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E' reato difendersi se si può fuggire (Cass. 33837/18)

19 luglio 2018, Cassazione penale

In tema di legittima difesa, la reazione è necessaria quando è inevitabile vale a dire non sostituibile da un’altra meno dannosa, ugualmente idonea ad assicurare la tutela dell’aggredito.

L'allontanamneto se non fa correre alcun pericolo anche a terzi, deve essere la soluzione obbligata, in quanto la reazione è pur sempre un atto violento al quale si deve ricorrere come extrema, davvero inevitabile, ratio per salvare un proprio bene, e non per sacrificare l’onore,

La parte civile non è legittimata a proporre impugnazione avverso il capo della sentenza di condanna che non abbia subordinato la concessione della sospensione condizionale della pena al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno, in quanto tale statuizione non riguarda l’azione civile e gli interessi civili, ma gli obblighi imposti al condannato circa l’eliminazione delle conseguenze dannose del reato.

 

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 16 marzo – 19 luglio 2018, n. 33837
Presidente Vessichelli – Relatore Micheli

Ritenuto in fatto

Il difensore di T.M. ricorre avverso la pronuncia indicata in epigrafe, in forza della quale è stata confermata la condanna del suo assistito per un reato di lesioni personali pluriaggravate, ed è stata inoltre accolta - in parziale riforma della decisione di primo grado - la richiesta della parte civile T.V. di subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena al pagamento della provvisionale disposta in suo favore, a titolo di risarcimento del danno. Quest’ultima richiesta era stata avanzata in ragione dell’inerzia dell’imputato, il quale non aveva provveduto ad effettuare ancora alcun pagamento, del tempo trascorso dai fatti, della gravità delle lesioni e dei vari tentativi dell’odierno ricorrente (secondo quanto rappresentato dall’accusa privata) di sottrarsi all’obbligazione.
La difesa lamenta, a quest’ultimo riguardo, l’inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 443 e 576 cod. proc. pen.: nel ricorso viene precisato che non risulta documentato in atti alcun tentativo dell’imputato di sottrarsi ai propri doveri, ed appare comunque evidenziata la carenza di legittimazione della parte civile, che con il proprio gravame avrebbe travalicato i limiti espressamente previsti dall’art. 576 del codice di rito, impugnando un capo della sentenza non riguardante né l’azione né gli interessi civili. A parere del ricorrente, peraltro, l’accoglimento della richiesta de qua avrebbe comportato una reformatio in peius della sentenza di primo grado.
Con ulteriore motivo di doglianza, il difensore di T.M. deduce violazione di legge e vizi della motivazione della sentenza impugnata, con riguardo all’omesso riconoscimento della causa di giustificazione della legittima difesa.
Secondo la ricostruzione del ricorrente, egli si era trovato in auto con la compagna (già coniuge della persona offesa) e il figlio di lei; ad un certo punto, aveva notato che la parte civile li stava seguendo a bordo di un’altra vettura, gesticolando nella loro direzione. Successivamente, T.V. si sarebbe affiancato con quell’auto alla loro, per poi scendere e colpire l’imputato al viso con qualcosa. Assumeva infine di aver estratto il cacciavite per difendersi dall’aggressione: la presunta vittima, infatti, era di corporatura molto più robusta di lui, e già in passato aveva usato minacce nei suoi confronti.
L’atto di impugnazione si sofferma sulla sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della legittima difesa: l’ingiustizia dell’aggressione, in quanto non causata da comportamenti dell’imputato; l’attualità del pericolo, vista l’ostilità pregressa e l’atteggiamento persecutorio della persona offesa nei confronti del ricorrente e della sua compagna; la proporzione tra offesa e difesa, considerata la maggiore stazza dell’avversario.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è in parte fondato.
2. Le censure della difesa dell’imputato non possono condividersi in ordine all’invocata causa di giustificazione ex art. 52 cod. pen., stante la chiara dinamica dei fatti esposta in entrambe le pronunce di merito.
La ricostruzione offerta da T.V. è che egli si era recato in auto presso l’abitazione della donna per prelevare il figlio, ma prima ancora di scendere dalla vettura era stato raggiunto dall’imputato: una volta abbassato il finestrino per chiedergli cosa volesse, l’odierno ricorrente l’aveva colpito in volto con un oggetto appuntito, e ne era derivata - dopo che la persona offesa, accortasi del sangue, era scesa dall’auto - una zuffa tra i due. La Corte territoriale, come già il Tribunale, aveva tenuto conto delle dichiarazioni di tutti i soggetti coinvolti, giungendo a ritenere aderente al vero che quella colluttazione avesse in realtà preceduto l’aggressione con un cacciavite: proprio l’attuale compagna dell’imputato, in particolare, aveva riferito di un primo scontro consumatosi fuori dalle vetture e di una successiva condotta di T.M. che, impugnato il cacciavite, aveva preso a colpire ripetutamente il rivale, nel frattempo tornato a bordo dell’auto.
Ergo, pur tenendo conto della pregressa condotta della persona offesa, financo persecutoria in danno della ex moglie, nonché della conflittualità di rapporti fra i protagonisti della vicenda, la legittima difesa era da escludere: da un lato, l’aggredito non aveva utilizzato e non disponeva di alcuno strumento atto a offendere (sì da non potersi ravvisare alcuna proporzionalità della presunta reazione rispetto ad un attuale o potenziale comportamento violento della controparte); dall’altro, in punto di inevitabilità del pericolo per la propria incolumità, l’imputato era comunque sceso dalla propria auto, accettando lo scontro quando avrebbe potuto agevolmente allontanarsi, per poi giungere a colpire la parte civile nel momento in cui la prima fase del diverbio si era già conclusa.
La giurisprudenza di legittimità, con un consolidato orientamento interpretativo, afferma a riguardo che "è configurabile l’esimente della legittima difesa solo qualora l’autore del fatto versi in una situazione di pericolo attuale per la propria incolumità fisica, tale da rendere necessitata e priva di alternative la sua reazione all’offesa mediante aggressione" (Cass., Sez. I, n. 51262 del 13/06/2017, Calì, Rv 272080). Né il T. , già con riguardo alla prima fase della contesa, avrebbe potuto far valere motivi di "onore" sottesi alla scelta di fronteggiare l’ex marito della sua attuale compagna, atteso che "in tema di legittima difesa, la reazione è necessaria quando è inevitabile vale a dire non sostituibile da un’altra meno dannosa, ugualmente idonea ad assicurare la tutela dell’aggredito. Ne consegue che l’allontanamento di costui, se non fa correre alcun pericolo anche a terzi, deve essere la soluzione obbligata, in quanto la reazione è pur sempre un atto violento al quale si deve ricorrere come extrema, davvero inevitabile, ratio per salvare un proprio bene, e non per sacrificare l’onore" (Cass., Sez. IV, n. 9256 del 25/05/1993, Barraca, Rv 195857).
3. È invece fondato il primo motivo di ricorso.
Dopo una pluralità di pronunce che avevano escluso la possibilità per la parte civile di impugnare la decisione del giudice di non subordinare la sospensione condizionale della pena al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno (v. Cass., Sez. VI, n. 43188 del 22/09/2004, Riti), la legittimazione de qua era stata invece riconosciuta con un arresto del 2013 (Cass., Sez. II, n. 22342 del 15/02/2013, Cafagna), dove si era sottolineata l’incidenza delle modifiche introdotte dalla legge n. 689/1981 al testo originario dell’art. 165 cod. pen.; in particolare, si era fatto osservare che l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, espressamente prevista a far data dalla novella anzidetta, costituisse una ipotesi di subordinazione del beneficio ulteriore rispetto a quelle (già contemplate dalla norma, e considerate strettamente riparatorie del danno civilistico) dell’adempimento dell’obbligo di restituzione o di risarcimento e della pubblicazione della sentenza.
Tuttavia, le più recenti decisioni sono tornate a sposare l’orientamento precedente, giungendo ad affermare che "la parte civile non è legittimata a proporre impugnazione ex art. 576 cod. proc. pen. avverso il capo della sentenza di condanna che non abbia subordinato la concessione della sospensione condizionale della pena al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno, in quanto tale statuizione non riguarda l’azione civile e gli interessi civili, ma gli obblighi imposti al condannato circa l’eliminazione delle conseguenze dannose del reato" (Cass., Sez. VI, n. 38558 dell’08/09/2015, C., Rv 264610). Ciò in quanto deve ritenersi che tutte le disposizioni contenute nell’art. 165 cod. pen., concernenti il potere del giudice di subordinare la concessione del beneficio alla eliminazione di ogni forma di conseguenza dannosa o pericolosa del reato, non riguardino il danno civilistico patrimonialmente inteso, bensì il danno criminale, cioè quelle conseguenze, diverse dal pregiudizio economicamente apprezzabile e risarcibile, che strettamente ineriscono alla lesione o alla messa in pericolo del bene giuridico tutelato dalla norma penale violata).
4. Si impongono, pertanto, le determinazioni di cui al dispositivo.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente al punto in cui subordina la sospensione condizionale della pena al pagamento della provvisionale, statuizione che elimina.
Rigetta nel resto il ricorso.