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Falso testamento non costituisce truffa (Cass. 15666/19)

9 aprile 2019, Cassazione penale

Il falso negozio mortis causa non induce alcun atto dispositivo patrimoniale da parte di terzi, ma è autosufficiente nella produzione degli effetti in capo all’erede, che acquista solo in virtù del rapporto di successione: non si configura strutturalmente, pertanto, il reato di truffa, che postula un arricchimento in virtù di un atto dispositivo determinato dal mendacio, nel caso di specie insussistente, mentre il disvalore della condotta resta interamente assorbito dalla falsità testamentaria.

Corte di Cassazione

sez. V Penale, sentenza 11 marzo – 9 aprile 2019, n. 15666
Presidente Miccoli – Relatore Tudino

Ritenuto in fatto

1.Con la sentenza impugnata del 23 gennaio 2018, la Corte d’appello di Reggio Calabria ha confermato la decisione del Tribunale di Locri del 4 luglio 2014, con la quale è stata affermata la responsabilità penale di M.V. in ordine al delitto di falso in testamento olografo, con le statuizioni accessorie.
2. Avverso la sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria ha proposto ricorso l’imputata, per mezzo del difensore, Avv. VB, articolando tre motivi.

2.1. Con il primo motivo, deduce violazione della legge penale in riferimento all’affermazione di responsabilità per avere il perito d’ufficio nominato in grado d’appello escluso la riconducibilità autografa del testamento all’imputata, sostenuta, invece, dal perito del tribunale, con conseguente erronea applicazione della norma incriminatrice di cui all’art. 489 c.p., in assenza di indicatori di concorso.

2.2. Con il secondo motivo, deduce vizio della motivazione, avendo la corte d’appello tratto dall’unico argomento del cui prodest la prova di concorso nel reato.

2.3. Con il terzo motivo, deduce analoghe censure in riferimento all’art. 640 c.p., in assenza di raggiri in danno degli eredi di F.V. .

Considerato in diritto

1. I primi due motivi di ricorso sono inammissibili.

2. Sono genericamente formulate e, comunque, manifestamente infondate le censure in punto di affermazione della responsabilità penale dell’imputata per il delitto di falso materiale sub a).

2.1. All’esito della perizia grafologica svolta nel giudizio d’appello, è risultata confermata la natura apocrifa della schede testamentaria, contenente la nomina di erede universale di M.V. , sottoscritta con firma invece autentica, da F.V. . L’impossibilità di ricondurre le apocrife scritturazioni istitutive alla mano dell’imputata - attestata dal perito - non ha, tuttavia, impedito alla corte territoriale di ravvisare molteplici e convergenti indicatori del concorso nella medesima M. nell’attività materiale di contraffazione, eventualmente riconducibile ad ignoti. La sentenza impugnata enuncia, al riguardo, oltre l’interesse alla successione universale nel patrimonio del de cuius - condizione necessaria e già sufficiente per la riconducibilità soggettiva del falso - la complessiva condotta, antecedente e successiva al decesso del F. , tenuta dall’imputata nei confronti della nipote S. , già istituita erede universale con un testamento olografo anteriore e completamente estromessa da ogni forma di frequentazione con il nonno, di cui la M. era badante.
La corte territoriale ha, pertanto, dato conto - con argomentazione esauriente e priva di illogicità - degli elementi individualizzanti provenienti dagli atti, superando i rilievi della difesa e confermando la univoca convergenza delle fonti di prova.
Di guisa che dal testo della sentenza impugnata non è dato ravvisare alcuna omissione valutativa, né alcuna disarticolazione del ragionamento giustificativo, con il quale il ricorrente omette di confrontarsi (Sez. U. n. 8825 del 27/10/2016 - dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822).
Il secondo motivo di ricorso è, pertanto, inammissibile.

2.2. È, del pari, manifestamente infondato il primo motivo.

A fronte della analitica ed esaustiva valutazione rappresentata in sentenza, il ricorrente invoca l’applicabilità della residuale fattispecie di cui all’art. 489 c.p., che si pone in rapporto di alternatività con il reato di falso in testamento olografo (Sez. 5, n. 12599 del 20/12/2016 - dep.2017, Bevilacqua, Rv. 269708), omettendo di confrontarsi con l’articolato percorso argomentativo rappresentato dai giudici dell’appello, al quale la ricorrente contrappone una sorta di falsa istituzione di erede a sua insaputa, di cui si sarebbe solo giovata, pubblicando il testamento, con argomentazione avulsa da qualsivoglia verosimiglianza.

Risulta, invece, sussistente la fattispecie contestata, tuttora punibile (Sez. 5, n. 25948 del 06/04/2017, P.G. in proc. Bertelli, Rv. 270287, N. 26812 del 2016 Rv. 267291, N. 52218 del 2016 Rv. 268761), che si realizza con la pubblicazione del testamento ad opera del notaio in quanto l’uso dell’atto falso che rende la falsità punibile, ex art. 485 c.p., consiste in una qualsiasi utilizzazione che abbia giuridica rilevanza (Sez. 5, n. 12159 del 21/10/2014 - dep. 2015, Orezzoli, Rv. 263451N. 2826 del 1984, N. 37238 del 2010 Rv. 248647).
Né rileva la autenticità della firma apposta in sottoscrizione, in quanto può essere considerato olografo solo il testamento integralmente formato dal testatore (Sez. 5, n. 51709 del 06/10/2014, Benzi, Rv. 262118, N. 5087 del 2006 Rv. 233628).

2.3. La sentenza impugnata dà, pertanto, conto dell’affermazione di responsabilità dell’imputata attraverso una trama motivazionale logica ed aderente alle emergenze processuali, mentre le relative censure intendono richiedere alla Corte un apprezzamento ponderato tra opposte ricostruzioni della vicenda, compiutamente scrutinata dal giudice di merito, inammissibile in sede di legittimità. L’indagine sul discorso giustificativo della decisione devoluta alla Corte di cassazione ha, difatti, un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato di legittimità essere limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944).
Le doglianze articolate in punto di responsabilità non sono, pertanto, inammissibilmente formulate.

3. Non è, invece, ascrivibile alla norma incriminatrice contestata il fatto sub b).

3.1. La falsificazione del testamento olografo ha determinato, secondo il contenuto dispositivo dell’atto, l’istituzione di erede universale dell’imputata, che è succeduta in tutte le situazioni giuridiche, attive e passive, facenti capo al de cuius ex art. 588 c.c..

Ed è nell’acquisizione di un vero e proprio status, ex se produttivo di situazioni giuridiche soggettive, attive e passive, che il falso testamento olografo dispiega i propri effetti negoziali, creando l’apparenza che il testatore abbia chiamato l’istituito nell’universalità dei beni.

3.2. Di guisa che il falso negozio mortis causa non induce alcun atto dispositivo patrimoniale da parte di terzi, ma è autosufficiente nella produzione degli effetti in capo all’erede, che acquista solo in virtù del rapporto di successione.
Non si configura strutturalmente, pertanto, il reato di truffa, che postula un arricchimento in virtù di un atto dispositivo determinato dal mendacio, nel caso di specie insussistente, mentre il disvalore della condotta resta interamente assorbito dalla falsità testamentaria.
La sentenza impugnata deve essere, pertanto, sul punto annullata senza rinvio, con conseguente rideterminazione del trattamento sanzionatorio.

4. Alla eliminazione della porzione di pena riferibile al reato sub b), espressamente indicata nelle sentenze di merito in un mese di reclusione, può procedersi nella presente sede di legittimità, non comportando la rideterminazione del trattamento sanzionatorio una specifica rivalutazione di elementi di fatto, in linea con il principio secondo cui la Corte di cassazione pronuncia sentenza di annullamento senza rinvio se ritiene superfluo il rinvio e se, anche all’esito di valutazioni discrezionali, può decidere la causa alla stregua degli elementi di fatto già accertati o sulla base delle statuizioni adottate dal giudice di merito, non risultando necessari ulteriori accertamenti (Sez. U, n. 3464 del 30/11/2017 - dep. 2018, Matrone, Rv. 271831).

La possibilità, riconosciuta dall’art. 620 c.p.p., comma 1, lett. l), nella formulazione modificata dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, di rideterminare direttamente la pena sulla base delle statuizioni del giudice di merito, procedendo ad un annullamento senza rinvio, è circoscritta alle ipotesi in cui alla situazione da correggere possa porsi rimedio senza necessità dell’esame degli atti dei processi di primo e secondo grado e della formulazione di giudizi di merito, obiettivamente incompatibili con le attribuzioni del giudice di legittimità (Sez. 6, n. 44874 del 11/09/2017, Dessì, Rv. 271484).

5. L’imputata deve essere condannata alla rifusione delle spese di costituzione e difesa della parte civile, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di truffa perché il fatto non sussiste ed elimina la relativa pena di mesi uno di reclusione.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese in favore della parte civile, che liquida in complessivi Euro 1.000,00 (mille Euro), oltre accessori come per legge.