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Fotografie di personaggio famoso e sfruttamento economico (Trib. Milano, 10019/15 RG)

20 giugno 2018, Tribunale di Milano

La finalità commerciale dell'esposizione di fotografie di una persona priva il soggetto interessato del godimento del lucro derivante dallo sfruttamento della propria immagine che, soprattutto se collocata in ambito professionale e sportivo, costituisce una risorsa personale di carattere economico propria del titolare dell'immagine al quale non può essere negato di partecipare agli utili derivanti da tale sfruttamento.

Chiunque pubblichi abusivamente il ritratto di una persona notoria, per finalità commerciali, è tenuto al risarcimento del danno, la cui liquidazione deve essere effettuata tenendo conto anzitutto delle ragioni della notorietà, specialmente se questa è connessa all'attività artistica del soggetto leso, alla quale si collega normalmente lo sfruttamento esclusivo dell'immagine stessa; pertanto l'abusiva pubblicazione, quando comporta la perdita, da parte del titolare del diritto, della facoltà di offrire al mercato l'uso del proprio ritratto, dà luogo al corrispondente pregiudizio.

Lo sfruttamento abusivo del ritratto, in quanto frustrante una strategia generale che solo al titolare del diritto spetta di adottare, può risultare fonte di pregiudizio - ben più grave di quello corrispondente al valore commerciale della specifica attività abusiva - il cui risarcimento ben può essere effettuato in termini di perdita della reputazione professionale, ove questa sia stata allegata in giudizio, da valutarsi caso per caso dal giudice di merito nei limiti della ricchezza non conseguita dal danneggiato, ovvero anche con il ricorso al criterio di cui all'art. 1226 cod. civ..

La notorietà dell'attore non giustifica di per sé la pubblicazione o la diffusione delle immagini non ritratte in occasioni pubbliche e in luoghi pubblici e non finalizzata a fornire alla collettività un'informazione su fatti di una qualche utilità sociale; infatti anche i personaggi noti conservano intatto sia il diritto a che altri non abusino della propria immagine sia il diritto a sfruttare economicamente la propria immagine sia il diritto di vedersi tutelata da indebite intrusioni nella vita privata.

Il diritto all'immagine ha una duplice articolazione: è diritto espressione della identità personale ma anche  diritto sfruttamento economico della stessa.

Il consenso alla esposizione pubblica della propria immagine deve essere specifico ed espresso in forma chiara dall'interessato, di modo che non possa rilevare un consenso "tacito" se non ricostruito in termini univoci.

Anche il personaggio noto conserva il diritto allo sfruttamento commerciale della propria immagine che, proprio perchè relativa ad soggetto noto, acquista particolare valore commerciale.

In riferimento al danno patrimoniale, il risarcimento dovuto al danneggiato è liquidato secondo le disposizioni degli articoli 1223, 1226 e 1227 del codice civile. Il giudice può altresì liquidare il danno in via forfettaria sulla base quanto meno dell'importo dei diritti che avrebbero dovuto essere riconosciuti, qualora l'autore della violazione avesse chiesto al titolare l'autorizzazione per l'utilizzazione del diritto. 

La illecita pubblicazione della immagine altrui obbliga al risarcimento dei danni patrimoniali, consistenti nel pregiudizio economico che la vittima abbia risentito dalla pubblicazione e di cui abbia fornito la prova. Tuttavia, qualora non possano essere dimostrate specifiche voci di danno patrimoniale, la vittima può far valere il diritto al pagamento di una somma corrispondente al compenso che avrebbe presumibilmente richiesto per dare il suo consenso alla pubblicazione; somma da determinarsi in via equitativa, con riferimento al vantaggio economico conseguito dall'autore della illecita pubblicazione e ad ogni altra circostanza congruente con lo scopo della liquidazione, tenendo conto in particolare dei criteri enunciati all'art. 158, co. 2, L. n. 633 del 1941.

Qualora non possano essere dimostrate specifiche voci di danno patrimoniale, il soggetto leso può far valere il diritto al pagamento di una somma corrispondente al compenso che avrebbe presumibilmente chiesto per dare il suo consenso allo sfruttamento e all'utilizzazione a scopo commerciale della propria immagine.

Quanto invece al danno non patrimoniale, lo stesso è risarcibile ai sensi degli artt. 2043 e 2059 in relazione all'art. 2 della Costituzione. È noto, invero, che, in forza della giurisprudenza pressoché unanime della Corte di Cassazione, è risarcibile il danno non patrimoniale non solo in tutti i casi determinati dalla legge, come espressamente recita l'articolo 2059 c.c., ma anche ogni qual volta vi sia una lesione dei diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione.

L'evoluzione giurisprudenziale, attraverso un'interpretazione costituzionalmente orientata del combinato disposto degli artt. 2043 e 2059 c.c. è pervenuta all'affermazione della risarcibilità del danno non patrimoniale, nei casi in cui l'evento lesivo sia relativo ai valori della persona costituzionalmente garantiti, a prescindere dalla circostanza che il fatto costituisca o meno un reato.

Quanto alla nozione "danno non patrimoniale", si evidenzia che lo stesso non si esaurisce nella nozione di "danno morale soggettivo", ma ricomprende qualsiasi danno da lesione di valori inerenti la persona e costituzionalmente protetti, non connotato da rilevanza economica.

Il danno non patrimoniale costituisce una categoria generale di danno che attiene alla lesione di interessi inerenti alla persona non connotati da valore di scambio e presenta natura composita, articolandosi in una serie di aspetti aventi funzione meramente descrittiva, quali il danno morale (identificabile nel patema d'animo o sofferenza interiore subìti dalla vittima dell'illecito, ovvero nella lesione arrecata alla dignità o integrità morale, quale massima espressione della dignità umana), quello biologico (inteso come lesione del bene salute), dei quali - ove essi ricorrano cumulativamente - occorre tenere conto in sede di liquidazione del danno, in ossequio al principio dell'integralità del risarcimento.

Con riferimento al diritto all'immagine, deve sottolinearsi che allorquando si verifichi la lesione di tale immagine, è risarcibile, oltre al danno patrimoniale, se verificatosi e se dimostrato, soprattutto il danno non patrimoniale costituito - come danno conseguenza - dalla diminuzione della considerazione della persona da parte dei consociati in genere o di settori o categorie di essi con le quali essa abbia a interagire.

In virtù del principio della tutela minima risarcitoria spettante ai diritti costituzionalmente inviolabili, la tutela è estesa ai casi di danno non patrimoniale prodotto dalle lesione dei diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione", precisando espressamente che tra questi rientra anche il "danno conseguente alla violazione del diritto alla reputazione, all'immagine, al nome, alla riservatezza, diritti inviolabili della persona incisa nella sua dignità, preservata dagli artt. 2 e 3 Cost."

In ordine alla prova di tale danno, la stessa deve sempre essere fornita dal soggetto leso in quanto danno-conseguenza e non danno-evento: per giurisprudenza unanime, infatti, "il danno alla reputazione e all'immagine, per pacifica giurisprudenza di questa Corte, è un danno conseguenza che richiede, pertanto, specifica prova da parte di chi ne chiede il risarcimento".

 

 

TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO

PRIMA CIVILE,  sentenza, 20/06/2018

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Valentina Boroni

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 10019/2015 promossa da:

G.R. (C.F. (...)) rappresentato e difeso dagli avv. NRS del Foro di Milano e CM del Foro di Roma, come da procura a margine dell'atto di citazione, 

ATTORE

contro

M.I.S. S.r.l. (C.F. (...)), in persona degli Amministratori Delegati pro tempore, con il patrocinio degli avv. AB e MS

CONVENUTo

Oggetto: diritti all'immagine.

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

1. Le domande delle parti

Con atto di citazione ritualmente notificato in data 13.2.2015, G.R. ha convenuto innanzi il Tribunale di Milano la società M.I.S. s.r.l. al fine di sentire accogliere le conclusioni come sopra testualmente riportate.

A sostegno della propria domanda ha dedotto di essere stato tra i più grandi giocatori di calcio, "se non il più grande campione presente nel panorama del calcio italiano e mondiale"; di aver giocato nel Milan e nella Nazionale Italiana fino al 1979; di aver ottenuto il premio "Pallone d'Oro" nel 1969, maggior riconoscimento per un calciatore a livello individuale; di essere stato impegnato anche in campo politico dal 1987, ricoprendo il ruolo di presidente del P.S. e segretario alla Presidenza della Camera dal 1994 al 1996, sottosegretario alla difesa nei governi dell'Ulivo (1996-2001) e, successivamente, membro dei partiti "Rinnovamento Italiano", "i Democratici di Prodi" e "La Margherita"; infine, di essere stato eletto deputato del Parlamento europeo nell'aprile 2005, membro della "Commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori", consigliere per le politiche sportive del Comune di Roma nonché Presidente del "Settore Giovanile e Scolastico" della Federazione Italiano Giuoco Calcio (FIGC).

Deduceva che proprio per questo motivo la sua immagine aveva sempre svolto forte funzione suggestiva ed attrattiva tanto che, mentre svolgeva la professione di calciatore, aveva sempre sfruttato la propria immagine mai esitando ad opporsi alle illegittime utilizzazioni della stessa laddove non debitamente autorizzata e chiedendo, a tale fine, il giusto ristoro del pregiudizio economico subito.

Ciò premesso, deduceva che, nel caso di specie, la società convenuta, in violazione dei diritti spettanti all'attore, aveva allestito, all'interno dello Stadio Meazza di Milano, un'esposizione permanente di numerosi ritratti fotografici e poster, unitamente ad un busto riproducete la sua effige e a innumerevoli altri oggetti riproducenti la sua firma, il suo nome oltre che identificativi e caratterizzanti la sua personalità, sfruttando per scopi commerciali la sua immagine, il suo nome ed identità personale.

Deduceva altresì che, per maggiore pubblicizzazione, erano stati organizzati pullman giornalieri per le comitive turistiche con prevendita di specifici biglietti per visitare l'allestimento all'interno dello Stadio San Siro di Milano.

Dopo esserne venuto a conoscenza, aveva diffidato la società M.I.S. S.r.l. a ritirare dalle teche espositive tutte le sue immagini, fotografie, gigantografie, figurine statue, cimeli ed ogni altro oggetto caratterizzante la sua identità nonché ad interrompere immediatamente lo sfruttamento e l'utilizzazione della sua immagine e del suo nome in qualsivoglia forma e misura, invitando la convenuta a prendere contatti con i propri legali per la definizione bonaria della controversia, con particolare riferimento al risarcimento del grave "vulnus causato".

Stante la replica della convenuta che, per il tramite del proprio legale, respingeva ogni contestazione oltre ad eccepire l'intervenuta prescrizione dell'istanza risarcitoria presentata, l'attore si vedeva costretto ad agire innanzi il Tribunale, depositando atto di citazione al fine di arginare lo sfruttamento parassitario per fini commerciali del proprio nome, immagine ed identità personale.

Ciò premesso in fatto, ha sottolineato il fondamento del diritto all'immagine contenuto sia nella carta costituzionale, all'art. 2, sia nella legge posta a tutela della riservatezza, la L. n. 196 del 2003 oltre che nell'art. 10 del codice civile e negli artt. 69 - 98 della L. 22 aprile 1941, n. 633 (legge sul diritto d'autore); sottolineava altresì come il divieto di esposizione in pubblico e di divulgazione del ritratto sussista nonostante la notorietà del ritratto qualora sia effettuata per fini speculativi, anche senza alcuno scopo reclamistico, laddove con la divulgazione della persona celebre si mira a conseguire un fine prevalentemente di lucro, evidenziando peraltro, che, anche nel caso in cui ricorra la finalità di cronaca e/o informazione, le fotografie e le sculture ritraenti il personaggio noto, per poter essere esposti in pubblico o divulgati senza autorizzazione del soggetto raffigurato, devono essere di importanza essenziale per accreditare l'informazione su fatti di pubblico interesse al punto che, in assenza di tali immagini, il servizio di pubblica informazione del giornalista rimarrebbe fondamentalmente incompleto e, pertanto, non adatto a raggiungere quegli scopi che gli sono propri. Circostanza, questa, del tutto estranea al caso di specie.

Ha dedotto che, nell'operazione espositiva dei suoi ritratti e delle sue immagini da parte della società odierna convenuta, si evinceva la netta e sola prevalenza del fine di lucro rispetto alla finalità informativa, nemmeno ipotizzabile, e a tale conclusione, ugualmente si arriverebbe anche a voler sostenere la titolarità e proprietà in capo alla convenuta delle fotografie medesime.

Tutte tali condotte illecite, rilevavano, dunque, ai sensi dell'art. 2043 c.c. e 158 della legge d'autore, dovendo pertanto la convenuta rispondere dei danni così causati.

Ha dedotto inoltre la necessità di proporre azione ex art. 2041 c.c. , anche se già insita nell'art. 158 l.d.a., dalla quale doveva derivare l'obbligo per la convenuta di procedere alla retroversione degli utili attesa l'esistenza di un profitto illegittimo conseguente alla evidente lesione dei diritti di titolarità del R. medesimo.

Pertanto, in conseguenza di quanto sopra esposto, ha chiesto di inibire alla convenuta (ai sensi dell'art. 156 L. n. 633 del 1941) la prosecuzione degli illeciti e di ogni ulteriore sfruttamento della sua immagine ed identità nonché la pubblica esposizione e divulgazione di oggetti quali ritratti e poster, busto e oggetti riproducenti la sua firma ed il suo nome, con fissazione di penali per l'inadempimento e/o il ritardo nell'adempimento degli ordini contenuti in sentenza. Il tutto oltre alla condanna alla pubblicazione della sentenza di accoglimento suoi quotidiani "Il Corriera della Sera" e "La Gazzetta dello Sport" a spese della soccombente società convenuta.

Quanto al risarcimento del danno patrimoniale, ha evidenziato che la società convenuta, a seguito della violazione di situazione giuridica soggettiva tutelata dall'ordinamento, doveva esser condannata al ristoro del danno (patrimoniale cagionato) ai sensi dell'art. 158 L. n. 633 del 1941 il quale "si riferisce non soltanto all'azione di risarcimento ex art. 2043 c.c., che dà luogo al ristoro del danno, ma anche espressamente al trasferimento nel patrimonio del titolare dei benefici economici che altri ha ricavato dall'illegittima utilizzazione dell'immagine altrui"; per questo motivo, il profitto conseguente alla lesione dei diritti dell'attore necessitava di retroversione degli utili per sottrarre al contraffattore il profitto ingiusto, "al fine di raggiungere quell'effetto recuperatorio che si deve sommare a quello restitutorio costituito dal c.d. prezzo del consenso". Quanto al valore del lucro cessante, ossia la mancata acquisizione di valori economici da parte dell'attore, la sua entità doveva essere stabilita secondo criteri equitativi aventi come riferimento i corrispettivi usualmente richiesti dal soggetto ritratto per lo sfruttamento dell'immagine, basandosi anche su riferimenti documentali pregressi recanti parametri effettivi delle quotazioni di mercato per lo sfruttamento, nella fattispecie a scopi di lucro, dell'immagine dell'attore.

Con riferimento all'elemento soggettivo, ha evidenziato che la condotta del legale rappresentante della M.S. srl aveva senza dubbio assunto i connotati del dolo atteso che lo stesso ben sapeva di utilizzare abusivamente ed illegittimamente la sua immagine contro la sua volontà e la mancata richiesta di autorizzazione preventiva era motivata dal timore di un suo rifiuto a far si che la sua effige venisse sfruttata nell'ambito di tali operazioni commerciali.

Il danno così risultante doveva poi essere aumentato in considerazione del danno emergente atteso che nell'utilizzazione dell'immagine di persona notoria, in mancanza di consenso, vi era responsabilità extra contrattuale derivante da annacquamento dell'immagine per la perdita di valore commerciale, oltre che del presumibile danno ricollegabile alla impossibilità di fare uso del ritratto ai fini di lucro, essendo stato da altri utilizzato, e alla conseguente riduzione del suo valore commerciale. Tale forma illecita di sfruttamento, infatti, tutt'altro che gradita dall'attore e contraria alla sua politica di utilizzazione della propria immagine, aveva recato un danno alla sua immagine e a quel valore di comunicazione che aveva acquisito.

Pertanto, il danno subito consisteva anche nell'ingiusto profitto e nei benefici economici che la convenuta aveva ricavato dall'illegittimo sfruttamento del suo ritratto, importo da trasferire nel patrimonio dell'attore unitamente al pagamento del c.d. prezzo del consenso.

Quando alla determinazione di tale danno, la stessa doveva essere effettuata partendo dal presupposto che nel caso di specie "non ci si riferisce al solo risarcimento di danni ex art. 2043 c.c. bensì anche all'azione generale di arricchimento (ex art. 2041 c.c.), che, peraltro, è infatti insita anche nel citato art. 158 L. 22 aprile 1941, n. 633, che oltre al risarcimento del danno, da luogo al trasferimento nel patrimonio del titolare dei benefici economici che l'abusivo utilizzatore ha illegittimamente ricavato e che, quindi, il lucro cessante deve essere valutato anche tenuto conto degli utili realizzati in violazione del diritto".

Ciò premesso, avendo la convenuta venduto la media di 395.000 biglietti all'anno, gli incassi derivati dalla vendita potevano essere stimati in Euro 2.370.000,00 per ogni anno di apertura al pubblico della mostra. Da tale somma doveva essere detratta un somma pari ad Euro 1.185.000,00 (il 50%) pari ai costi di produzione e gestione degli spazi della mostra; la restante quota costituiva invece quanto illegittimamente ricavato per ogni anno di abusivo sfruttamento dell'immagine dell'attore (Euro 295.000,00 annui).

Sempre considerata la vendita media di 395.000 biglietti all'anno, la convenuta doveva pertanto corrispondere la somma minima di Euro 320.000,00, importo da aumentarsi del 10% per l'annacquamento dell'immagine e la riduzione del valore della sua immagine nonché dell'ulteriore 10% in considerazione del fatto cha l'attore aveva visto utilizzata la sua immagine senza possibilità di poter autorizzare o meno e quindi, senza poter negoziare i rispettivi corrispettivi.

Per il R., il risarcimento del danno patrimoniale doveva dunque essere stimato nella misura complessiva di Euro 3.800.000,00 per sfruttamento economico del suo ritratto, avvenuto senza soluzione di continuità dal 2005 ad oggi (2015).

Quanto al danno non patrimoniale, lo stesso doveva essere risarcito ai sensi dell'art. 158 n.3 L.d.a. ai sensi del quale "sono altresì dovuti i danni non patrimoniali ai sensi dell'art. 2059 c.c." nonché ai sensi dell'art. 2059 c.c. il quale assicura, da un lato, la riparazione del danno da reato ex art. 185 c.p. che prevede e reprime casi di illecito trattamento di un dato personale e dall'altro, assicura la riparazione anche delle lesioni che incidono sui significativi valori e prerogative della persona quali il diritto all'immagine.

Per tale voce di danno (morale) doveva essere corrisposta la somma di Euro 2.500.000,00 (2/3 del danno patrimoniale) oltre interessi e rivalutazione monetaria.

Per concludere, i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti dall'attore a seguito dello sfruttamento economico del proprio ritratto, dal 2005 al 2015, dovevano essere stimati nell'importo complessivo di Euro 6.300.000,00.

Con comparsa di costituzione e risposta la società M.I.S. s.r.l. ha chiesto in via principale il rigetto delle domande attoree perché infondate in fatto ed in diritto; in subordine, individuarsi nell'ordine di inibizione l'unica sanzione applicabile al caso di specie, con rigetto delle ulteriori richieste in punto danni patrimoniali e non patrimoniali nonché in ulteriore subordine, la determinazione dell'eventuale danno in misura adeguata alla fattispecie concreta ovvero inferiore alle richieste di parte attrice.

A sostegno di quanto richiesto ha dedotto che nell'esposizione allestita all'interno dello Stadio Meazza di Milano, era presente una collezione comprendente cimeli, sia dell'Inter che del Milan, composta da più di 2500/3000 pezzi e che lo spazio occupato dai cimeli relativi all'attore R. era stato calibrato in relazione al peso attribuito agli eventi storici di cui il campione, in qualità di giocatore, è stato tra i protagonisti (una decina di oggetti pari a meno del 2% del totale esposto nel museo) in particolare, si trattava di fotografie pubblicate a mezzo stampa, riviste dell'epoca, figurine per album, libri editi all'epoca in cui il calciatore era in attività, un busto, elaborato artistico. Tutti oggetti autografati in occasione di una visita dello stesso R. presso il Museo di San siro.

Ciò premesso, ha evidenziato come ai sensi dell'art. 10 c.c., l'esigenza di tutela della immagine altrui è riservata solo ai casi in cui l'immagine di una persona sia esposta fuori dei casi in cui l'esposizione è dalla legge consentita ossia la L. n. 633 del 1941 sul diritto d'autore con particolare riferimento agli artt. 69 e 97, in materia di ritratti ai sensi del quale si evince che il ritratto di una persona non può essere esposto, riprodotto o messo in commercio senza il consenso di questa, consenso che non occorre se si tratta di persona nota e/o la riproduzione sia giustificata da scopi scientifici, culturali o didattici e/o quando la riproduzione è collegata a fatti o avvenimenti di interesse pubblico o svoltosi in pubblico.

Ha sottolineato come, nel caso in esame si trattasse di esposizione e non commercializzazione né riproduzione, ovvero di esibizione in unico contesto spaziale al quale si accede in maniera non indiscriminata ma solo munendosi di apposito biglietto.

Incontestato che nel caso in esame l'attore è soggetto pubblico, persona nota di esposizione a scopo storico e culturale e di esposizione comunque collegata ad avvenimenti di interesse pubblico o svoltasi comunque in pubblico trattandosi dello sport più seguito in Italia e riguardando proprio le squadre cittadine con riferimento ad attività agonistiche svoltesi in pubblico, ha contestato la sussistenza di alcuna violazione del diritto di immagine, non essendo necessario il consenso e, anche laddove non ricorresse alcuna esimente tale da escluderne la rilevanza, potendosi considerare lo stesso implicitamente esistente (infatti, seppure l'esposizione non fosse ritenuta lecita senza il consenso del R., non sarebbe da escludersi la prospettazione della ricorrenza di un consenso implicito del R. stesso raccolto in occasione della visita alle sale e del Museo, occasione nella quale aveva autografato gli oggetti esposti e dunque dato luogo alla sua approvazione).

Quanto alla violazione del diritto d'autore ne ha contestato la sussistenza in assenza di titolare di alcun diritto di autore sulla propria immagine, tale diritto spettante unicamente alla squadra e non al singolo calciatore; la composizione del conflitto tra squadra e calciatore individuale sui diritti di sfruttamento delle immagini era stata infatti da tempo affidata alle rispettive associazioni delle categorie di appartenenza tra le quali sono tuttora vigenti convenzioni regolanti i rispetti diritti. In particolare, l'art. 1 della convenzione del 23.07.1981 stabiliva il riconoscimento ai calciatori della facoltà di utilizzare la propria immagina anche a scopo di lucro purché non associata a nomi colori magli simboli o contrassegni della società di appartenenza o di altre società della lega nazionale.

Allegando l'applicabilità di tale principio anche al caso di specie ha evidenziato come non potesse residuare un diritto del R. di disporre della propria immagine in abiti da gioco, senza il consenso del club, non potendo l'attore nemmeno vantare un diritto per l'esposizione della maglia del club con la quale lo stesso aveva giocato.

Con riferimento alle avverse pretese sanzionatorie addotte ha sottolineato come mancasse in primo luogo l'elemento soggettivo necessario per la ricorrenza del fatto illecito in mancanza di consapevolezza e la volontà del ledere l'altrui diritto. La stessa convenuta disponeva dei beni oggetto della collezione per effetto di un accordo contrattuale intercorso originariamente con la società A.S. srl, poi ceduta alla S.M.S. srl, che aveva espressamente garantito alla convenuta "la legittima disponibilità dei predetti oggetti e di poterli legittimamente esporre presso il museo".

Né poteva muoversi alcun giudizio di colpevolezza in capo alla convenuta stessa che aveva sempre assunto tutte le cautele possibili con riferimento alla gestione dello spazio, affidando a soggetti qualificati e competenti la realizzazione dell'esposizione della collezione San Siro nonché tutte le necessarie attività di allestimento, curatela e consulenza culturale.

Deduceva altresì che laddove si configurasse un utilizzo illecito delle immagini, la tutela reintegratoria invocata dalla controparte, sostanzialmente coerente era stata esageratamente determinata nel quantum.

Sottolineava inoltre l'uso improprio dell'azione di arricchimento senza causa, sussidiaria e non proponibile quando può essere validamente esercitata altra azione per l'indennizzo del pregiudizio subito, circostanza non solo prevista dalla lettera stessa della norma ma anche ribadita dalla più recente giurisprudenza (vedi tra le tante Cass. Civ. sez 1, sent. n. 5396 del 7.03.2014).

Qualora la stessa azione venisse dichiarata ammissibile e trovasse ingresso nel presente giudizio, evidenziava come fosse mancante nel caso di specie qualsivoglia collegamento tra l'arricchimento del convenuto e l'impoverimento dell'attore, requisito necessario per la configurazione dell'azione ex art. 2041 c.c.

Peraltro, la prospettazione di richiesta di indennizzo formulata dall'attore in sede di conclusioni nell'atto di citazione, doveva ritenersi del tutto inconciliabile con la contestuale richiesta di danni posto che l'art. 2041 c.c. ammette unicamente un indennizzo.

Con riferimento ai danni, sottolineava l'inesistenza di danni patrimoniali in considerazione del fatto che l'esistenza stessa del danno patrimoniale presupporrebbe il diritto dell'attore a sfruttare le proprie immagini esposte nel museo di San siro, esclusa per le ragioni già menzionate.

Sotto tale profilo, doveva escludersi la sussistenza di un danno in capo al R. laddove ritenuto esistente, in ogni caso, la determinazione dello stesso doveva essere effettuata sulla base di criteri rigorosi tenendosi conto che la funzione e il limite del risarcimento del danno alla persona è la riparazione del pregiudizio effettivamente subito, dovendo il giudice assicurare che sia raggiunto un giusto equilibrio tra le varie voci che concorrono a determinare il complessivo risarcimento (principio ribadito per esempio da Cass. Civ. sez. 3, sent. n. 23725 del 16.09.2008).

Contestava dunque la quantificazione del danno come effettuata dall'attore con riferimento sia alla somma di Euro 3.800.000,00 per il ristoro del danno patrimoniale sia alla somma di Euro 2.500.000,00 per il danno non patrimoniale.

Inoltre, ribadiva che l'unica sanzione possibile alla luce degli elementi esposti era l'inibizione alla stessa della prosecuzione degli atti illeciti con la fissazione di penali per ogni violazione e per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione della sentenza, non residuando ulteriore possibilità sanzionatoria con particolare riferimento alla formula risarcitoria.

Infine, ove dovesse essere imputata alla stessa convenuta la responsabilità (qualificata come extracontrattuale) dello sfruttamento dell'immagine del R., deduceva l'intervenuta prescrizione della richiesta risarcitoria, non potendosi far valere il diritto al risarcimento vantato dall'attore con riferimento alle annualità prescritte ovvero a quelle che precedono i cinque anni dall'esercizio del diritto (ai sensi dell'art. 2947 c.c.).

Tanto premesso con riguardo alle domande delle parti alla prima udienza di comparizione sono stati assegnati i termini ex art. 183 sesto comma c.p.c.; parte attrice in tale sede ha ribadito il divieto di divulgazione e la diffusione di ritratti per fini speculativi, anche senza alcun scopo reclamistico, se con la divulgazione della persona celebre si mira a conseguire un fine prevalente di lucro ( sent. n, 7296 del 30.05.2011 Tribunale di Milano) e ha contestato l'eccezione secondo la quale nel caso di specie sussisterebbe un consenso implicito dell'attore raccolto in occasione della sua visita alla sede del museo atteso che lo stesso non aveva mai visitato il museo della società ed ivi autografato gli oggetti esposti, richiamando la giurisprudenza prevalente in base alla quale l'esistenza di un valido consenso tacito alla divulgazione dell'immagine di un soggetto deve desumersi da un comportamento inequivoco e concludente, totalmente incompatibile con la volontà di opporsi all'uso del proprio ritratto, circostanza non sussistente nel caso in esame; peraltro, con riferimento al consenso, ha sottolineato anche la necessità che l'efficacia del consenso sia contenuta nei limiti di tempo di luogo per lo scopo e secondo le forme e le modalità presenti all'atto del consenso se questo è espresso e determinabili attraverso il comportamento della persona ritratta se il consenso è tacito (cass. civ. 10.06.1955 n. 2649), non potendosene configurare una facoltà di utilizzazione temporalmente indeterminata. Ha infine contestato sia l'impossibilità di esperire l'azione ex art. 2041 c.c. atteso che, per giurisprudenza maggioritaria e dottrina, la nozione di arricchimento deve essere intesa in senso qualitativo e quantitativo, dovendosi ricomprendere al suo interno sia il caso in cui si verifichi un incremento patrimoniale sia il caso di mero risparmio di spesa e l'eccezione di prescrizione.

Ha svolto alcune istanze istruttorie per testi e ha chiesto l'esibizione delle scritture contabili e commerciali della convenuta al fine di procedere all'accertamento dell'utile con espletamento di eventuale CTU contabile..

Parte convenuta ha sottolineato l'inammissibilità e l'irrilevanza delle istanze attrici; in particolare, quanto all'ordine di esibizione dei registri iva, scritture contabili e matrici di tutti i biglietti di ingresso dal 2005 ad oggi, richiesta volta ad ottenere ed acquisire elementi attestanti le entrate della convenuta, ha ribadito quanto già esposto in punto ad inadeguatezza del criterio di determinazione del danno come percentuale degli incassi.

Quanto all'esibizione di contratti con i proprietari delle statue busti o altri supporti, ha evidenziato la genericità della dicitura nonché l'inesistenza di rapporti con i proprietari di tali beni, dovendosi ricondurre ogni diritto vantato sui beni in oggetto unicamente al contratto stipulato con A.S. S.R.L. successivamente S. S.R.L.

Con riferimento alla richiesta di consulenza tecnica contabile, attesa l'inutilità dell'esibizione dei documenti contabili della convenuta in virtù di quanto sopra già esposto, ha sottolineato come la stessa non dovesse ritenersi necessaria ai fini del decidere; quanto alla consulenza tecnica diretta alla determinazione del danno, invece, ne ha evidenziato l'inammissibilità atteso che la stessa non poteva sopperire ad un onere probatorio incombente esclusivamente sulla parte, tenuto anche conto che la determinazione del danno non doveva essere effettuata sulla base ed in funzione delle entrate della convenuta.

Infine, quanto alla prova per testi, ha dedotto che la stessa era diretta unicamente a provare il numero degli accessi al museo, circostanza superflua atteso che la prova offerta dalla convenuta già consentiva di verificare gli accessi giorno per giorno di tutta l'annualità 2012; compresi quelli del giorno 8.12.2012, oggetto specifico del capitolo di prova.

Il Giudice, ritenute inammissibili tutte le prove articolate dalle parti alla luce delle domande svolte nonché inammissibile la richiesta di esibizione e di CTU in quanto esplorativa anche tenuto conto della tipologia di lesione del diritto fatto valere, respingeva tutte le richieste delle parti e, ritenuta la causa matura per la decisione, fissava per le precisazione delle conclusioni l'udienza del 28.11.2017.

All'udienza così fissata, le parti precisavano le conclusioni come da fogli già depositati telematicamente (entrambe le parti si riportavano alle proprie conclusioni come già formalizzate in sede di atto introduttivo e comparsa di costituzione e risposta) e il Giudice, trattenuta la causa in decisione, assegnava i termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.

1. Il diritto all'immagine, la sua duplice valenza, l'accertamento della violazione

Tanto premesso avuto riguardo alle complesse domande svolte dalla parte attrice vale richiamare l'impianto normativo di riferimento nella trattazione della tutela del diritto all'immagine.

L'art. 10 codice civile vieta l'abuso dell'immagine altrui prevedendo che, qualora l'immagine di una persona venga pubblicata al di fuori dei casi in cui è consentita dalla legge, l'interessato abbia diritto di ottenere la tutela inibitoria ed il risarcimento dei danni

Analoga tutela è prevista dagli artt. 93 e 96 della L. n. 633 del 1941 sul diritto d'autore che vietano l'esposizione, la riproduzione, il commercio del ritratto di una persona in assenza del suo consenso.

Il consenso non è necessario a mente dell'art. 97 L.A. quando la pubblicazione è "giustificata dalla notorietà o dall'ufficio pubblico ricoperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici didattici o culturali o quando sia collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico sempre che la diffusione del ritratto non comporti pregiudizio all'onore alla reputazione od anche al decoro della persona ritratta".

La notorietà dell'attore non giustifica peraltro di per sé la pubblicazione o la diffusione delle immagini non ritratte in occasioni pubbliche e in luoghi pubblici e non finalizzata a fornire alla collettività un'informazione su fatti di una qualche utilità sociale; infatti anche i personaggi noti conservano intatto sia il diritto a che altri non abusino della propria immagine sia il diritto a sfruttare economicamente la propria immagine sia il diritto di vedersi tutelata da indebite intrusioni nella vita privata.

L'interpretazione dei casi che giustificano l'assenza di consenso, quindi, nell'ambito di un giudizio di bilanciamento tra interesse della persona alla tutela della propria immagine ed interesse della collettività alla conoscenza ed alla visione di immagini relative al soggetto noto, va condotta con rigore e restrittivamente ( vd Cass. 11353/2010 tra le altre ). Ne deriva che nei casi in cui non risultano provati in tutto o in parte i presupposti che giustificano l'eccezione alla regola della necessità del consenso, deve ritenersi vietata qualsiasi diffusione delle immagini senza il consenso dell'immagine anche delle persone note che altrimenti, proprio per il fatto di essere tali, si vedrebbero private del diritto alla immagine, non potendosi considerare interesse della collettività la conoscenza di vicende private che non attengono alla attività professionale né a fatti ed accadimenti di rilevanza pubblica. Risulta quindi necessario porre particolare attenzione a non diffondere immagini di tali persone se non riprese in luoghi pubblici o in occasione di eventi pubblici sia perché l'interesse della collettività risulta già di per sé invasivo della loro sfera privata sia perché la pubblicazione della loro immagine senza consenso è particolarmente lesiva anche delle potenzialità di sfruttamento economico della stessa.

Nell'affrontare il merito delle domande attoree va osservato che esse attengono al duplice profilo di tutela del diritto all'immagine; quello che pertiene alla espressione della identità personale e quello che attiene allo sfruttamento economico della stessa.

I due profili meritano di essere esaminati separatamente.

Dal complessivo tenore dell'atto di citazione e dalle precisazioni contenute nella memoria ex art. 183 sesto comma n. 1 c.p.c.emerge che l'attore si lamenta principalmente della lesione del diritto all'utilizzo economico della propria immagine piuttosto che del vulnus a quest'ultima come espressione della propria identità personale più specificamente intesa, come proiezione sociale della personalità dell'individuo cui si correla un interesse ad essere rappresentato nella vita di relazione con la propria vera identità.

Infatti quanto a quest'ultimo aspetto il profilo di lesività è stato precisato brevemente come limitazione alla autodeterminazione e cioè a disporre di tale bene con necessità di espressione di valido consenso.

In tali termini la domanda risarcitoria, che l'attore fonda sull'abuso del diritto all'immagine come espressione del diritto alla identità personale, non presenta apprezzabili profili di lesione.

Infatti alla luce di quanto emerso in atti, tutte le immagini dell'attore ed oggetti connessi alla sua persona (firma, indumenti indossati etc) espressione della propria identità personale sono collocati pacificamente in apposite teche all'interno di un Museo che annovera vari reperti relativi alla storia delle due squadre di calcio storiche della città di M., M. ed Inter. Si trovano esposti fotografie dell'attore, busti, album di figurine, fotografie della squadra oltre che la maglietta indossata dall'attore e delle scarpette da calcio. Non si trovano fotografie che ritraggono l'attore in momenti della propria vita privata o riferiti ad altri contesti che non siano la sua partecipazione alla squadra di calcio del Milan; l'attore è sempre raffigurato mentre indossa la maglietta rossonera e spesso in contesto di squadra. Il busto e la piccola statua raffigurano l'attore in veste di calciatore e la firma autografa è apposta su di un pallone da calcio oltre che su di una fotografia che raffigura l'attore in tenuta sportiva calcistica.

Il Museo ove tali immagini ed oggetti sono esposti, inoltre, pacificamente contiene solo oggetti ed immagini relative ai giocatori di calcio delle due squadre non essendo prevista la contestuale presenza di altre opere il cui avvicinamento alla figura dell'attore potrebbe costituire offesa o dileggio. Si tratta quindi di un contesto assolutamente in linea con la professione dell'attore equale calciatore e relative a momenti spesso celebrativi di tale attività.

Inoltre, per quanto attiene alle fotografie, si tratta di effigi raffiguranti episodi di carattere pubblico che qualunque tifoso avrebbe potuto vedere dal vivo.

Il contratto che con il quale l'odierna convenuta M.S., già Consorzio S.S.D. concessionaria dell'uso e della gestione dello Stadio di San Siro come da convenzione con il Comune di Milano del 1.7.2000 ( doc. 1 parte convenuta) affida a A.S. s.r.l. (cui è subentrata per cessione del contratto S.M.S. - docc. 3 e 5 produzioni della convenuta) la gestione del museo sito all'interno dello Stadio precisa che A.S. ( AS) "dispone legittimamente, in forza di accordi con il proprietario W.F.C. Ltd, accordi che AS garantisce essere di durata almeno coincidente con quella del presente contratto, di una universalità di beni costituita da "cimeli sportivi" di grande valore storico o memorialistico (quali maglie e altri oggetti di abbigliamento sportivo, gagliardetti, palloni, fotografiee altri oggetti) che costituiscono la W.F.C., collezione dedicata in generale alla storia del calcio mondiale"; nell'ambito di tale collezione vi sono le Collezioni Milan e Collezione Inter (collettivamente intesa in Collezione San Siro).

In tale accordo Consorzio ha affidato a AS l'incarico di allestire, gestire e mettere a disposizione del pubblico la Collezione San Siro nell'ambito di un'apposita esposizione permanente nel museo e AS ha offerto al Consorzio la realizzazione e la gestione della esposizione permanente nell'ambito della quale esporre presso il Museo la Collezione San Siro "mantenendo su tutti i beni facenti parte della predetta collezione anche se affidati fisicamente a Consorzio che li riceve in custodia presso i propri locali il pieno possesso e la disponibilità per tutta la durata del contratto".

In tale contesto AS ha individuato un curatore, legato ad AS sotto il profilo dell'incarico ma responsabile del Museo rispetto ai terzi anche per il Consorzio; AS inoltre (punto 3.5 del contratto) si obbliga a consentire al Consorzio di esporre presso il Museo la Collezione San Siro costituita da oggetti di cui ad uno specifico allegato, oggetti di cui AS garantisce di avere le legittima disponibilità e di poterli legittimamente esporre presso il museo; rispetto alla gestione della esposizione Consorzio ha responsabilità limitata agli obblighi di custodia dei beni garantendo la sicurezza dei locali; a fronte di tali prestazioni Consorzio riconosce ad AS un importo annuo di Euro 200.000,00 oltre IVA per i primi tre anni e di Euro 210.000,00 annui per i successivi, importi dei quali si prevede l'incremento in futuro oltre un importo una tantum per l'inizio della attività; As si obbliga inoltre a manlevare Consorzio da ogni domanda promossa nei confronti di Consorzio per fatti ascrivibili a fatto o colpa di AS.

Risulta pacifico tra le parti ( oltre che documentato dalla produzione dei biglietti di ingresso da parte della attrice) che per accedere alla visione della Collezione sia necessario pagare un biglietto di ingresso che ha il valore di Euro 7 ( Euro 14,00 per tour stadio e museo). Il biglietto risulta emesso da M.S. con la conseguenza che il ricavato del biglietto deve ritenersi ricavo della convenuta.

Tale profilo appare dirimente nell'esame della domanda attorea atteso che la convenuta, sia per essere la concessionaria dei locali ove la Collezione è esposta sia per essere il soggetto che emette ed incassa il prezzo del biglietto di accesso al Museo ove la collezione è esposta, è soggetto legittimato passivo.

Tanto premesso va osservato che non vi è prova che l'attore G.R. abbia mai prestato un espresso consenso alla esibizione pubblica dei numerosi oggetti esposti.

L'affermazione contenuta nel contratto sopra citato di piena e legittima proprietà dei beni esposti nella collezione è rimasta una mera affermazione di principio non suffragata da alcun documento e mai provata neppure dalla interpellata cessionaria di A.S. ( S. srl doc. 7 delle produzioni della convenuta, la quale ha precisato che gli oggetti esposti non necessitano di consenso alla loro esibizione).

Del tutto irrilevante è la modalità attraverso la quale dette immagini sono pervenute nella disponibilità della convenuta atteso che il loro eventuale acquisito da soggetti diversi ed estranei al processo non consente di far acquisire liceità al comportamento relativo alla esibizione pur sempre priva di consenso. Non risulta del resto che la convenuta, anche alla luce del testo della convenzione con la proprietaria abbia posto in essere quelle minimali cautele volte al fine di verificare la lecita provenienza del materiale.

Né può affermarsi che detto consenso sia stato tacitamente acquisito durante una visita al museo e mediante la sottoscrizione di qualche autografo da parte dell'attore. La giurisprudenza di legittimità in modo del tutto granitico ( per tutte Cass. 22513/2004) ha affermato come il consenso debba essere specifico ed espresso in forma chiara dall'interessato di modo che non possa rilevare un consenso "tacito" se non ricostruito in termini univoci.

Nel caso di specie una tale forma di consenso non risulta mai posta in essere, né sarebbe stata provata attraverso l'articolazione istruttoria di parte convenuta, generica ed inammissibile.

La circostanza che si tratti di busti, fotografie pubbliche, immagini e cimeli relativi ad un personaggio pubblico ritratto in occasioni pubbliche non comporta il venir meno della necessità di una espressione del consenso atteso che anche il personaggio noto conserva il diritto allo sfruttamento commerciale della propria immagine che, proprio perchè relativa ad soggetto noto, acquista particolare valore commerciale.

Tuttavia da un punto di vista della lesione alla identità personale la esibizione delle immagini, firme, oggetti riferibili all'attore all'interno del Museo San Siro non si ritiene comporti alcuna lesione.

Tutti gli oggetti esposti menzionati dall'attore in citazione sono relativi alla attività professionale e non privata dell'attore e ne esaltano oltre che ravvivare il ricordo quale campione sportivo; l'esposizione in un Museo dedicato ai grandi della storia del calcio esprime la massima evidenza della identità personale della persona effigiata che in tale modo viene ricordata anche per il futuro in termini come già detto celebrativi e quindi tali da sottolinearne la portata piuttosto che a produrne un vulnus.

Poiché parte attrice non ha spiegato negli atti per quale motivo una esibizione che a tuti gli effetti comporta una esaltazione del personaggio possa invece essere percepita dal diretto interessato come un vulnus alla propria identità personale, proiezione sociale della personalità dell'individuo cui si correla un interesse ad essere rappresentato nella vita di relazione con la propria vera identità, la domanda volta ad accertare la violazione del diritto all'immagine sotto questo profilo va respinta.

Diversamente deve ritenersi avuto riguardo al profilo della violazione del diritto all'immagine per lo sfruttamento commerciale dell'immagine.

Sebbene possa dirsi rilevante il profilo "culturale" della esposizione della collezione la circostanza che per la sua visione sia necessario il pagamento di un biglietto di ingresso rende evidente come l'esposizione sia destinata al perseguimento anche di un interesse economico.

La esposizione della collezione, per la cui visita M.S. riceve il prezzo del biglietto, sfrutta dunque per scopi commerciali tra le altre cose anche l'immagine, nome ed identità personale del campione R.; risulta altresì che sono stati organizzati anche pullman giornalieri per le comitive turistiche con apposita prevendita di specifici biglietti per la visita dell'allestimento all'interno dello stadio San Siro di Milano.

Proprio il fine di lucro consente di ritenere non operante la previsione normativa di cui all'art. 97 L. n. 633 del 1941, secondo la quale "non occorre il consenso della persona ritrattata quando la riproduzione dell'immagine è giustificata dalla notorietà o dall'ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico".

La finalità commerciale, infatti, priva il soggetto interessato del godimento del lucro derivante dallo sfruttamento della propria immagine che, soprattutto se collocata in ambito professionale e sportivo, costituisce una risorsa personale di carattere economico propria del titolare dell'immagine al quale non può essere negato di partecipare agli utili derivanti da tale sfruttamento.

Può quindi affermarsi che chiunque pubblichi abusivamente il ritratto di una persona notoria, per finalità commerciali, è tenuto al risarcimento del danno, la cui liquidazione deve essere effettuata tenendo conto anzitutto delle ragioni della notorietà, specialmente se questa è connessa all'attività artistica del soggetto leso, alla quale si collega normalmente lo sfruttamento esclusivo dell'immagine stessa; pertanto l'abusiva pubblicazione, quando comporta la perdita, da parte del titolare del diritto, della facoltà di offrire al mercato l'uso del proprio ritratto, dà luogo al corrispondente pregiudizio.

Lo sfruttamento abusivo del ritratto, in quanto frustrante una strategia generale che solo al titolare del diritto spetta di adottare, può risultare fonte di pregiudizio - ben più grave di quello corrispondente al valore commerciale della specifica attività abusiva - il cui risarcimento ben può essere effettuato in termini di perdita della reputazione professionale, ove questa sia stata allegata in giudizio, da valutarsi caso per caso dal giudice di merito nei limiti della ricchezza non conseguita dal danneggiato, ovvero anche con il ricorso al criterio di cui all'art. 1226 cod. civ..

Vale solo precisare, avendo la convenuta sottolineato specialmente il punto, che il diritto a godere dei proventi dello sfruttamento economico della propria immagine spetta all'attore è non è pregiudicato dalla Convenzione del 1981 che riserva alla squadra, al club Milan nella specie, lo sfruttamento di immagini dello sportivo quando associata a maglie, simboli o contrassegni della società.

La convenzione è infatti ben successiva al momento in cui dette immagini sono state raffigurate e ad un periodo in cui l'attività professionale dell'attore come calciatore era ormai cessata.

2. Il danno e la sua quantificazione

A questo punto, accertata l'abusiva ed illegittima esposizione e sfruttamento commerciale del ritratto, del nome e dell'identità personale dell'attore R., nei limiti sopra indicati, deve verificarsi se un danno sia stato prodotto e in che misura sia risarcibile.

L'attore ha allegato la sussistenza di un danno patrimoniale che si sostanzierebbe nell'ingiusto profitto e nei benefici economici che la società convenuta ha ricavato dall'illegittimo sfruttamento del ritratto di G.R., nell'annacquamento dell'immagine del campione per la perdita di valore commerciale, oltre all'impossibilità di fare uso del proprio ritratto a fini di lucro, essendo stato da altri utilizzato nonché nella conseguente riduzione del suo valore commerciale (c.d. danno emergente) e nella mancata acquisizione di valori economici da parte dello stesso attore; ha altresì dedotto la necessità di determinare l'entità del danno tenendo conto del c.d. prezzo del consenso ovvero di criteri equitativi che prendono come riferimento i corrispettivi usualmente richiesti dal soggetto ritratto per lo sfruttamento della propria immagine, basati su riferimenti documentali pregressi che indichino dei parametri effettivi delle "quotazioni di mercato" per lo sfruttamento, a scopi di lucro, dell'immagine dell'attore R. (c.d. lucro cessante).

Ha quantificato tale danno in una somma complessiva di Euro 3.800.000,00 (Euro tremilioniottocentomila/00).

Quanto al danno non patrimoniale, ha allegato di aver subito un danno c.d. morale risarcibile ai sensi dell'art.158 n.3 L.d.A. e dell'art. 2059 c.c. quantificato in via equitativa in Euro 2.500.000,00 (Euro duemilionicinquecentomila/00); il tutto oltre interessi legali sulla somma via via rivalutata secondo indici ISTAT annuali medi di valutazione, e ciò dal dovuto al saldo.

Parte ricorrente ha dunque indicato l'importo complessivo di Euro 6.300.000,00 (Euro seimilionitrecentomila/00) a titolo di risarcimento del danno.

Ciò premesso in punto richieste risarcitorie di parte attrice, con riferimento al danno patrimoniale, ai sensi dell'art. 158 co. 2della L. n. 633 del 22 aprile 1941 (ossia la legge sulla protezione del diritto d'autore) "il risarcimento dovuto al danneggiato è liquidato secondo le disposizioni degli articoli 1223, 1226 e 1227 del codice civile. Il lucro cessante è valutato dal giudice ai sensi dell'articolo 2056, secondo comma, del codice civile, anche tenuto conto degli utili realizzati in violazione del diritto. Il giudice può altresì liquidare il danno in via forfettaria sulla base quanto meno dell'importo dei diritti che avrebbero dovuto essere riconosciuti, qualora l'autore della violazione avesse chiesto al titolare l'autorizzazione per l'utilizzazione del diritto".

Quanto alla sua liquidazione, deve sottolinearsi che "la illecita pubblicazione della immagine altrui obbliga al risarcimento dei danni patrimoniali, consistenti nel pregiudizio economico che la vittima abbia risentito dalla pubblicazione e di cui abbia fornito la prova. Tuttavia, qualora non possano essere dimostrate specifiche voci di danno patrimoniale, la vittima può far valere il diritto al pagamento di una somma corrispondente al compenso che avrebbe presumibilmente richiesto per dare il suo consenso alla pubblicazione; somma da determinarsi in via equitativa, con riferimento al vantaggio economico conseguito dall'autore della illecita pubblicazione e ad ogni altra circostanza congruente con lo scopo della liquidazione, tenendo conto in particolare dei criteri enunciati all'art. 158, co. 2, L. n. 633 del 1941" (cfr. Corte d'Appello di Lecce, sez. II civ., sent. n. 280 del 22.04.2015).

Qualora non possano dunque essere dimostrate specifiche voci di danno patrimoniale, il soggetto leso può far valere il diritto al pagamento di una somma corrispondente al compenso che avrebbe presumibilmente chiesto per dare il suo consenso allo sfruttamento e all'utilizzazione a scopo commerciale della propria immagine.

Nel caso di specie, l'attore, non ottemperando in tutto al disposto normativo dell'art. 2697 c.c., si è limitato a dedurre l'esistenza di un danno, omettendo di fornire qualsivoglia indicazione quanto ai corrispettivi dallo stesso usualmente richiesti per lo sfruttamento della propria immagine, e ciò nonostante l'esposta consuetudine dello sfruttamento remunerato della sua immagine.

Non risulta infatti agli atti alcuna documentazione (come, ad esempio, pregressi contratti stipulati dall'attore) dalla quale poter desumere con certezza dei parametri effettivi delle quotazioni di mercato per lo sfruttamento a scopo commerciale e di lucro dell'immagine dello stesso campione R..

L'unico riferimento concreto utilizzato quale parametro per una liquidazione del danno è stato offerto con riguardo al prezzo del biglietto per l'ingresso al Museo, prezzo che è stato moltiplicato per un numero di accessi giornalieri e per le annualità a far tempo dal 2005.

Il riferimento non appare congruo.

La norma consente di parametrare il danno patrimoniale patito agli utili percepiti dal soggetto che ha abusivamente lucrato sulla immagine altrui; il prezzo del biglietto non corrisponde ad un utile ma ad un semplice ricavo, concetto molto diverso ( non potendosi dare per scontato che l'attività complessiva della convenuta possa essere anche in perdita, stante la finalità anche culturale che la caratterizza).

Inoltre il prezzo del biglietto si riferisce a tutto il materiale esposto nelle due collezioni e non è stata espressamente contestata la circostanza enunciata dalla convenuta in base alla quale i cimeli riferiti all'attore costituiscono il 2% del compendio complessivo della collezione.

Il numero dei biglietti emessi risulta poi di molto inferiore a quello indiato in citazione (assumendosi a parametro le dichiarazioni effettuate alla SIAE di cui ai docc. 1 3e 14 di parte convenuta, gli unici dotati di certezza); la durata dello sfruttamento deve essere ricondotta alla fase successiva al 5.6.1999 atteso che non risultano richieste risarcitorie per lo sfruttamento dell'immagine anteriori alla contestazione del 5.6.2014 (l'eccepita prescrizione trova dunque accoglimento trattandosi di carattere extracontrattuale); l'affidamento della collezione al Museo con aperura al pubblico attraverso l'esibizione delle immagini in contestazione non risulta antecedente al 2000.

La richiesta esibizione delle scritture contabili della convenuta al fine di procedere allo svolgimento di una CTU contabile è stata ritenuta esplorativa in quanto generica; vale osservare che i bilanci sono pubblici e liberamente accessibili e di essi parte attrice non ha inteso effettuare alcuna produzione.

Inoltre appare di difficile ricostruzione la percentuale di utili riferibile allo sfruttamento delle immagini dell'attore limitate ad una percentuale di opere tra quelle esposte assai risicata anche se di impatto senza dubbio più rilevante rispetto alla restante parte degli oggetti.

In assenza di diverse produzioni ed allegazioni non può che procedersi ad una liquidazione in via equitativa che tenga conto della notorietà del personaggio, del numero e delle caratteristiche dei cimeli esposti, della modalità e tipologia di esposizione.

Tenuto conto del personaggio dell'attore, della sua storica figura quale capitano della squadra di calcio Milan, delle caratteristiche dei cimeli esposti riferibili direttamente alla persona stessa dell'attore, quali firme, magliette e scarpette, dell'impatto che tali immagini possono avere se calate nel contesto del Museo dello stadio di san Siro, del presumibile valore commerciale dello sfruttamento di tali cimeli si stima equo liquidare l'importo complessivo di Euro 200.000,00 a titolo di risarcimento del danno patrimoniale.

Quanto invece al danno non patrimoniale, lo stesso è risarcibile ai sensi degli artt. 2043 e 2059 in relazione all'art. 2 della Costituzione. È noto, invero, che, in forza della giurisprudenza pressoché unanime della Corte di Cassazione, è risarcibile il danno non patrimoniale non solo in tutti i casi determinati dalla legge, come espressamente recita l'articolo 2059 c.c., ma anche ogni qual volta vi sia una lesione dei diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione (Cass. S.U. 2008/26972).

L'evoluzione giurisprudenziale, attraverso un'interpretazione costituzionalmente orientata del combinato disposto degli artt. 2043 e 2059 c.c. è pervenuta all'affermazione della risarcibilità del danno non patrimoniale, nei casi in cui l'evento lesivo sia relativo ai valori della persona costituzionalmente garantiti, a prescindere dalla circostanza che il fatto costituisca o meno un reato.

Quanto alla nozione "danno non patrimoniale", si evidenzia che lo stesso non si esaurisce nella nozione di "danno morale soggettivo", ma ricomprende qualsiasi danno da lesione di valori inerenti la persona e costituzionalmente protetti, non connotato da rilevanza economica (cfr. Cass. S.U. 2009/3677; Cass. S.U. 2009/557).

Ancora, secondo i più recenti insegnamenti della Suprema Corte di Cassazione esso costituisce una categoria generale di danno che attiene alla lesione di interessi inerenti alla persona non connotati da valore di scambio e presenta natura composita, articolandosi in una serie di aspetti aventi funzione meramente descrittiva, quali il danno morale (identificabile nel patema d'animo o sofferenza interiore subìti dalla vittima dell'illecito, ovvero nella lesione arrecata alla dignità o integrità morale, quale massima espressione della dignità umana), quello biologico (inteso come lesione del bene salute), dei quali - ove essi ricorrano cumulativamente - occorre tenere conto in sede di liquidazione del danno, in ossequio al principio dell'integralità del risarcimento (così da ultimo Cass. 1361/14).

Alla luce di quanto sopra, occorre dunque accertare l'effettiva consistenza del pregiudizio, individuando quali ripercussioni negative sul valore-uomo si siano verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione.

In particolare, con riferimento al diritto all'immagine, deve sottolinearsi che "allorquando si verifichi la lesione di tale immagine, è risarcibile, oltre al danno patrimoniale, se verificatosi e se dimostrato, soprattutto il danno non patrimoniale costituito - come danno conseguenza - dalla diminuzione della considerazione della persona da parte dei consociati in genere o di settori o categorie di essi con le quali essa abbia a interagire" (Cass. n. 8397/2016).

In ultimo, le Sezioni Unite della Cassazione hanno affermato al riguardo che "in virtù del principio della tutela minima risarcitoria spettante ai diritti costituzionalmente inviolabili, la tutela è estesa ai casi di danno non patrimoniale prodotto dalle lesione dei diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione", precisando espressamente che tra questi rientra anche il "danno conseguente alla violazione del diritto alla reputazione, all'immagine, al nome, alla riservatezza, diritti inviolabili della persona incisa nella sua dignità, preservata dagli artt. 2 e 3 Cost." (Cassazione Sezioni Unite, 11 novembre 2008, n. 26972).

In ordine alla prova di tale danno, la stessa deve sempre essere fornita dal soggetto leso in quanto danno-conseguenza e non danno-evento: per giurisprudenza unanime, infatti, "il danno alla reputazione e all'immagine, per pacifica giurisprudenza di questa Corte, è un danno conseguenza che richiede, pertanto, specifica prova da parte di chi ne chiede il risarcimento" (Cass. n. 20558/2014).

Ciò premesso, nel caso di specie parte attrice si è limitata ad affermare genericamente l'esistenza di un danno non patrimoniale omettendo di allegare e, dunque, non provando, quelle specifiche e circostanziate ripercussioni negative patite per effetto della lesione al proprio diritto all'immagine; lo stesso attore, sin dal ricorso introduttivo, ha sottolineato l'esistenza di un danno morale, ovvero non patrimoniale, soffermandosi sulla tutela ad esso accordata dall'ordinamento giuridico, non spendendo, però, ulteriori parole quanto alle conseguenze negative derivate per effetto della lesione così come subita. In tale contesto non potendosi dare per contato un danno non patrimoniale, la domanda di risarcimento di danno non patrimoniale va respinta.

3. L'azione ex art. 2041 c.c.

Parte attrice ha anche chiesto dichiararsi che la società convenuta, tramite l'abusiva ed illegittima esposizione e sfruttamento commerciale del suo ritratto, nome ed identità personale, si è arricchita senza giusta causa e, per l'effetto, ne ha chiesto la condanna ad indennizzare l'attore ai sensi e per gli effetti dell'art. 2041 c.c.

A questo proposito, giova ricordare che ai sensi dell'art. 2041 c.c. "Qualora l'arricchimento abbia per oggetto una cosa determinata colui che l'ha ricevuta è tenuto a restituirla in natura, se sussiste al tempo della domanda".

Come sottolineato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, l'azione generale di ingiustificato arricchimento può essere proposta solo laddove ricorrano due presupposti: "(a) la mancanza di qualsiasi altro rimedio giudiziale in favore dell'impoverito; (b) la unicità del fatto causativo dell'impoverimento sussistente quando la prestazione resa dall'impoverito sia andata a vantaggio dell'arricchito, con conseguente esclusione dei casi di cosiddetto arricchimento indiretto, nei quali l'arricchimento è realizzato da persona diversa rispetto a quella cui era destinata la prestazione dell'impoverito".

Si tratta, dunque, di azione di carattere sussidiario, inammissibile ogniqualvolta il soggetto leso che ha sofferto una diminuzione patrimoniale abbia la possibilità, anche solo astratta, di esercitare un'altra azione diretta; da ultimo, la Cassazione ha precisato che "la proponibilità dell'azione generale di indebito arricchimento, in relazione al requisito di sussidiarietà di cui all'art. 2042 c.c., postula semplicemente che non sia prevista nell'ordinamento giuridico altra azione tipica a tutela di colui che lamenti il depauperamento, ovvero che la domanda sia stata respinta sotto il profilo della carenza "ab origine" dell'azione proposta, per difetto del titolo posto a suo fondamento" (Cass. Civ. n. 2350/2017).

Peraltro, il carattere di sussidiarietà di tale azione è reso manifesto dall'art. 2042 c.c. ai sensi del quale "L'azione di arricchimento non è proponibile quando il danneggiato può esercitare un'altra azione per farsi indennizzare del pregiudizio subito

La domanda di parte attrice deve pertanto essere respinta.

Il R., infatti, ha adito l'intestato Tribunale chiedendo espressamente la condanna della convenuta al risarcimento dei danni tutti, patrimoniali e non, patiti per effetto delle condotte poste in essere dalla convenuta stessa, in violazione dei diritti spettanti al R.; pacifico, dunque, che l'azione di risarcimento del danno costituisca azione tipica predisposta dall'ordinamento per la tutela di un soggetto che lamenti di essere stato leso e di aver subito un danno.

Evidente, dunque, la sussidiarietà dell'azione di arricchimento senza giusta causa rispetto all'azione diretta ad ottenere il risarcimento del danno che, proprio in virtù dei più recenti insegnamenti della Suprema Corte, deve ritenersi non proponibile nel caso di specie.

4. L'inibitoria ex art. 156, 633/1941

L'art. 156 LA recita al primo comma: "1. Chi venga leso nell'esercizio di un diritto di utilizzazione economica a lui spettante può agire in giudizio per ottenere, oltre al risarcimento del danno che, a spese dell'autore della violazione, sia distrutto o rimosso lo stato di fatto da cui risulta la violazione".

In ragione dell'accertato sfruttamento abusivo dell'immagine dell'attore nei termini come ricostruiti in motivazione va inibito a M.I.S. s.r.l. di esporre o di lasciare esporre all'interno del Museo San Siro i cimeli raffiguranti l'immagine dell'attore, i due busti, le firme autografe, le maglie e le scarpette a questi riferibili.

Essendone stata fatta richiesta ex art. 156 L. n. 633 del 1941 va altresì fissata la somma di Euro 250,00 al giorno per ogni inadempimento o ritardo nell'esecuzione dell'ordine di inibitoria.

5. La pubblicazione della sentenza

Non si ritiene che, tenuto conto della particolarità della pronunzia e della risalenza nel tempo dei fatti, che la pubblicazione della sentenza costituisca sanzione congrua, con la conseguenza che non può essere accolta la richiesta di pubblicazione ex art. 120 c.p.c.

6. Le spese di lite

Le spese di giudizio nei rapporti tra parte attrice e convenuta possono essere compensate alla luce della drastica riduzione delle somme dovute a titolo risarcitorio come accertate rispetto a quelle richieste a vario titolo

P.Q.M.
Il Tribunale di Milano, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda, istanza od eccezione disattesa, così provvede:

1) In parziale accoglimento delle domande attoree dichiara l'abusivo sfruttamento commerciale del ritratto, nome e dell'identità personale di G.R., posto in essere dall'odierna convenuta, M.I.S. srl;

2) condanna M.I.S. srl, al pagamento in favore dell'attore, a titolo di risarcimento del danno patrimoniale, di Euro 200.000,00;

3) inibisce alla società convenuta la prosecuzione degli illeciti, prescrivendo quale somma da pagarsi in favore dell'attore per ogni giorno di mancato adempimento all'inibitoria quella di Euro 250,00;

4) spese compensate

Così deciso in Milano, il 19 giugno 2018.

Depositata in Cancelleria il 20 giugno 2018.