato e non sottoposto alla revisione periodica prescritta dal D.P.R. n. 495 del 2002, art. 379, comma 8 e che l’onere di prova sul punto spettava alla pubblica accusa. La revisione costituisce l’unica operazione a garanzia della precisione dello strumento, della sua affidabilità e della sua attendibilità del risultato.
Il caso in esame doveva essere ritenuto assimilabile a quello definito con sentenza della Corte costituzionale n. 113 del 2015, con cui era stata dichiarata l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 45, in riferimento all’art. 3 Cost., nella parte in cui non prevede che le apparecchiature destinate all’accertamento delle violazioni del limite di velocità siano sottoposte a verifiche periodiche di funzionalità e taratura.
Alla luce dei principi affermati da tale decisione, recepiti dalla giurisprudenza civile, e dell’obbligo di sottoporre ai sensi del D.P.R. n. 495 del 2002, art. 379, comma 8, gli etilometri a verifiche di prova, deve ritenersi che la pubblica amministrazione abbia un preciso onere in tal senso, il cui mancato assolvimento impedisce di poter considerare legittimo l’uso di detti apparecchi ed attendibili i suoi risultati.
2.2. Violazione dell’art. 2 c.p. e art. 442 c.p.p., comma 2.
Si osserva che la Corte territoriale aveva omesso di operare la riduzione della metà della pena irrogata ex art. 442 c.p.p., comma 2, come modificato dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, art. 1, comma 44, che prevede la riduzione di metà della pena in caso di giudizio abbreviato, in luogo di quella di un terzo della pena prevista dal testo originario della disposizione.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato.

Il primo motivo di ricorso, con cui B.B. deduce che l’etilometro risultava solo omologato e che l’onere di dimostrare la revisione di detto strumento spettava alla pubblica accusa, è fondato.

1.1. In base all’orientamento consolidato di questa Corte, in tema di guida in stato di ebbrezza, allorquando l’alcoltest risulti positivo costituisce onere della difesa dell’imputato fornire una prova contraria a detto accertamento quale, ad esempio, la sussistenza di vizi dello strumento utilizzato, oppure l’utilizzo di una errata metodologia nell’esecuzione dell’aspirazione, non potendosi essa limitare a richiedere il deposito della documentazione attestante la regolarità dell’etilometro e non essendo sufficiente la mera allegazione di difettosità o assenza di omologazione dell’apparecchio (Sez. 4, n. 12265 del 09/01/2015, Travagli, non massimata; Sez. 4, n. 42084 del 04/10/2011, Salamone, Rv. 251117; Sez. 4, n. 17463 del 24/03/2011, Neri, Rv. 250324; Sez. 4, n. 8591 del 16/01/2008, Letteriello, non massimata; Sez. 4, n. 45070 del 30/03/2004, Gervasoni, Rv. 230489).

Si è altresì aggiunto che il D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495, art. 379, commi 6, 7 e 8 (regolamento di esecuzione ed attuazione del codice della strada) si limita ad indicare le verifiche alle quali gli etilometri devono essere sottoposti per poter essere omologati ed adoperati, ma non prevede nessun divieto la cui violazione determini espressamente l’inutilizzabilità delle prove acquisite (Sez. 4, n. 12403 del 28/02/2019, Ben Hassen Adel, non massimata; Sez. 4, n. 17463 del 24/03/2011, Rv. 250324; Sez. 4, n. 44833 del 21/09/2010, Di Mauro, non massimata; Sez. 4, n. 23526 del 14/05/2008, Bennardo, Rv. 240846).

1.2. In tale pacifico quadro giurisprudenziale si inseriva la pronunzia della Corte costituzionale n. 113 del 29 aprile 2015, che, in sede di giudizio di legittimità costituzionale incidentale ha dichiarato la parziale illegittimità del D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 45, comma 6, nella parte in cui non prevedeva che tutte le apparecchiature impiegate nell’accertamento delle violazioni dei limiti di velocità (c.d. autovelox) fossero sottoposte a verifiche periodiche di funzionalità e di taratura, così esonerando, secondo l’interpretazione datane dal diritto vivente, gli utilizzatori dall’obbligo di verifica periodica di funzionamento e taratura delle apparecchiature.

Si trattava di un incidente promosso dalla Corte di cassazione civile in un giudizio di opposizione a ordinanza prefettizia di rigetto del ricorso avverso un verbale di accertamento della Polizia stradale. Il giudice delle leggi riteneva che la citata disposizione collidesse col principio di razionalità (intesa sia nel senso di razionalità pratica, ovvero di ragionevolezza, essendo evidente che qualsiasi strumento di misura è soggetto a variazioni delle sue caratteristiche e quindi a variazioni dei valori misurati dovute ad invecchiamento delle proprie componenti e ad altri eventi; sia nel senso di razionalità formale o coerenza interna della norma, in ragione del fatto che l’uso di tali apparecchiature è strettamente collegato al valore probatorio delle loro risultanze nei procedimenti sanzionatori inerenti alle trasgressioni dei limiti di velocità).

Secondo il Giudice delle leggi, la disposizione censurata, così come risultante dall’interpretazione del "diritto vivente" sviluppatosi in merito (nel senso, cioè, di esonerare i soggetti utilizzatori dall’obbligo di verifiche periodiche di funzionamento e di taratura delle apparecchiature impiegate nella rilevazione della velocità), deve ritenersi contraria, infatti, con il principio di razionalità, sia nel senso di razionalità pratica, ovvero di ragionevolezza, sia nel senso di razionalità formale, cioè del principio logico di non contraddizione.

In particolare, il richiamo della Corte costituzionale al canone di "razionalità pratica" era finalizzato ad affermare che "qualsiasi strumento di misura, specie se elettronico, è soggetto a variazioni delle sue caratteristiche e quindi a modifiche dei valori misurati dovute ad invecchiamento delle proprie componenti e ad eventi quali urti, vibrazioni, shock meccanici e termici, mutamenti della tensione di alimentazione", eventualità queste che rendono intrinsecamente irragionevole l’esonero delle apparecchiature da verifiche periodiche.

L’affidabilità dell’omologazione e la taratura di eletti apparecchi giustifica, in considerazione delle esigenze di tutela della sicurezza stradale, che le risultanze degli stessi costituiscono fonte di prova della violazione, senza che l’inerente onere probatorio (pressoché diabolico) di dimostrare il cattivo funzionamento dell’apparecchiatura possa gravare sull’automobilista, dando luogo ad una presunzione (quasi assoluta) in danno dello stesso.

La Consulta ribadiva la legittimità dell’utilizzo di tali apparecchiature, siccome ragionevole nell’ottica del bilanciamento tra la tutela della sicurezza stradale e quella delle situazioni soggettive dei sottoposti alle verifiche, in qualche modo compressa, quest’ultima, per effetto della parziale inversione dell’onere della prova (dal momento che sarà il ricorrente contro l’applicazione della sanzione a dover eventualmente dimostrare il cattivo funzionamento dell’apparecchiatura); evidenziava, di contro, che una tale limitazione trova spiegazione proprio nel ragionevole affidamento derivante dalla custodia e dalla permanenza della funzionalità delle apparecchiature, garantita quest’ultima da verifiche periodiche conformi alle relative specifiche tecniche, affidamento che degrada in assoluta incertezza se queste ultime non vengono effettuate.

L’impianto argomentativo fatto proprio dalla Corte costituzionale è opportunamente ispirato ad evidente buon senso e alla concretizzazione della tutela del generale principio di affidamento dell’utente nell’attività della P.A., tradotto in principi giuridici attraverso il canone di razionalità, enunciato e coniugato in modo chiaro allo scopo di realizzare un ragionevole bilanciamento dell’interesse a garantire un elevato livello di tutela della sicurezza, ma anche i diritti del cittadino, che non può certo rimanere esposto ad un’incontrollabile attività della P.A. per il tramite dei suoi organi accertatori, profilandosi incomprensibile ed ingiustificabile la mancata previsione di controlli periodici degli apparecchi, da cui deriva in modo consequenziale l’obbligo per gli agenti preposti all’accertamento di attestare appositamente che le relative attività preventive siano state regolarmente compiute, secondo le prescrizioni imposte dalla legge.

1.3. Il principio sopra affermato dalla Corte costituzionale in tema di autovelox era applicato al caso dell’etilometro dalla Cassazione civile, secondo cui, in tema di violazione al codice della strada, il verbale dell’accertamento effettuato mediante etilo-metro deve contenere, alla luce di un’interpretazione costituzionalmente orientata, l’attestazione della verifica che l’apparecchio da adoperare per l’esecuzione del cd. "alcooltest" è stato preventivamente sottoposto alla prescritta ed aggiornata omologazione ed alla indispensabile corretta calibratura; l’onere della prova del completo espletamento di tali attività strumentali grava, nel giudizio di opposizione, sulla P.A. poiché concerne il fatto costitutivo della pretesa sanzionatoria (Sez. 6 civ., Ord. n. 1921 del 24/01/2019, Rv. 652384; a superamento del contrario indirizzo su cui vedi Sez. 6 civ., n. 4255 del 23/10/2014, dep. 2015).

La Cassazione civile illustrava il quadro normativo sulle caratteristiche rigorosamente previste per l’etilometro in funzione della configurazione della piena attendibilità della correlata attività di accertamento (D.P.R. n. 495 del 1992, art. 379, commi 5, 6, 7 e 8 e il disciplinare tecnico richiamato dal citato comma 5, precedentemente approvato con Decreto del Ministero dei Trasporti 22 maggio 1990, n. 196).

Alla luce delle disposizioni in materia, nell’Ord. n. 1921 cit. era sottolineato che l’effettiva legittimità dell’esecuzione dell’accertamento mediante etilometro non poteva prescindere dall’osservanza di appositi obblighi formali, dalla cui violazione può discendere l’invalidità dell’accertamento stesso, tra i quali, in particolare, l’attestazione – all’atto del controllo - dell’avvenuta preventiva sottoposizione dell’apparecchio alla prescritta ed aggiornata omologazione oltre che alla indispensabile corretta calibratura (da riportare sul libretto di accompagnamento), tali da garantire l’effettivo "buon funzionamento" dell’apparecchio e, quindi, la piena attendibilità del risultato conseguito attraverso la sua regolare utilizzazione; desumeva da tali considerazioni che il verbale di accertamento doveva contenere - anche per garantire l’effettività della trasparenza dell’attività compiuta dai pubblici ufficiali - l’attestazione dei dati relativi allo svolgimento dei suddetti adempimenti, in modo tale da garantire la controllabilità della legittimità della complessiva operazione di accertamento.

La Cassazione civile attribuiva l’onere della prova circa il completo assolvimento dell’espletamento dell’evidenziata attività preventiva strumentale ai fini della legittimità - e della piena attendibilità - dell’accertamento alla Pubblica Amministrazione, siccome attinente al fatto costitutivo della pretesa sanzionatoria costituente oggetto del giudizio di opposizione instaurato o ai sensi del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 6 o ai sensi del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 7.
La Cassazione civile traeva la conseguenza che, alla stregua di un’interpretazione costituzionalmente orientata ispirata ai principi del Codice della Strada, sono tenuti all’assolvimento dei predetti obblighi di preventiva verifica della regolare sottoposizione dell’apparecchio da adoperare per l’esecuzione dell’alcooltest ai prescritti adempimenti della regolare omologazione e calibratura (ovvero taratura), cui si correla l’obbligo della necessaria attestazione della loro verifica nel verbale di contestazione.

1.4. In seguito, la questione dell’onere della prova della regolarità dell’etilometro era sottoposta all’attenzione della Quarta Sezione di questa Corte penale, che accennava all’esigenza di affrontare il problema della coerenza della soluzione fino ad allora prescelta coi principi espressi dalla Corte costituzionale e dalla giurisprudenza civile (Sez. 4, n. 17494 del 29/03/2019, Scalera, non massimata; Sez. 4, n. 25132 del 21/02/2019, Picardi, non massimata).

In concreto, tuttavia, tale tematica non era affrontata, perché nelle fattispecie esaminate risultava dimostrata l’effettuazione dell’omologazione e della revisione dell’apparecchio, con conseguente declaratoria di inammissibilità del relativo motivo di ricorso.

1.5. Questo Collegio, sulla scia dell’insegnamento della Corte costituzionale, recepito dalla giurisprudenza civile, ritiene di modificare il tradizionale orientamento fin qui seguito.

La giurisprudenza finora ha privilegiato le esigenze di tutela della sicurezza stradale, a fronte dell’interesse dell’imputato ad ottenere tutela in presenza di accertamenti automatici effettuati da apparecchi quali gli autovelox o gli etilometri, dei quali spesso le amministrazioni non sono in grado di dimostrare l’aggiornata taratura della funzionalità.
L’orientamento tradizionale di ritenere sufficiente l’omologazione dell’apparecchio ha comportato il gravoso onere per il privato, sia in sede civile sia penale, di dimostrare la sussistenza, nel caso concreto, di un difetto di funzionamento. La prova del malfunzionamento dell’etilometro appare tanto più difficoltosa in considerazione della disponibilità dell’apparecchio in capo alla pubblica amministrazione.

Nella sentenza n. 113 cit., la Corte costituzionale enunciava un canone di razionalità pratica, sottolineando la soggezione di qualsiasi apparecchio, specie se elettronico, ad invecchiamento e a variazioni delle sue caratteristiche, per cui la mancata sottoposizione a manutenzione appariva intrinsecamente irragionevole, incidendo l’obsolescenza e il deterioramento sull’affidabilità delle apparecchiature in un settore di particolare rilevanza sociale, quale quello della sicurezza stradale.

Il giudice delle leggi, quindi, mostrava di comprendere l’esigenza di non ritenere sufficiente la sola omologazione dell’apparecchio utilizzato e di considerare indispensabile la (prova della) revisione del medesimo.

Tali condivisibili principi erano affermati dalla citata giurisprudenza costituzionale in tema di autovelox ed estesi dalla giurisprudenza civile in relazione all’etilometro, per cui non v’è ragione di non riconoscerli anche in sede penale.

In caso contrario, si creerebbe un’evidente ed irragionevole distonia - e in particolare tra i settori civile, amministrativo e penale - nella parte in cui l’onere della prova del funzionamento dell’etilometro spetterebbe alla pubblica amministrazione in sede civile e all’imputato in sede penale.

Addirittura ne deriverebbe la conseguenza irrazionale - incidente anche sul profilo sostanziale - secondo cui una medesima fattispecie potrebbe costituire solo illecito penale e non illecito amministrativo, in totale contrasto col principio di sussidiarietà del diritto penale e, cioè, dell’utilizzazione dello strumento penale solo quale extrema ratio, in caso di insufficienza degli strumenti sanzionatori previsti dagli altri rami dell’ordinamento.

Sotto il profilo processuale, il principio qui sopra affermato è conforme a quello di carattere generale secondo cui l’accusa deve provare i fatti costitutivi del fatto reato, mentre spetta all’imputato dimostrare quelli estintivi o modificativi di una determinata situazione, rilevanti per il diritto. La parte che allega un fatto (nella specie: superamento del tasso alcolemico), affermandolo come storicamente avvenuto, deve introdurre nel processo elementi di prova idonei a dimostrarne la veridicità. L’onere della prova dell’imputato di dimostrare il contrario può sorgere solo in conseguenza del reale ed effettivo accertamento da parte del pubblico ministero del regolare funzionamento e dell’espletamento delle dovute verifiche dell’etilometro.


Alla luce di tali considerazioni, pertanto, in tema di guida in stato di ebbrezza, allorquando l’alcoltest risulti positivo, costituisce onere della pubblica accusa fornire la prova del regolare funzionamento dell’etilometro, della sua omologazione e della sua sottoposizione a revisione.
Resta assorbito il secondo motivo di ricorso.
2. Per tali ragioni la sentenza impugnata va annullata con rinvio alla Corte di appello di Milano per nuovo giudizio da compiere in base ai principi di diritto sopra affermati.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Milano.