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Elezione di domicilio da avvocato radiato non garantisce conoscenza (Cass. 19949/21)

19 maggio 2021, Cassazione penale

Il giudice della rescissione deve agire nella consapevolezza di dover assicurare tutela al condannato che abbia subito gravi forme di violazione del diritto di difesa per coordinare il processo penale alle garanzie costituzionali e convenzionali dettate dalla Corte EDU , quando pretende meccanismi efficaci e realmente restitutori di facoltà perdute nella fase dei controlli volti a garantire la posizione dell’imputato non presente al processo ed i suoi diritti fondamentali, primo tra tutti il diritto ad un processo equo sancito dall’art. 6 CEDU, che implica la certa conoscenza del processo da parte dell’imputato e la sua inequivoca e non presunta rinuncia a presenziarvi.

L’elezione di domicilio presso l’avvocato di fiducia non impone una presunzione assoluta di conoscenza del processo, dovendosi comunque verificare la conoscenza dell’imputato del processo a carico secondo canoni di effettività anziché di perfezionamento formale degli atti di notifica. 

Al giudice è demandato il compito di una verifica sostanziale e funzionale degli indici di volontaria sottrazione al processo contenuti nell’art. 420-bis e -quater c.p.p., occorrendosi appurare la certezza della volontà dell’imputato di non partecipare al processo senza presunzioni che appartengono a prassi superate.


Corte di Cassazione

sez. V Penale, sentenza 6 aprile – 19 maggio 2021, n. 19949
Presidente Sabeone – Relatore Brancaccio

Ritenuto in fatto

1. Con la decisione in epigrafe, la Corte d’Appello di Milano ha rigettato la richiesta di rescissione del giudicato ex art. 629-bis c.p.p. avanzata avverso la sentenza del 4.12.2019 emessa da Tribunale di Como, in relazione al reato di furto aggravato, e divenuta definitiva in data 19.1.2020, in relazione alla quale è stato notificato al condannato O.M.E.G. l’ordine di esecuzione della Procura della Repubblica di Como del 23.5.2020, per la condanna alla pena di un anno di reclusione ed Euro 300 di multa.
1.2. La Corte ha ritenuto che la mancata conoscenza del procedimento penale a suo carico e dei suoi sviluppi fosse attribuibile al ricorrente, il quale, nominato un difensore di fiducia, presso il quale aveva eletto domicilio, non si era poi reso parte diligente nei rapporti di informazione derivati dall’incarico fiduciario e non aveva saputo della cancellazione dall’albo del suo difensore, avv. Lanieri, datata 15.1.2015, nè della nomina di un difensore d’ufficio e delle notifiche dei successivi atti presso il domicilio di quest’ultimo ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 4.
Tutti gli atti del procedimento, in seguito alla cancellazione ed a partire, anzitutto, dall’avviso ex art. 415-bis c.p.p., sino al decreto di citazione a giudizio, erano stati notificati al difensore nominato d’ufficio, avv. RdB.
La Corte territoriale ha applicato all’istituto della rescissione del giudicato la giurisprudenza consolidatasi in tema di restituzione nel termine per proporre impugnazione ed ha affermato che non integra una ipotesi di caso fortuito o forza maggiore la sospensione o la cancellazione del difensore dall’albo professionale anche nel caso in cui risulti che il professionista abbia omesso di informare il suo assistito, poiché incombe su quest’ultimo l’onere di scegliere un difensore professionalmente valido e di vigilare sulla esatta osservanza dell’incarico conferito (si cita la sentenza n. 21222 del 25/5/2006).
2. Avverso questa decisione propone ricorso l’imputato, tramite il proprio difensore, deducendo tre distinti motivi.
2.1. La prima ragione di ricorso censura violazione di legge e vizio di manifesta illogicità della motivazione quanto alla decisione di rigetto dell’istanza di rescissione del giudicato basata su un errato presupposto logico-giuridico.
La difesa argomenta l’erroneità della tesi secondo cui le conseguenze della mancata comunicazione della cancellazione dall’albo del difensore di fiducia dell’imputato debbano ricadere su quest’ultimo, il quale diligentemente, una volta ricevuta l’informazione di garanzia relativa al procedimento nei suoi confronti, aveva provveduto a nominare un difensore di fiducia e ad eleggere domicilio presso costui.
La giurisprudenza citata dalla Corte d’Appello si riferisce ad un istituto differente da quello della rescissione del giudicato, in relazione al quale, anche recentemente, la Corte di cassazione ha stabilito che, in caso di radiazione dall’albo del difensore di fiducia originariamente nominato, presso il cui studio l’imputato aveva eletto domicilio, l’assenza di quest’ultimo nel processo deve ritenersi causata da una incolpevole mancata conoscenza del processo stesso, sicché sussistono le condizioni per la rescissione del giudicato (si cita Sez. 2, n. 43497 del 2019).
In altre parole, afferma il ricorrente, sia la cancellazione che la radiazione dall’albo risultano essere circostanze che determinano l’inidoneità della domiciliazione presso il difensore e che sono estranee alla sfera di dominio dell’imputato, riguardando unicamente il difensore.
2.2. Un secondo motivo di ricorso censura il provvedimento impugnato sotto il profilo dell’erronea applicazione dell’art. 161 c.p.p., comma 4, e del difetto di motivazione.
La Corte d’Appello, infatti, ha dimenticato che proprio la disposizione processuale suddetta prevede che, quando per caso fortuito o forza maggiore l’imputato non sia stato in grado di comunicare il mutamento del luogo dichiarato o eletto, si applicano le disposizioni degli artt. 157 e 159 c.p.p. e cioè le notifiche devono essere effettuate personalmente all’imputato. Ebbene, nel caso di specie, il ricorrente non sapeva nulla dell’inidoneità del domicilio eletto per esclusiva responsabilità del difensore che non lo aveva informato dell’avvenuta cancellazione dall’Albo. Peraltro, nessun problema di reperibilità dell’imputato "personalmente" è stato attestato nel procedimento, posto che l’unica volta che si è deciso di notificare a mani proprie l’avviso di sospensione dell’ordine di carcerazione, O. è stato trovato immediatamente.
2.3. Infine, un terzo motivo di ricorso eccepisce violazione di legge quanto alla mancata applicazione dell’istituto della rescissione del giudicato nei suoi confronti, pur ricorrendone tutti i presupposti: incolpevole mancata conoscenza della citazione a giudizio e dichiarazione di assenza nel corso del processo.
Il riferimento è alla sentenza Sez. 6, n. 21997 del 18/6/2020, secondo cui, in tema di rescissione del giudicato, l’effettiva conoscenza del procedimento deve essere riferita all’accusa contenuta in un provvedimento formale di vocatio in iudicium, sicché non può desumersi dalla mera dichiarazione o elezione di domicilio operata nella fase delle indagini preliminari, quando ad essa non sia seguita la notifica dell’atto introduttivo del giudizio in detto luogo, ancorché a mano di soggetto diverso dal destinatario, ma comunque legittimato a ricevere l’atto.
3. Il Sostituto Procuratore Generale ha chiesto il rigetto del ricorso, evidenziando la presenza di pacifica giurisprudenza che afferma come, in tema di rescissione del giudicato, sussista colpa nella mancata conoscenza della celebrazione del processo, preclusiva del ricorso al rimedio previsto dall’art. 625-ter c.p.p. - ora disciplinato dall’art. 629-bis c.p.p. - quando la persona sottoposta alle indagini, o imputata, dopo aver nominato un difensore di fiducia in un procedimento penale, non si attiva autonomamente per mantenere con lo stesso i contatti periodici essenziali per essere informato dello sviluppo di tale procedimento (Sez. 3, n. 38513 del 22/6/2016, Rv. 267947).

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato.

2. Il Collegio condivide le censure al provvedimento impugnato svolte dalla difesa del ricorrente, richiamandosi alla giurisprudenza di questa Corte regolatrice e, in particolare, da ultimo, in una fattispecie analoga a quella oggetto di ricorso, condivide la soluzione adottata da Sez. 2, n. 43947 del 2019, n. m., che ha ritenuto si fosse realizzata una ipotesi di "assenza dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo", idonea a determinare la rimozione del giudicato ai sensi dell’art. 629-bis c.p.p., nel caso di un condannato in relazione alla cui posizione era stato provato che non si fosse mai proceduto alla notifica di un atto di vocatio in iudicium, in ragione dell’elezione di domicilio presso un difensore di fiducia al momento delle indagini preliminari, il quale, nelle more del procedimento, era stato radiato dall’Albo, radiazione cui era conseguita la nomina di un difensore di ufficio con successiva notifica presso di lui degli atti del procedimento e della citazione in giudizio.

2.1. Deve premettersi che, anche in tema di rescissione del giudicato, l’effettiva conoscenza del procedimento deve essere riferita all’accusa contenuta in un provvedimento formale di "vocatio in iudicium" (in tal senso, oltre alla sentenza già richiamata della Seconda Sezione Penale n. 43947 del 2019, cfr., in linea generale, la Sesta Sezione Penale, nella pronuncia Sez. 6, n. 21997 del 18/6/2020, Cappelli, Rv. 279680, in una fattispecie di sopravvenuta impossibilità di notifica al domicilio eletto o dichiarato, in cui è stata ritenuta inidonea la notifica della vocatio in iudicium, effettuata ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 4, in luogo diverso dal domicilio indicato, poiché non consente di ritenere la sicura conoscenza del procedimento da parte dell’imputato).

Tale affermazione muove da un’analisi delle ultime pronunce delle Sezioni Unite, anzitutto sul concetto di "effettiva conoscenza del procedimento" che, applicato alla disposizione dell’art. 175 c.p.p., comma 2, nella previgente formulazione (introdotta dal D.L. 21 febbraio 2005, n. 17, conv. dalla L. 22 aprile 2005, n. 60, e poi modificata con la più ampia novella n. 67 del 2014), ha condotto Sez. U, n. 28912 del 28/02/2019, Innaro, Rv. 275716 a delineare i confini di ammissibilità del processo in absentia, in termini coerenti con le indicazioni provenienti anche dalla normativa e dalle pronunce delle Corti sovranazionali, ivi specificamente richiamate.

Le Sezioni Unite hanno, dunque, affermato che, ai fini della restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale ex art. 175 c.p.p., comma 2, nella formulazione antecedente alla modifica operata con L. 28 aprile 2014, n. 67, l’effettiva conoscenza del procedimento deve essere riferita all’accusa contenuta in un provvedimento formale di "vocatio in iudicium" sicché tale non può ritenersi la conoscenza dell’accusa contenuta nell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, fermo restando che l’imputato non deve avere rinunciato a comparire ovvero a proporre impugnazione oppure non deve essersi deliberatamente sottratto a tale conoscenza.

Si è stabilita, in tal modo, anzitutto, la necessità che l’accusato abbia conoscenza del processo, e non soltanto dell’esistenza di un’indagine penale a suo carico, e perciò che egli sia destinatario di un provvedimento formale di "vocatio in iudicium", il quale contenga l’indicazione dell’accusa formulatagli nonché della data e del luogo di svolgimento del giudizio.

Il richiamo forte che operano le Sezioni Unite, dunque, è al canone di conoscenza effettiva e non soltanto presunta nè meramente legale dell’atto di vocatio in iudicium (all’uopo la sentenza ha evocato la L. n. 69 del 2005, art. 19, comma 1, lett. a), in tema di mandato d’arresto Europeo, che dispone l’esecuzione di quest’ultimo da parte dell’autorità giudiziaria italiana subordinatamente all’assicurazione, proveniente dalla corrispondente autorità estera, della possibilità per l’interessato di ottenere la rinnovazione del processo in sua presenza, qualora la sanzione da eseguire gli sia stata irrogata "mediante decisione pronunciata "in absentia"... se l’interessato non è stato citato personalmente nè altrimenti informato della data e del luogo dell’udienza).
Il processo può ritenersi, pertanto, legittimamente celebrato in assenza dell’imputato soltanto nel caso in cui egli, consapevolmente informato della citazione in giudizio e dell’accusa penale a lui rivolta, abbia rinunciato a comparire; oppure qualora si sia deliberatamente sottratto alla conoscenza del processo.

E, a tal ultimo proposito, le Sezioni Unite hanno specificato che, in caso di "inottemperanza all’onere di informazione che deriva dalle situazioni tipizzate 420-bis, c.p.p.", deve ritenersi operante una presunzione relativa di volontaria sottrazione alla conoscenza del processo, come desumibile agevolmente dal disposto simmetrico dell’art. 420-bis c.p.p., comma 4, e art. 629-bis c.p.p., comma 1, che onerano l’interessato (rispettivamente, imputato o condannato) della dimostrazione di una sua "incolpevole mancata conoscenza del processo".

2.2. Orbene, ai fini della presente decisione, rilevano proprio due di quelle situazioni tipiche previste dal citato art. 420-bis, al comma 2: ovvero l’elezione di domicilio presso un difensore di fiducia nominato nella fase iniziale del procedimento (nella specie, al momento della notifica dell’informazione di garanzia).

Pertanto, è necessario stabilire se la doppia condizione di aver nominato un difensore di fiducia e di aver eletto presso di lui domicilio renda legittima una condanna in absentia, qualora la nomina e l’elezione siano state effettuate dall’indagato nel corso delle indagini preliminari e non siano state seguite dalla ricezione, da parte di costui, di una vocatio in iudicium contenente l’indicazione della definitiva accusa a suo carico e del giorno e luogo in cui sarà celebrato il processo, per l’inidoneità del domicilio dichiarato, conseguente alla cancellazione dall’albo degli avvocati del difensore di fiducia già regolarmente indicato.

Il Collegio ritiene che la soluzione al quesito suddetto debba essere negativa.
Ed infatti, sia l’art. 629-bis c.p.p., comma 1, che l’art. 420-bis c.p.p., comma 4, si riferiscono alla mancata conoscenza del "processo", con ciò presupponendo la formalizzazione di un’accusa ed il deferimento a giudizio dell’interessato. Detta mancata conoscenza può essere superata, stando ai principi desumibili dal citato arresto delle Sezioni Unite e dalla Corte EDU (cfr. in particolare la sentenza Somogyi c. Italia del 18 maggio 2004 e la sentenza Sejdovic c. Italia del 10 novembre 2004), soltanto quando sia certo che l’imputato si sia ad essa deliberatamente sottratto, realizzando la condizione del difetto di conoscenza "colpevole", che il predetto art. 629-bis richiede per escludere la possibilità di rescissione del giudicato.

La mera negligenza dell’imputato non può, tuttavia, avere un tale rilievo lesivo del suo diritto alla effettiva conoscenza del processo, per le ragioni che si diranno di seguito. Nel caso oggi sottoposto al Collegio, si imputa al ricorrente un’eccessiva estensione dei propri oneri di diligenza e di attivazione al fine di essere messo a conoscenza dell’accusa nei suoi confronti, agganciandoli alla mera nomina di un difensore di fiducia, con elezione di domicilio, attuata in una fase non già di vocatio in iudicium bensì di svolgimento delle indagini preliminari e divenuta, successivamente, priva di effetti concreti per un evento peculiare quale la cancellazione del difensore dall’albo.

Evidentemente, nel caso del ricorrente, la sua mancata conoscenza non deriva da un uso strumentale delle proprie facoltà per sottrarsi al processo (come, ad esempio, nel caso in cui l’interessato abbia scientemente indicato un recapito inesistente, inveritiero o inadeguato, per l’impossibilità di reperirvi lui stesso od altre persone legittimate alla ricezione, cfr. Sez. 6, n. 21997 del 2020, cit.), ma da una particolare situazione originata dalla mancata attivazione, nel silenzio del difensore nominato di fiducia, delle sue possibilità di conoscenza del procedimento in via generica, desunte dall’iniziale notizia di esso, collocata in una fase meramente embrionale e, pertanto, inidonea a poter sostenere un tale onere.

Da tale constatazione non può desumersi, quindi, la presunzione relativa di conoscenza del processo, facendola discendere dalla notifica effettuata presso un domicilio diverso da quello indicato e presso un difensore, per di più d’ufficio, differente da quello di fiducia già nominato, non più qualificabile come tale per l’intervenuta cancellazione dall’albo.

Si rammenti che le Sezioni Unite, con la sentenza Innaro, hanno dato rilievo alla presunzione relativa di conoscenza, con specifico riguardo all’ipotesi della dichiarazione-elezione di domicilio, qualora la notificazione della vocatio in iudicium sia avvenuta presso il domicilio indicato, ancorché non a mani del destinatario, bensì di altro soggetto legittimato a ricevere l’atto (familiare convivente, portiere dello stabile, collaboratore domestico, dipendente e così via): soltanto in questo caso, infatti, in virtù dello stretto rapporto esistente tra l’imputato e colui che riceve l’atto per suo conto, è ragionevole presumere la "conoscenza" e ritenere giustificato l’onere, a suo carico, di dimostrare il contrario (cfr. art. 420-bis, comma 4).

Mentre, invece, qualora, la notifica dell’atto di citazione a giudizio avvenga, ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 4, presso un difensore d’ufficio e diverso da quello di fiducia precedentemente nominato, presso cui è oramai divenuta impossibile la notifica, stante la cancellazione dall’albo, la notificazione risulta eseguita pur sempre in un luogo diverso da quel domicilio già indicato e "qualificato" dalla nomina difensiva fiduciaria, sicché alcuna presunzione di conoscenza può dirsi formata.

2.3. E ciò risulta tanto più vero se si pone mente all’ultima decisione delle Sezioni Unite in tema di processo in assenza, che ha ribadito, e ulteriormente chiarito, l’opzione volta ad adottare un criterio ineludibilmente effettivo della conoscenza del processo da parte dell’imputato.

Sez. U, n. 23948 del 28/11/2019, dep. 2020, Ismail, Rv. 279420, partendo dal presupposto logico-giuridico che il processo in assenza non nasce come forma di "sanzione" per l’imputato, ha, infatti, stabilito che, ai fini della dichiarazione di assenza, non può considerarsi presupposto idoneo la sola elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio, da parte dell’indagato, dovendo il giudice, in ogni caso, verificare, anche in presenza di altri elementi, che vi sia stata l’effettiva instaurazione di un rapporto professionale tra il legale domiciliatario e l’indagato, tale da fargli ritenere con certezza che quest’ultimo abbia avuto conoscenza del procedimento ovvero si sia sottratto volontariamente alla stessa.

Tale principio giunge all’esito di un percorso, iniziato con la sentenza Innaro, in cui le Sezioni Unite hanno definito in via generale la portata, ai fini della conoscenza del processo, della situazione "dell’imputato che nel corso del procedimento abbia dichiarato o eletto domicilio ovvero sia stato arrestato, fermato o sottoposto a misura cautelare ovvero abbia nominato un difensore di fiducia".

Secondo Sez. U Ismail tali situazioni, tutte, necessitano di caratteri di effettività rispetto alle modalità con cui sono realizzate, facendosi riferimento ad aspetti quali la efficacia della scelta del domicilio; il consentire la misura cautelare l’effettiva conoscenza del procedimento e, per quel che qui interessa, la realizzazione del rapporto con il difensore di fiducia che accetti la nomina.

In altre parole, precisa la sentenza, citando la decisione n. 31 del 2017 della Corte costituzionale, gli indici di conoscenza dell’art. 420-bis c.p.p., comma 2, genericamente indicati nella disposizione, vanno interpretati "secondo loro funzione". Ad esempio, soggiungono utilmente le Sezioni Unite, non vi sarà consapevolezza del processo nel caso di soggetto, arrestato in flagranza per un qualsiasi reato, che riesca a fuggire subito dopo la cattura, prima ancora della formalizzazione dell’attività della polizia giudiziaria e, soprattutto, della presentazione al giudice, nè in caso di misura cautelare restata ineseguita per irreperibilità dell’indagato; così come l’elezione domicilio deve essere "seria" e reale, dovendo essere apprezzabile un rapporto tra il soggetto ed il luogo presso il quale dovrebbero essere indirizzati gli atti.

E anche la nomina del difensore di fiducia va letta nel senso di ricercarne l’effettività: perché abbia rilievo, deve basarsi sul presupposto del regolare rapporto informativo tra difensore ed assistito, intendendo con ciò, ad esempio, che la nomina sia stata accettata. Il fondamento del sistema, cioè, è incentrato sull’effettività della conoscenza; sull’accertamento che la parte sia personalmente informata del contenuto dell’accusa e del giorno e luogo della udienza e, quindi,...il processo in assenza è ammesso solo quando sia raggiunta la certezza della conoscenza da parte dell’imputato (sicché, quando il giudice non abbia raggiunto la certezza della conoscenza della chiamata in giudizio da parte dell’imputato, deve disporre la notifica "personalmente ad opera della polizia giudiziaria": così le Sezioni Unite, che richiamano l’art. 420-quater c.p.p.).

Secondo la sentenza Ismail l’art. 420-bis c.p.p., comma 2, nell’ottica di una comprensibile "facilitazione" del compito del giudice, ha tipizzato dei casi in cui, ai fini della certezza della conoscenza della vocatio in ius, può essere valorizzata una notifica che non sia stata effettuata a mani proprie dell’imputato: l’aver eletto domicilio, l’essere stato sottoposto a misura cautelare, aver nominato il difensore di fiducia, sono situazioni che consentono di equiparare la notifica, regolare ma non a mani proprie, alla effettiva conoscenza del processo.

E le Sezioni Unite rimarcano il dato interpretativo secondo cui non si tratta di aver creato (nuove) presunzioni che consentano di ritenere conosciuto il processo e non più necessaria la prova della notifica, ma di casi in cui, nelle date condizioni, è ragionevole ritenere che l’imputato abbia effettivamente conosciuto l’atto regolarmente notificato secondo le date modalità.

Pertanto, "alcun effetto.. conseguirà ad una impossibilità di regolare notifica: risultare sloggiato al domicilio eletto non consentirà di procedere in assenza sulla scorta della notifica quale soggetto irreperibile o presso la casa comunale; risultare irreperibile non consentirà che la pur valida notifica ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 4 prevalga sul dato sostanziale della non conoscenza; aver nominato un difensore di fiducia che ha poi rinunciato al mandato o che sia stato revocato parimenti non consentirà di procedere senza certezza della conoscenza".

2.4. Quanto autorevolmente affermato dalle Sezioni unite conforta l’opzione adottata nel caso di specie, secondo cui aver nominato un difensore di fiducia che si è poi cancellato dall’Albo non consente di procedere in assenza, senza certezza della conoscenza del processo da parte dell’imputato.

E dell’effettiva certezza di detta conoscenza, necessaria secondo i canoni ermeneutici sinora enunciati, non vi è traccia nel provvedimento impugnato, che si trincera dietro l’adesione ad una giurisprudenza risalente in tema di giudizio contumaciale che, evidentemente, non può essere ritenuta più attuale poiché rivolta ad un contesto non illuminato dagli ultimi approdi interpretativi sin qui ripercorsi.

La Corte d’appello, infatti, rifacendosi al principio secondo cui, in tema di restituzione nel termine per proporre impugnazione avverso una sentenza contumaciale, non integra un’ipotesi di caso fortuito o di forza maggiore la sospensione o la cancellazione del difensore dall’albo professionale, anche nel caso in cui risulti che il professionista abbia omesso di informare della circostanza il suo assistito, poiché incombe su quest’ultimo, comunque, l’onere di scegliere un difensore professionalmente valido e di vigilare sulla esatta osservanza dell’incarico conferitogli (Sez. 1, n. 21222 del 25/5/2006, Mari, Rv. 233865), ha mostrato di non confrontarsi con l’evoluzione evidente compiuta dalla giurisprudenza di legittimità sul tema.

Nè possono avere tuttora credito, di per sé, in assenza di una quota ulteriore di verifica concreta sulla fattispecie, finalizzata a valutare se si versi o meno nella (sola) ipotesi che il legislatore e le Sezioni Unite ritengono sottratta all’alveo della tutela, ampia, apprestata alla conoscenza effettiva del processo - e cioè quella dei cosiddetti "finti inconsapevoli" - gli orientamenti anche recenti che hanno affermato, in tema di processo celebrato in assenza, la valenza non di mero dato formale della nomina del difensore di fiducia ma di elemento dal quale dedurre con certezza che l’imputato ha avuto conoscenza del processo e, in applicazione del principio, hanno ritenuto immune da censure la decisione che, in presenza di detta nomina, abbia escluso che potesse desumersi la mancanza della consapevolezza dell’imputato dell’instaurazione del processo a suo carico dalla durata ultradecennale del giudizio e dall’assenza di contatti tra l’imputato ed il difensore (cfr. Sez. 3, n. 49800 del 17/7/2018, T., Rv. 274304, arresto che, peraltro, è precedente alle citate decisioni delle Sezioni Unite Innaro ed Ismail).

Ed infatti, a conclusione della ricostruzione ermeneutica sin qui condotta, si rammenta come le Sezioni Unite Ismail abbiano "chiuso il cerchio" anche rispetto alla questione del rischio di strumentalizzazione del canone interpretativo proposto, coerente con un sistema di conoscenza effettiva e garantita del processo.

Ebbene, partendo dal dato normativo dell’art. 420-bis c.p.p., la sentenza del Supremo Collegio evidenzia che l’unica ipotesi in cui il legislatore ha previsto che possa procedersi alla celebrazione del processo, pur se la parte ignori la vocatio in ius, è la volontaria sottrazione alla conoscenza del procedimento o di atti del procedimento, precisando che di un tale comportamento vi deve essere traccia "positiva", all’esito di un necessario accertamento in fatto, anche quanto al coefficiente psicologico della condotta, poiché la disposizione normativa non "tipizza" e non consente di tipizzare alcuna condotta particolare, predeterminata, che possa ritenersi tale.

Pertanto, secondo le Sezioni Unite, non possono farsi rientrare automaticamente in tale ambito le situazioni comuni quali l’irreperibilità o il domicilio eletto, sebbene la "manifesta mancanza di diligenza informativa" ovvero la "indicazione di un domicilio falso", pur se apparentemente valido, potranno essere circostanze valutabili nei casi concreti, ma non potranno costituire dati di per sé determinanti, su di un piano solo astratto, per potere affermare la ricorrenza della "volontaria sottrazione".

Ciò perché "se si esaspera il concetto di "mancata diligenza" sino a trasformarla automaticamente in una conclamata volontà di evitare la conoscenza degli atti, ritenendola sufficiente per fare a meno della prova della consapevolezza della vocatio in ius per procedere in assenza, si farebbe una mera operazione di cambio nome e si tornerebbe alle vecchie presunzioni, il che ovviamente è un’operazione non consentita" (così le Sezioni Unite).

Tanto, invece, è accaduto nel caso di specie: l’esasperazione dell’onere di diligenza informativa collegato ad una nomina fiduciaria con elezione di domicilio presso il difensore poi cancellatosi dall’Albo, nomina cui si è proceduto in una fase embrionale del procedimento, che, dunque, non tocca neppure la vocatio in ius, non può ritenersi idonea a fondare un caso di "finta inconsapevolezza" del processo, mentre, d’altro canto, non può essere posta alla base di una presunzione "legale" di conoscenza, che superi la deduzione del ricorrente di ineffettività della notifica della citazione in giudizio, compiuta presso un diverso difensore, indicato d’ufficio, ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 4, in assenza di qualsiasi accertamento sul punto condotto dal giudicato chiamato a decidere sulla rescissione del giudicato.

Neppure può concordarsi con la Corte d’Appello nella distinzione che opera tra radiazione dall’Albo e cancellazione da esso che, frutto di una iniziativa volontaria del difensore, con il quale il cliente ha instaurato il rapporto professionale, porterebbe, tout court, all’attivazione dell’onere di informazione e contatto reciproco.

L’affermazione, del tutto apodittica per come condotta in motivazione, paga anche un vizio di fondo, poiché dà per scontato che la cancellazione dall’Albo determini, di per sé, il corretto comportamento del difensore nei confronti dei clienti ed il suo attivarsi nei loro riguardi, e, in tal modo, contraddice il principio di effettività della conoscenza del processo, nutrendosi nuovamente di un sistema di "presunzioni legali" che, come si è detto, deve essere definitivamente abbandonato.

2.5. Da ultimo, proseguendo in una linea interpretativa diacronica dell’istituto della rescissione del giudicato, che ne esalta in senso evolutivo la funzione di assicurare forme di garanzia sempre più effettive del diritto dell’imputato di partecipare al processo, occorre dare atto di come la prospettiva tracciata dalle Sezioni Unite Ismail, e dalla quale si sono tratte le linee di pensiero che determinano la decisione nel caso oggi in esame, si sia arricchita dell’ultima pronuncia dello stesso Collegio nomofilattico, con cui si sono disegnati i confini applicativi tra l’art. 629-bis, l’art. 670 e l’art. 175, comma 2, del codice di rito.
Sez. U, n. 15498 del 26/11/2020, dep. 2021, Lovric, affermando il principio secondo cui il condannato con sentenza pronunciata in assenza, che intenda eccepire nullità assolute ed insanabili, derivanti dall’omessa citazione in giudizio propria e/o del proprio difensore nel procedimento di cognizione, non può adire il giudice dell’esecuzione per richiedere ai sensi dell’art. 670 c.p.p. in relazione ai detti vizi, la declaratoria della illegittimità del titolo di condanna e la sua non esecutività, ma deve, invece, proporre richiesta di rescissione del giudicato ai sensi dell’art. 629-bis c.p.p., allegando l’incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo che possa essere derivata dalle indicate nullità, ha anche aderito all’opzione interpretativa sulla natura dell’istituto restitutorio straordinario previsto dalla disposizione citata, già presente nella giurisprudenza di legittimità.

Richiamando, infatti, Sez. 5, n. 31201 del 15/09/2020, Ramadze, Rv. 280137 e Sez. 5, ord. n. 29884 del 15/9/2020, Nocera, Rv. 279738, le Sezioni Unite condividono la funzione dell’art. 629-bis c.p.p. (già 625-ter) c.p.p. di norma di chiusura del sistema del giudizio in assenza, che ha sì il significato di escludere l’accesso ad un nuovo giudizio a chi si sia posto volontariamente nelle condizioni di non avere adeguata notizia del processo, dimostrando di non volervi partecipare, ma non prevede alcun automatismo in riferimento all’accertata ricorrenza delle condizioni di cui all’art. 420-bis c.p.p., attribuendo al giudice della rescissione il compito di valutare la sintomaticità dei comportamenti tenuti dall’imputato rimasto assente nel corso dell’intero processo, specie nel caso in cui abbia avuto cognizione della pendenza del procedimento. Le Sezioni Unite Lovric affermano con chiarezza che, al di fuori di ogni presunzione, anche l’imputato dichiarato assente nel rispetto delle prescrizioni di cui all’art. 420-bis c.p.p. è legittimato ad allegare l’ignoranza del processo a lui non imputabile, in tale conclusione ritrovandosi la coerenza dovuta dell’istituto della rescissione del giudicato ai principi costituzionali e convenzionali (la sentenza Ramadze, si rammenta, ritiene manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell’art. 629-bis c.p.p.), individuandosene anche la sua utilità pratica e lo spazio di applicabilità, esteso anche ai casi in cui la declaratoria di assenza sia stata preceduta da notificazioni dell’atto di citazione a giudizio, inficiate da nullità assoluta -non rilevate nel processo di cognizione - che abbiano pregiudicato l’informazione sull’esistenza del processo e sulla fissazione dell’udienza e non abbiano consentito al destinatario di scegliere se parteciparvi o meno. Le Sezioni Unite, infine, ribadiscono, nel solco della propria sentenza Ismail, la centralità della finalità complessiva degli istituti restitutori di approntare tutela a chi sia stato involontariamente assente, confermando la possibilità di ricorrere alla rescissione del giudicato in tutti i casi in cui la mancata partecipazione non sia stata addebitabile a libera determinazione e non abbiano operato i meccanismi preventivi, attivabili nel giudizio di cognizione prima dell’irrevocabilità del provvedimento di condanna; situazioni, queste, che possono verificarsi sia a fronte della legittima dichiarazione di assenza, nel rispetto delle disposizioni degli artt. 420-bis c.p.p. e ss., che però non sia assistita dalla effettiva conoscenza del processo, sia quando l’assenza sia stata ritenuta dal giudice per effetto di erronea considerazione degli atti processuali e del mancato rilievo di eventuali nullità realmente occorse.

Infine, va aggiunto che il Supremo Collegio ha richiamato l’attenzione degli interpreti sugli "ampi poteri cognitivi, conferiti al giudice funzionalmente competente a decidere sulla rescissione, cui sono demandati controlli non solo formali, ma anche sostanziali, sui dati fattuali dai quali desumere la conoscenza della celebrazione del processo, senza incontrare limitazioni nella conduzione dell’accertamento, non rinvenibili nella disciplina testuale".

Sembra di scorgere un vero e proprio monito al giudice della rescissione, che deve agire nella consapevolezza di dover assicurare tutela al condannato che abbia subito gravi forme di violazione del diritto di difesa per coordinare il processo penale alle garanzie costituzionali e convenzionali dettate dalla Corte EDU (come ricostruita nelle sentenze Ismail e Lovric), quando pretende meccanismi efficaci e realmente restitutori di facoltà perdute nella fase dei controlli volti a garantire la posizione dell’imputato non presente al processo ed i suoi diritti fondamentali, primo tra tutti il diritto ad un processo equo sancito dall’art. 6 CEDU, che implica la certa conoscenza del processo da parte dell’imputato e la sua inequivoca e non presunta rinuncia a presenziarvi.

3. Deve concludersi, pertanto, per l’insufficienza, nel caso di specie, delle comunicazioni ricevute dal ricorrente ai fini della sua compiuta conoscenza del processo e per l’assenza di una sua deliberata intenzione di sottrarsi ad essa, dovendosi riconoscere che in tema di rescissione del giudicato, l’effettiva conoscenza del processo, che legittima l’aver proceduto in assenza, deve essere riferita all’accusa contenuta in un provvedimento formale di "vocatio in iudicium" e che non può desumersi dalla mera nomina di un difensore di fiducia, con elezione di domicilio presso di lui, effettuata nella fase delle indagini preliminari, nel caso in cui detto difensore si sia cancellato dall’albo e non vi sia prova alcuna del fatto che l’interessato fosse stato avvertito di tale cancellazione o che comunque ne fosse al corrente.

Tale mancanza di conoscenza, durata fino al momento in cui non è stata posta in esecuzione la sentenza di condanna, infatti, non può dirsi "colpevole".
Nè può ritenersi operante la presunzione relativa di conoscenza, poiché la notificazione dell’atto di citazione in giudizio, in concreto, non è mai avvenuta presso il domicilio eletto del difensore di fiducia nominato, ma si è perfezionata soltanto attraverso la fictio della notifica al domicilio del difensore d’ufficio ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 4.
Ne segue, pertanto, l’accoglimento del ricorso, con annullamento dell’ordinanza impugnata poiché emessa in violazione di legge.
L’annullamento dev’essere esteso anche alla sentenza di condanna pronunciata dal Tribunale di Como il 4.12.2019 nei confronti del ricorrente, nel processo illegittimamente svolto in sua assenza, con conseguente restituzione degli atti al medesimo Tribunale per la prosecuzione del giudizio.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e quella del Tribunale di Como del 4 dicembre 2019 n. 1450, disponendosi la trasmissione degli atti al Tribunale di Como per l’ulteriore corso. Manda alla cancelleria per i relativi adempimenti.