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Email e diffamazione (Cass. 12186/22)

1 aprile 2022, Cassazione penale

L'invio di e-mail a contenuto diffamatorio, realizzato tramite l'utilizzo di internet, integra un'ipotesi di diffamazione aggravata e l'eventualità che fra i fruitori del messaggio vi sia anche la persona a cui si rivolgono le espressioni offensive, non consente di mutare il titolo del reato nella diversa ipotesi di ingiuria ove non ricorra contestualità nel recepimento del messaggio.

L'utilizzo della posta elettronica non esclude la sussistenza del requisito della "comunicazione con più persone" anche nella ipotesi di diretta ed esclusiva destinazione del messaggio diffamatorio ad una sola persona determinata, quando l'accesso alla casella mail sia consentito almeno ad altro soggetto, a fini di consultazione, estrazione di copia e di stampa, e tale accesso plurimo sia noto al mittente o, quantomeno, prevedibile secondo l'ordinaria diligenza, salva l'esplicita indicazione di riservatezza.

 

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

(ud. 25/01/2022) 01-04-2022, n. 12186

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PALLA Stefano - Presidente -

Dott. CATENA Rossella - rel. Consigliere -

Dott. SESSA Renata - Consigliere -

Dott. BRANCACCIO Matilde - Consigliere -

Dott. FRANCOLINI Giovanni - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

C.S., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 02/11/2020 del TRIBUNALE di TORINO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. RENATA SESSA;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. MASTROBERARDINO Paola;

Il Proc. Gen. conclude per l'inammissibilità del ricorso;

udito il difensore;

L'Avv. AL, per la parte civile, conclude per l'inammissibilità del ricorso e deposita conclusioni e nota spese alle quali si riporta;

L'Avv. DZ, quale sostituto processuale, si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l'accoglimento dello stesso.

Svolgimento del processo
1. Con la sentenza impugnata, del 2.11.2021, il Tribunale di Torino ha confermato la pronuncia emessa il 25.2.2020 dal Giudice di Pace della medesima città nei confronti di C.S., dichiarata responsabile del reato ascrittole di cui agli artt. 81 cpv. e 595 c.p. e, per l'effetto, condannata alla pena di Euro 700,00 di multa, nonchè al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile R.M..

2. Avverso la predetta sentenza, ricorre per cassazione l'imputata, a mezzo del proprio difensore di fiducia, articolando tre motivi.

2.1. Con il primo motivo deduce la violazione della legge penale, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b), per erronea applicazione dell'art. 595 c.p. relativamente al terzo episodio di diffamazione, avvenuto con l'e-mail del (OMISSIS), e contenuto nel capo di imputazione.

Si lamenta che in relazione a tale episodio difetti sia l'elemento oggettivo del reato della diffusione della comunicazione a più persone, che quello soggettivo dell'intenzione di ledere l'altrui reputazione, poichè la mail in questione era indirizzata al solo Sig. B.G., altro condomino dello stabile amministrato dalla parte offesa R.M., che ha provveduto a inoltrarla al R. stesso, senza che, così come comprovato dalle testimonianze rese, altri (condomini) ne abbiano letto il contenuto; inoltre, quanto esposto nella e-mail, che deve essere valutata singolarmente costituendo nella prospettazione accusatoria autonoma fattispecie diffamatoria, non può essere ritenuto di per sè offensivo della reputazione della persona offesa.

2.2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione di legge, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b), per erronea applicazione della legge penale in riferimento all'art. 595 c.p. relativamente al primo episodio di diffamazione, avvenuto con l'e-mail del (OMISSIS) delle ore 13.22, parimenti contenuto nel capo di imputazione. Si contesta ai Giudici di merito di aver ritenuto la sussistenza dell'elemento oggettivo del reato di diffamazione, estrapolando dal loro contesto e dal loro significato letterale le parole contenute nella e-mail in questione e considerandole quali espressioni denigratorie in quanto affermative della realizzazione di un falso conteggio.

2.3. Con il terzo motivo si deduce illogicità e contraddittorietà della motivazione, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e), ed erronea applicazione della legge penale, ai sensi dell'art. 606, lett. b) codice di rito, relativamente alla mancata applicazione della scriminante dell'esercizio del diritto di critica ex art. 51 c.p. per tutti gli episodi contestati, quanto meno nella forma putativa.

Si lamenta che il tribunale abbia analizzato in modo unitario tutti e tre i distinti episodi di diffamazione a mezzo e-mail contestati, senza entrare nello specifico di ognuno di essi, e, mediante argomentazioni poco logiche e contraddittorie, abbia ritenuto in toto non veritiere le affermazioni della ricorrente. In particolare, il Tribunale, e il giudice di pace prima, non si sarebbero soffermati sul dato della corretta opposizione al decreto ingiuntivo effettuata dalla ricorrente, e ciò di là dell'esito che essa ha poi avuto nel giudizio civile, intervenuto solo successivamente all'inoltro della e-mail; opposizione che ben poteva avere indotto la stessa a ritenere di essere nel giusto nell'affermare che i calcoli effettuati dal R. fossero errati.

In ogni caso le espressioni utilizzate nelle e-mail oggetto di imputazione non eccedono i limiti della continenza del diritto di critica poichè considerazioni personali di dissenso rispetto al comportamento preso di mira corrispondente all'operato del R., e, per ciò stesso, dotate di un linguaggio più pungente: tutte le affermazioni, comprese quelle relative alla seconda mali in ordine temporale - quella del (OMISSIS) alle ore 20.47 - erano prive di attacchi personali e gratuiti e determinate unicamente dalla contestazione dei conteggi svolti dal R., il quale non è mai stato in grado di chiarire e spiegare correttamente alla ricorrente e al suo difensore come si arrivava alla somma richiesta; indi, in definitiva, si eccepisce, nella sostanza, anche la verità di quanto si è affermato.

3. Con atto pervenuto in data 5.1.2022, è stato articolato un nuovo motivo con il quale la ricorrente denuncia violazione, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b), per erronea applicazione della legge penale con riferimento all'art. 595 c.p. in relazione all'art. 133 c.p..

Premesso che è intervenuta ordinanza di rigetto dell'istanza di declaratoria di non luogo a procedere per bis in idem ex art. 649 c.p.p., emessa il 29.10.2021 dal Giudice di Pace di Torino, Dott.ssa V., nell'ambito di altro, successivo, procedimento penale instaurato nei confronti del ricorrente in ordine a delle nuove mail elevate a nuova imputazione in quel procedimento, si assume che tali nuove mail sarebbero state illegittimamente utilizzate dal giudice di pace del presente procedimento ai fini della determinazione della pena; si deduce, quindi, l'illegittimità della pena irrogata nel presente processo (adducendo tra l'altro, a giustificazione della novità del motivo, il fatto che l'ordinanza di rigetto citata emessa nell'altro procedimento risale solo al 29.10.21).

Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile in ogni sua doglianza.

1.1.Premesso che in materia di diffamazione questa Corte è anche "giudice del fatto", ciò significa che Essa può conoscere e valutare l'offensività della frase che si assume lesiva della altrui reputazione perchè è compito del giudice di legittimità procedere in primo luogo a considerare la sussistenza o meno della materialità della condotta contestata e, quindi, della portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie, dovendo, in caso di esclusione di questa, pronunciare sentenza di assoluzione (cfr., tra tante, Sez. 5, n. 2473 del 10/10/2019, dep. il 22/01/2020, Fabi M., Rv. 278145 - 01; Sez. 5, n. 48698 del 19/09/2014, P.G., P.C. in proc. Demofonti, Rv. 261284 - 01; Sez. 5, n. 41869 del 14/02/2013, Fabrizio e altri, Rv. 256706 - 01; Sez. 5, n. 832 del 21/06/2005, dep. il 12/01/2006, Travaglio, Rv. 233749 - 01), si osserva che nel caso di specie i motivi che attingono il fatto sono manifestamente infondati oltre che meramente reiterativi rispetto alle questioni e ai temi già, rispettivamente, ampiamente risolte e dibattuti nelle pronunce di merito.

1.2. Il primo motivo che eccepisce sia la mancanza del requisito della destinazione del messaggio a più persone, sia il difetto dell'elemento oggettivo e soggettivo del reato in relazione al terzo episodio diffamatorio compiuto con l'invio della mail del (OMISSIS) al condomino B.G., è privo di pregio.

E' il caso di premettere, ai fini di un corretto inquadramento della questione rispetto al caso di specie, che l'utilizzo della posta elettronica non esclude la sussistenza del requisito della "comunicazione con più persone" anche nella ipotesi di diretta ed esclusiva destinazione del messaggio diffamatorio ad una sola persona determinata, quando l'accesso alla casella mail sia consentito almeno ad altro soggetto, a fini di consultazione, estrazione di copia e di stampa, e tale accesso plurimo sia noto al mittente o, quantomeno, prevedibile secondo l'ordinaria diligenza (cfr. Sez. 5, n. 522 del 26/05/2016 - dep. 2017, S., Rv. 269016), salva l'esplicita indicazione di riservatezza.

Sicchè, anche in caso di PEC, come in caso di inoltro della comunicazione per posta ordinaria, è possibile ritenere la sussistenza del requisito oggettivo, ai fini della configurabilità del reato di diffamazione, della "comunicazione con più persone" anche nella ipotesi di diretta ed esclusiva destinazione del messaggio diffamatorio, inviato tramite posta elettronica, ad una sola persona determinata; e ciò sia quando l'accesso alla casella mail sia consentito almeno ad un altro soggetto, a fini di consultazione, estrazione di copia e di stampa, e tale accesso plurimo sia noto al mittente o, quantomeno, prevedibile secondo l'ordinaria diligenza, sia in tutti i casi in cui la comunicazione inviata via mail a un solo soggetto sia, come prevedibile - con giudizio da operarsi ex ante rispetto alla ricezione -, stata diffusa o comunque posta a conoscenza di almeno un altro soggetto.

Nel caso di specie, di là della non correttezza della risposta fornita al riguardo dal tribunale (che considera rilevante ai fini della integrazione del requisito delle più persone la implicita destinazione della mail in questione alla stessa persona offesa, R., ovvero circostanza che, se di per sè non esclude la conoscenza della mail da parte di altri - come nel caso di specie in cui è emerso che il R. avesse dei collaboratori che erano a conoscenza dei contenuti delle sue mail - non può, però, di per sè essere affermata come sufficiente ai fini indicati trattandosi appunto della persona offesa e non di un terzo), ciò che rileva è che il ricorso nel contestare il requisito delle più persone fa riferimento alle dichiarazioni rese dai testi e in particolare a quelle rese dal B., destinatario della mail, laddove, dalla trascrizione allegata, emerge, piuttosto, che questi commentava le mail ricevute dall'imputata, come era prevedibile che accadesse trattandosi di questioni che riguardavano il condominio, con gli altri condomini.

Indi, la circostanza che il teste abbia affermato di aver girato la mail al - solo - R., non esclude affatto che egli - come dal medesimo affermato nell'ambito dello stesso contesto testimoniale - ne abbia anche parlato " tra condomini" (così testualmente nel verbale trascrittivo allegato).

D'altronde l'invio di e-mail a contenuto diffamatorio, realizzato tramite l'utilizzo di internet, integra un'ipotesi di diffamazione aggravata e l'eventualità che fra i fruitori del messaggio vi sia anche la persona a cui si rivolgono le espressioni offensive, non consente di mutare il titolo del reato nella diversa ipotesi di ingiuria (Sez. 5, Sentenza n. 44980 del 16/10/2012, Rv. 254044 - 01) ove non ricorra contestualità nel recepimento del messaggio (Sez. 5, n. 13252 del 04/03/2021, Rv. 280814 - 01).

Quanto al contenuto della mail, è il caso di riportarlo, qui, per estratto, essendo esso, come già argomentato dai giudici di merito, più che eloquente della sua portata diffamatoria (tenuto anche conto del complessivo contesto in cui si inserisce, noto ai condomini).

" R. è in seria difficoltà per non dire che è nei guai, si faccia spiegare il perchè.. Cerchi di aiutarlo a togliersi dalle scatole e anche in fretta. Diciamo che siamo arrivati alla resa dei conti e lui non può più fare niente. Come già anticipato conosco un valido amministratore da proporre al condominio. A R. dò una settimana di tempo per sistemare la questione ed andarsene. Non voglio ripeterlo un'altra volta".

Rimane, dunque, solo da ricordare che secondo la giurisprudenza più risalente, ma mai oggetto di revirement, di questa Corte, "in tema di diffamazione, la reputazione non si identifica con la considerazione che ciascuno ha di sè o con il semplice amor proprio, ma con il senso della dignità personale in conformità all'opinione del gruppo sociale, secondo il particolare contesto storico" (cfr. Sez. 5, n. 3247 del 28/02/1995, dep. il 24/03/1995, Labertini, Padovani e al. Rv. 201054 - 01) e che "l'intento diffamatorio può essere raggiunto anche con mezzi indiretti e mediante subdole allusioni e pure in questa forma deve essere penalmente represso" (Sez. 5, n. 4384 del 07/02/1991, dep. il 17/04/1991, Giannini, Rv. 187192 - 01).

A tal proposito, nello specifico episodio in esame, sussiste l'offesa e l'animus diffamandi richiesto dall'art. 595 c.p., in quanto le dichiarazioni rese dalla C. nella e-mail del (OMISSIS), così come riportate testualmente, insinuano il dubbio circa la correttezza della condotta di amministratore del R. (ritenuto, testualmente "in seria difficoltà, per non dire che è nei guai" e che "deve sistemare" la questione) e, nel riportare la conoscenza di un possibile nuovo amministratore, ritenuto "valido", con cui rimpiazzarlo, alludono implicitamente all'inidoneità dello stesso a ricoprire la carica, cercando, con tali maniere, di intaccarne la stima e reputazione acquisita nel contesto di riferimento rappresentato dall'opinione degli altri condomini (lo stesso teste B. afferma che non ha mai dubitato di R., così testualmente: "Non ho mai creduto che le accuse della C. nei confronti dell'amministratore fossero fondate, la C. era stata già morosa con il precedente amministratore").

1.3. Non meno privo di pregio è anche il secondo motivo di ricorso che denuncia la mancanza dell'elemento oggettivo del reato, in riferimento al primo episodio in contestazione, avvenuto con la e-mail del (OMISSIS) delle ore 13.22, poichè, secondo la ricorrente, il linguaggio utilizzato sarebbe, in realtà, inoffensivo nel suo tenore letterale e sarebbe stato dal Tribunale decontestualizzato.

Anche in questo caso, la censura posta in relazione all'assenza della diffamazione non è pregnante.

Considerato che, come meglio si preciserà in seguito in riferimento a tutti gli episodi contestati, "in tema di diffamazione, l'esimente del diritto di critica postula una forma espositiva corretta, strettamente funzionale alla finalità di disapprovazione e che non trasmodi nella gratuita ed immotivata aggressione dell'altrui reputazione, ma non vieta l'utilizzo di termini che, sebbene oggettivamente offensivi, siano insostituibili nella manifestazione del pensiero critico in quanto non hanno adeguati equivalenti (Sez. 5, n. 15089 del 29/11/2019, dep. il 14/05/2020, P.m. c. Lo Cascio, Rv. 279084 - 01), si osserva che nella comunicazione in contestazione le espressioni adottate dalla ricorrente risultano pretestuosamente denigratorie e sovrabbondanti rispetto al fine di manifestare il proprio dissenso nei confronti della correttezza dei conteggi operati dal R.. Nello specifico, infatti, la C. non utilizza termini meramente volti ad evidenziare l'inesattezza dei predetti conteggi e non definisce gli importi in questione solo "sbagliati", ma anche "fasulli", reiterando più volte il concetto.

Inoltre, non è possibile ritenere che si tratti solo di parole "forti" poichè frutto dell'alterco in corso con il R., considerato che, così come ben argomentato dal Tribunale (a pag. 5), gli stessi termini sono stati messi in evidenzia mediante l'uso del carattere maiuscolo, espediente utilizzato nell'intenzione della ricorrente al fine di risaltarne il significato nella lettura della missiva e, dunque, al fine di insinuare consapevolmente la mala fede dell'amministratore; di talchè ne consegue un ingiustificato attacco personale all'operato e alla reputazione professionale del R..

1.4. Identiche osservazioni, seppur in relazione a più profili, debbono svolgersi in ordine alle doglianze presentate con il terzo, parimenti manifestamente infondato, motivo di ricorso, con cui si eccepisce sia l'illogicità della motivazione fornita dal Tribunale, per avere valutato complessivamente i tre episodi indicati nel capo di imputazione, sia la mancata applicazione della scriminante dell'esercizio del diritto di critica ex. art. 51 c.p. per tutti gli episodi contestati.

Anzitutto, premesso che "ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, ricorre la cd. "doppia conforme" quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest'ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale." (così Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, dep. il 06/09/2019, E., Rv. 277218 - 01; cfr. tra tante Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, dep. il 04/11/2013, Argentieri, Rv. 257595 - 01; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. il 12/04/2012, Valerio, Rv. 252615 - 01), si rileva che immune dai vizi contestati, è la motivazione fornita dal Tribunale, che deve essere letta unitamente a quella di primo grado, con la quale in definitiva il ricorso non opera un effettivo confronto.

Il secondo giudice di merito, oltre a riprendere le considerazioni fornite dal Giudice di Pace - che descriveva cronologicamente il susseguirsi degli eventi relativi ai contrasti intercorsi nel tempo tra la C. e il R., in cui si collocano gli episodi diffamatori, per poi concludere nel ritenere, proprio considerato il contesto storico di riferimento delle espressioni censurate, il tenore grave ed oggettivamente idoneo a ledere la reputazione delle affermazioni rese contro la parte offesa -, rimarca in maniera analitica (in particolare a pag. 7), per ciascuna delle comunicazioni presenti nell'imputazione, quali espressioni tra quelle nel contenuto delle mail non possono che ritenersi palesemente denigratorie, per poi, solo in successivo passaggio, concludere che dalla lettura delle tre e-mail esaminate traspare l'intento della ricorrente di esporre le circostanze non al mero fine di segnalare l'asserita commissione di errori nei conteggi, ma proprio allo scopo di screditare l'amministratore in maniera del tutto sovrabbondante rispetto all'esigenza di denunciare tali ritenuti errori (d'altronde, le singole condotte di reato sono state unificate nel vincolo del medesimo disegno criminoso giammai oggetto di contestazione da parte del ricorrente).

Rilevato altresì che, al pari del primo e del terzo episodio, anche in relazione alle espressioni utilizzate nella seconda e-mail del (OMISSIS), quella delle ore 20.47, in cui si ribadisce la falsità (in bilancio) dei conteggi effettuati, è pienamente ravvisabile la finalità lesiva della figura professionale del R. e dunque l'elemento soggettivo del reato, dato il crescente tono accusatorio delle espressioni utilizzate a partire dalla prima sino alla terza comunicazione, si osserva come dall'analisi posta nei paragrafi precedenti, è, dunque, possibile confermare la sussistenza degli elementi oggettivo e soggettivo del reato di diffamazione in riferimento a tutti gli episodi contestati.

Ciò posto, in linea con quanto argomentato dai giudici di merito, non è, invece, possibile ritenere configurabile la scriminante di cui all'art. 51 c.p. del legittimo esercizio del diritto di critica, in quanto non sono ravvisabili, nel caso di specie, i presupposti di tale causa di giustificazione quali la verità del fatto storico posto a fondamento della elaborazione critica e la c.d. continenza, ossia l'uso di modalità espressive che siano proporzionate e funzionali all'opinione dissenziente manifestata (ex multis, Sez. 5, n. 7751 del 04/11/2014, dep. il 19/02/2015, Caldarola e altri, Rv. 264064 - 01, Sez. 1, n. 36045 del 13/06/2014, dep. il 20/08/2014, P.M. in proc. Surano, Rv. 261122, Sez. 5, n. 11950 del 08/02/2005, dep. il 25/03/2005, Marcenaro e altri, Rv. 231711 - 01).

Sul tema, si ricorda che, in materia di diffamazione, il requisito della continenza, al fine di ravvisare la sussistenza dell'esimente di cui all'art. 51 c.p., ha necessariamente il carattere dell'elasticità (cfr. Sez. 5, n. 11950 del 08/02/2005, dep. il 25/03/2005, Marcenaro e al., Rv. 231711 - 01) e, pertanto, al fine di ritenere o meno proporzionalmente e/o funzionalmente eccedenti i limiti del diritto di critica in relazione a tale requisito, occorre compiere non solo in astratto, ma soprattutto in concreto un ragionamento di tipo critico-logico che tenga conto di una serie di "parametri" quali, non solo il tenore letterale delle espressioni rese (che ben potrebbero essere poste con coloriture ed iperboli, toni aspri o polemici, linguaggio figurato o gergale), ma anche il concetto o messaggio che si vuole esprimere o trasmettere, il contesto dialettico in cui le stesse dichiarazioni vengono rese (p. es. in occasione di una discussione o in sede di dibattito) e le modalità con cui esse sono manifestate e/o reiterate.

Orbene, nel caso di specie, correttamente è stato ritenuto ampiamente superato il limite della continenza - e ciò di là della esattezza o meno di alcuni dei conteggi operati dall'amministratore - alla luce del tenore letterale dei termini utilizzati e del contesto, via via più acceso, di accusa - risultata dettata verosimilmente da finalità sottostanti - in cui sono state collocate le tre comunicazioni mail in contestazione; e ciò in quanto, nell'affermare reiteratamente - e strumentalmente - la falsità dei conteggi, sino a palesare, per ciò stesso, la necessità di cambiare amministratore di condominio, è possibile chiaramente intravvedere l'uso da parte della ricorrente di argomenti "ad hominem", lesivi della reputazione della parte offesa, in quanto gravemente infamanti la sua professionalità.

Ne consegue, dunque, che le espressioni utilizzate non possono che ritenersi sproporzionalmente e strumentalmente eccedenti rispetto alla mera critica volta a rilevare gli errori effettuati dal R. e a rendere edotti gli altri condomini di tali irregolarità.

Nè potrebbe ravvisarsi nel caso di specie l'ipotesi dell'esimente putativa dell'esercizio del diritto di critica, configurabile nei confronti di chi abbia la ragionevole e giustificabile convinzione della veridicità dei fatti denunciati, lesivi dell'altrui reputazione, anche se di essa non sussista certezza processuale (Sez. 5, n. 21145 del 18/04/2019, dep. il 15/05/2019, Olivieri, Rv. 275554 - 01).

Ed invero, si osserva come nel caso di specie difetti anche tale presupposto, in quanto, come risulta dalla pronuncia di primo grado (a pag. 6), considerati tutti gli elementi acquisiti, quali i verbali delle assemblee condominiali e le plurime spiegazioni fornite alla ricorrente da parte dell'amministratore in ordine ai versamenti da lei effettuati ed ai consuntivi di riferimento, riferiti ai precedenti anni rispetto alle mail oggetto di imputazione, non vi erano elementi idonei a far ritenere veridica, neppure putativamente, la prospettazione del fatto narrato dalla C..

Sul punto, a nulla rileva il riferimento al giudizio, allora pendente, dinnanzi al Giudice di Pace in relazione all'opposizione proposta dalla ricorrente al decreto ingiuntivo relativo alle somme condominiali richieste e non pagate, deciso con sentenza del 18.06.2019, dal momento che la eventuale pretesa di una non debenza delle somme oggetto di ingiunzione non poteva, in ogni caso, in alcun modo legittimare la campagna altamente denigratoria promossa dall'imputata contro chi quelle somme aveva conteggiato.

Nel caso di specie, in altri termini, le accuse mosse nei confronti dell'amministratore non si esauriscono nella contestazione dei conteggi, sub iudice, ma trasmodano in vere e proprie insinuazioni di illiceità penale del suo operato (laddove nella pronuncia Olivieri suindicata le accusa afferivano a generiche irregolarità amministrative e non a reati).

Nè, in virtù della pendenza di tale giudizio - che secondo quanto si legge nello stesso ricorso non avrebbe peraltro avuto l'esito sperato dalla ricorrente - potrebbe ritenersi invocabile la c.d. exceptio veritatis, di cui all'art. 596 c.p., comma 3, n. 2) in quanto "in tema di diffamazione, la cd. prova liberatoria di cui all'art. 596 c.p. postula innanzitutto la condizione che, nei confronti della persona la cui reputazione è stata offesa, sia pendente un procedimento penale - e non, come nel caso di specie, uno civile - oltre che la piena dimostrazione della esistenza del fatto attribuito al diffamato, dimostrazione che può essere diretta, cioè acquisibile nel medesimo procedimento penale, ovvero indiretta, cioè fornita mediante la produzione della pronunzia irrevocabile di condanna" (cfr. Sez. 5, n. 32256 del 26/01/2015, dep. il 22/07/2015, Proia, Rv. 264503 - 01).

Ed invero, al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo in questione non è attribuibile, neppure indirettamente, quella consistenza di accertamento storico del fatto idoneo a fondare una valutazione dello stesso in termini di responsabilità penale del diffamato.

Parimenti, non può ritenersi integrata nemmeno l'altra causa speciale di non punibilità della provocazione di cui all'art. 599 c.p., comma 2, pure invocata, sia pure tra le righe, in ricorso, in quanto al fine di configurare il comportamento altrui come "provocatorio" è necessario sia che l'illegittimità intrinseca che deve connotare il "fatto ingiusto" determinante lo stato d'ira in cui versa l'offensore sia individuabile in comportamenti che "ictu oculi" non possano, neppure astrattamente, trovare giustificazione in disposizioni normative ovvero nelle regole comunemente accettate della convivenza civile (V. Sez. 5, n. 13570 del 13/03/2008, dep. il 31/03/2008, Stella e al. Rv. 239830 - 01; Sez. 5, n. 4943 del 20/01/2021, dep. 08/02/2021, Pierandozzi, Rv. 280333 - 01), laddove, per tutto quanto esposto ed affermato nelle pronunce di merito, non ricorre una siffatta ipotesi nel caso di specie, in cui, peraltro, in ogni caso, le affermazioni che si indicano come scatenanti risalgono, comunque, a un anno prima rispetto alle mail incriminate (la stessa vicenda dei conteggi su cui la ricorrente fonda le sue accuse è risalente nel tempo).

In proposito, è già stato chiarito da questa Corte (Sez. 5, n. 7244 del 06/07/2015, dep. 211 4/02/2016, Presta, Rv. 267137 - 01) che sebbene sia sufficiente che la reazione abbia luogo finchè duri lo stato d'ira suscitato dal fatto provocatorio, non essendo necessaria una reazione istantanea, è richiesta tuttavia l'immediatezza della reazione, intesa come legame di interdipendenza tra reazione irata e fatto ingiusto subito, sicchè il passaggio di un lasso di tempo considerevole può assumere rilevanza al fine di escludere il rapporto causale e riferire la reazione ad un sentimento differente, quale l'odio o il rancore.

1.5. Anche il motivo nuovo è inammissibile. Con esso si lamenta, in buona sostanza, il fatto che nella parte motiva della sentenza impugnata vengono considerate due e-mail, successive a quelle oggetto di imputazione, datate (OMISSIS) e (OMISSIS), attualmente presenti nel nuovo capo di imputazione di altro procedimento penale, pendente dinnanzi al Giudice di Pace di Torino, a seguito di nuova querela per diffamazione presentata dalla parte offesa R.M. nei confronti della ricorrente.

In particolare, si lamenta che le due e-mail in questione, da considerarsi peraltro ripetizioni di quanto già affermato nelle e-mail precedenti, siano state valutate al fine non solo della determinazione della pena (che nel caso di specie parte da una pena base di Euro 900,00 a fronte di una pena massima prevista di anni uno di reclusione o multa fino a Euro 1.032,00) ma anche ai fini della stessa affermazione della penale responsabilità della ricorrente.

E' solo il caso di osservare al riguardo che - di là del profilo della novità della questione che comunque sussiste censurando essa quanto si assume erroneamente oggetto di valutazione da parte del giudice di primo grado in punto di pena e affermazione di responsabilità - il motivo è in ogni caso del tutto privo di pregio.

Nella sentenza di primo grado il giudice si limita unicamente ad affermare che i contenuti delle mail oggetto del presente procedimento sono ripetuti, nella sostanza, anche in mail recenti e, allorquando procede alla determinazione della pena, dopo aver trattato altri temi, quali l'esercizio del diritto di critica e la provocazione, non fa, a differenza di quanto assume il ricorrente, affatto parola di tali mail recenti; sicchè esse non hanno in alcun modo influito nè sulla valutazione della responsabilità penale nè sulla determinazione della pena (tant'è che lo stesso ricorrente ne adduce l'inferenza in termini del tutto generici).

2. Dalle ragioni sin qui esposte deriva la declaratoria di inammissibilità del ricorso, cui consegue, per legge, ex art. 606 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di procedimento, nonchè, trattandosi di causa di inammissibilità determinata da profili di colpa emergenti dal medesimo atto impugnatorio, al versamento, in favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3.000,00 in relazione alla entità delle questioni trattate. Consegue altresì la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile R.M. liquidate in complessivi Euro 3.015,00, oltre accessori di legge, come richiesto.

P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l'imputata alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile R.M. che liquida in complessivi Euro 3.015,00, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 1 aprile 2022