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Forza la porta della casa assegnata alla ex: violazione di domicilio (Cass. 32840/19)

22 luglio 2019, Cassazione penale

Configura il reato di violazione di domicilio la condotta dell’ex coniuge il quale si introduca nell’abitazione già familiare assegnata in via esclusiva alla moglie separata da un provvedimento del giudice, pur non dotato di formale esecutività, commessa con violenza sulle cose e, precisamente, manomettendo forzatamente le serrature di casa modificate dalla stessa titolare del diritto.

Fidarsi del consiglio legale del proprio avvocato non scrimina il reato quando è di immediata percezione per chiunque, a prescindere dalla qualità di legale o difensore, esperto in campo di diritto, che non è consentito rispondere ad illegalità con altrettanta illegalità, facendo riferimento una tale constatazione alle regole minime basilari della convivenza civile in uno Stato di diritto.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 3 aprile – 22 luglio 2019, n. 32840
Presidente Zaza – Relatore Brancaccio

Ritenuto in fatto

1. Con il provvedimento impugnato la Corte d’Appello di Torino ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Torino in data 5.2.2016, con cui M.G. è stato condannato alla pena di mesi tredici di reclusione per i reati di: violazione dell’obbligo di corresponsione dell’assegno divorzile (capo a) per non aver corrisposto la somma di 1.200 Euro mensili dovuta dal marzo 2013; violazione degli obblighi di assistenza familiare (capo b) nei confronti dei due figli minori; violazione di domicilio aggravata dalla violenza sulle cose (capo c) e lesioni (capo d); la condanna è stata confermata avuto riguardo, altresì, al risarcimento dei danni in favore della parte civile T.N. , costituita anche in rappresentanza dei due figli minori, da liquidarsi in separata sede, concedendo altresì una provvisionale liquidata in 7.000 Euro ed il beneficio della sospensione condizionale subordinato al pagamento di detta provvisionale.

2. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l’imputato, tramite il difensore avv. G, deducendo due motivi di ricorso, sostanzialmente analoghi ai motivi di appello già esaminati dalla Corte di merito.
2.1. Con il primo motivo si eccepisce la manifesta illogicità della motivazione quanto alla ritenuta sussistenza del reato di violazione di domicilio, aggravata ai sensi dell’art. 614 c.p., u.c., per aver utilizzato violenza sulle cose, consistita nel diveltere le ante di legno della porta di accesso dal terrazzo dell’abitazione coniugale assegnata alla ex coniuge e, successivamente, nel rimuovere il nottolino della serratura introducendosi così clandestinamente nella casa.
L’imputato avrebbe dovuto essere, invece, assolto, ritenendo che il fatto non sussista ovvero che il fatto non costituisca reato poiché sarebbero state travisate le norme civilistiche che regolano la procedura esecutiva, determinandosi un’errata interpretazione giuridica del fatto.
In particolare si deduce che l’ordinanza presidenziale di assegnazione dell’alloggio, già casa coniugale, alla coniuge divorziata dell’imputato - odierna parte civile - non configura di per sé un titolo esecutivo, così come erroneamente ritenuto dalla sentenza d’appello impugnata e dalla prima sentenza di merito; invece, per ottenere la valenza di esecutività, detta ordinanza avrebbe dovuto recare apposta la "formula esecutiva" che, sola, obbliga la parte destinataria del provvedimento di rilascio dell’immobile ad adempiere a tale obbligo, una volta avvenuta la notifica alla controparte.
Ebbene, poiché tale formula esecutiva non risultava ancora apposta alla data del 26.2.2013, giorno in cui è stata commessa la condotta contestata all’imputato come violazione di domicilio, il reato non può ritenersi configurato poiché, al momento dei fatti non poteva essere inibito al ricorrente di accedere a quella che era (anche) la sua abitazione, mediante la sostituzione delle serrature che, invece, indebitamente la parte civile aveva già effettuato, facendosi giustizia da sé; viceversa, il divieto di accedere poteva conseguire solo dall’attivazione della procedura di esecuzione per rilascio ai sensi dell’art. 605 c.p.c. e ss., e il ricorrente, pertanto, in mancanza, era ancora nel suo pieno diritto di accedere alla casa familiare.
La ricostruzione è avvalorata dalla circostanza che proprio la stessa parte civile, dopo l’episodio del (OMISSIS), aveva ritenuto necessario adire le vie legali per mettere formalmente in esecuzione il provvedimento di estromissione dell’imputato dal diritto di accedere all’abitazione già coniugale della quale deteneva ancora le chiavi.
Sarebbe erronea anche l’affermazione del provvedimento d’appello riferita al fatto che dall’ordinanza presidenziale di estromissione dell’imputato dal godimento dell’immobile di abitazione comune si potrebbe sicuramente trarre il diritto della parte civile, se non di impedire fisicamente al ricorrente di entrare, quanto meno di cambiare le serrature della porta d’ingresso dell’abitazione; ciò per la ragione che da questa il ricorrente, come detto, non era stato ancora estromesso per la mancanza della formalizzazione necessaria della esecutività del provvedimento stesso.
Infine, si rappresenta che mancherebbe in ogni caso il dolo del reato in capo al ricorrente, che aveva avuto rassicurazioni dal suo legale di essere nel pieno diritto di accedere alla abitazione assegnata alla ex moglie, poiché il provvedimento non era ancora stato messo in esecuzione formalmente.

2.2. Il secondo motivo di ricorso deduce manifesta illogicità della motivazione avuto riguardo al mancato riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche sulla contestata aggravante, poiché il reato di violazione di domicilio, a cui afferisce l’aggravante, non sarebbe sussistente; in tal caso, anche la pena complessiva andrebbe rimodulata in senso più favorevole.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è, nel complesso, infondato e deve essere rigettato.

2. Il primo motivo attiene alla configurabilità nel caso di specie del reato di violazione di domicilio, in virtù del fatto che l’imputato ritiene sussistente il suo diritto all’accesso nella ex casa coniugale, non essendo stata ancora resa formalmente esecutiva l’ordinanza presidenziale di assegnazione dell’alloggio in via esclusiva alla ex coniuge ed ai figli dell’imputato.

L’eccezione è infondata.

Il reato di violazione di domicilio è configurabile nel caso di specie, poiché non rileva, a tal fine, la sussistenza o meno della clausola di esecutività formale della ordinanza presidenziale con cui, in data 24.12.2012, era stato disposto l’allontanamento dell’imputato dalla casa coniugale assegnata alla ex coniuge ed ai figli del ricorrente, nel termine di sessanta giorni a far data dal deposito del provvedimento stesso.

Il ricorrente, infatti, era ben consapevole che esisteva un provvedimento del giudice, al quale è possibile dare anche spontanea esecuzione una volta scaduto il termine, senza porre in essere la procedura esecutiva, che lo escludeva dal diritto di continuare ad abitare la casa un tempo coniugale e, pertanto, corrispondentemente, era a conoscenza del buon diritto della parte civile di modificare le serrature, per rendere evidente il nuovo godimento del bene in via esclusiva da parte sua.

Inoltre, le condotte di forzatura violenta e manomissione delle nuove serrature, commesse addirittura, come emerge dalla ricostruzione dei giudici di merito, avvalendosi dell’ausilio di un fabbro, manifestano la chiara volontà dell’imputato di non voler soggiacere in ogni caso alla regolamentazione dell’assegnazione della casa familiare decisa dal giudice, e non certo perché essa non fosse ancora dotata di esecutività formale del titolo: egli, in sintesi, ha mostrato palesemente di voler continuare ad avere accesso alla casa coniugale ritenendo di averne (ancora) diritto, pur essendo decorso il termine assegnatogli dal giudice per lasciare definitivamente l’abitazione.

Del resto, se questa Corte (Sez. 5, n. 42806 del 26/5/2014, Zamponi, Rv. 260769) ha ritenuto che, in presenza di determinate condizioni di fatto, ai fini della configurabilità del reato di violazione di domicilio, persino l’originaria illegittimità della immissione in possesso del bene non esclude l’esercizio dello "ius excludendi" - nei confronti di soggetti terzi - da parte di chi tale illegittima immissione abbia compiuto, quando le particolari modalità con cui si è svolto il rapporto tra occupante e originario titolare del diritto sul bene consentono di ritenere quel luogo come l’effettivo domicilio del soggetto non legittimato, a maggior ragione il reato è configurabile nell’ipotesi in cui legittimamente, in forza di un provvedimento del giudice, si stia esplicando il proprio diritto al domicilio esclusivo ed alla abitazione e, nel godimento di tale diritto, si venga con violenza sulle cose ostacolati dal soggetto il quale assuma di non essere ancora stato definitivamente estromesso dal diritto all’accesso nel medesimo domicilio, in virtù di una ragione formale collegata alla mera esecutività del citato provvedimento giudiziario.

Non possono, poi, che essere valorizzati il dato delle lesioni provocate subito dopo la violazione di domicilio alla ex moglie titolare, insieme ai figli, del diritto esclusivo all’assegnazione della casa già coniugale, che rende ancor più evidente il superamento della soglia del preteso esercizio di un diritto da parte del ricorrente, nonché, anzitutto, la circostanza che il termine di allontanamento dalla abitazione coniugale indicato in sentenza era da tempo scaduto, sicché l’imputato era ben consapevole della illegalità della propria condotta, a prescindere da qualsiasi attivazione formale della persona offesa per ottenere la formale esecutività della ordinanza.

È stato correttamente posto in risalto dalla Corte di merito, altresì, con riferimento alla condotta della parte civile la quale ha fatto sostituire le serrature di casa, che, un conto sarebbe stato il dover estromettere con la forza l’imputato dalla permanenza nell’abitazione (nel qual caso, ovviamente, si sarebbe dovuta invocare la forza pubblica e il provvedimento avrebbe dovuto essere formalmente dotato di esecutività), altro conto è cominciare, allo scadere del termine imposto dal giudice, ad usufruire pienamente del proprio diritto di escludere l’altro coniuge dal godimento dell’immobile, prerogativa senza dubbio consentita ed esercitabile, a prescindere da formali esecutività del provvedimento, là dove la controparte già non abitava più nella casa ex coniugale ed essendo ben possibile - come pure sottolineato - l’adempimento spontaneo ai provvedimenti giudiziari.

Deve affermarsi, pertanto, che configura il reato di violazione di domicilio la condotta dell’ex coniuge il quale si introduca nell’abitazione già familiare assegnata in via esclusiva alla moglie separata da un provvedimento del giudice, pur non dotato di formale esecutività, commessa con violenza sulle cose e, precisamente, manomettendo forzatamente le serrature di casa modificate dalla stessa titolare del diritto.

2.1. Nessun pregio poi può riconoscersi alla osservazione della assenza di dolo del reato in capo al ricorrente, in ragione del fatto che egli si sarebbe fidato del consiglio legale del proprio avvocato per ritenere lecita la propria condotta di forzata introduzione nell’abitazione assegnata alla propria ex coniuge con violenta manomissione delle serrature d’ingresso, quale "risposta" alla sostituzione di esse già effettuata dalla parte civile.

Da un lato l’asserzione è, infatti, genericamente formulata, dall’altro, è innegabile che sia di immediata percezione per chiunque, a prescindere dalla qualità di legale o difensore, esperto in campo di diritto, che non è consentito rispondere ad illegalità con altrettanta illegalità, facendo riferimento una tale constatazione alle regole minime basilari della convivenza civile in uno Stato di diritto.

Del resto, anche a voler immaginare una riqualificazione della condotta contestata in quella di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, giova rammentare che l’assorbimento del reato di violazione di domicilio in quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni si verifica solo quando l’esercizio del preteso diritto si concreta nel semplice ingresso e nella sola permanenza "invito domino" nell’altrui abitazione, ovvero negli altri luoghi indicati nell’art. 614 c.p., mentre se l’agente vi si introduce - come nel caso di specie - con violenza sulle cose o sulle persone, e contro la volontà del titolare del diritto di esclusione, al fine di esercitare il proprio preteso diritto, viola, eventualmente, entrambe le ipotesi delittuose predette e, in ogni caso, sicuramente commette violazione di domicilio (Sez. 6, n. 9530 del 20/1/2009, Truglio, Rv. 244285).

3. Il secondo motivo di ricorso, infine, è assorbito dal rigetto della prima eccezione.

La rideterminazione della pena auspicata dal ricorrente come conseguenza del giudizio di prevalenza delle attenuanti sulle aggravanti, riconosciute nel merito solo equivalenti, è stata proposta in relazione specificamente alla esclusione della sussistenza del reato di violenza privata, la cui configurabilità, invece, è - a giudizio del Collegio correttamente stata ritenuta dal provvedimento impugnato.
Anche tale obiezione difensiva, pertanto, deve essere rigettata.

4. Devono essere liquidate le spese sostenute dalla parte civile costituita in giudizio e presente dinanzi alla Corte di legittimità all’udienza fissata, che possono essere rifuse nella misura di Euro 2.000 oltre accessori di legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla pare civile, che liquida in Euro 2.000 oltre accessori di legge.