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Firma digitale Cades .p7m è valida quanto Pades .pdf (Cass.19273/22)

16 maggio 2022, Cassazione penale

In tema di processo telematico (anche penale), a norma dell'art. 12 del decreto dirigenziale del 16 aprile 2014, di cui al D.M. n. 44 del 2011, art. 34, - Ministero della Giustizia -, in conformità agli standard previsti dal Regolamento UE n. 910 del 2014 ed alla relativa decisione di esecuzione n. 1506 del 2015, le firme digitali di tipo "CAdES" e di tipo "PAdES" sono entrambe ammesse e equivalenti, sia pure con le differenti estensioni ".p7m" e ".pdf".

Il file, inviato mediante posta elettronica certificata, avente estensione ".p7m" deve ritenersi sottoscritto con firma digitale.

E' inammissibile il ricorso inviato ad un indirizzo di posta elettronica certificato diverso da quello indicato nel provvedimento del DIGISIA e non non è suscettibile di sanatoria, neppure nel caso in cui l'atto sia effettivamente giunto all'organo deputato a decidere sull'istanza.

 

CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

udienza 20 aprile 2022 / 16 maggio 2022, n. 19273

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIDELBO Giorgio - Presidente -

 

Dott. DI GIROLAMO Paolo - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

1.L., nato in (OMISSIS);

avverso l'ordinanza emessa il 29/9/2021 dalla Corte di appello di Genova;

visti gli atti, l'ordinanza impugnata e il ricorso;

udita la relazione del consigliere Paolo Di Geronimo;

letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. PEDICINI Ettore, che ha chiesto l'annullamento con rinvio.

Svolgimento del processo

1. La Corte di appello di Genova dichiarava l'inammissibilità dell'istanza di revisione presentata a mezzo posta elettronica certificata, sul presupposto che l'atto non recava la firma digitale ed era stato inviato ad un indirizzo di posta diverso da quello individuato dal Direttore generale dei sistemi informativi, in attuazione della previsione dettata dal D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 24, comma 4.

2. Avverso la suddetta pronuncia, il ricorrente ha formulato due motivi di ricorso.

Con il primo deduce vizio di motivazione in merito alla ritenuta mancanza di firma elettronica, evidenziando come l'estensione del file inviato avendo il formato "PDF.p7m" presupponeva necessariamente l'avvenuta sottoscrizione con firma digitale.

Con il secondo motivo, invece, deduce violazione di legge in ordine alla ritenuta inammissibilità del ricorso in conseguenza del mancato invio del messaggio di posta elettronica ad uno degli indirizzi indicati nel provvedimento del DGSIA per la Corte di appello di Genova, sottolineando come l'atto era stato comunque trasmesso all'indirizzo areabenale.ca.genovagiustiziacert.it.

3. Il procedimento è stato trattato in forma cartolare, ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8, e del D.L. 23 luglio 2021, n. 105, art. 7.

Motivi della decisione

1. Il ricorso deve essere rigettato.

2. Il primo motivo di ricorso è fondato, in quanto dalla copia della mail inviata - consultabile in considerazione della natura processuale dell'eccezione - risulta che effettivamente il file inviato aveva l'estensione ".p7m" che contraddistingue i file con firma digitale "CAdES".

La giurisprudenza civile, che per prima è stata investita di tali tematiche, ha chiarito che in tema di processo telematico, a norma dell'art. 12 del decreto dirigenziale del 16 aprile 2014, di cui al D.M. n. 44 del 2011, art. 34, - Ministero della Giustizia -, in conformità agli standard previsti dal Regolamento UE n. 910 del 2014 ed alla relativa decisione di esecuzione n. 1506 del 2015, le firme digitali di tipo "CAdES" e di tipo "PAdES" sono entrambe ammesse e equivalenti, sia pure con le differenti estensioni ".p7m" e ".pdf" (Cass.civ., Sez.U, n. 10266 del 27/4/2018, Rv. 648132).

Analogo principio va affermato anche nell'ambito del giudizio penale, posto che lo strumento informativo soggiace alla medesima disciplina, sicchè deve affermarsi il principio secondo cui il file, inviato mediante posta elettronica certificata, avente estensione ".p7m" deve ritenersi sottoscritto con firma digitale.

2. Il secondo motivo di ricorso attiene all'inammissibilità dell'istanza di rescissione inviata ad un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello indicato, per la Corte di appello di Genova, nel provvedimento del DIGISIA adottato in attuazione del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 24, comma 4, come modificato nella legge di conversione 18 dicembre 2020, n. 176.

Premesso che non c'è contestazione sul fatto che l'atto sia stato inviato ad un indirizzo di posta diverso da quello previsto nel provvedimento del DIGISIA, occorre esclusivamente valutare se tale irregolarità determini o meno l'inammissibilità dell'istanza.

Il D.L. 28 ottobre 2020, art. 24, comma 6 sexies, lett. e), stabilisce espressamente che l'impugnazione è inammissibile "quando l'atto è trasmesso a un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello indicato per l'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato dal provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati di cui al comma 4".

La giurisprudenza, sia pur con riguardo ad atti di diversa natura, ha già avuto modo di ritenerne l'inammissibilità ove trasmessi a una casella di posta elettronica certificata diversa da quella individuata dal provvedimento del 9 novembre 2020 emesso dal direttore generale dei sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia (Sez.1, n. 17052 del 2/3/2021, Bloise, Rv. 281386; Sez.3, n. 26009 del 29/4/2021, Rv.281734; Sez.6, n. 46119 del 9/11/2021, Rv.282346).

2.1. Il ricorrente ha invocato l'applicazione del principio - recepito anche nella giurisprudenza amministrativa - in virtù del quale la pubblica amministrazione, a fronte di meri errori formali in cui sia incorso il privato che avanza una legittima istanza, è tenuta ugualmente a trattarla, eventualmente riqualificando ex officio la domanda o inviandola al diverso organo competente.

Analoga impostazione, peraltro, è stata recepita anche nella requisitoria del Procuratore generale.

Tale soluzione, tuttavia, non è esportabile in ambito penai-processuale e, soprattutto, con riguardo alla disciplina delle impugnazioni che si fonda necessariamente sull'individuazione di rigidi presupposti di ammissibilità, tra i quali rientrano anche l'individuazione dell'organo destinatario dell'atto e delle modalità di invio.

E' pur vero che, nel regime ordinario, l'art. 582 c.p.p., consente l'invio dell'impugnazione anche ad un'autorità diversa da quella deputata a riceverla, ma si tratta di una disciplina che non è applicabile in relazione alle modalità - del tutto atipiche ed innovative - introdotte con la disciplina emergenziale.

L'individuazione di indirizzi di posta elettronica specifici per ciascun ufficio e, al contempo, l'espressa previsione dell'inammissibilità dei ricorsi inviati ad indirizzi di posta diversi, pur se ugualmente in uso dall'ufficio giudiziario destinatario dell'atto, si fonda su un'esigenza concreta e non si risolve in uno sterile formalismo.

In considerazione della natura emergenziale della previsione e della necessità di far fronte all'afflusso di un numero elevato di impugnazioni secondo modalità non sperimentate in precedenza, il Legislatore si è premurato di individuare un numero ridotto di indirizzi di posta elettronica deputati a ricevere tali atti, al fine di consentire agli uffici giudiziari di poter garantire la sicura rilevazione delle impugnazioni pervenute.

Quanto detto consente di affermare che la previsione espressa dell'inammissibilità del ricorso inviato ad un indirizzo di posta elettronica certificato diverso da quello indicato nel provvedimento del DIGISIA non è suscettibile di sanatoria, neppure nel caso in cui l'atto sia effettivamente giunto all'organo deputato a decidere sull'istanza.

Va ribadito, infatti, il principio generale secondo cui le cause di inammissibilità, a differenza di quelle di nullità non assolute, non sono soggette a sanatoria (si veda, sia pur con riferimento a diversa fattispecie, Sez.3, n. 20356 del 2/12/2020, dep.2021, Mirabella, Rv. 281630).

3. Alla luce di tali considerazioni, il ricorso va rigettato in quanto l'inammissibilità concernente le modalità di invio dell'istanza di revisione determina l'irrilevanza della fondatezza del primo motivo di ricorso, relativo alla sussistenza della firma elettronica dell'atto.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 20 aprile 2022.

Depositato in Cancelleria il 16 maggio 2022