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DNA la chiave per risolvere l'omicidio di Yara Gambirasio (Cass. 52872/18)

23 novembre 2018, Cassazione penale

Il procedimento d'identificazione del DNA della persona attraverso l'utilizzo del profilo genetico si articola in fasi distinte, rispettivamente costituite dall'estrapolazione del profilo genetico presente sui reperti; dalla decodificazione dell'impronta genetica dell'indagato; dalla comparazione tra i due profili.

La necessità di ripetizione delle analisi riguarda solo i casi in cui la quantità di materiale biologico è estremamente ridotta (Low Copy Number DNA).

E' importante premettere, perchè costituisce un dato non contestato scientificamente, che le linee guida internazionali richiedono una doppia analisi, ove per analisi si intende una seconda amplificazione e non la ripetizione della corsa con gli stessi parametri, ma soltanto quando il quantitativo di DNA sia inferiore a 100 picogrammi per microlitro (cioè si tratti di un caso di Low Copy Number o Low Template).

La prova scientifica incentrata sull'analisi del DNA ha ampliato l'orizzonte delle investigazioni, soprattutto con riguardo all'identificazione personale nelle investigazioni di carattere criminale.

Dagli inizi del secolo scorso si è cercato di catalogare tutte le caratteristiche che rendono unico un individuo passando dallo studio di caratteri antropometrici a quello delle impronte papillari e genetiche.

L'analisi del DNA, a scopo forense, rappresenta la naturale evoluzione tecnologica delle impronte papillari: grazie ad accordi internazionali che hanno unificato i criteri di catalogazione oggi è possibile comparare profili estrapolati da laboratori diversi.

Il DNA Working Group dell'ENFI (quello i cui parametri di tipizzazione sono richiamati dalla legge istitutiva della Banca dati nazionale del DNA), ha verificato che nei paesi dove era già stata istituita una banca dati del DNA vi era stato un incremento notevole nell'identificazione degli autori dei reati nell'ordine del 4050%.

Il DNA (acido desossiribonucleico) è la molecola che racchiude le informazioni che definiscono le caratteristiche biologiche ereditarie di ciascun individuo. La maggior parte di queste informazioni è contenuta all'interno del nucleo delle cellule del corpo umano ed è organizzata, sotto forma di una molecola lineare in 23 coppie di cromosomi; una piccola parte è contenuta all'interno dei mitocondri (organelli citoplasmatici, organizzata sotto forma di una molecola circolare).

Il DNA contenuto nel nucleo è detto nucleare ed è presente in duplice copia per cellula; il DNA mitocondriale, presente in ciascun mitocondrio, varia a seconda del tessuto da cui provengono le cellule.

Diverse sono anche le modalità di trasmissione: il DNA nucleare si eredita per metà del corredo cromosomico dal padre e per metà dalla madre; il DNA mitocondriale si eredita solo per linea materna.

Il DNA nucleare è utilizzato in ambito forense sin dal 1980 (articolo pubblicato su Nature da G.P. ed altri), per dimostrare la partecipazione di un individuo a un fatto di reato; quello mitocondriale viene studiato quasi esclusivamente in ambito medico (malattie genetiche) e per ricostruire la storia evolutiva della nostra specie.

Le analisi effettuate con i Kit in commercio permettono di evidenziare almeno 15/16 marcatori genetici del DNA mitocondriale.

La genetica forense utilizza il DNA nucleare a fini di identificazione; ciò non solo a causa delle caratteristiche intrinseche del materiale genetico presente nei campioni, ma anche per il fatto che ai Tini dell'identificazione personale il DNA nucleare è un marcatore maggiormente informativo nella identificazione genetica di una traccia biologica laddove il mtDNA (DNA mitocondriale) è "scarsamente informativo e ha un limitato potere di discriminazione a causa della sua modalità di trasmissione matrilineare".

I più recenti sviluppi nell'analisi del DNA nucleare hanno portato a sviluppare modelli predittivi delle caratteristiche somatiche dell'individuo che vengono ricostruite in laboratorio secondo varie incidenze statistiche, analizzando specifiche componenti del DNA. I "predictive DNA markers" consentono cioè di individuare alcuni caratteri esterni dell'individuo di cui non si conosca l'identità anagrafica, quali il colore degli occhi e il colore dei capelli. E', dunque, possibile individuare, allo stato attuale dello sviluppo della metodica, due caratteri fenotipici in grado di restringere il campo dei sospettati.

Quanto alla capacità identificativa dell'analisi del DNA, nell'ottica del confronto uno a uno tra campioni, la comunità scientifica afferma che la sovrapposizione del profilo genetico individuato in una traccia su quello oggetto del confronto può essere completa o non completa. Per la validazione del risultato vengono in rilievo l'adozione di metodologie analitiche accettate dalla comunità scientifica e il rispetto degli standard garantito dalla certificazione e dall'accreditamento dei laboratori, oramai obbligatorie ai sensi della legge istitutiva della Banca nazionale del Dna L. n. 85 del 2009.

Determinante, al fine di apprezzare correttamente il margine di certezza di tale giudizio statistico, è il calcolo delle probabilità dell'identificazione.

Sul tema della capacità identificativa del profilo genetico la domanda alla quale è necessario fornire una risposta scientifica è: quanti sono gli individui nella popolazione rilevante per il caso che possiedono lo stesso profilo genetico? I giudici di merito hanno fornito una risposta basata sulla teoria scientifica e sull'analisi statistica delle evenienze: per trovare un'altra persona avente lo stesso profilo genetico occorrerebbero 3.700 miliardi di miliardi di miliardi di individui (secondo la metodica "Random Match Probability").

L'analisi statistica ha, altresì, evidenziato che la probabilità di errore è di 1 su 20 miliardi (superiore a tutta la popolazione, viva e morta, transitata sulla Terra dalla comparsa dell'uomo), salvo che l'imputato abbia un fratello gemello monozigote (in questo caso il DNA è identico), circostanza però non dedotta ed esclusa da tutti i protagonisti della vicenda.

La valenza processuale di tali dati è stata attribuita in ragione dell'elevatissimo numero di ricorrenze statistiche confermative, tale da rendere infinitesimale la possibilità di un errore

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

(ud. 12/10/2018) 23-11-2018, n. 52872

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IASILLO Adriano - Presidente -

Dott. SIANI Vincenzo - Consigliere -

Dott. FIORDALISI Domenico - Consigliere -

Dott. APRILE Stefano - rel. Consigliere -

Dott. RENOLDI Carlo - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

1) PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D'APPELLO DI BRESCIA; nel procedimento a carico di:

Massimo Bossetti, nato a (OMISSIS);

2) B.M.G., nato a (OMISSIS) nel procedimento a carico di quest'ultimo;

Parti civili:

P.M., anche quale esercente la potestà sui figli minori;

G.F., anche quale esercente la potestà sui figli minori;

G.K.;

avverso la sentenza del 17/07/2017 della CORTE ASSISE APPELLO di BRESCIA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. STEFANO APRILE;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore DE Dott.ssa MASELLIS Mariella, che ha concluso chiedendo, in accoglimento del ricorso del Procuratore Generale, l'annullamento con rinvio per il capo B) e il rigetto del ricorso proposto dall'imputato.

L'udienza viene sospesa alle ore 14:45.

L'udienza riprende alle ore 15:30.

uditi i difensori:

- avvocato PA del foro di Bergamo, in difesa della parte civile P.M. anche quale esercente la potestà sui figli minori, che conclude chiedendo il rigetto del ricorso proposto dall'imputato e deposita conclusioni e nota spese;

- avvocato PE del foro di Bergamo, in difesa delle parti civili G.F. anche quale esercente la potestà sui figli minori e G.K., che conclude chiedendo la conferma della sentenza impugnata e deposita conclusioni e nota spese;

- avvocato CP del foro di Como in difesa dell'imputato ((OMISSIS)) B.M.G. che conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso dell'imputato e il rigetto di quello del Procuratore generale;

- avvocato SC del foro di Como in difesa dell'imputato ((OMISSIS)) B.M.G. che insiste nell'annullamento della sentenza con o senza rinvio.

Svolgimento del processo


1. Con il provvedimento impugnato, la Corte d'assise d'appello di Brescia ha confermato la sentenza pronunciata in data 1 luglio 2016 dalla Corte d'assise di Bergamo con la quale B.M.G. ((OMISSIS)) è stato condannato alla pena dell'ergastolo perchè riconosciuto responsabile dell'omicidio pluriaggravato dalla minorata difesa, dalle sevizie e crudeltà, commesso il (OMISSIS) in danno di Gambirasio Yara (OMISSIS) di anni tredici (art. 61, comma 1, n. 5, art. 575, art. 577, comma 1, n. 4, in relazione art. 61 c.p., comma 1, n. 4, - Capo A), confermando l'assoluzione del medesimo in relazione al delitto di calunnia ai danni di M.M., commesso in data (OMISSIS) (art. 368 c.p. - Capo B).

1.1. Con concorde valutazione di entrambi i giudici di merito, i fatti materiali sono stati così ricostruiti:

- (OMISSIS) G.Y. (OMISSIS) è uscita da casa intorno alle (OMISSIS) per recarsi nel vicino centro sportivo di (OMISSIS), per consegnare alle insegnanti un registratore da utilizzare la domenica successiva;

- secondo quanto riferito da istruttrici e compagne di ginnastica, la giovane ragazza era arrivata in (OMISSIS) e vi era rimasta fin verso le (OMISSIS). Poco prima, alle ore (OMISSIS), la stessa aveva ricevuto un SMS da un'amica, che le chiedeva a che ora fossero convocate alla gara domenica mentre il suo cellulare agganciava la cella di (OMISSIS) (compatibile con la (OMISSIS)). Alle ore (OMISSIS) la vittima rispondeva con un sms, sempre agganciando la medesima cella, dando informazioni sulla gara della domenica successiva. Alle ore (OMISSIS) l'amica rispondeva con sms ("OK") mentre il telefono della vittima (non si sapeva se la stessa avesse letto il messaggio, non avendo il servizio di conferma ricezione e non essendo stato trovato il suo cellulare) agganciava la cella di (OMISSIS), anch'essa compatibile con la zona di (OMISSIS) tra centro sportivo e abitazione famigliare;

- l'ultima persona ad avere visto in vita la giovane ragazza è stato F.F. che l'aveva incrociata mentre si dirigeva verso il portone di uscita della (OMISSIS) tra le ore (OMISSIS) e le ore (OMISSIS). Per raggiungere l'abitazione la giovane sarebbe potuta uscire dal cancello principale del Centro sportivo che affaccia su via (OMISSIS) oppure dal cancello laterale di via (OMISSIS) (più comodo per andare verso l'abitazione di via (OMISSIS)). Alle ore (OMISSIS) il cellulare della giovane agganciava, senza generare traffico e per l'ultima volta, la rete tramite la cella di (OMISSIS): da quel momento l'apparecchio non sarà più attivo e non sarà mai rinvenuto;

- intorno alle (OMISSIS) dello stesso (OMISSIS) i genitori della giovane ragazza denunciavano ai Carabinieri la sparizione della figlia tredicenne che alle (OMISSIS) si era recata presso la (OMISSIS) del centro sportivo e che non era mai tornata a casa. In realtà, la prima segnalazione di scomparsa risaliva alle ore (OMISSIS), allorquando la madre, che, avendo pregato la figlia di rientrare entro le (OMISSIS)-(OMISSIS), non l'aveva vista arrivare, dopo avere tentato invano di rintracciarla, sia telefonicamente, sia contattando il centro sportivo e dopo avere avvisato il marito, chiamava il numero di emergenza 112. In effetti, il padre, dopo avere perlustrato senza esito la zona intorno alla (OMISSIS) si era recato a sporgere denuncia presso la stazione Carabinieri di (OMISSIS), ove un sottufficiale di servizio tentava, senza risultati utili, di rintracciare il telefono mediante un sistema informatico di tracciamento che lo collocava nella zona di (OMISSIS). La localizzazione dell'utenza da parte del gestore telefonico è stata attivata alle ore successive ore (OMISSIS), quando ormai il telefono era spento; essa consentiva, tuttavia, di individuare l'ultimo aggancio alla rete alle ore (OMISSIS) del (OMISSIS).

- nei giorni e mesi successivi sono state effettuate ampie ed estese ricerche anche con cani molecolari e con volontari, indagini tecniche (intercettazioni e acquisizione di tabulati) e numerosissime assunzioni di informazioni da tutti i soggetti che, per qualunque motivo, erano o potevano essere venuti in contatto con la giovane ragazza scomparsa;

- il (OMISSIS), tre mesi dopo la scomparsa, un aeromodellista, nel cercare il proprio aeroplanino telecomandato finito in mezzo a un campo incolto di (OMISSIS), rinveniva il cadavere della ragazzina in avanzato stato di decomposizione. L'uomo si era recato nelle prime ore del pomeriggio nel campo di (OMISSIS) per far volare alcuni aeroplani radiocomandati; uno di questi era caduto in mezzo al campo ed egli si era messo a cercarlo, addentrandosi tra le sterpaglie con l'ausilio di un localizzatore, riuscendo infine a rintracciare l'aereo. Nel tornare sui propri passi si era imbattuto in un cadavere del quale non si era accorto nel percorso di andata perchè mimetizzato tra il terriccio e le sterpaglie: secondo lo scopritore, nonostante ci fosse ancora luce naturale, il cadavere non era visibile a una distanza superiore a un metro. Egli aveva telefonato alla Polizia: gli operatori gli avevano ingiunto di restare sul posto fino al loro arrivo, ma egli, non sopportando la vista del corpo, si era allontanato di qualche metro tanto da perdere definitivamente il contatto visivo con il cadavere; si era, dunque, visto costretto a cercarlo nuovamente nel timore che la Polizia lo prendesse per pazzo;

- la morte di (OMISSIS) G.Y. è avvenuta nelle ore susseguenti alla scomparsa e non a giorni di distanza, tenuto conto dei risultati ottenuti dall'indagine effettuata sul contenuto gastrico e la presenza di larve sul cadavere che consentivano di retrodatare l'inizio della decomposizione a tre mesi dal ritrovamento;

- fa causa della morte era dovuta alla combinazione tra le lesioni contusive, le lesioni da taglio, l'indebolimento da queste provocato sull'organismo della vittima e l'ipotermia (corpi chetonici, conteggio delle catecolamine e ulcerette gastriche facevano propendere per un grave stress metabolico e una prolungata agonia);

- la giovane era deceduta nel terreno di (OMISSIS) in una giornata fredda (sulla base delle: indagini entomologiche - il cadavere aveva iniziato ad essere colonizzato da circa tre mesi -, indagini geologiche - buona parte della decomposizione era avvenuta in quel campo -, indagini botaniche - appoggiava la testa su una foglia di Solidago gigantea -, e delle evidenze del sopralluogo da cui emergeva che (OMISSIS) G.Y.: aveva lasciato un'impronta sul terreno, stringeva con la mano destra elementi botanici autoctoni, aveva la caviglia avvolta da sterpaglie identiche a quelle presenti nel campo fin dall'autunno);

- non vi erano tracce riconducibili a violenza sessuale;

- tutte le ferite erano vitali; non era possibile dare un ordine cronologico alle ferite;

- le lesioni sono state ampiamente fotografate sia prima della svestizione sia dopo, sicchè doveva escludersi un'eventuale alterazione del cadavere, tant'è che, confrontando le lesioni agli indumenti con quelle sul corpo, emerge una perfetta corrispondenza per quanto riguardava collo, gamba destra e lesione al gluteo a forma di J (in particolare, relativamente a quest'ultima lesione, le fotografie della relazione autoptica mostravano la perfetta sovrapponibilità della lesione corporea con il taglio dello slip);

- tutti i tagli potevano essere stati inferti senza denudare completamente la vittima (alzando leggermente gli indumenti superiori e abbassando parzialmente i leggings), sicchè doveva concludersi che, per la sovrapponibilità tra la maggioranza delle lesioni corporee e i tagli sugli indumenti, la ragazza non era stata svestita mentre veniva ferita (a parte la lesione dorsale a forma di X e quella mammaria, solo in parte corrispondenti a una lesione della maglietta, tutte le altre ferite potevano essere state inferte mentre la ragazza era vestita; per quella dorsale e quella mammaria era, d'altra parte, sufficiente ipotizzare uno spostamento verso l'alto gli indumenti, operazione dimostrata anche dallo sganciamento del reggiseno);

- la direzione dei colpi inferti e le reciproche posizioni di vittima e aggressore evidenziano che il corpo era stato girato durante l'azione (stante la presenza di spine e semi anche sul versante ventrale; la bilateralità delle lesioni; l'attorcigliamento degli steli a una caviglia) e che la maggior parte dei tagli era stata inferta quando la vittima era in stato di semi-coscienza, dopo essere stata tramortita dai colpi alla testa. La lesione al polso destro aveva raggiunto l'osso, spezzandolo e, all'interno del tessuto, era stato rinvenuto un frammento di titanio, elemento utilizzato per il rivestimento dei coltelli; i tagli corrispondenti alle lesioni ai polsi e sui polsini delle maniche del giubbino indicavano il passaggio di un tagliente;

- in sede autoptica erano emersi ulteriori elementi: la presenza di polveri ricche di calcio (calce) nella lesione mentoniera, nella lesione al collo, nella lesione al polso sinistro, nelle lesioni in regione mammaria, in regione lombare e al polso destro, sulla cute in corrispondenza delle lesioni e sugli indumenti; la presenza di sferette metalliche (di diversa composizione: ferro, nichel e cromo, ferro e cromo) di pochi micrometri di diametro. Sia le sferette metalliche che le polveri di calcio, anche se in composizione e dimensione diversa rispetto a quelle repertate, venivano rinvenute all'interno del cantiere di (OMISSIS) ove lavorava l'imputato, mentre non se ne rinvenivano nei campioni prelevati a casa della vittima, sulla cute dei familiari, presso il centro sportivo e sul terreno di (OMISSIS);

- nel (OMISSIS) il RIS comunicava che sul campione 31 prelevato dagli slip della vittima era stato estrapolato un profilo genetico maschile utile per eventuali confronti, che da quel momento era convenzionalmente denominato (I1) "IGNOTO 1", profilo molto ricco e collocato in un luogo estremamente significativo (slip). Gli slip venivano sottoposti a una nuova serie di campionature a griglia (onde approfondire l'analisi della traccia e ottenere ulteriori riscontri) che consentivano di estrapolare il medesimo profilo da sedici diverse campionature, a cui, in luglio, si aggiungevano, quelle sui pantaloni (in due delle quali compariva in mistura il medesimo profilo);

- erano redatti, secondo diversi criteri, elenchi di soggetti sui quali effettuare i prelievi di campioni di DNA da confrontare con il profilo di (I1) IGNOTO 1: prendendo spunto dal rinvenimento sulla salma di particelle di ossido di calcio, si tentava di recensire i lavoratori di ditte edili che però, nella sola provincia di (OMISSIS), ammontavano a 17.000; si procedeva alla completa identificazione di tutti gli utilizzatori di telefoni cellulari transitati nelle celle ritenute d'interesse investigativo; venivano recuperati 777 dipendenti delle ditte di (OMISSIS) e venivano acquisiti i nominativi dei 31 mila soci della discoteca "(OMISSIS)" di (OMISSIS) (prossima al luogo del ritrovamento del cadavere); venivano sottoposti a prelievo salivare i 3400 frequentatori del centro sportivo di (OMISSIS), tutti i familiari, tutti i vicini di casa, tutti i compagni di scuola e i loro genitori, tutti i soggetti memorizzati nel telefono cellulare della vittima, nonchè i lavoratori dei cantieri di (OMISSIS). Tra questi erano selezionati 476 residenti a (OMISSIS) e, in questo ambito, 146 il cui telefono figurava nei tabulati delle celle, che erano i primi a essere sottoposti a tampone salivare, senza esito alcuno. Dopo circa 2.000 confronti privi di risultato, riprendendo l'elenco dei 476 residenti a (OMISSIS), a (OMISSIS) era prelevato il tampone salivare di (OMISSIS) G.D., tesserato della discoteca "(OMISSIS)", che al momento dei fatti si trovava in (OMISSIS). L'estrapolazione era eseguita dalla Polizia Scientifica il successivo (OMISSIS) e l'aplotipo Y risultava, in un primo tempo, simile a quello della traccia estratta dal RIS; le successive analisi escludevano, però, che si trattasse di (I1) IGNOTO 1 o di un suo parente in linea retta. Ottenuto il riscontro dell'aplotipo Y, erano svolte indagini sulla famiglia di (OMISSIS) G.D., composta dalla madre Z.A. e dalla sorella G.T.; il padre (OMISSIS) G.S. era deceduto nel (OMISSIS). Dato che l'aplotipo Y si trasmette uguale di generazione in generazione ed è lo stesso per tutti i discendenti maschi di un determinato capostipite, gli inquirenti risalivano da (OMISSIS) G.S., padre di (OMISSIS) G.D., al capostipite (OMISSIS) G.B. e da questi ricostruivano l'intera discendenza, sottoponendo a prelievo salivare tutti i discendenti maschi ancora in vita, arrivando a (OMISSIS) G.P. che presentava un profilo di DNA nucleare quasi identico a quello di (I1) IGNOTO 1 (i due profili si distinguono per il solo marcatore THO1). A quel punto le indagini si concentravano su (OMISSIS) G.P. che viveva a (OMISSIS) e non aveva figli, il quale era figlio di (OMISSIS) G.G.B., deceduto il (OMISSIS). L'intero ramo familiare era oggetto di indagini e approfondimenti investigativi e posto sotto intercettazione in concomitanza con analisi e audizioni, ma senza che emergessero elementi utili. L'unica spiegazione possibile era che (I1) IGNOTO 1 fosse figlio illegittimo di (OMISSIS) G.G.B. o, seppur con un grado di probabilità inferiore, di (OMISSIS) G.P.. Per suffragare tale ipotesi veniva affidata un'apposita consulenza al prof. G.E. dell'Università di Tor Vergata che ricostruiva in laboratorio il DNA di (OMISSIS) G.G.B., arrivando a stimare al 99,87% la probabilità che fosse il padre di (I1) IGNOTO 1. Confrontando il profilo del DNA estrapolato dal bollo della patente e da alcune cartoline spedite da (OMISSIS) G.G.B. con quello di (I1) IGNOTO 1, la percentuale saliva al 99,9999929%. Veniva, quindi, riesumato il cadavere di (OMISSIS) G.G.B. e la percentuale di paternità con (I1) IGNOTO 1 si incrementava fino al 99,99999987%;

- acquisita la certezza che (OMISSIS) G.G.B. è il padre biologico di (I1) IGNOTO 1, le indagini si concentravano sulla ricerca della madre e, in particolare, sui luoghi dove (OMISSIS) G.G.B. aveva vissuto e lavorato, con particolare attenzione alle coetanee che in età fertile potevano essere emigrate dalla (OMISSIS) verso uno dei comuni dell'(OMISSIS). L'estrapolazione del profilo delle potenziali candidate faceva emergere (OMISSIS) A.E., madre dell'imputato, che per circa tre anni aveva vissuto nello stesso paese di (OMISSIS) G.G.B. e che nel maggio del (OMISSIS) si era trasferita a (OMISSIS) (per poi, in anni più recenti, emigrare a (OMISSIS));

- A.E.(OMISSIS) era sottoposta a tampone salivare il (OMISSIS) e veniva così estratto il suo DNA che risulta essere la metà mancante del profilo di (I1) IGNOTO 1 rispetto all'altra metà proveniente da (OMISSIS) G.G.B.. Nel profilo nucleare di (I1) IGNOTO 1 è presente un allele (n. 26) rinvenibile nella popolazione Europea solo nella misura dello 0,10% e di sicura origine materna, non avendolo (OMISSIS) G.G.B., che risulta presente nel profilo di (OMISSIS) A.E. e della sorella A.S.. L'indagine tecnica si concentrava sui due figli della donna: B.M.G. ((OMISSIS)) e (OMISSIS) B.F.;

- il (OMISSIS) B.M.G. ((OMISSIS)) veniva fermato e sottoposto ad alcoltest e il DNA estrapolato dal tampone salivare eseguito sul boccaglio dell'etilometro restituiva lo stesso profilo genetico nucleare di (I1) IGNOTO 1. Il prelievo è stato successivamente ripetuto nelle forme "garantite";

- l'esame dei tabulati telefonici dell'apparecchio in uso all'imputato consentiva di affermare che alle ore (OMISSIS), circa un'ora prima della scomparsa, il medesimo si trovava nei pressi della (OMISSIS) ove si era recata la vittima;

- l'imputato, che ha ammesso di essere passato in zona nell'orario considerato, esclude di avere mai incontrato o avuto a che fare con la vittima, tanto che, fin da subito, non riuscendo a spiegarsi il rinvenimento del proprio DNA sul corpo della giovane ragazza, ha ipotizzato un'azione dolosa di terzi, indicando persino un sospetto ( M.) il quale aveva la possibilità di impossessarsi del suo sangue e aveva manifestato un morboso interesse per le "ragazzine";

- un veicolo della stessa marca, tipo e caratteristiche di quello posseduto dall'imputato è stato registrato mentre transitava ripetutamente nella zona della scomparsa, sia prima, che dopo l'uscita della giovane dalla (OMISSIS);

- le fibre rinvenute sugli indumenti della vittima sono compatibili con quelle che compongono il tessuto dei sedili dell'autocarro dell'imputato;

- le micro sfere metalliche rinvenute sulla vittima sono compatibili con quelle tipiche delle lavorazioni edili del tipo di quelle effettuate dall'imputato e poi rinvenute sul furgone in uso allo stesso;

- l'analisi degli apparati informatici in uso all'imputato (e alla di lui famiglia) hanno fatto emerge alcune ricerche sul web indicative di un particolare interesse per "ragazzine";

- dai colloqui intercettati risulta che la sera dei fatti l'imputato è rientrato a casa in orario compatibile con la perpetrazione dell'omicidio e che lo stesso, inspiegabilmente secondo il coniuge, non ricordava cosa avesse fatto quel tardo pomeriggio, mentre rammentava di avere spento il cellulare perchè scarico e di avere incontrato una persona nei pressi della (OMISSIS) verso le ore (OMISSIS).

1.2. La Corte di secondo grado, nel confermare la decisione del primo giudice, così respingendo entrambi gli appelli proposti nell'interesse dell'imputato e del Pubblico ministero, ha ritenuto di superare le questioni poste alla sua attenzione (qui esposte nei limiti del devolutum):

- nullità per violazione degli artt. 224-bis e 359-bis c.p.p. del prelievo effettuato in data (OMISSIS) del campione di saliva dell'imputato dal boccaglio dell'etilometro e di tutti gli atti conseguenti, poichè, ad avviso della Corte distrettuale, non sono richieste modalità particolari per il prelievo e, d'altra parte, l'eccezione è pleonastica poichè il prelievo e l'esame sono stati, in seguito, effettuati in contraddittorio con l'imputato e nelle forme "garantite";

- inutilizzabilità di tutti gli atti d'indagine compiuti dopo la scadenza del termine di mesi sei dall'iscrizione della notizia di reato nel Registro Mod. 44 a seguito di mancata proroga, poichè, secondo il giudice di secondo grado, la previsione normativa di inutilizzabilità degli atti di indagine, compiuti oltre il termine di durata, non trova applicazione nei procedimenti contro ignoti;

- nullità dei risultati delle indagini eseguite dal RIS di Parma sui campioni di materiale genetico prelevati dal cadavere, sugli slip e sui leggings (relazione (OMISSIS)) per violazione dell'art. 360 c.p.p., in quanto il Pubblico ministero ha utilizzato per il compimento di accertamenti potenzialmente irripetibili lo strumento della delega delle indagini anzichè quello della consulenza, in quanto, secondo il giudice di appello, pur essendo stato utilizzato l'improprio strumento processuale della delega delle indagini, il Pubblico ministero aveva non di meno ritualmente avvisato le parti lese, sicchè sono utilizzabili sia il prelievo di tracce biologiche sul cadavere (attività di raccolta di elementi attinenti al reato prodromica all'effettuazione di successivi accertamenti tecnici, delegabile ex art. 370 c.p.p. e per la quale non è richiesta alcuna garanzia difensiva), sia la successiva analisi del DNA da parte del RIS (accertamento tecnico potenzialmente irripetibile), in relazione al quale l'obbligo di dare avviso al difensore ricorre solo se, al momento di conferimento dell'incarico, sia già stata individuata la persona nei confronti della quale si procede (è pacifico che al momento di estrapolazione del profilo genetico presente nelle tracce biologiche, prelevate sugli slip e sui leggings della vittima, B.M.G. ((OMISSIS)) non fosse ancora indagato), nè l'imputato può ritenersi leso nel diritto di difesa essendo, invece, stato iscritto nel registro degli indagati tale F., poichè solo quest'ultimo poteva avere interesse a sollevare l'eccezione di nullità. D'altra parte, legittimamente, ad avviso della Corte distrettuale, sono stati inseriti nel fascicolo del dibattimento gli accertamenti genetici del RIS in quanto il materiale genetico era stato consumato nel corso delle varie consulenze, sicchè è divenuto irripetibile per causa incolpevole;

- quanto alla richiesta di esaminare i reperti da parte dei consulenti avanzata dalla difesa ai sensi dell'art. 233 c.p.p., comma 1-bis, la Corte distrettuale ha evidenziato che la richiesta è stata formulata per la prima volta all'udienza dell'11 dicembre 2015 in sede di illustrazione dell'eccezione di inutilizzabilità dei dati grezzi diversi da quelli acquisiti all'udienza del 26 ottobre 2015, sicchè correttamente la Corte di primo grado ne ha ritenuto la irrilevanza in quella sede non attenendo ai temi della tempistica e delle modalità delle analisi genetiche sui campioni dai quali era stato estrapolato il profilo di (I1) IGNOTO 1 sui quali la difesa si era riservata il controesame dei consulenti del Pubblico ministero. Tale richiesta è stata poi riproposta all'udienza del 4.3.2016 e la Corte d'assise si è riservata all'udienza del 15.4.2016; con ordinanza 22.4.2016 l'ha ritenuta intempestiva essendosi ormai esaurito il dibattimento ed essendosi più specificamente già esauriti nelle udienze del 4 e 11 febbraio 2016 l'esame e il controesame dei consulenti della difesa cui l'esame dei reperti sarebbe stata propedeutica. D'altra parte, secondo la Corte di secondo grado, l'intempestività e l'infondatezza della richiesta sono evidenti in quanto formulata in termini del tutto generici: la richiesta era collegata all'eccezione di inutilizzabilità dei dati grezzi diversi da quelli acquisiti all'udienza del 26 ottobre 2015 e come tale era stata ritenuta irrilevante;

- la richiesta di perizia genetica è stata ritenuta manifestamente infondata in quanto: vi è stato un contrasto tra numerosi contributi tecnici, sostanzialmente concordi tra loro provenienti dall'accusa pubblica e privata ( L., S., Ge., P., G., Ca., Po.), e alcune sporadiche affermazioni prive di organicità, in quanto neppure organizzate in apposita relazione scritta, rese da uno solo dei due consulenti della difesa (Dott. C.) - l'altro consulente (Dott.ssa Gi.) non ha formulato effettive e argomentate obiezioni - e provenienti da un professionista privo delle competenze professionali riscontrabili negli altri esperti utilizzati nel processo i quali, provenendo da diverse strutture e avendo operato separatamente, sono giunti alle medesime conclusioni; il contrasto sussiste, in effetti, tra i citati concordi contributi tecnici e i pareri espressi direttamente dai difensori dell'imputato e veicolati con i motivi aggiunti tardivi e dunque inammissibili o con memorie difensive in sede di discussione, sicchè la Corte ha escluso che vi sia stata contaminazione accidentale tale da condurre a realizzare per colpa un DNA identico a quello dell'imputato, risultando, d'altra parte, fantasiosa e indimostrata l'ipotesi della dolosa creazione del DNA dell'imputato in laboratorio.

1.3. La Corte di secondo grado, nel confermare la decisione del primo giudice, così respingendo entrambi gli appelli proposti nell'interesse dell'imputato e del Pubblico ministero, ha ritenuto l'imputato raggiunto non solo dalla prova genetica diretta (in quanto rappresentativa direttamente del fatto da provare, collocandolo sul luogo del fatto come autore dell'omicidio), ma anche da una serie di elementi indiretti che, collegati tra di loro secondo i criteri di giudizio di cui all'art. 192 c.p.p., comma 2, vengono a costituire un coacervo organico, univoco e armonioso a favore della responsabilità dell'imputato.

Il più consistente e grave quadro indiziario deriva, secondo il giudice di appello, dai seguenti ulteriori elementi (che il primo giudice non aveva ritenuto idonei ex art. 192 c.p.p.):

- l'imputato non era a casa al momento della sparizione della giovane e si trovava alle ore (OMISSIS) nelle vicinanze della (OMISSIS) con il suo furgone Fiat I.D., come emerge dai tabulati, dalle dichiarazioni reticenti dell'imputato, dalle intercettazioni ambientali, dalle dichiarazioni dei testimoni (coniuge e cognato);

- l'imputato era presente, a bordo del proprio furgone, ed è stato visto transitare ripetutamente nella zona del fatto, prima e dopo la sparizione della vittima, come risulta dalle riprese delle telecamere e dai relativi accertamenti video fotografici sulle caratteristiche del veicolo e dalle dichiarazioni di un testimone oculare;

- l'accertata presenza di calce (CaO) sulla vittima conduce univocamente verso un soggetto che opera in cantieri edili, come l'imputato;

- l'accertata presenza di sferette metalliche di origine antropica sulla vittima conduce univocamente verso un soggetto che opera in cantieri edili, come l'imputato, sul veicolo del quale sono state rinvenute sferette di analoga tipologia;

- l'accertata compatibilità tra i filamenti rinvenuti sulla vittima e quelli che formano i sedili del furgone dell'imputato;

- la consultazione di siti pedo-pornografici da parte dell'imputato, dimostrativa di un interesse sessuale morboso, come anche risulta dalla corrispondenza a sfondo sessuale intrattenuta in costanza di custodia cautelare; - il tentativo di fuga posto in essere all'atto dell'arresto e l'atteggiamento tenuto durante le conversazioni intercettate che è indicativo della piena consapevolezza della propria responsabilità.

Ad avviso della Corte distrettuale, peraltro, il ritenuto movente (avances sessuali respinte, della conseguente reazione dell'aggressore a tale rifiuto, unita al sicuro timore dello stesso di essere riconosciuto), oltre a risultare pienamente aderente alle circostanze aggravanti della minorata difesa e delle sevizie, consente di saldare ulteriormente la valenza indiziaria degli elementi sopra richiamati.

1.4. La Corte distrettuale ha confermato l'assoluzione dell'imputato per il reato di calunnia di cui al capo B), ravvisando nelle dichiarazioni indizianti a carico del collega di lavoro un'estrinsecazione dell'animus defendendi, con formulazione di accuse assurde e inverosimili, perciò estranee al perimetro dell'art. 368 c.p..

2. Ricorre ((OMISSIS)) B.M.G., a mezzo dei difensori avv. CS e avv. PC, che chiede l'annullamento della sentenza impugnata formulando venti motivi di ricorso, una premessa di undici pagine, per un complessivo volume di cinquecentonovantacinque pagine.

2.1. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione di legge (art. 125 c.p.p., comma 3, e art. 605 c.p.p., comma 1, artt. 360, 178 e 191 c.p.p.) in relazione all'ordinanza reiettiva del 17 luglio 2015, confermata dalla sentenza di secondo grado, con la quale si è pervenuti a rigettare l'eccezione di nullità/inutilizzabilità dei risultati delle indagini eseguite dal RIS di Parma sui campioni di materiale genetico prelevati dal cadavere di (OMISSIS) G.Y. e compendiati nella relazione RIS del 10 dicembre 2012.

In particolare si denuncia l'esteso, ingiustificato e arbitrario utilizzo della tecnica motivazionale del "copia e incolla" tra le sentenze di primo e secondo grado, senza che sia stata fornita risposta alle argomentazioni difensive. Non sono, in effetti, fornite specifiche risposte alle deduzioni difensive concernenti l'illegittimità della procedura seguita dal Pubblico ministero per l'effettuazione delle indagini tecniche di tipo genetico mediante l'utilizzo della delega ai sensi dell'art. 370 c.p.p., anzichè dell'accertamento irripetibile a norma dell'art. 360 c.p.p., risultando, peraltro, errato e inconferente il richiamo alla sentenza della Corte di Cassazione n. 18.246 del 2015 che aveva esaminato la questione nell'ambito dell'incidente cautelare.

In sostanza, la Corte d'assise di appello (come quella di primo grado) muove dalla premessa (opinabile secondo Cass. 2476/2015) che il prelievo di tracce biologiche sul cadavere di (OMISSIS) G.Y. sia inquadrabile come attività di raccolta di elementi attinenti al reato prodromica all'effettuazione di successivi accertamenti tecnici irripetibili, sia pacificamente delegabile, ex art. 370 c.p.p., per la quale non è richiesta l'osservanza di garanzie difensive, per giungere alla conclusione che siano utilizzabili sia il prelievo che la successiva analisi del DNA da parte del RIS, in quanto l'obbligo di dare avviso al difensore ricorre solo nel caso in cui, al momento del conferimento dell'incarico al consulente, sia già stata individuata la persona nei confronti della quale si procede. Ma l'eccezione di inutilizzabilità formulata dalla difesa (e oggi ribadita nel ricorso) non pretendeva che ((OMISSIS)) B.M.G. fosse raggiunto dagli avvisi ex art. 360 c.p.p. all'epoca del ritrovamento della vittima, essendo piuttosto finalizzata a rilevare come gli accertamenti genetici dovessero essere perfezionati inderogabilmente seguendo l'art. 360 c.p.p..

A tal riguardo, si sottolinea quanto evidenziato dalla Corte Costituzionale con sentenza del 15.11.2017 n. 239 che, nel trattare la riconducibilità all'art. 360 c.p.p. delle operazioni di prelievo, ha riaffermato come l'analisi genetica complessivamente intesa sia da considerare accertamento tecnico irripetibile. Del resto, la Corte di legittimità distingue la raccolta o il prelievo dei dati pertinenti al reato, dall'accertamento tecnico irripetibile, che riguarda, invece, il loro studio e la loro valutazione critica (sezione sesta, 6 febbraio 2013, n. 10350; sezione seconda, 10 gennaio 2012, n. 2087; sezione seconda, 10 luglio 2009, n. 34149; sezione prima, 31 gennaio 2007, n. 14852).

La sentenza impugnata, peraltro, si appalesa pure contraddittoria quando assume che l'obbligo di dare avviso al difensore ricorre solo se, al momento di conferimento dell'incarico, sia già stata individuata la persona nei confronti della quale si procede, mentre viene contestata la radicale inosservanza dell'art. 360 c.p.p. dal punto di vista della metodologia, come pure riconosciuto nel corso delle indagini preliminari dal GIP di Bergamo, con il provvedimento del 14 febbraio 2013, che ha rilevato la nullità ex art. 180 c.p.p. dei suddetti accertamenti medico-legali e genetici, per violazione dell'art. 360 c.p.p., non avendo l'Accusa applicato e seguito la summenzionata normativa. Nell'occasione il GIP rammenta come l'accusa avesse aperto due fascicoli, uno contro ignoti n. 10915/10 e uno n. 15933/10 contro F. M. e non avesse esteso gli accertamenti in discorso al fascicolo iscritto contro ignoti. Ad avviso della difesa, quindi, soltanto nel procedimento contro F. la nullità è stata sanata (sia pur solo apparentemente, tenuto conto che, come innanzi sottolineato, trattandosi di radicale inosservanza dell'art. 360 c.p.p., non si verte in materia di nullità assoluta a regime intermedio bensì di inutilizzabilità ex art. 191 c.p.p., decisamente insanabile), mentre nel procedimento contro ignoti la nullità è rimasta in essere. Ad avviso della difesa, che il rilievo della nullità si sia esteso anche a siffatto procedimento è circostanza provata dal fatto che il GIP ha acquisito gli accertamenti proprio da quel procedimento per rilevare, in conseguenza, la nullità dei medesimi. In conseguenza, appare evidente secondo la difesa che la nullità sia rimasta sedimentata nell'allora procedimento contro ignoti e che abbia spiegato e spieghi tuttora i suoi effetti radicalmente invalidanti della relazione RIS (OMISSIS).

Appare evidente la portata e la decisività della questione proposta che impedisce l'utilizzo dell'atto nullo (relazione RIS su DNA) su cui è fondato l'intero impianto accusatorio.

2.2. Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione dell'art. 111 Cost., comma 4, e dell'art. 431 c.p.p., e il travisamento della prova in relazione all'utilizzabilità della relazione RIS del (OMISSIS).

Sia la pronuncia di primo che quella di secondo grado ritengono legittimo l'inserimento nel fascicolo dibattimentale degli accertamenti, in quanto irripetibili. La sentenza impugnata, muovendo dalla premessa che "il materiale genetico era stato consumato nel corso delle varie consulenze", giunge alla conclusione che: "quello che è certo, in ogni caso, che non vi sono più campioni di materiale genetico in misura idonea a consentire nuove amplificazioni e tipizzazioni; si può già, a questo punto, affermare con chiarezza che una eventuale perizia, invocata a gran voce dalla difesa e dallo stesso imputato, in modo suggestivo nelle sue dichiarazioni finali, non consentirebbe nuove amplificazioni e tipizzazioni, ma sarebbe un mero controllo tecnico sul materiale documentale e sull'operato dei RIS"; "la relazione (OMISSIS) è correttamente inserita nel fascicolo del dibattimento come atto irripetibile e la cui irripetibilità non deriva da atto colpevole degli inquirenti".

Gli enunciati argomentativi rilevano, ad avviso della difesa, un chiaro travisamento della prova poichè la circostanza della consumazione non risulta provata, tanto che nel ricorso si "chiede, pertanto, che codesta Corte di legittimità compia un'operazione del tutto neutra, consistente nella verifica se la prova del fatto affermato esistente dal giudice di merito - il materiale genetico sia stato consumato nel corso delle varie consulenze - sia invece pacificamente inesistente".

D'altra parte, secondo la difesa, il giudice di merito ha travisato una prova decisiva acquisita al processo (affermando l'esistenza di un'informazione inesistente ovvero che il materiale genetico sia stato consumato nel corso delle varie consulenze) ovvero omesso di considerare circostanze decisive risultanti da un atto specificamente indicato. La Corte distrettuale ha omesso di esaminare un elemento di prova decisivo, pacificamente acquisito agli atti del processo, costituito da quanto affermato dal consulente dell'accusa pubblica Dott. Ca. il quale ha affermato: "Avendo preso in carico tutti i DNA, che abbiamo ancora in (OMISSIS), quindi ovviamente questi sono a disposizione, li abbiamo ancora tutti, non abbiamo finito nessuna aliquota. Quindi tutto quello che noi abbiamo usato negli stessi tubi c'è ancora materiale per ulteriori indagini volendo. Ne abbiamo conferito una piccola aliquota al professor Pi. per le sue indagini, e al professor P. che ha amplificato il DNA mitocondriale specificamente" (pag. 111 del verbale stenotipico - ud. 20.11.15).

2.3. Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione dell'art. 111 Cost., comma 4, e dell'art. 431 c.p.p., e il travisamento della prova in relazione l'inserimento della relazione RIS del (OMISSIS) nel fascicolo dibattimentale.

La sentenza impugnata è viziata perchè l'asserzione della sopravvenuta irripetibilità evoca un caso di impossibilità di realizzare il contraddittorio che non si attaglia al caso in esame. In particolare, quando la sentenza afferma (pag. 171) che la relazione del (OMISSIS) è stata correttamente inserita nel fascicolo del dibattimento come atto irripetibile e la cui irripetibilità non deriva da atto colpevole degli inquirenti, giustifica l'inserimento della relazione RIS nel fascicolo sulla base di presupposti mancanti e comunque errati.

Infatti, come già eccepito sia nei motivi di appello, sia nei successivi motivi aggiunti e nella memoria ex art. 121 c.p.p., la nozione di irripetibilità rinvenibile nella legge fondamentale e nell'art. 431 c.p.p., presuppone la dimostrazione dell'effettiva impossibilità di realizzare il contraddittorio e la natura oggettiva delle sue cause, condizioni necessarie e sufficienti affinchè si possa legittimamente acquisire la relazione in questione al fascicolo dibattimentale e, nel caso, assolutamente non attualizzatesi.

Ad avviso della difesa, il percorso motivazionale appare fallace. Non solo, infatti, si assume l'esistenza (come già visto al secondo motivo) di un'informazione inesistente ("la consumazione della traccia"), ma ci si spinge a ritenere giustificato l'utilizzo integrale del materiale genetico e quindi la sopravvenuta irripetibilità dell'accertamento.

La Corte distrettuale falsamente afferma che gli inquirenti fanno tentativi, condotti sul DNA mitocondriale con le consulenze affidate a L., a P. e a Ca. che non avevano sortito effetti soddisfacenti, ma avevano consumato la traccia genetica e si giustifica un siffatto comportamento, assumendo che non possa in alcun modo definirsi colpevole, ma anzi evidenzia la tenacia e lo scrupolo degli inquirenti (che si sono spinti in un terreno infido come quello dell'analisi del DNA mitocondriale su traccia mista, consumando l'intero materiale genetico) nella legittima e doverosa ricerca dell'identità della madre onde risalire a quella di (I1) IGNOTO 1.

Pertanto, il giudice di merito ha fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste (integrale consumazione del materiale genetico) e su un risultato di prova obiettivamente e incontestabilmente diverso da quello reale, essendo falso che gli inquirenti si trovavano, nonostante gli sforzi profusi, in una situazione paradossale avendo identificato il profilo genetico dell'assassino di G.Y. (OMISSIS) e perfino il fatto che fosse figlio di (OMISSIS) G.G.B., ma non riuscivano a identificarlo con nome e cognome in quanto non sapevano chi fosse la madre di (I1) IGNOTO 1 e che quindi fosse necessario e giustificato consumare tutto il materiale genetico con i tentativi, condotti sul DNA mitocondriale con le consulenze affidate a L., a P. e a Ca., che non avevano sortito effetti.

In definitiva, appare evidente secondo la difesa che la pubblica accusa, una volta acquisita l'identificazione del profilo, avrebbe dovuto, piuttosto che utilizzare ulteriormente le "aliquote genetiche" per inutili accertamenti o per puro esercizio sperimentale o per "accanimento identificativo", accantonare i campioni di riferimento al fine di consentire la verifica processuale necessaria.

In conclusione, la sopravvenuta irripetibilità non è stata adeguatamente e logicamente valutata ma, anzi, attraverso reiterati travisamenti della prova, illegittimamente giustificata, essendo, invece (la sopravvenuta irripetibilità), imputabile alla condotta procedimentale dell'accusa che è pervenuta a esaurire la quantità di materiale genetico esistente, impedendo quindi ogni possibile analisi dibattimentale.

Ne consegue che la relazione RIS non doveva essere inserita nel fascicolo dibattimentale come atto irripetibile e come tale considerata, ma sottoposta al vaglio delle parti, anche a mezzo perizia in contraddittorio.

2.4. Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione di legge (art. 233 c.p.p., comma 1-bis) e la violazione del diritto di difesa, in relazione al diniego di autorizzazione all'esame dei reperti, stigmatizzando che non è stato mai permesso di visionare i reperti su cui si fondano gli accertamenti posti alla base della condanna, censurando, in particolare, la decisione impugnata e le ordinanze pronunciate dal giudice di primo grado in data 11 dicembre 2015 e in data 4 marzo 2016, nella parte in cui hanno ritenuto generica e tardiva la richiesta.

La difesa osserva sul punto che i cosiddetti "reperti", a norma dell'art. 233 c.p.p., comma 1-bis, possono essere esaminati dal consulente incaricato (dalla difesa), con il solo limite stabilito dal comma 1-ter, ovverosia che siano impartite le prescrizioni necessarie per la conservazione dello stato originario delle cose e dei luoghi e per il rispetto delle persone; la norma processuale non condiziona in alcun modo l'autorizzazione all'esame nei termini indicati dalla Corte, poichè non prevede affatto, quale condizione necessaria per l'espressione giudiziale del provvedimento autorizzatorio, un particolare segmento temporale del dibattimento nel quale formulare siffatta richiesta (Sez. 3, n. 21186 del 2013).

Nello specifico, con riguardo all'errata motivazione di rigetto, la difesa evidenzia di avere comunque richiesto all'udienza dell'11 dicembre 2015 (verbale integrale pag.15-16) di visionare i reperti, non collegando la richiesta all'eccezione di inutilizzabilità dei dati grezzi, come erroneamente affermato dal giudice di merito, ma proprio alla procedura di cui all'art. 233 c.p.p., comma 1-bis.

2.5. Il quinto motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 224-bis e 359-bis c.p.p. in relazione al prelievo effettuato in data (OMISSIS) di campione di saliva dell'imputato dal boccaglio dell'etilometro e di tutti gli atti conseguenti, nonchè il vizio di mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sul punto.

La difesa, innanzitutto, denuncia l'assenza di motivazione sul motivo di appello poichè la Corte di secondo grado si è limitata a "copiare" la motivazione di quella di primo grado.

Scendendo al merito processuale delle doglianze la difesa denuncia che il giudice di merito, partendo dalla premessa che il campione biologico possa essere acquisito in qualunque modo, purchè non coattivo, e anche all'insaputa del sospettato, giunge alla conclusione che nessun profilo di illegittimità è individuabile nell'operato della polizia giudiziaria che ha sottoposto all'etilometro l'imputato al solo scopo di acquisire i campioni salivari da utilizzare per la comparazione con il tracciato di (I1) IGNOTO 1.

La Corte di merito trascura, però, che ai sensi dell'art. 224-bis c.p.p. il prelievo del campione biologico costituisce un atto idoneo a incidere sulla libertà personale e quindi impone che l'esecuzione del medesimo sia preceduto dall'espressione di volontà del soggetto che lo subisce, citando, peraltro, dei precedenti giurisprudenziali inconferenti (Sez. 1 del 20.11.2013 n. 48907 e Sez. 2 del 7.10.2016 n. 51086).

D'altra parte, è contraddittoria la motivazione nella parte in cui afferma l'inutilità dell'eccezione, perchè dopo il "fraudolento" prelievo era stato effettuato un nuovo prelievo con il consenso dell'imputato, laddove omette di confrontarsi con l'art. 185 c.p.p., in forza del quale la nullità di un atto rende invalidi gli atti consecutivi che dipendono da quello dichiarato nullo, sicchè il primo prelievo vizia anche il successivo prelievo consensuale.

E', del pari, erronea la motivazione della sentenza impugnata, laddove respinge l'eccezione di violazione dell'art. 114 disp. att. c.p.p. con riguardo al mancato avviso di farsi assistere da un difensore perchè non prospettata in sede di questioni preliminari, in quanto l'avvertimento è dovuto per gli accertamenti urgenti su luoghi, persone o cose, il cui stato è soggetto a dispersione o a modificazione, come è la misurazione del tasso alcolico.

Infine, è erroneo il provvedimento impugnato che esclude l'inutilizzabilità del prelievo a causa della mancata iscrizione dell'imputato nel registro degli indagati per il delitto di omicidio prima dell'effettuazione dell'etilometro poichè, essendosi già maturata la fondata convinzione che (I1) IGNOTO 1 fosse uno dei figli di (OMISSIS) A.E. e (OMISSIS) G.G.B., esso era già stato identificato per l'imputato o per il fratello, sicchè doveva essere compiuto un atto garantito.

2.6. Il sesto motivo di ricorso denuncia la violazione di legge (art. 415 c.p.p., comma 3), in relazione all'inutilizzabilità di tutti gli atti di indagine compiuti dopo la scadenza del termine di sei mesi dall'iscrizione della notizia di reato nel Registro Modello 44 a seguito di mancata proroga, e la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sul punto.

Nello specifico la Corte territoriale non ha tenuto in debita considerazione che, anche nei procedimenti a carico di persone ignote, il Pubblico ministero è gravato dall'obbligo di chiedere al GIP l'autorizzazione alla prosecuzione delle indagini preliminari da presentare prima della scadenza del termine previsto dalla legge, pena l'inutilizzabilità dell'elemento di prova acquisito in violazione di detta regola procedimentale.

La difesa, innanzitutto, denuncia l'assenza di motivazione sul motivo di appello poichè la Corte di secondo grado si è limitata a "copiare" la motivazione di quella di primo grado.

Nel merito del vizio denunciato, si richiama SU del 28.03.2006, n. 13040, secondo la quale, con l'entrata in vigore del nuovo testo dell'art. 415 c.p.p., nel quale è espressamente previsto (al comma 3) che nel procedimento contro ignoti si "osservano in quanto applicabili" tutte le disposizioni del titolo VIII del libro V (relative alla chiusura delle indagini preliminari). Si è manifestato in giurisprudenza (Cass. 2997 del 2002, Cass., 28700 del 2005) l'orientamento di estendere le garanzie di snellezza, trasparenza e celerità caratterizzanti il procedimento contro persone note alla conduzione delle investigazioni a carico di ignoti, con conseguente applicabilità anche a queste ultime della disciplina di cui all'art. 406 c.p.p., - ivi compreso, per quanto qui interessa, il disposto di cui al comma 2-bis - e art. 407 c.p.p., fatte salve, ovviamente, le disposizioni oggettivamente incompatibili, come ad esempio quelle dell'art. 406 c.p.p., commi 3 e 5.

2.7. Il settimo motivo di ricorso denuncia la violazione di legge (art. 192 c.p.p., comma 2) in relazione all'inosservanza delle linee guida Europee e internazionali nel perfezionamento delle analisi genetiche, e la mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione per travisamento della prova sulla questione "kit scaduti".

In particolare, la difesa contesta l'affermazione dei giudici di secondo grado secondo cui le analisi siano avvenute "seguendo i parametri e le regole stabilite dalle linee guida Europee ed internazionali" e nel rispetto delle linee guida Ge.F.I. (Genetisti Forensi Italiani), sicchè, mancando tale requisito, i risultati delle indagini tecniche sul DNA costituiscono un mero indizio e non una prova (Sez. 2, n. 2476 del 27/11/2014, dep. 2015, Santangelo, Rv. 261866).

Nel caso di specie, denuncia la difesa, risultano violati i protocolli perchè: i reagenti impiegati in laboratorio non possono essere utilizzati se hanno superato la data di scadenza, salvo che il laboratorio abbia provveduto alla loro rivalidazione, secondo una procedura documentata che dimostri analoga performance analitica rispetto al prodotto non scaduto; ogni analisi deve includere appropriati controlli positivi e negativi; il risultato ottenuto in ossequio ai precedenti due punti dovrà essere, secondo giurisprudenza ormai costante (per tutte, Cass. 36080/2015), ripetuto o ripetibile.

La Corte distrettuale perviene all'erronea e illogica conclusione di ritenere irrilevante la scadenza di alcuni kit (già la sentenza dell'Assise di Bergamo aveva ammesso come fosse "certo" che il RIS "non aveva rispettato l'impegno ad utilizzare solo materiale in corso di validità"), sotto il profilo dell'incidenza sui risultati scientifici (asseritamente) raggiunti e che "una ipotetica inefficienza del polimero scaduto produrrebbe un risultato non leggibile o non interpretabile ma mai porterebbe alla produzione di un profilo riconducibile ad una persona specifica (e sempre lo stesso)", perchè la data di scadenza avrebbe unicamente valore dal punto di vista commerciale, come sarebbe affermato dall'illustre genetista prof. B. sulla base di un documento prodotto dal Pubblico ministero che, tuttavia, non è stato tradotto, non è firmato dal cattedratico e riguarda solo una particolare tipologia di analizzatore genetico, mentre dalle produzioni difensive (scambio di mail tra il prof. B. e il prof. N.) risulta una diversa opinione dello studioso. I kit scaduti possono essere utilizzati solo se posta in essere una verifica di funzionalità; tale validazione può avvenire unicamente secondo procedure certificate che conferiscano al kit una nuova data di scadenza; ogni altro sistema empirico non è ammesso dalla comunità scientifica, mentre nel caso in esame nessuna procedura di validazione è stata adottata.

Sull'utilizzo di kit scaduti la Corte incorre in un vizio motivazionale per travisamento della prova perchè, diversamente da quanto affermato dai consulenti Po. e p., asserisce che la procedura di rivalidazione si concretizzerebbe "in una verifica attraverso l'utilizzo che consenta un'analoga performance rassicurante", quindi non una procedura complessa, a sè stante e preventiva rispetto alle amplificazioni relative all'indagine, ma proprio nell'effettuazione dell'indagine stessa, mentre i consulenti hanno affermato che la procedura di rivalidazione deve essere effettuata prima delle analisi tendenti all'identificazione del DNA e non può essere confusa con l'analisi stessa.

Analogo vizio di travisamento si rileva, sull'incontestato presupposto che il RIS non ha dato prova di aver effettuato la procedura di rivalidazione, nel ragionamento sviluppato dal giudice di secondo grado per superare l'eccezione difensiva laddove si afferma (pag. 251 sentenza) che "la difesa, nella memoria conclusiva ha ammesso che diversi kit non erano scaduti (quindi, ce ne sono molti che non ricadono nella obiezione difensiva)", mentre doveva essere fornita una motivazione da cui potesse desumersi quali corse elettroforetiche possano definirsi ottenute nel rispetto dei protocolli internazionali.

Analogo vizio di travisamento si rileva laddove la Corte distrettuale attribuisce al Dott. C. (consulente della difesa) la mancata contestazione della "bontà dei dati ottenuti con reattivi utilizzati oltre la data commerciale di scadenza" (pag. 254 sentenza), mentre il consulente della difesa si è semplicemente astenuto dall'esprimere valutazioni, proprio perchè si era in presenza di amplificazioni ottenute con kit scaduti e ciò non era ammesso dalla comunità scientifica.

Altro travisamento dalla Corte attiene a ciò che il Dott. C. ha riferito nell'udienza del 3 febbraio 2016, laddove per sottolineare l'importanza dell'utilizzo di kit in corso di validità riferiva come gli strumenti di ultima generazione avessero dei sistemi di lettura automatica dei vari reagenti tali per cui se la strumentazione avesse letto, tramite codice a barre, l'esistenza di un kit scaduto, si sarebbe in automatico bloccata, mentre la Corte distrettuale afferma che "il Dott. C.... è giunto erroneamente a sostenere che il RIS aveva una strumentazione che automaticamente non permetteva di utilizzare reattivi scaduti" (pag. 254 sentenza).

2.7.1. D'altra parte, l'elemento che la Corte distrettuale utilizza per giustificare la validità del risultato ottenuto con i kit scaduti è la ricorrenza del risultato, sempre uguale a sè stesso, dimenticando che dall'analisi dei raw data (dati grezzi), con particolare riferimento alla traccia 31G20 (la traccia migliore per qualità e quantità di DNA), su 15 amplificazioni eseguite ben 10 sono state effettuate con kit scaduti e le uniche 5 effettuate con kit in corso di validità non hanno restituito risultati. In sintesi, quando il RIS utilizza Kit in corso di validità non ottiene "corse particolarmente performanti", quando, invece, utilizza kit scaduti, il risultato diventa improvvisamente chiarissimo.

2.8. L'ottavo motivo di ricorso denuncia la violazione di legge (art. 192 c.p.p., comma 2) in relazione all'inosservanza delle linee guida Europee e internazionali nel perfezionamento delle analisi genetiche, con particolare riferimento all'omesso espletamento dei controlli positivi e negativi, e la mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione per travisamento della prova sulla medesima questione.

Premesso che, come correttamente affermato dalla sentenza impugnata, ogni analisi del DNA deve essere corredata dai "controlli positivi e negativi" che devono ovviamente restituire un risultato corretto affinchè l'amplificazione di cui sono corredo possa ritenersi valida, la Corte distrettuale giunge ad affermare l'esistenza di tali imprescindibili controlli in quanto tale dato "è stato più volte ribadito dai cap. S. e Ge. (emergendo anche dall'esame dei dati grezzi) ma emerge chiaramente dalla relazione 10 dicembre 2012" (pag. 255 sentenza), mentre questi controlli non esistono, non solo perchè non sono stati verificati (la Corte non ha visionato i dati grezzi, non disponendo neppure del programma adatto, e ha rifiutato di recepire le spiegazioni documentate della difesa), ma perchè la loro esistenza è desunta dalle sole dichiarazioni degli ufficiali del RIS. D'altra parte, è viziata la motivazione della Corte d'Assise di Appello la quale sostiene che "il Dott. C., invero, ha confermato la validità di alcuni controlli positivi e negativi o comunque quando gli sono stati rappresentati i numerosi controlli negativi e positivi non ha fornito nessuna specifica motivazione", perchè al consulente della difesa sono stati rammostrati solo alcuni (e non "numerosi") controlli, nei confronti dei quali, semplicemente, non esprime valutazioni per l'impossibilità di un esame "a occhio".

2.8.1. In particolare, con riguardo al fenomeno del "drop-in", in ragione del quale la Corte distrettuale tenta di giustificare la presenza di un picco inatteso nel controllo negativo dell'amplificazione del 25 ottobre 2011 sulla traccia 31G20 che, secondo la difesa è probabilmente l'unica eseguita nel (parziale) rispetto delle linee guida internazionali, la motivazione è errata perchè il picco inatteso (all'allele 22) di intensità 88 RFU indica univocamente un'amplificazione errata per contaminazione (il controllo per essere ritenuto valido sarebbe dovuto essere totalmente privo di picchi).

Nel caso specifico, inoltre, la presenza di detta caratteristica è tanto più allarmante laddove si consideri che l'allele 22 (il picco inatteso) è anche una caratteristica presente nel DNA nucleare dell'imputato.

A fronte dello specifico motivo di appello, la sentenza impugnata ha risposto in maniera laconica e in assenza di una motivazione reale, introducendo, arbitrariamente, un fenomeno (il drop-in) che ha rilievo esclusivamente laddove si tratti di tracce cosi dette "low copy number", situazione diversa da quella in esame che riguarda delle tracce cd "miste".

2.9. Il nono motivo di ricorso denuncia la violazione di legge (art. 192 c.p.p.) in relazione all'inosservanza delle linee guida Europee e internazionali nel perfezionamento delle analisi genetiche, con particolare riferimento all'omessa "ripetizione delle corse" e la mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione per travisamento della prova sulla medesima questione.

La Corte distrettuale ha erroneamente affermato che, vertendosi in una ipotesi di tracce non caratterizzate come "low copy number", il requisito della ripetizione non era richiesto, mentre, trattandosi di un accertamento non effettuato ex art. 360 c.p.p.la ripetibilità dell'attività tecnica è il presupposto per la legittima acquisizione dei risultati delle indagini preliminari.

D'altra parte, le determinazioni della Corte distrettuale, tese a sottolineare l'irrilevanza della ripetizione, incorrono pure nel travisamento della prova, laddove non tengono in considerazione la prova dichiarativa espressa dal Prof. P. il quale, all'udienza del 20 novembre 2015 (pag. 92 del verbale), ha affermato come in presenza di tracce miste sia sempre necessario procedere a ripetizione.

2.10. Il decimo motivo di ricorso denuncia il vizio di motivazione per mancanza, contraddittorietà e illogicità in relazione alla questione "DNA nucleare" e il travisamento della prova sulla medesima questione.

Nel tentativo (mal riuscito) di sintetizzare gli elementi ritenuti "incontrovertibili" (pag. 240 sentenza), la Corte distrettuale enumera: 1) l'acclarata paternità dell'imputato; 2) l'acclarata identità tra il profilo genetico di (I1) IGNOTO 1 e quello dell'imputato; 3) l'unicità del DNA per ogni essere vivente.

Salvo concordare sul punto 3), la difesa contesta l'assunto di cui al punto 1) e afferma di non comprendere come si possa considerare acquisito (e condiviso) il dato di cui al punto 2).

2.10.1. La questione circa l'asserita identità tra detti due profili ((I1) IGNOTO 1 e ((OMISSIS)) B.M.G.) è stato l'oggetto di principale discussione per due gradi di giudizio, sicchè non può dirsi un dato incontroverso.

Contrariamente a quanto affermato in sentenza, infatti, la consulente della difesa (udienza del 12 febbraio 2016) ha confermato unicamente che l'odierno imputato non è figlio di (OMISSIS) Bo.Gi.; l'inferenza compiuta dalla Corte, secondo cui dalla negazione di una circostanza (l'odierno imputato non è figlio di (OMISSIS) Bo.Gi., si assume la prova positiva di altra circostanza ( G.G.B. (OMISSIS) è il padre naturale di ((OMISSIS)) B.M.G.), rende il passaggio motivazionale frutto di travisamento, oltre che evidentemente fallace, perchè palesemente illogico, tanto più che la consulente ha affermato di non avere verificato il rapporto di eventuale filiazione tra l'imputato e (OMISSIS) G.G.B., anche perchè la difesa non poteva disporre dei campioni biologici.

2.10.2. Anche l'identità tra il profilo di (I1) IGNOTO 1 e l'imputato è stata fondata su dati travisati e comunque inconsistenti; la Corte distrettuale ha affermato che "è pure assolutamente pacifico e non contestato che il profilo genetico di (I1) IGNOTO 1 sia, indiscutibilmente, risultato appartenere a ((OMISSIS)) B.M.G.. Lo ha ammesso la stessa consulente della difesa Dott.ssa Gi. la quale ha riconosciuto che (I1) IGNOTO 1 è ((OMISSIS)) B.M.G., giungendo ad affermare che "... il profilo e la tabella, quindi i numerini nella tabella, ovviamente anche un bambino di cinque anni vede che sono identici..."".

L'affermazione della Dott.ssa Gi. è travisata: la genetista ha semplicemente constatato che i "numerini" contenuti nelle tabelle alla stessa sottoposte evidenziavano la stessa sequenza. La consulente non è entrata nel merito del come si sia giunti a quelle tabelle, sicchè è impossibile attribuire alla stessa quanto affermato in sentenza.

2.10.3. La sentenza è infarcita di altri travisamenti ed errori gravi: a pag. 250 della sentenza, si legge: "che il prof. Pi. a Milano ha eseguito autonomamente le analisi sulle aliquote dei campioni 31-G15 e 31-G16, consegnategli dal Prof. Ca. e sulle aliquote dei campioni G23 e G24 consegnategli dal RIS. In particolare, con il sequenziatore presente nel suo laboratorio (con il reattivo Powerplex CS7, di cui egli disponeva e che non era in possesso del RIS) ne ha analizzati 7, di cui 2, il Penta D e il Penta E, perfettamente identici a quelli individuati dal RIS e 5 completamente nuovi".

Tale affermazione non corrisponde alla realtà degli atti processuali: il RIS non ha mai eseguito i testi denominati Penta D e Penta E su nessuno delle quattro tracce (31G15-31G16-31G23-31G24) come dal RIS stesso evidenziato nella relazione integrativa sui "raw data" (pagine 4, 6, 8 e 13).

D'altra parte, nessun consulente ha mai neppure verificato se l'imputato possiede le caratteristiche genetiche rilevate dai reagenti Penta D e Penta E, così come, peraltro, nessuno degli ulteriori sistemi genetici caratterizzati dal Dott. Pi. sono mai stati oggetto di confronto con i dati genetici dell'imputato.

2.10.4. A pag. 241 della sentenza viene in rilievo un ulteriore travisamento: "Se, dunque, è pacifico che il DNA di (I1) IGNOTO 1 appartenga a ((OMISSIS)) B.M.G., ciò significa che si condivide l'accertamento finale in base al quale si è rilevato come il profilo genetico sia stato confermato da ben 24 marcatori allelici (peraltro le linee guida ne esigono per la certezza 15)".

Il giudice di secondo grado travisa non solo quello che tutte le linee guida riportano, ossia che la percentuale di compatibilità tra traccia e campione di riferimento deve essere del 100% per poterne attribuire la riconducibilità, ma anche elementari regole di logica. Qualora si evidenziasse anche solo una differenza tra i marcatori studiati nella traccia e quelli dell'imputato, l'identificazione sarebbe fallita: quindi, non 15 marcatori, bensì 15 su 15.

Infatti, se può essere astrattamente condivisibile che "statisticamente" (ma non certo biologicamente) 15 sistemi genetici sovrapponibili tra traccia e ipotetico soggetto donatore riportino una compatibilità significativa, è inequivocabile che anche una sola non compatibilità dimostri "biologicamente" la non appartenenza dell'evidenza all'ipotetico soggetto donatore.

La Corte distrettuale dimentica la massima di esperienza scientifica, cui deve informarsi l'indagine genetica, ovverosia che, per stabilire l'appartenenza di una traccia genetica a un soggetto, vi deve essere necessariamente la totale sovrapponibilità degli assetti genetici accertati ossia quindici su quindici, sedici su sedici, ventuno su ventuno (ossia il 100%).

In questo senso, errata è poi l'affermazione di come il profilo genetico sia stato confermato da ben ventiquattro marcatori: "(I1) IGNOTO 1 è risultato per ben 24 marcatori nucleari STR" (pag. 241 sentenza).

Il Prof. P. (l'unico che ha avuto la disponibilità del campione biologico dell'imputato e che lo ha analizzato) ha confermato quanto, peraltro, riportato nella propria relazione di consulenza tecnica, ossia di aver confrontato B.M.G. ((OMISSIS)) rispetto alla traccia genetica estrapolata dal RIS a 24 marcatori genetici nucleari autosomici solamente rispetto a 21 marcatori nucleari autosomici.

La Corte distrettuale travisa quanto affermato da L. (udienza del 21 ottobre 2015, pag. 95 del verbale) che afferma: "Quindi oltre ai ventiquattro marcatori STR nucleari, abbiamo anche effettuato lo studio di sedici marcatori del cromosoma Y, e di dodici marcatori del cromosoma X. Che sono riassunti nelle due tabelle di pagina 216 e 217". Il Col. L., infatti, sta citando le due pagine della relazione RIS nelle quali vengono elencate le caratteristiche genetiche, marcatore per marcatore, di (I1) IGNOTO 1 e non dell'imputato.

Tale affermazione si scontra con ciò che viene espresso dal Prof. P. secondo il quale: "il profilo genetico dell'imputato è risultato perfettamente compatibile con quello del soggetto definito (I1) IGNOTO 1 per ventuno marcatori STR autosomici, e per diciassette del cromosoma Y. Per un totale di marcatori analizzati e compatibili di trentotto".

2.11. L'undicesimo motivo di ricorso denuncia il vizio di motivazione per mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione in relazione alla questione concernente il "livello di diluizione del volume dell'estratto utilizzato" e per travisamento della prova sulla medesima questione.

La Corte distrettuale, rigettando lo specifico motivo di appello concernente l'inspiegabile diversa concentrazione di DNA, relativamente alle aliquote prese in carico dal Col. L. per l'effettuazione della consulenza sul DNA mitocondriale rispetto a quanto verificato dal RIS con riferimento alle medesime provette, ha travisato il concetto di concentrazione con quello di quantità, pervenendo a risultanze del tutto prive di valore.

La Corte mostra, inoltre, di non aver le necessarie competenze genetiche, pervenendo ad attribuire alla difesa, con una fantasiosa inversione dell'onere della prova, la responsabilità del mancato chiarimento della questione sottoposta alla sua attenzione per non aver chiesto ai referenti del RIS contezza di tale situazione.

2.11.1. Il motivo di ricorso prosegue, poi, riproponendo la questione già discussa al decimo motivo di ricorso (par. 2.10. e segg.) 2.12. Il dodicesimo motivo di ricorso denuncia il vizio di motivazione per mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione in relazione alla questione "catena di custodia" e per travisamento della prova sulla medesima questione.

La difesa, nel proprio atto di appello, aveva lamentato la violazione della catena di custodia relativa ai reperti di materiale genetico in quanto gli stessi risultavano essere stati presi in carico dal Dott. L. (consulente della Procura) in data 28 settembre 2011 mentre, sui medesimi campioni, stando alle evidenze documentali venivano svolte ulteriori attività da parte del RIS. La Corte distrettuale, pur muovendo dalla condivisa premessa dell'importanza del rispetto della "catena di custodia", giunge alla conclusione che la procedura sia stata perfezionata, mancando di rilevare che nessuna documentazione relata alla trasmissione dei campioni esiste agli atti processuali, benchè esista una precisa normativa (L. n. 85 del 2009) che, all'art. 12, comma 3, stabilisce: "Deve essere, altresì, assicurata la registrazione di ogni attività concernente i campioni".

2.13. Il tredicesimo motivo di ricorso denuncia il vizio di motivazione per travisamento della prova sulla questione concernente "gli esiti delle analisi del campione originario 31-2".

La Corte distrettuale travisa la prova allorquando afferma che (pag. 273 della sentenza): "Da ultimo appare del tutto infondata la obiezione difensiva, sostenuta anche questa solo in sede di discussione, secondo cui non sarebbero documentati gli esiti delle analisi del campione originario 31-2, in quanto tale campione è confluito, come affermato anche dal col. L., nel campione G11".

Fermo restando che la contestazione difensiva non riguardava solo il campione 31-2, ma tutti i quattro campioni di prelievo inziale (31-1, 31-2, 31-3 e 31-4) di cui incredibilmente non vi è traccia nei raw data, pur limitandosi la questione al solo campione 31-2 citato dal giudice di appello, l'affermazione è palesemente e documentalmente travisata perchè a pag. 212 della consulenza genetica del RIS si evidenzia come nell'elenco dei campioni aventi quantità di DNA di Low Copy Number sono presenti sia i campioni Gl, G2, G3 e G4 che il campione G11.

2.14. Il quattordicesimo motivo di ricorso denuncia il vizio di motivazione per travisamento della prova sulla questione concernente "le centoquattro tra ripetizioni e amplificazioni delle componenti alleliche riconducibili a (I1) IGNOTO 1".

Secondo la difesa, il "pensiero della Corte" distrettuale che porta ad attribuire la traccia di (I1) IGNOTO 1 a ((OMISSIS)) B.M.G. (pag. 255 della sentenza) è costituito dalla seguente frase: "in queste centoquattro tra ripetizioni e amplificazioni le componenti alleliche riconducibili a (I1) IGNOTO 1 erano riscontrate dai consulenti S. e Ge. in settantuno analisi...".

L'affermazione è però una diretta conseguenza del reiterato travisamento di atti e di principi di genetica forense, avendo la Corte di secondo grado pedissequamente e acriticamente recepito la posizione accusatoria che ha erroneamente considerato come unica traccia quelle che in realtà sono tracce diverse in ragione del fatto che, trattandosi di tracce non visibili, si è proceduto "alla cieca", sezionando i brandelli degli indumenti così accomunando tracce miste, come anche afferma il prof. P. (pag. 190 del verbale 12 febbraio 2016), peraltro con accertamenti non ripetibili in spregio degli insegnamenti della giurisprudenza di legittimità (sentenza n. 36080/2015).

2.15. Il quindicesimo motivo di ricorso denuncia il vizio di motivazione per mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione in relazione alla questione concernente i "raw data" e per travisamento della prova sulla medesima questione.

Nel motivo in esame la difesa, dopo avere riprodotto per oltre 150 pagine (da 199 a 363 del ricorso) una descrizione dettagliata delle argomentazioni sviluppate dalla difesa (riportate nella memoria depositata in appello) in merito ai "raw data", ricorda di avere ripetutamente richiesto la nomina di un perito chiamato a verificare nel contraddittorio delle parti le sopra richiamate censure, senza avere ottenuto una effettiva risposta poichè la Corte distrettuale ha inteso trasferire sulla difesa l'onere di contraddire alle argomentazioni dell'accusa.

In particolare, la Corte distrettuale:

- ha erroneamente affermato che le tabelle prodotte dalla difesa in allegato ai motivi aggiunti dichiarati inammissibili contengono dati diversi da quelli acquisiti e non sono individuabili i raw data di riferimento, mentre la prima colonna si riferisce proprio ad essi;

- ha erroneamente tacciato di erroneità e inaffidabilità le diapositive mostrate dalla difesa in sede di discussione, nonchè il contenuto della memoria;

- ha erroneamente affermato che la difesa aveva evidenziato quale allele estraneo un allele sovrannumerario, mentre non c'è alcuna contraddizione tra le due definizioni perchè un allele sovrannumerario, cioè un allele in più, è, ovviamente, un allele estraneo. La difesa, peraltro, si era limitata a una mera constatazione di quanto è evidente nei file raw, mentre a fornire un'interpretazione sono stati il cap. Ge. e il Dott. Po. che, spingendosi oltre la constatazione della presenza di un allele che non appartiene ai profili dell'imputato e di (OMISSIS) G.Y., hanno ritenuto di aggiungere che la presenza di questo "non influisce sulla chiara riproducibilità del profilo di (I1) IGNOTO 1";

- ha erroneamente affermato "che la validità del risultato analitico del (OMISSIS) non è stata contestata dalla difesa, dal momento che su tale slide non viene fatto cenno a controlli positivi e negativi falliti", mentre è proprio la presenza di alleli in più a costituire motivo di contestazione della validità del risultato analitico. Alla luce della presenza di questi alleli, la logica non può che imporre una scelta tra due possibilità mutuamente escludentesi;

- ha erroneamente affermato "che nelle slide vengono evidenziate soltanto 4 alleli su 2 elettroferogrammi (oltre tutto di minima intensità RFU percettibile), laddove in tutti gli altri 16 elettroferogrammi riferiti sempre al 31-G20, il difensore ha parlato genericamente e immotivatamente di violazione delle linee guida (accennando sia a calibrazione errata, senza specificare in base a quali elementi ha potuto stabilire ciò, sia a catena di custodia violata, senza alcun riferimento logistico, ovvero senza alcuna indicazione del momento in cui tale violazione sarebbe stata perpetrata e da quale soggetto o figura professionale), mentre la difesa ha evidenziato: 1) la presenza di alleli soltanto nei risultati di tre analisi perchè tutte le altre analisi hanno restituito elettroferogrammi o del tutto privi di alleli o elettroferogrammi che mostrano palesemente decine e decine di picchi in più in ogni canale; 2) che ogni grafico è caratterizzato dalla lampante presenza di decine di picchi in più localizzati su tutti i marcatori; 3) le violazioni evidenziate dalla difesa trovano riscontro negli atti del processo (la calibrazione errata trova riscontro nel manuale del kit Powerplex 16 utilizzato per le analisi che il RIS ha indicato al punto 9 della bibliografia a pag. 289 della Relazione Tecnica; la violazione della catena di custodia dei campioni risulta già sviluppata in un precedente motivo di ricorso);

- ha erroneamente sostenuto, con riguardo all'analisi del campione 31-G20 effettuata il 25.10.2011 alle ore 9:05, che il picco di 88 RFU sul controllo negativo sarebbe irrilevante e che la conferma è stata fornita dal Dott. Po., e che la difesa avrebbe attribuito a 3 campioni diversi lo stesso controllo negativo irregolare aumentando così artificiosamente il numero di anomalie, mentre: 1) la difesa si è limitata a prendere atto dell'opinione del Dott. Po., consulente di parte civile, senza che questa venisse in qualche modo messa in rapporto con le considerazioni in senso contrario espresse dai consulenti della difesa. Non essendo in dubbio l'effettiva presenza del picco contestato, bisognava stabilire se l'entità di tale picco, 88 RFU, fosse tale da invalidare il controllo negativo. Il giudice di secondo grado ha deciso di ritenere valida la posizione di un consulente di parte senza fornire motivazione alcuna e senza affrontare le questione sollevate dalla difesa; 2) la difesa non ha aumentato artificiosamente il numero di anomalie perchè i dati raw relativi all'analisi del 25 ottobre 2011 ore 9:05 dimostrano chiaramente che i 3 campioni 007, 009 e 0011 sono stati effettivamente analizzati sulla stessa piastra del controllo negativo e provengono tutti dalla cartella e condividono con il controllo negativo lo stesso codice della piastra;

- ha erroneamente affermato che esisterebbero tre repliche dell'analisi sul campione 31-G19 del 4.5.2011 ore 15:24 che rendono il profilo ottenuto perfettamente valido e che dall'accostamento a pag. 504 e segg. del supplemento del RIS emergerebbe una notevole ridondanza tra i profili 31-G18, 19, 20, 23 e 24, mentre: 1) non sono mai state effettuate tre repliche dell'analisi datata 4.5.2011 ore 15:24 sul campione 31-G19, perchè, come si evince dai raw data e dalla Relazione Integrativa del RIS, il campione 31-G19 analizzato in data 4.5.2011 solo due volte (pagine 524 e 535), quindi, anche ipotizzando che il giudice possa avere commesso un errore materiale nell'enumerare le repliche, l'eventuale confronto tra le due sole analisi esistenti non restituirebbe un profilo valido poichè entrambe le analisi presentano alleli mancanti e, quindi, profili diversi (in una, rispetto al profilo del DNA di ((OMISSIS)) B.M.G., è assente l'allele 29 sul marcatore D21S11, l'allele 10 sul marcatore D7S820, l'allele 13 sul marcatore D13S317, e l'allele 22 sul marcatore FGA; nell'altra, manca l'allele 10 sul marcatore D7S820, l'allele 13 sul marcatore D13S317, l'allele 23 sul marcatore FGA; 2) gli elettroferogrammi (pag. 504 e segg. della Relazione Integrativa del RIS) che dimostrerebbero una notevole ridondanza tra i profili 31-G18, 19, 20, 23 e 24, sono proprio il frutto dell'errore di prospettiva seguito dal giudice che ha dato incarico di sviluppare, nell'immensa mole di materiale, soltanto quelli a favore dell'accusa, sommando cioè i dati che confermano una tesi e omettendo quelli che la confutano.

2.16. Il sedicesimo motivo di ricorso denuncia il vizio di motivazione per mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione in relazione alla questione concernente il "DNA mitocondriale" e per travisamento della prova sulla medesima questione.

L'imputato è stato condannato in ragione di una supposta sua identificazione con (I1) IGNOTO 1, tuttavia dagli atti emerge in maniera lampante che, a fronte di una compatibilità su parte dei marcatori genetici nucleari (non tutti infatti quelli caratterizzati sulle diverse tracce sono stati poi confrontati con il profilo dell'imputato, Penta C, Penda D, Penta E, Fes/Fps, Lpl, F13A01, F13B di cui alla tabella della relazione Pi. - c. e 12 marcatori X-STR di cui alla tabella della Relazione RIS), vi è una assoluta incompatibilità con il profilo mitocondriale di (I1) IGNOTO 1.

E' doveroso premettere che, all'esito di una consulenza dei genetisti Dott. P.C. e Dott.ssa Gr., espletata in fase di indagini preliminari su incarico del Pubblico ministero, emergeva quella che è la tematica di maggior dibattito scientifico, svoltosi durante tutto il processo di primo grado ossia la totale assenza del DNA mitocondriale dell'odierno imputato (e la contestuale presenza di altro DNA mitocondriale) nella tracce rinvenute sugli indumenti (slip e leggins) della vittima poi ricondotte, esclusivamente per la componente DNA nucleare, all'imputato. Tale situazione assolutamente peculiare rende, ad avviso della difesa, il caso un unicum nella storia giudiziaria italiana.

La questione posta dalla difesa può essere sintetizzata secondo questa sequenza argomentativa: qualsiasi deposizione di materiale biologico di qualsivoglia origine non può prescindere dall'inevitabile trasferimento del contributo genetico sia nucleare che mitocondriale nella propria interezza; nel caso in specie, nel materiale biologico depositato da (I1) IGNOTO 1, risulta esservi soltanto il contributo genetico nucleare, essendo del tutto assente quello mitocondriale; quindi, il materiale biologico attribuito a (I1) IGNOTO 1 ha caratteristiche che non possono avere una spiegazione scientifico-processuale al di là di ogni ragionevole dubbio.

Secondo la difesa, poste queste premesse, è praticamente impossibile giustificare scientificamente l'assenza del DNA mitocondriale dell'imputato nelle tracce allo stesso attribuite (all'udienza del 12 febbraio 2016 il consulente della difesa, Dott. C., che cita il noto genetista G.P., ha precisato che di fronte a un DNA nucleare sufficientemente abbondante ci si aspetterebbe di trovare un profilo mitocondriale ancora più significativamente abbondante).

Sostenere, come fa in proposito la sentenza impugnata, che la "goccia" di G.Y. (OMISSIS) abbia inficiato tutto il "mare" di DNA di (I1) IGNOTO 1 è una contraddizione talmente evidente che non merita ulteriori approfondimenti ed è tale da determinare essa sola l'illogicità della motivazione.

La Corte d'assise d'Appello, che ha recepito l'impostazione accusatoria e le emergenze della Corte di primo grado, allo scopo di superare tale evidente anomala situazione ha preferito spostare l'attenzione su un problema ben diverso, ossia la difficoltà della indagine su tracce miste unitamente alla scarsa capacità identificativa del DNA mitocondriale, anche in considerazione del fatto che detta analisi era stata condotta per mere finalità investigative e non di identificazione.

Non può affermarsi che la contestuale presenza di un DNA nucleare, che certamente identifica l'imputato, e di un DNA mitocondriale, che certamente esclude il medesimo, possa essere risolta a favore del primo; occorre una spiegazione scientifica che giustifichi la situazione, altrimenti il fenomeno registrato renderà il dato in sè contraddittorio e, quindi, inaffidabile.

In disparte la limitata capacità identificativa del DNA mitocondriale, che come noto identifica l'intera linea materna, ciò che rileva è la sua capacità di esclusione (non solo del soggetto, ma di tutti quelli in linea materna con lui), argomento sul quale la Corte distrettuale non fornisce alcuna motivazione, ma anzi tenta di sminuirne il significato sostenendo che le analisi condotte sui campioni misti non siano attendibili, nemmeno ai fini investigativi (pag. 273 della sentenza), sicchè la sentenza è viziata per contraddittorietà perchè, dimenticando lo sforzo compiuto per l'analisi del DNA mitocondriale, si accontenta di affermare che non ha capacità identificativa.

Per attribuire la compatibilità in termini significativi tra due campioni è necessaria la sovrapponibilità di un elevato numero di marcatori (capacità di identificazione), per stabilirne, invece, la diversa riferibilità ne basta invece uno solo divergente (capacità di esclusione). La sentenza aggira il problema, affermando che il DNA mitocondriale non è identificativo di un unico soggetto (ma della intera linea matrilineare) e sottolineando come il Dott. L. abbia inteso precisare come la componente minoritaria, da lui rinvenuta nella traccia 31G20, fosse, in realtà, "una componente, una componente non una persona" (pag. 277 sentenza), assumendo la Corte distrettuale che è da escludere "che tale componente fosse riferibile univocamente ad una persona".

Ma, in termini biologici, è indubbio che una componente organica è necessariamente correlata a un'entità (biologica) e qualsiasi indicazione in senso contrario è ovviamente priva di qualsiasi valenza scientifica, sicchè l'affermazione della Corte distrettale è del tutto illogica laddove postula che ciò che è caratteristica del tutto (entità biologica) non vale per le sue componenti.

In conclusione, (I1) IGNOTO 1 non può essere ((OMISSIS)) B.M.G. e non può esserlo perchè è la scienza stessa e la logica scientifica che lo escludono. Nel caso in esame, nella traccia 31G20 è presente un DNA mitocondriale sicuramente non riconducibile nè a (OMISSIS) G.Y. nè all'imputato e tale dato è oggettivo e ammesso da tutti i consulenti che hanno operato sul DNA mitocondriale. Per la Corte, però, tale situazione andrebbe ricondotta a una impossibilità di accertare nei reperti il DNA mitocondriale dell'imputato e non già alla circostanza che non vi sia (pag. 279).

Si tratta, però, di una chiarissima fallacia, in quanto dal fatto che non si possa dimostrare qualcosa (nel caso, la presenza del mitocondriale di (I1) IGNOTO 1), si giunge alla conclusione che comunque sia presente, in quanto non si possa escludere che non vi sia.

Non risponde, peraltro, al vero che il Dott. C., come invece afferma la sentenza impugnata, non sia stato in grado di fornire un'opinione in merito perchè non ha avuto a disposizione "i dati tecnici", perchè il consulente ha semplicemente affermato che "per fare un discorso serio" avrebbe bisogno "di tutto quanto a disposizione e di studiarlo", ma, come si è già visto, la Corte distrettuale ha negato l'autorizzazione all'esame dei reperti.

2.17. Il diciassettesimo motivo di ricorso denuncia il vizio di motivazione per mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione in relazione alla questione concernente la "eteroplasmia" e per travisamento della prova sulla medesima questione.

Per fornire una spiegazione al mancato reperimento del DNA mitocondriale dell'imputato, la Corte distrettuale muove dalla premessa che "non può certo affermarsi che il mancato rilevamento del DNA mitocondriale di ((OMISSIS)) B.M.G., dopo che è stato accertato il suo DNA nucleare, costituisca un'effettiva anomalia in quanto, come anche affermato la Prof. Gi., la ricerca del DNA mitocondriale su traccia è assolutamente sconsigliata, anche in considerazione di una possibile eteroplasmia di uno dei contributori", assumendo che il fenomeno sia spiegabile con l'esistenza di una possibile eteroplasmia della vittima, mentre il Prof. Ca. (pag. 11 della propria consulenza) così concludeva: "dall'analisi globale, si può concludere che il genoma mitocondriale della vittima rappresenta circa l'85% del DNA mitocondriale umano nella miscela estratta dai reperti 31G23 e 31G24, mentre il 14 - 15% del DNA mitocondriale umano è da considerarsi appartenente ad altro/i individuo/i".

Nella sentenza si precisa (pag. 283): "ma nel caso in esame, il Prof. Ca. ha accertato la presenza di eteroplasmia, accertata anche nel capello di (OMISSIS) G.Y., confermando la concreta possibilità che la componente minoritaria apparsa sia sempre della stessa (OMISSIS) G.Y. che, a causa della eteroplasmia ha subito un mutamento genetico nei suoi stessi tessuti".

Ad avviso della difesa, quanto sopra richiamato non risponde alla verità processuale, in considerazione del fatto che il consulente non ha mai analizzato alcun campione di riferimento (non sangue, non tessuto muscolare, non tessuto osseo, non tessuto cerebrale, etc.), affermando che i reperti di (OMISSIS) G.Y. non erano più disponibili (verbale 20 novembre 2015, pag. 122), peraltro il Prof. Ca. ha semplicemente analizzato con metodica NGS l'estratto prodotto dal Prof. P. di un capello che, come si rileva dalla consulenza P., non era stato accertato fosse della vittima, ma mostrava una semplice compatibilità rispetto al sicuro campione di riferimento costituito dal reperto 07/13/YG diafisi femorale di (OMISSIS) G.Y..

D'altra parte, l'eteroplasmia è affacciata soltanto a livello di ipotesi dai consulenti (eventuali fenomeni eteroplasmici sono solo prospettati quali residuali e possibilistici: "alternativamente, i due aplotipi riscontrati potrebbero entrambi appartenere a (OMISSIS) G.Y. in virtù di eteroplasmia a livello del tessuto ematopoietico" - consulenza Ca.), mentre la Corte distrettuale giunge ad affermarne la sicura esistenza.

2.18. Il diciottesimo motivo di ricorso denuncia il vizio di motivazione per mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione in relazione alla rinnovazione del dibattimento per disporre la perizia genetica, sia con riguardo alla totale rinnovazione della perizia genetica a partire dall'esame del DNA, sia, in subordine, alla semplice rinnovazione delle verifiche documentali sui dati del DNA estratti dal RIS. Tutto ciò che concerne le questioni genetiche è stato deciso senza contraddittorio sulla base delle argomentazioni sviluppate dai consulenti dell'accusa; l'imputato non ha mai potuto adeguatamente difendersi dalle accuse mossegli, in quanto non ha mai potuto interloquire su quello che è l'unico elemento che asseritamente lo ricollega al delitto; solo un'effettiva attività di verifica sui reperti, unitamente alla possibilità di nuove indagini sugli stessi, avrebbe potuto consentire di accertare se le numerose anomalie, denunciate dalla difesa, fossero realmente tali da inficiare il risultato ottenuto dal RIS. 2.18.1. L'esigenza di una perizia in ambito genetico del DNA presente sugli indumenti della vittima e quello dell'imputato appositamente estratto, era stata sottolineata già dal Tribunale di Brescia, in funzione di tribunale del riesame, quando, con ordinanza del 10 marzo 2015, nell'ambito del riesame proposto dalla difesa che aveva rappresentato come a seguito del deposito della relazione dei consulenti P. e Gr. fosse emersa una importante anomalia che faceva dubitare dell'esatta attribuzione del DNA di (I1) IGNOTO 1 all'imputato (mancanza del DNA mitocondriale), aveva chiarito che "l'anomalia denunciata dalla difesa concernente gli esiti delle indagini sul DNA mitocondriale non trova dunque una soluzione netta, di tal che le aporie potranno trovare composizione solo se saranno espletate analisi aggiuntive, in sede di perizia, in dibattimento o nel corso di incidente probatorio".

La Suprema Corte, investita del ricorso avverso l'ordinanza di cui sopra, pur ritenendo la pronuncia impugnata corretta in quanto non viziata da evidenti errori nell'applicazione delle regole della logica, dava atto come il tribunale del riesame si fosse fatto "onestamente carico dell'incongruenza riscontrata nell'analisi del DNA mitocondriale sulle tracce 31G19-31G20, in cui non era evidenziabile il DNA mitocondriale del B.M.G. ((OMISSIS))".

La richiesta di perizia, già rigettata in sede di udienza preliminare sotto forma di incidente probatorio, subiva lo stesso trattamento dalla Corte d'assise di Bergamo che rigettava la richiesta ritenendo che "l'approfondimento dell'istruttoria sul punto palesa come non decisivo ogni ulteriore accertamento" (ordinanza 22 aprile 2016).

La difesa ha riproposto sostanzialmente le medesime istanze anche al giudice dell'appello, il quale è pervenuto parimenti al rigetto attraverso una motivazione che non parte più dalla valutazione della necessità dello strumento peritale richiesto, ma articola il ragionamento muovendo dal presupposto che "non vi sono più campioni di materiale genetico in misura idonea a consentire nuove amplificazioni e tipizzazioni" (pag. 288), sicchè la perizia "sarebbe un mero controllo tecnico sul materiale documentale e sull'operato del RIS (e, quindi, la famosa perizia genetica sarebbe necessariamente limitata ad una mera verifica documentale circa la correttezza dell'operato del RIS e delle consulenze dell'accusa pubblica e privata)".

Sembrerebbe, quindi, che se vi fossero stati campioni in misura idonea, la perizia sarebbe stata concessa. Sul punto la difesa richiama il terzo motivo di ricorso (paragrafo 2.3.) con il quale si denuncia l'erronea affermazione dell'inesistenza di campioni biologici.

2.18.2. La Corte, peraltro, ritiene che anche la "perizia documentale", concretizzandosi in un mero controllo sull'operato del RIS, sia "assolutamente superflua e non necessaria ai fini della decisione" sulla base delle seguenti argomentazioni: 1) insussistenza di un effettivo e apprezzabile contrasto tra le consulenze di accusa e difesa; 2) valutazione comparata delle consulenze dell'accusa e delle obiezioni del consulente della difesa; 3) ammissioni rese dallo stesso consulente della difesa; 4) peculiarità del caso in esame laddove è radicalmente scongiurata l'ipotesi una contaminazione di DNA da trascinamento.

Gli argomenti su cui si fonda l'ordinanza sono erronei, contraddittori e inesistenti:

1) nell'ambito della stessa sentenza (Pag. 239 sentenza) si afferma che: "Il contrasto tra consulenti dell'accusa e consulenti della difesa riguarda essenzialmente due temi: 1) la rilevazione del dato tecnico, cioè la procedura di accertamento del DNA nucleare, ovvero se essa abbia rispettato i protocolli internazionali; 2) La rilevanza del dato tecnico, cioè se la mancata individuazione del DNA mitocondriale escluda che l'accertato DNA nucleare abbia univoco valore identificativo". D'altra parte, i temi di contrasto tra accusa e difesa sono tanti:

- per l'accusa il DNA rinvenuto sugli indumenti della vittima identifica l'imputato; per la difesa l'assenza della componente mitocondriale dell'imputato nelle tracce in questione esclude tale possibilità di attribuzione (sedicesimo motivo di ricorso - paragrafo n. 2.16.; audizione del consulente della difesa Dott. C. all'udienza del 12 febbraio 2016);

- sulla possibilità di utilizzo di Kit scaduti nell'effettuazione delle analisi genetiche (settimo motivo di ricorso - paragrafo n. 2.7.);

- sulla necessità di controlli positivi e negativi validi a corredo di ciascuna analisi elettroforetica (ottavo motivo di ricorso - paragrafo n. 2.8.);

- sulla traccia biologica da cui è stato estratto il DNA di (I1) IGNOTO 1; per l'accusa quelle esaminate sono campionature di una medesima traccia per la difesa si è in presenza di più tracce (tema trattato anche al sedicesimo motivo di ricorso -paragrafo n. 2.16.);

2) non è stata svolta nessuna valutazione comparata delle consulenze dell'accusa e della difesa, in quanto la Corte distrettuale si è integralmente affidata all'attività svolta dalla polizia giudiziaria e dai consulenti del Pubblico ministero, violando i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 4, 13 dicembre 2010, n. 43786);

3) non vi sono affatto "ammissioni rese dallo stesso consulente della difesa", tant'è che, contrariamente a quanto affermato in sentenza, la Dott.ssa Gi. non ha mai affermato di avere ripetuto personalmente l'analisi sulla discendenza (OMISSIS) G.G.B. - ((OMISSIS)) B.M.G. (questione già denunciata al decimo motivo di ricorso - paragrafo n. 2.10.2.).

E' censurabile, inoltre, la motivazione della sentenza laddove ritiene inutile, in mancanza dei campioni, una perizia sulla "carta". In disparte il diverso peso rispetto al confronto in contraddittorio del DNA, la perizia richiesta in via subordinata consentirebbe la verifica del rispetto dei protocolli internazionali in punto di validità degli accertamenti, di correttezza delle ripetizioni, di assenza di contaminazioni.

La Corte distrettuale ha negato ogni verifica, ha rifiutato di ascoltare spiegazioni in merito, senza tuttavia procedere direttamente all'analisi dei dati grezzi, e, quando lo ha fatto per i pochi campioni indicati, ha dimostrato di non saperlo fare, incorrendo in marchiani errori di valutazione.

2.19. Il diciannovesimo motivo di ricorso denuncia la violazione di legge in ordine alla sussistenza di un quadro indiziario grave, preciso e concordante, la totale inosservanza delle norme a disciplina della valutazione della prova; il vizio della motivazione per illogicità, contraddittorietà e talvolta non aderenza al vero (travisamento) a sostegno del quadro indiziario, l'apparenza della motivazione.

2.19.1. Si chiede la censura in diritto del punto della sentenza laddove afferma come la semplice "attribuzione del DNA all'imputato costituisca elemento di prova (e non di semplice indizio) della realizzazione dell'omicidio".

In generale va evidenziato che il dato genetico non può diventare prova per affermare un fatto diverso (dinamico/omicidio) da quello che rappresenta (statico/presenza); esso può dimostrare, anche come prova, una presenza, un contatto, ma non un omicidio, in relazione al quale rimane comunque un indizio.

L'impianto argomentativo della sentenza qui impugnata è la trasformazione del dato genetico da semplice indizio di contatto, a prova di un omicidio, a causa della posizione in cui è stata rinvenuta la traccia.

La collocazione della traccia finisce così per costituire il tramite per compiere un salto logico per affermare la colpevolezza dell'imputato: si passa dal rinvenimento della traccia, all'attribuzione della stessa (passaggio, peraltro, senza alcuna legittima prova), per poi spingersi, per il tramite della collocazione, dall'attribuzione della traccia al contatto con la vittima e approdare, infine, alla prova del coinvolgimento nell'omicidio.

Non c'è bisogno di scomodare la logica per rilevare, in questo rocambolesco percorso a salti, un'argomentazione fallace con la quale l'accusa pretende di passare dalla prova della traccia alla prova della colpevolezza, con buona pace del ragionevole dubbio.

Come dire che è sufficiente un elemento con caratterizzazione statica, come la collocazione/posizione della traccia, per giustificare l'assenza della minima motivazione della Corte in relazione alle ipotesi alternative e pervenire a inferire (da quell'elemento statico) il coinvolgimento nell'azione omicida. Non si vede come si possa inferire da elementi statici l'evidenza di elementi dinamici senza l'adeguato supporto di ulteriori elementi dinamici che giustifichino siffatta operazione logica.

Invece, ogni prova, persino quella genetica, da sola è difficilmente risolutiva e pretende perciò d'essere calata in un più ampio contesto che globalmente assecondi una certa ricostruzione dei fatti.

2.19.2. Nel caso in esame, del resto, il dato genetico è inaffidabile perchè non falsificabile (verificabile) mediante la ripetizione dell'accertamento che era, peraltro, stato compiuto in violazione dei protocolli e delle regole tecniche.

Il principio della necessaria correttezza metodologica nelle fasi di raccolta, conservazione e analisi dei dati biologici, tali da preservarne integrità e genuinità, come necessario presupposto della successiva valenza processuale dei relativi esiti - sia che a essi si assegni portata probatoria (in termini di certezza dell'identificazione della persona), sia che si conferisca loro portata indiziaria (in termini di compatibilità), trova giustificazione nella stessa nozione di indizio offerta dall'art. 192 c.p.p., comma 2.

Pertanto, il dato di analisi genetica, se incerto e contraddittorio, come nel caso in specie, non può dirsi dotato dei caratteri della gravità e della precisione, sia in ipotesi di identità, che di mera compatibilità con un determinato profilo genetico, a tale dato non potendosi riconnettere rilevanza alcuna, neppure di mero indizio (sez. 5, 27/03/2015, n. 36080).

2.19.3. La sentenza impugnata rivela un vizio di contraddittorietà laddove vuole attestare l'attribuibilità dell'omicidio al contributore estraneo della traccia (in ipotesi: l'imputato), con riferimento alla collocazione della stessa in una zona significativa (slip), ma incorre in una evidente incompatibilità logica quando afferma (pag. 230) che la traccia è stata rinvenuta nella parte anteriore degli slip e nella parte anteriore dei leggings, mentre altrove afferma (pag. 289) che la traccia è stata rinvenuta in corrispondenza della ferita al gluteo.

Ad avviso della difesa, la ferita al gluteo è inferta sulla parte posteriore della vittima, sicchè non è possibile contestualizzarla con il rilascio di una traccia (di sangue) sulla parte anteriore della stessa.

D'altra parte, risulta documentata (dalle immagini allegate al ricorso) l'inspiegabile manomissione del reperto (slip e leggings) che desta gravi perplessità e seri dubbi circa la possibilità di contaminazione del reperto più importante.

In ogni caso, la fotografia allegata al ricorso attesta in modo inequivocabile l'impossibilità di una sovrapposizione delle tracce dei leggings con quelle degli slip, essendo presente nella fotografia sia il punto di ritrovamento della traccia genetica sullo slip (così come identificato dal RIS), che il punto di ritrovamento della traccia genetica sui leggings, punti che per però non combaciano.

2.19.4. La motivazione della sentenza in punto di impossibilità di contaminazione accidentale per negligenza e/o imperizia degli operatori, che avrebbero agito con tutte la misure cautelari del caso (uso di camici, maschere, guanti, calzari monouso) (pag. 244), è smentita da quanto invece risulta dai filmati effettuati in corso di accertamento (stralcio delle immagini in allegato al ricorso) che mostrano invece la violazione delle più elementari regole di cautela sia sul luogo di rinvenimento (non sono usati calzari, maschere e cuffie, viene calpestata ripetutamente la body bag....), sia in laboratorio di medicina legale (gli indumenti della vittima vengono riposti su un tavolo che presenta evidenti macchie, il giubbotto viene appoggiato sul corpo della vittima, ecc.).

2.19.5. La sentenza impugnata non ha voluto neppure prendere in considerazione l'ipotesi alternativa di una contaminazione volontaria da parte di terzi prima del ritrovamento, contaminazione che non è possibile escludere, atteso che è stato provato come il sangue dell'imputato, che soffriva di epistassi e si era infortunato in cantiere in quel periodo, poteva essere rinvenuto da chiunque avesse interesse a depistare le indagini.

Ulteriore prova di una possibile, alquanto probabile, contaminazione deriva dal fatto che la traccia genetica rinvenuta non può che essere stata conferita in epoca successiva all'omicidio, atteso che: - la traccia in questione è stata esaminata anche dalla polizia scientifica, in persona della Dott.ssa A., che all'udienza del 13 novembre 2015 ha manifestato il proprio stupore con riferimento alla qualità della stessa, avuto riguardo alla situazione di deterioramento del corpo della vittima in avanzato stato di decomposizione; tutto l'abbigliamento della vittima era stato ampiamente dilavato dagli eventi atmosferici (pioggia e neve) sulla parte esposta, ossia proprio quella ove è stata rinvenuta la traccia (è dato scientificamente acquisito che il DNA sia idrosolubile, sicchè le condizioni climatiche caratterizzate da pioggia, neve o umidità conducono alla dispersione del DNA stesso); - ulteriore elemento di criticità relativo alla conservazione del DNA è la sottoposizione dello stesso a ripetuti fenomeni di congelamento e scongelamento (costituisce fatto notorio che nel periodo in questione - dal (OMISSIS) - la temperatura per 28 volte è passata da sotto lo zero termico a sopra lo zero termico; - incomprensibile e illogico appare il ragionamento relativo al rilascio della traccia da parte della lama del coltello, circostanza di pura fantasia, nè mai provata, nè mai nemmeno ipotizzata (cosa si vorrebbe sostenere? Che la lama abbia attinto prima l'assassino e poi la vittima, trasferendo su di essa il proprio sangue? Così ragionando non si potrebbe escludere un trasferimento del DNA dell'imputato raccolto altrove dalla medesima lama. Si è sempre sostenuto il contrario, ossia che l'assassino, dopo aver inferto le ferite, si fosse tagliato e rilasciato il sangue sul corpo).

La realtà narra invece di una traccia di sangue copiosa (ma invisibile...), rimasta tre mesi alle intemperie (ma intatta...) e di una perfetta corrispondenza tra traccia sui leggings e sugli slip, così smentendo categoricamente la tesi dell'assassino che si taglia nello sferrare le coltellate, per il semplice fatto che in tal caso il sangue avrebbe imbrattato i leggings in posizione non corrispondente agli slip in posizione combaciante, avendoli già spostati nella posizione post taglio, in cui sono stati trovati (prima del rimaneggiamento...).

2.19.6. Ad avviso della difesa, eliminato l'indizio genetico perchè inesistente, inaffidabile, non indicativo, nè conclusivo in punto di responsabilità, null'altro è stato possibile valorizzare se non una serie di indizi, per nulla gravi, precisi e concordanti, ma "adattati" all'imputato, come si sarebbe potuto fare per chiunque altro stante la loro intrinseca genericità e inadeguatezza.

La sentenza impugnata muove da alcuni punti non condivisibili e comunque non rilevanti.

2.19.6.1. Si è detto che l'imputato sarebbe responsabile in quanto è stato trovato il DNA di una persona abitante nella zona, ma la circostanza non rileva, trattandosi di zona popolata da migliaia di persone e comunque non potrebbe escludersi che un delitto tanto efferato sia stato compiuto da un criminale in trasferta, proprio per il rischio di essere facilmente riconosciuto.

2.19.6.2. Si è detto che l'imputato sarebbe responsabile perchè dedito ad attività lavorativa in campo edile, ma la circostanza non rileva atteso che la zona della bergamasca conta una delle più alte concentrazioni al mondo di imprese edili rispetto agli abitanti; inoltre non è stato provato che l'omicidio sia stato compiuto da un operatore edile, ma, al limite, in un luogo ove erano presenti materiali di cantiere.

2.19.6.3. Si è detto, infatti, che gli indizi che riconducono al mondo dell'edilizia sarebbero la presenza di calce e le sferette metalliche rinvenute sul corpo della vittima, ma la circostanza a nulla rileva, atteso che è stato provato che la vittima era figlia di un operatore in campo edile e che in quel periodo l'immobile accanto alla sua abitazione era interessato da lavori di ristrutturazione; inoltre nessuna attività investigativa di comparazione era stata eseguita sui suoi familiari, al fine di verificare analoghe contaminazioni.

2.19.6.4. Si è detto che un ulteriore indizio sarebbe la presenza di fibre tessili sul corpo compatibili con quelli che componevano i sedili dell'autocarro dell'imputato, ma la circostanza non rileva atteso che nessun accertamento, ancora possibile in contraddittorio a mezzo dell'invocata perizia, è stato eseguito per comparare le fibre rinvenute con quelle dei sedili.

2.19.6.5. Si è detto che l'autocarro dell'imputato sarebbe stato immortalato dalle telecamere in zona, ma la circostanza è stata smentita dagli accertamenti eseguiti, ancora esperibili a mezzo dell'invocata perizia, che hanno escluso che il mezzo raffigurato, per dimensioni e caratteristiche, fosse quello dell'imputato, tanto che anche la sentenza di primo grado aveva escluso tale indizio.

2.19.6.6. In considerazione del fatto che tutti i predetti elementi non hanno consentito di confortare il dato genetico, risultando neutri e comunque non individualizzanti, la Corte di secondo grado ha tentato di valorizzare la mancanza di alibi, con ciò, però, ponendosi in aperto contrasto con la giurisprudenza di legittimità che la ritiene una circostanza neutra, inidonea a sorreggere l'abduzione indiziaria (Cass., Sez. Un., 4 febbraio 1992, n. 6682, Musumeci, Rv. 191231; 21 ottobre 1992, n. 1653, Marino, Rv. 192470).

2.19.6.7. Si è allora illegittimamente cercato di indagare sulla personalità dell'imputato, attività istruttoria vietata, andando a esaminare tutto il materiale informatico, rinvenendo una sola ricerca di interesse allo stesso in astratto addebitabile, peraltro distante circa quattro anni dal fatto.

2.19.6.8. D'altra parte, non esiste neanche la prova che l'imputato avesse mai conosciuto o addirittura visto la sua vittima, mentre la presenza di una macchia sugli indumenti ha assorbito ogni considerazione, argomentazione, confutazione dialettica.

2.19.7. La sentenza qui impugnata merita censura in punto di valutazione e considerazione dell'indizio relativo alla presenza dell'imputato sulla scena del "rapimento" della vittima incentrata sull'errata analisi del traffico telefonico e delle celle di aggancio dell'utenza in uso all'imputato, indizio che pertanto deve essere scartato.

L'analisi delle celle telefoniche ha portato infatti a un unico risultato decisivo: vittima ed imputato non sono mai entrati in contatto fra loro, neppure il giorno del fatto, trovandosi distanti fra loro. La motivazione della sentenza impugnata che, travisando le risultanze, afferma il contrario, merita totale censura.

La conclusione è basata su un'errata comprensione del dato tecnico, frutto della non conoscenza della materia e delle basilari nozioni della stessa (la Corte distrettuale non conosce la differenza tra mappa di copertura e tabulato telefonico), nonchè di evidente travisamento dei dati processuali, che invece, se correttamente valutati, avrebbero portato a conclusioni differenti, poichè la mappa indica una possibile area di copertura di una singola cella (o settore di cella) e, quindi, consiste in un elemento unicamente probabilistico, passibile di essere contrastato e modificato da un dato certo quale il tabulato telefonico: ne consegue che, a fronte di un dato accertato (aggancio cella indicato in tabulato telefonico), il dato probabilistico della mappa di copertura debba considerarsi non univoco.

Deve essere evidenziato che l'analisi delle "coperture celle" viene utilizzata dalla Corte distrettuale per ipotizzare il percorso e gli orari della vittima, sicchè, conclude il giudice di secondo grado, il prelevamento della minore deve essere avvenuto o in via (OMISSIS) o in via (OMISSIS) (altre vie non risultano percorribili in considerazione del tragitto (OMISSIS)), ma senza considerare le risultanze investigative che dimostrano che la cella 4861-1 di (OMISSIS) ha copertura solamente in due punti (percorso cancello pedonale centro sportivo; Via (OMISSIS) - casa di (OMISSIS) G.Y.). In effetti, se via (OMISSIS) non risulta coperta dalla cella in discorso e in via (OMISSIS) è presente una telecamera (che, necessariamente, avrebbe inquadrato la minore se avesse percorso detta via), ci si chiede come possa considerarsi provata la dinamica che prevede l'incontro tra vittima e carnefice in via (OMISSIS), nel momento in cui il telefono della vittima certamente agganciava la cella di (OMISSIS) (non coprente via (OMISSIS)).

D'altra parte, essendo accertato e incontestato che ben due settori su tre della cella di (OMISSIS) coprono la casa dell'imputato, l'affermazione della Corte distrettuale secondo la quale detta cella non copre la casa dell'imputato è del tutto errata, tant'è che non risulta contrastata l'affermazione difensiva secondo la quale l'imputato era a casa sua e non in giro per (OMISSIS) il giorno e all'ora del fatto.

2.19.8. La sentenza impugnata merita censura in punto di valutazione e considerazione dell'indizio relativo alla presenza dell'autocarro dell'imputato sulla scena del rapimento della vittima, che pertanto deve essere scartato; d'altra parte, la sentenza è impugnata anche in relazione al diniego di perizia sul punto.

L'autocarro dell'imputato non è stato visto da nessuno in loco, nè quello immortalato dalle telecamere può essere con certezza considerato il suo, essendo diverso per lunghezza e dettagli individualizzanti, come stabilito dalla sentenza di primo grado.

Il giudice di secondo grado, nel tentativo di far apparire credibile la motivazione, ha effettuato una ricostruzione tecnica, commettendo però marchiani errori: - definire i programmi software utilizzati dal RIS come sofisticati, mentre trattasi di programmi certamente non sofisticati come quelli utilizzati in ambito cinematografico, tanto che sono normalmente e da chiunque scaricabili da internet; - giustificare la presenza di spezzoni di video della stessa telecamera con numero di fotogrammi diverso (per medesima unità di tempo) non comprendendo che la critica difensiva era relativa alla possibile manomissione del filmato; - ritenere corretto l'allineamento temporale proposto dall'accusa basandosi sul "tabulato della telefonata operata dal cittadino svizzero", senza considerare i vari tentativi di chiamata dallo stesso effettuati; ritenere identico l'autocarro (rectius: gli autocarri) ripresi dalle telecamere di sicurezza della zona sulla base di criteri identificativi che l'istruttoria di primo grado ha accertato non esserlo; - utilizzare, per confrontare le immagini estrapolate dalle telecamere di sorveglianza (rectius: la singola immagine della singola telecamera) e considerare individualizzanti sedici elementi che sono risultati però comuni alla pressochè totalità degli I.D. del tipo in esame;

il ritenere il consulente difensivo D. non competente a effettuare valutazioni in campo video-fotografico, omettendo di considerare che il consulente ha precisato di essersi avvalso delle prestazioni professionali di un architetto; disprezzare la consulenza difensiva sulla base di superficiali ed errate valutazioni (la Corte distrettuale ha utilizzato, per squalificare la CT difensiva, il parametro "cartello" che, però, era inesistente all'epoca dei fatti); - ritenere non corretta la procedura seguita dal consulente della difesa di computare misure relative, ad esempio, al passo del veicolo e alla larghezza della cassetta portaoggetti, che si sviluppano in orizzontale procedendo, poi, alla "scalatura" sulla base di elementi verticali, dimenticando che l'operazione è stata effettuata con un software che ha trasposto automaticamente le misurazioni; - ritenere errata la consulenza della difesa per quanto attiene al particolare ripreso nell'ingrandimento fotografico di pag. 131, laddove la plastica nera è una banda che delimita il tetto del veicolo in prossimità della portiera (elemento posto parallelamente al senso di marcia del veicolo), mentre lo spazio indicato dalla difesa come elemento distintivo è trasversale al senso di marcia del veicolo; - riporta come certi dei dati (il confronto con i cinque autocarri immatricolati in provincia) che derivano dalle dichiarazioni dei consulenti dell'accusa che l'istruttoria dibattimentale ha grandemente ridimensionato (dichiarazioni pi. all'udienza (OMISSIS)); - quando si afferma che l'imputato avrebbe riconosciuto come suo il veicolo riprodotto nelle immagini provenienti dalle telecamere della zona, dimenticando che l'imputato non è mai venuto in possesso della documentazione fotografica presente nella perizia del RIS sino al giorno in cui, nel processo di primo grado, si è trattato l'argomento, sicchè l'erronea affermazione deriva dalla errata interpretazione delle intercettazioni intercorse con la moglie; - quando compie una errata rivalutazione delle dichiarazioni del teste Fe., correttamente svalutato dalla sentenza di primo grado, mentre è risultato che i ricordi del teste, relativamente al posizionamento del suo veicolo, la distanza dalla svolta in via (OMISSIS) e la velocità dell'autocarro sopraggiungente, fossero comprensibilmente imprecisi.

2.19.8.1. Il diniego di rinnovazione dell'istruttoria relativo all'espletamento di perizia di confronto tra l'autocarro dell'imputato e quello reso dalle immagini delle telecamere, si fonda su motivazione illogica e contraddittoria. Infatti, da un lato si nega l'unico accertamento utile per accertare o scartare se il mezzo dell'imputato era presente in loco, dall'altro si vuole sostenerne la possibile presenza, che tale accertamento peritale in contraddittorio potrebbe definitivamente escludere.

2.19.9. La sentenza impugnata merita censura in punto di valutazione e considerazione dell'indizio relativo alla presenza di calce sul corpo della vittima.

Un ulteriore indizio erroneamente valorizzato dalla sentenza impugnata è quello relativo alle tracce di presunta calce rinvenute sul corpo della vittima. Tale indizio non è da ritenersi in sè grave, nè preciso, nè concordante con il fatto ignoto.

L'assenza di carattere individualizzante e la neutralità rispetto all'imputato era stata recepita nella sentenza della Corte di Assise di Bergamo (pag. 117), laddove si precisava che si trattava di "calcio", come sostenuto dalla difesa e accertato dall'istruttoria, nonchè la ubiquità di detto elemento perchè comunemente presente in ogni luogo.

D'altra parte, è esperienza comune che un coltello non può causare la contaminazione ipotizzata dalla Corte distrettuale, poichè in occasione di ogni colpo la quantità di sostanza dispersa tende necessariamente a diminuire fino ad annullarsi, sicchè è impossibile rinvenirne, nella misura repertata, in varie parti del corpo della vittima.

2.19.10. La sentenza impugnata merita censura in punto di valutazione e considerazione dell'indizio relativo alla presenza di fibre tessili sul corpo della vittima, nonchè in relazione al rigetto della richiesta di rinnovazione dell'istruttoria relativo all'espletamento di perizia di confronto tra le fibre rinvenute sul cadavere e quelle che compongono i sedili dell'autocarro dell'imputato.

La sentenza considera come indiziante anche l'elemento delle fibre tessili rinvenute sul cadavere della vittima, ma tale indizio non è grave, preciso e concordante con il fatto ignoto (autore dell'omicidio).

In disparte il refuso della sentenza nella parte in cui fa riferimento alle conclusioni tecniche del CT prof. Br. (che ha ammesso che le sue conclusioni si basavano su un presupposto errato), deve essere evidenziato che sul tema delle fibre anche la Corte distrettuale è orientata nel senso della scarsa rilevanza in considerazione della accertata "compatibilità" sotto il profilo merceologico, cromatico e chimico, e corrispondenza, per ordine di grandezza, tra le fibre rinvenute sul cadavere e quelle dei sedili dell'autocarro dell'imputato.

In tema di rinnovazione dell'istruttoria, la Corte distrettuale ha negato gli approfondimenti richiesti dalla difesa perchè privi del carattere di decisività per raggiungere un giudizio di maggiore compatibilità o di vera e propria esclusione, affermando in modo illogico e contraddittorio che la sezione delle fibre acriliche è comunemente tonda, per cui appurare che anche quella delle fibre presenti sui vestiti di (OMISSIS) G.Y. fosse tonda non avrebbe fornito un'informazione individualizzante, mentre per procedere alla precisa misurazione del diametro delle fibre prelevate dagli indumenti sarebbe stato necessario asportarle dalle strip con conseguente irripetibilità dell'accertamento.

2.19.11. La sentenza impugnata merita censura in punto di valutazione e considerazione dell'indizio relativo alla presenza di sfere metalliche sul corpo della vittima.

Tale indizio non è grave, preciso e concordante con il fatto ignoto, tant'è che la sentenza della Corte di Assise di Bergamo (pag. 116) aveva già evidenziato l'assenza di funzione individualizzante dell'elemento poichè le stesse sfere venivano trovate anche presso il cantiere di (OMISSIS).

Il principio scientifico che giustificherebbe l'inferenza (rinvenimento delle sfere sul sedile dell'imputato e sull'abbigliamento della vittima: la vittima si è seduta sul mezzo di trasporto dell'imputato) è il "principio di Locard" (se una persona viene in contatto con un oggetto o con un'altra persona vi è uno scambio: lascerà qualcosa e Po.' su di sè qualcosa di quel contatto) che, però, non è applicabile al caso in esame perchè la concentrazione (intesa come quantità di sfere presenti per unità di superficie) della sorgente è detta uguale o similare alla concentrazione della ricevente, senza considerare il lasso di tempo trascorso tra gli accertamenti e l'esposizione del cadavere agli agenti esterni che hanno determinato il dilavamento.

2.19.12. La sentenza impugnata merita censura in punto di valutazione e considerazione dell'indizio relativo alla scansione temporale degli eventi in relazione a quanto emerso nelle intercettazioni ambientali.

Del tutto apoditticamente la Corte distrettuale definisce acclarato che: a) l'imputato bighellonasse per (OMISSIS), con il proprio telefono cellulare spento; b) non avesse mai voluto riferire gli accadimenti di quel pomeriggio; c) non aveva fornito alla moglie spiegazione del perchè fosse arrivato alle 19:30 o 20:00; d) quella sera usava il suo autocarro; e) l'imputato affermava di non ricordare quella giornata, ma ricordava di avere il telefono spento e che il campo fosse infangato; f) che l'imputato avesse prelevato (OMISSIS) G.Y., la avesse stordita e la avesse portata sul campo di (OMISSIS).

La sentenza (pag. 316) ha sviluppato la seguente erronea ricostruzione dello sviluppo degli accadimenti: "I tempi del prelevamento di (OMISSIS) G.Y., del suo trasbordo sul campo di (OMISSIS) e del ritorno a casa dell'imputato alla piana di (OMISSIS) sono perfettamente compatibili con un suo ritorno a casa non oltre le (OMISSIS). Infatti, partendo dall'orario delle (OMISSIS), aggiungendo 16-18 minuti per arrivare al campo di (OMISSIS) ((OMISSIS)), ipotizzando una permanenza sul posto di 15-20 minuti ((OMISSIS)) e il ritorno a casa (dipende dalla strada che ha percorso; se ha seguito la strada di (OMISSIS) si impiegano 17 minuti, seguendo altra strada 23 minuti) si è a casa alla (OMISSIS) dalle ore (OMISSIS), quindi prima delle (OMISSIS) (vedi dichiarazioni ((OMISSIS)) C.M.). Se, poi, l'assassino è ritornato sui suoi passi, passando nuovamente da (OMISSIS), per poi andare a casa, è transitato nuovamente da (OMISSIS) tra le (OMISSIS), per essere nuovamente a casa (si impiegano circa 15 minuti) intorno alle (OMISSIS) o poco dopo".

Ad avviso della difesa è errata la quantificazione del tempo (16-18 minuti) di percorrenza del tragitto tra il prelievo della vittima e il campo di abbandono, sia perchè nessuna emergenza processuale è stata acquisita sul punto, sia perchè gli strumenti informatici di uso comune consentono di accertare che la tempistica corretta nella giornata di (OMISSIS) e a un orario di traffico per il rientro casalingo (tipico delle ore (OMISSIS)), sia compreso tra 19 e 21 minuti per una autovettura, mentre per un autocarro (come quello dell'imputato) la corretta tempistica deve essere aumentata di almeno 4 minuti, con conseguente protrazione dell'orario di ritorno a casa oltre i limiti temporali stabiliti (orario della telecamera a circuito chiuso della stazione di servizio (OMISSIS) e deposizione della Sig.ra ((OMISSIS)) C.M. che colloca il rientro dell'imputato entro le ore (OMISSIS)).

2.19.13. La sentenza impugnata merita censura in punto di valutazione e considerazione dell'indizio relativo alla personalità dell'imputato (di per sè inammissibile), con riferimento alle ricerche sul PC. Deve essere, innanzitutto, precisato che, per stessa ammissione della pubblica accusa, non è stata rinvenuta alcuna ricerca di carattere pedopornografico (pag. 15 del verbale udienza del 4 marzo 2016), mentre la Corte distrettuale introduce espressioni vaghe e confuse per affermare il contrario.

Con specifico riferimento alle query contenenti il termine "tredicenni", il consulente dell'accusa D'. ha dovuto convenire sulla oggettività inesistenza del dato tecnico (pag. 32 del verbale d'udienza del 04 marzo 2016).

In realtà, come desumibile dalle perizie in atti, nonchè confermato in istruttoria dibattimentale, le query contenenti la parola "ragazzine" sono risultate essere solo due: quella del 27 novembre 2013 che non è attribuibile con certezza a opera umana; quella del 29 maggio 2014 ("ragazzine con vagine rasate") evidenziata a pag. 119 della relazione CT del PM. D'altra parte, il termine "ragazzine" appare in un link trovato nella cronologia che appartiene a un sito di normale pornografia per adulti ((OMISSIS) 00:15:57 UTC - (OMISSIS)) evidenziata a pag. 189 della relazione dei CT del PM, ma non è frutto di ricerca in quanto si tratta di uno dei link presenti nei portali di pornografia.

2.19.14. Del tutto privo di valore indiziante è il presunto tentativo di fuga al momento dell'arresto (nemmeno considerato dalla sentenza di primo grado) e all'atteggiamento di sfida nei confronti degli inquirenti, che dimostra, come avvenuto rispetto alla funzione difensiva, che la Corte di merito ha ben poco chiaro il concetto di diritto di difesa, riducendolo a un attacco indiscriminato alla propria tesi.

2.20. Il ventesimo motivo di ricorso denuncia la violazione di legge in relazione all'art. 533 c.p.p. in ordine al mancato superamento del limite del ragionevole dubbio e il vizio di motivazione per mancanza della stessa sul medesimo punto.

La sentenza impugnata dimostra che la Corte di merito non si è posta alcun dubbio, ma lo ha rifiutato (al pari di ogni verifica in contraddittorio), dimostrando di aver paura di dubitare e di verificare.

In motivazione si sostiene che l'indizio genetico ha trovato conforto negli ulteriori indizi e che questi ultimi hanno trovato forza in quanto connessi al dato genetico. Più che un ragionamento logico si tratta di un circolo vizioso nel quale un dato cerca conferma in altri dati che, per essere ritenuti validi, devono trovare conferma nel dato che dovrebbero confermare.

L'illogicità acquista ancora maggior peso se si considera come il risultato genetico sia affetto da anomalie tali da ritenerlo quantomeno foriero di dubbio.

L'incertezza dello stesso, pertanto, seguendo il ragionamento della sentenza impugnata dovrebbe forzatamente contagiare anche gli altri indizi, in sè stessi già incerti e non individualizzanti.

3. I difensori dell'imputato hanno presentato in data 26/09/2018 motivi nuovi ex art. 585 c.p.p., comma 4, preceduti da una premessa di trenta pagine.

3.1. Con il primo motivo nuovo, formulato in relazione al diciannovesimo motivo del ricorso principale, i difensori denunciano la violazione di legge (art. 218 c.p.p.) e il vizio della motivazione sul mancato svolgimento dell'esperimento giudiziale relativo alla permanenza del corpo della vittima sul campo di (OMISSIS), evidenziando sia l'assertività dell'affermazione relativa alla superfluità dell'esperimento perchè irrealistico, sia l'infondatezza - alla luce del recente Convegno di Todi - dell'affermazione secondo la quale gli studi sulla degradazione del DNA esposto agli agenti atmosferici non contrastano con le conclusioni assunte dal giudice di secondo grado in merito alla contestualità dell'apposizione della traccia e l'omicidio.

3.2. Con il secondo motivo nuovo, formulato in relazione al quarto motivo del ricorso principale, i difensori denunciano la violazione di legge (art. 233 c.p.p., comma 1-bis; art. 6, commi 1 e 3, lett. b), della Convenzione EDU) e il vizio della motivazione in relazione al diniego di autorizzazione all'esame dei reperti che costituiscono il principale elemento di accusa, con conseguente lesione del diritto a un processo equo.

3.3. Con il terzo motivo nuovo, formulato in relazione al diciottesimo motivo del ricorso principale, i difensori denunciano la violazione di legge (art. 220 c.p.p.; art. 6, commi 1 e 3, lett. b), della Convenzione EDU) e il vizio della motivazione in relazione alla mancata ammissione di perizia genetica, con conseguente lesione del diritto a un processo equo.

4. Ricorre il Procuratore generale presso la Corte d'appello di Brescia che denuncia la violazione di legge, in relazione all'art. 368 c.p., sotto il profilo del concreto pericolo di sviamento delle investigazioni mediante la formulazione di false accuse, non potendosene valutare ex post l'infondatezza.

Motivi della decisione


1. Il ricorso del Procuratore generale è inammissibile al pari di quello dell'imputato ((OMISSIS)) B.M.G..

1.1. Prima di esaminare i singoli motivi di ricorso è necessario porre alcune premesse in merito alle caratteristiche dell'impugnazione proposta, onde evitare che la stessa sia deviata dal proprio naturale fine di verifica della legittimità della decisione impugnata fino a farne un terzo grado di giudizio.

La questione, propria della generalità dei ricorsi per cassazione, risulta particolarmente rilevante nel caso di specie, come emerge già dalla lettura della premessa posta in esordio dell'atto di ricorso dell'imputato ((OMISSIS)) B.M.G., poichè essa sviluppa argomentazioni concernenti l'indipendenza culturale del giudice rispetto al Pubblico ministero e ai suoi consulenti, questioni che sono palesemente estranee ai limiti del sindacato di cui all'art. 606 c.p.p. e che sono rivolte a contestare nel merito le conclusioni raggiunte, affastellando in maniera incompleta (mediante la parziale ricopiatura di stralci della sentenza, dei verbali di udienza o di altri atti del processo), spesso caotica e sempre ripetitiva e priva di una effettiva autocritica delle posizioni in precedenza assunte, di argomentazioni già ampiamente sviluppate nel corso del giudizio di merito e dell'incidente cautelare (in merito al quale si è già espressa questa Corte di legittimità), che consentono di intravvedere il reale scopo dell'impugnazione: introdurre un terzo grado di giudizio a critica libera sulle conformi decisioni dei due giudici di merito.

1.2. D'altra parte, in tema di sindacato del vizio della motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), si deve rammentare che nell'apprezzamento delle fonti di prova il compito del giudice di legittimità non quello è di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito, ma solo di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Sez. U, n, 930 del 13/12/1995 dep. 1996, Clarke, Rv. 203428; Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999 dep. 2000, Moro G, Rv. 215745; Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003 dep. 2004, Elia, Rv. 229369).

Dall'affermazione di questo principio, si traggono dei corollari.

1.2.1. Ad eccezione del caso in cui il ricorso prospetti compiutamente l'esistenza di un "ragionevole dubbio", esula dai poteri della Corte di cassazione, nell'ambito del controllo della motivazione del provvedimento impugnato, la formulazione di una nuova e diversa valutazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, giacchè tale attività è riservata esclusivamente al giudice di merito, potendo riguardare il giudizio di legittimità solo la verifica dell'iter argomentativo prescelto da tale giudice, accertando se quest'ultimo abbia o meno dato conto adeguatamente delle ragioni che lo hanno condotto a emettere la decisione.

1.2.2. La specificità della disposizione di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), esclude che la norma possa essere dilatata per effetto di regole processuali concernenti la motivazione, utilizzando la diversa ipotesi di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c); l'espediente non è consentito sia per i ristretti limiti nei quali la disposizione ora citata prevede la deducibilità per cassazione delle violazioni di norme processuali (considerate solo se stabilite "a pena di nullità, di inutilizzabilità, di inammissibilità o di decadenza"), sia perchè la puntuale indicazione contenuta nella lett. e), riferita al "testo del provvedimento impugnato", collega in via esclusiva e specifica al limite predetto qualsiasi vizio motivazionale.

1.2.3. Tantomeno può costituire motivo di ricorso sotto il profilo dell'omessa motivazione il mancato riferimento a dati probatori acquisiti. Se è vero che tale vizio è ravvisabile non solo quando manca completamente la parte motiva della sentenza, ma anche qualora non sia stato considerato un argomento fondamentale per la decisione espressamente sottoposto all'analisi del giudice, il concetto di mancanza di motivazione non può essere tanto esteso da includere ogni omissione concernente l'analisi di determinati elementi probatori. Invero, un elemento probatorio estrapolato dal contesto in cui esso si inserisce, non posto a raffronto con il complesso probatorio, può acquisire un significato molto superiore a quello che gli è attribuibile in una valutazione completa del quadro delle prove acquisite. Ritenere il vizio di motivazione per l'omessa menzione di un tale elemento nella sentenza comporterebbe il rischio di annullamento di decisioni logiche e ben correlate alla sostanza degli elementi istruttori disponibili. Per ovviare a un tale rischio, la Corte di legittimità dovrebbe valutare la portata dell'elemento additato dalla difesa nel contesto probatorio acquisito, con una sovrapposizione argomentativa che sconfinerebbe nei compiti riservati al giudice di merito (Sez. 2, n. 9242 del 08/02/2013, Reggio, Rv. 254988; Sez. 2, n. 18163 del 22/04/2008, Ferdico, Rv. 239789).

1.2.4. Passando al più specifico tema del "vizio di manifesta illogicità" della motivazione, va osservato che il relativo controllo viene esercitato esclusivamente sul fronte della coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, senza la possibilità, per il giudice di legittimità, di verificare se i risultati dell'interpretazione delle prove siano effettivamente corrispondenti alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del processo; sicchè nella verifica della fondatezza, o meno, del motivo di ricorso ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il compito della Corte di cassazione non consiste nell'accertare la plausibilità e l'intrinseca adeguatezza dei risultati dell'interpretazione delle prove, coessenziale al giudizio di merito, ma quello, ben diverso, di stabilire se i giudici di merito: a) abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione; b) abbiano dato esauriente risposta alle deduzioni delle parti; c) nell'interpretazione delle prove abbiano esattamente applicato le regole della logica, le massime di comune esperienza e i criteri legali dettati in tema di valutazione delle prove, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.

Ne consegue che, ai fini della denuncia del vizio in esame, sempre che non sia dedotto un dubbio ragionevole, è indispensabile dimostrare che il testo del provvedimento sia manifestamente carente di motivazione e/o di logica, per cui non può essere ritenuto legittimo l'opporre alla valutazione dei fatti contenuta nel provvedimento impugnato una diversa ricostruzione degli stessi, dato che in quest'ultima ipotesi verrebbe inevitabilmente invasa l'area degli apprezzamenti riservati al giudice di merito (Sez. 5, n. 8094 del 11/01/2007, Ienco, Rv. 236540; Sez. 5, n. 18542 del 21/01/2011, Carone, Rv. 250168).

1.3. Passando al tema del travisamento di prova va osservato che, a seguito delle modifiche dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), ad opera della L. n. 46 del 2006, art. 8, mentre non è consentito dedurre il "travisamento del fatto" (Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099), stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, è invece consentita la deduzione del vizio di "travisamento della prova", che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, considerato che, in tal caso, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano (Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, Casavola, Rv. 2382157; Sez. 3, n. 39729 del 18/06/2009, Belluccia, Rv. 244623).

Sul tema va ancora precisato che la novella introdotta con la L. n. 46 del 2006, nel riconoscere la possibilità di deduzione del vizio di motivazione anche con il riferimento ad "atti processuali", non ha comunque mutato la natura del giudizio di Cassazione, che rimane pur sempre un giudizio di legittimità, sicchè gli atti eventualmente indicati devono contenere elementi processualmente acquisiti, di natura certa e obiettivamente incontrovertibili, che possano essere considerati decisivi in rapporto esclusivo alla motivazione del provvedimento impugnato e nell'ambito di una valutazione unitaria, e devono essere tali da inficiare la struttura logica del provvedimento stesso (Sez. 2, n. 7380 del 11/01/2007, Messina, Rv. 235716).

In consonanza con quanto fin qui richiamato, va ancora osservato che, qualora la prova che si assume essere stata travisata provenga da una fonte dichiarativa (deposizione testimoniale, dichiarazione di un collaboratore di giustizia, esame del perito o del consulente); l'oggetto della stessa deve essere del tutto definito o attenere alla proposizione di un dato storico semplice e non opinabile (Sez. 5, n. 9338 del 12/12/2012 dep. 2013, Maggio, Rv. 255087; Sez. 4, n. 15556 del 12/02/2008, Trivisonno, Rv. 239533, ove in motivazione si è affermato che al di fuori degli evidenziati limiti, dovendosi considerare la deposizione sempre il frutto della percezione soggettiva del testimone, la sua valutazione ha inevitabilmente chiamato il giudice di merito a "depurare" il dichiarato dalle cause di interferenza provenienti dal dichiarante, operazione che per essere apprezzata dal giudice di legittimità presuppone la contezza non del singolo atto processuale, bensì dell'intero compendio probatorio, nonchè un'analisi comparativa che rimane preclusa al suddetto giudice).

Inoltre, l'onere di specifica indicazione nei motivi di gravame degli "altri atti processuali" dai quali si desume il vizio di motivazione si traduce nella necessità di individuare e indicare gli atti processuali che il ricorrente intende far valere (e di specificare le ragioni per le quali tali atti, se correttamente valutati, avrebbero dato luogo a una diversa pronuncia decisoria), onere da assolvere nelle forme di volta in volta adeguate alla natura degli atti in considerazione.

Pertanto, qualora la prova omessa o travisata abbia natura dichiarativa, il ricorrente ha l'onere di riportarne integralmente il contenuto, non limitandosi a estrapolarne alcuni brani, giacchè così facendo viene impedito al giudice di legittimità di apprezzare compiutamente il significato probatorio delle dichiarazioni e, quindi, di valutare l'effettiva portata del vizio dedotto (Sez. 2, n. 25315 del 20/03/2012, Ndreko, Rv. 253073; Sez. F, n. 32362 del 19/08/2010, Scuto, Rv. 248141; Sez. 4, n. 37982 del 26/06/2008, Buzi, Rv. 241023).

1.4. A questo proposito, rinviando al seguito della trattazione l'esame dei singoli motivi di ricorso, è necessario premettere alcune riflessioni sulla tecnica redazionale del ricorso dell'imputato ((OMISSIS)) B.M.G. che si presenta particolarmente lungo (oltre cinquecentonovanta pagine) e prolisso rispetto al provvedimento impugnato (che condensa - da pag. 156 - in poco più duecento pagine il contenuto decisorio), ripetitivo e infarcito di numerosi stralci di atti del giudizio (riportati per dedurre il travisamento della prova, ma in realtà spesso utilizzati per proporre una diversa valutazione di essa), la cui accessibilità da parte della Corte di legittimità è impossibile ove, come sovente avviene nel caso di specie, tali atti non siano stati specificamente indicati nella loro effettiva affogliazione e reperibilità nel voluminoso materiale probatorio acquisito (descritto alle pagg. 5 e 6 della sentenza impugnata).

1.4.1. Infatti, l'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), consente la presentazione del ricorso per cassazione nel caso di mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato ovvero "da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame".

Questa norma, dopo la riforma introdotta dalla L. n. 46 del 2006, pone a carico del ricorrente un peculiare onere di inequivoca "individuazione" e di specifica rappresentazione degli atti processuali ritenuti rilevanti in relazione alla doglianza dedotta, evocando il tema dell'autosufficienza del ricorso per cassazione e, più precisamente, delle condizioni al ricorrere delle quali può dirsi assolta dalla parte.

Al riguardo, in un primo momento è stato affermato che, nei casi in cui il vizio di motivazione non si coglie sulla base del solo provvedimento impugnato, ma con riferimento ad altri atti del processo, il canone dell'autosufficienza del ricorso implica che in esso siano puntualmente illustrate le risultanze processuali ritenute rilevanti (Sez. 1, n. 20370 del 20/04/2006, Simonetti e altri, Rv. 233778; Sez. 1, n. 16223 del 2/05/2006, Scognamiglio, Rv. 233781; Sez. 4, n. 21978 del 12/05/2006, PM in proc. Luzzo, Rv. 234432), in quanto il ricorrente non può limitarsi a invitare la Corte alla lettura degli atti indicati (Sez. 6, n. 29263 del 8/07/2010, Cavanna e altro, Rv. 248192).

Poi, è stato sostenuto che l'onere di inequivoca individuazione degli atti processuali ritenuti rilevanti in relazione alla doglianza dedotta possa essere adempiuto dal ricorrente nelle forme di volta in volta più adeguate alla natura degli atti stessi come, per esempio, l'integrale riproduzione dell'atto nel testo del ricorso, l'allegazione in copia, l'individuazione precisa dell'atto nel fascicolo processuale di merito (Sez. 6, n. 22257 del 26/04/2006, Maggio e altri, Rv. 234721; Sez. 2, n. 19584 del 05/05/2006, Capri e altri, Rv. 233773; Sez. 6, n. 20059 del 16/01/2008, PM in proc. Magri, Rv. 240056; Sez. 4, n. 3360 del 16/12/2009 dep. 2010), Mutti, Rv. 246499; Sez. 3, n. 43322 del 02/07/2014, Sisti, Rv. 260994), purchè il modo prescelto sia comunque tale da non costringere la Corte di cassazione a una lettura totale degli atti, dandosi luogo altrimenti a una causa di inammissibilità del ricorso, in base al combinato disposto dell'art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c), e art. 591 c.p.p. (Sez. 3, n. 43322 del 2/07/2014, cit.).

Un indirizzo giurisprudenziale, inoltre, ritiene inammissibili, per violazione del principio di autosufficienza e per genericità, i motivi che deducano il vizio di manifesta illogicità o contraddittorietà della motivazione e, pur richiamando atti specificamente indicati, non contengano la loro integrale trascrizione e allegazione (Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017, Schioppo, Rv. 270071; Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015, Bregamotti, Rv. 265053; Sez. 2, n. 26725 del 01/03/2013, Natale e altri, Rv. 256723; Sez. 5; n. 11910 del 22/01/2010, Casucci, Rv. 246552), non potendo bastare una trascrizione parziale o informale (Sez. 2, n. 38800 del 1/10/2008, P.G. in proc. Gagliardo e altro, Rv. 241449).

Secondo quest'ultimo orientamento, è onere del ricorrente che lamenti l'omessa o travisata valutazione di specifici atti processuali non solo indicare l'atto asseritamente affetto dal vizio denunciato, ma anche curare che esso sia acquisito al fascicolo trasmesso al giudice di legittimità o provvedere a produrlo in copia nel giudizio di cassazione (Sez. 2, n. 25315 del 20/03/2012, Ndreko e altri, Rv. 253073) oppure procedere alla trascrizione nel ricorso dell'integrale contenuto degli atti medesimi, nei limiti di quanto già dedotto (Sez. 1, n. 6112 del 22/01/2009, Bouyahia, Rv. 243225). Questo indirizzo è accolto da numerose sentenze, tra cui, di recente, Sez. 2, n. 36115 del 27/06/2017, P.G.; Sez. 2, n. 54588 del 20/12/2016, S.S.; Sez. 4, n. 31540 del 7/07/2016, T.G.; Sez. 2, n. 43585, del 24/06/2016, S.L.G.; Sez. 1, n. 29272 del 19/05/2016.

1.4.2. Il nuovo art. 165-bis disp. att. c.p.p., comma 2, che assegna alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato il compito di predisporre un separato fascicolo, allegato all'impugnazione, nel quale deve essere inserita la copia degli atti specificamente indicati dal ricorrente, pare avere codificato il sopra richiamato indirizzo giurisprudenziale con riguardo alla specifica indicazione da parte del ricorrente degli atti su cui si fonda la doglianza.

In effetti, l'indicazione puntuale degli atti su cui si fonda la doglianza costituisce il presupposto per poter apprezzare il rispetto delle prescrizioni relative alla specificità dei motivi di ricorso di cui all'art. 581 c.p.p., dalla cui violazione discende l'inammissibilità dello stesso ex art. 591 c.p.p..

E' ben possibile, in altri termini, che il ricorso per cassazione, nonostante la specifica indicazione degli atti su cui si fonda il vizio di motivazione dedotto, debba essere dichiarato inammissibile, ad esempio perchè generico ovvero perchè sono richiamati indistintamente molteplici atti, rispetto ai quali, per individuare il contenuto rilevante, la Corte sarebbe chiamata a sostituirsi al ricorrente (cfr. Sez. 1, n. 23308 del 18/11/2014 dep. 2015, Savasta e altri, Rv. 263601; di recente, con riferimento all'allegazione "in blocco" di atti processuali, tra le altre, Sez. 2, n. 54241 del 14/09/2017, cit.; sez. 3, n. 50917 del 11/07/2017, M.A.).

1.5. Nel prosieguo sarà esaminato per primo il ricorso dell'imputato ((OMISSIS)) B.M.G. e, infine, quello del Procuratore generale di Brescia.

2. E' inammissibile il primo motivo di ricorso, dell'imputato ((OMISSIS)) B.M.G., che denuncia la nullità/inutilizzabilità dei risultati delle indagini eseguite dal RIS di Parma sui campioni di materiale genetico prelevati dal cadavere e compendiati nella relazione RIS del 10 dicembre 2012, poichè riproduce le argomentazioni già sviluppate nel primo incidente cautelare, giudicate infondate dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 18.246 del 2015, pedissequamente riproposte nel corso di entrambi i gradi di giudizio e ulteriormente reiterate nel ricorso per cassazione, anche mediante l'espediente dialettico di contestare la motivazione della sentenza impugnata per mancanza di autonomia argomentativa ("copia e incolla"), omettendo di confrontarsi con le richiamate motivazioni dei giudici di merito e di questa Corte di legittimità, così dimostrando sorda ostinazione e assoluta genericità del motivo.

2.1. D'altra parte, si tratta di un profilo che è precluso.

Si tratta, in effetti, di una deduzione in rito, su cui questa Corte si è già negativamente pronunciata in via incidentale nell'ambito del procedimento cautelare e nei confronti dello stesso imputato e che, come tale, non è più proponibile (ex pluribus: Sez. 1, n. 47655 del 12/10/2011, Adamo, Rv. 252181; Sez. 5, n. 26809 del 10/02/2016, Minopoli, Rv. 267869).

Si è condivisibilmente affermato che, una volta che il giudice di legittimità si sia espresso in relazione allo stesso procedimento e nei confronti delle medesime parti per l'utilizzabilità di determinate prove, urti con l'efficienza processuale, in difetto di elementi nuovi, che la decisione in precedenza adottata non sia vincolante e consenta di reiterare la questione "quante volte si voglia" in palese pregiudizio della ragionevole durata del processo (in motivazione, Sez. 1, n. 47655, cit.).

La mancanza di sopravvenienze e la reiterazione di argomenti scrutinati nel procedimento incidentale de liberate in punto di legittimità degli atti da questa Corte rendono il motivo inammissibile perchè manifestamente infondato e perchè reiterativo di censura a cui ha, nell'osservanza del richiamato principio, correttamente risposto la Corte di assise di appello di Brescia.

2.2. Il Collegio, infatti, condivide le valutazioni espresse da questa Corte con la citata sentenza n. 18.246 nella quale si è geometricamente ricostruito lo sviluppo procedimentale concernente gli indicati accertamenti.

La questione ermeneutica sottesa al primo motivo di ricorso deve essere affrontata distinguendo tra i rilievi tecnici e gli accertamenti tecnici e, all'interno di questi ultimi, tra accertamenti tecnici ripetibili e accertamenti tecnici irripetibili, conformemente alle previsioni degli artt. 359 e 360 c.p.p..

Infatti, solo dopo avere eseguito una ricognizione della disciplina relativa a tali atti processuali e delle connesse garanzie difensive, è possibile valutare la normativa applicabile alle verifiche eseguite dal R.I.S. dei Carabinieri di Parma sui campioni di materiale genetico prelevati sul cadavere della vittima.

2.2.1. Il rilievo tecnico consiste nell'attività di raccolta di elementi attinenti al reato per il quale si procede, mentre l'accertamento tecnico, ripetibile o irripetibile, si estende al loro studio e alla loro valutazione critica, secondo canoni tecnici e scientifici (cfr. Sez. 2, n. 34149 del 10/07/2009, Chiesa e altro, Rv. 244950).

I prelievi sul DNA, attraverso il sequestro di oggetti contenenti residui organici, qualificabili come rilievi tecnici e delegabili ex art. 370 c.p.p., non sono atti invasivi o costrittivi, essendo semplicemente prodromici all'effettuazione di successivi accertamenti tecnici - ripetibili o irripetibili - e non richiedendo conseguentemente l'osservanza di garanzie difensive (cfr. Sez. 1, n. 8393 del 02/02/2005, Candela e altro, Rv. 233448).

2.2.2. Diverso, invece, è il procedimento d'identificazione del DNA della persona attraverso i campioni di materiale genetico repertati mediante rilievi tecnici, il cui espletamento comporta lo svolgimento di attività qualificabili come ripetibili o irripetibili a seconda che, sulla base di una valutazione di natura esclusivamente tecnico- fattuale, comporti la distruzione o il grave deterioramento dei campioni utilizzati; ipotesi, quest'ultima che era stata ritenuta sussistente dalla difesa già in fase cautelare (pag. 3 del ricorso per cassazione avverso l'ordinanza del Tribunale del riesame di Brescia del 14 ottobre 2014); sull'argomento si tornerà quando sarà esaminato il diciottesimo motivo di ricorso (paragrafo n. 3.2.; paragrafo n. 16.3.).

Il procedimento d'identificazione del DNA della persona attraverso l'utilizzo del profilo genetico si articola in fasi distinte, rispettivamente costituite dall'estrapolazione del profilo genetico presente sui reperti; dalla decodificazione dell'impronta genetica dell'indagato; dalla comparazione tra i due profili.

Delle tre operazioni necessarie per giungere all'identificazione profili di irripetibilità possono eventualmente rinvenirsi soltanto nella prima e risiedere, sia nella scarsa quantità della traccia genetica, sia nella scadente qualità del DNA presente nella stessa (cfr. Sez. 2, n. 2476 del 27/11/2014, Santangelo, Rv. 261866).

Infine, i risultati del procedimento attraverso il quale si giunge all'identificazione del DNA della persona vengono trasposti in supporti documentali nei quali è riversata la composizione della catena genomica rilevata dall'analisi dei campioni di materiale genetico. Questi supporti documentali, generalmente riversati su file, sono stabili e non modificabili, con la conseguenza che la comparazione genetica si risolve nel confronto dei supporti documentali su cui sono stati registrati i profili genotipici estratti attraverso l'attività tecnica. Comparazione, dunque, che costituisce operazione sempre ripetibile.

In proposito la giurisprudenza di questa Corte, da ultimo, ha affermato che: "in tema di accertamenti tecnici su materiale biologico, l'attività di comparazione tra profili genetici estratti dai reperti e riversati in supporti documentali è una operazione di confronto sempre ripetibile, a condizione che sia assicurata la corretta conservazione degli stessi supporti sui quali sono impresse le impronte genetiche" (Sez. 2, n. 2476 del 27/11/2014, Santangelo, Rv. 261866).

Si può, dunque, affermare che la natura irripetibile dell'accertamento tecnico che conduce all'estrapolazione del profilo genetico presente su reperti sequestrati deve essere accertata in concreto, dipendendo dalla quantità della traccia e dalla qualità del DNA sulla stessa presente.

Ne discende che nell'ipotesi in cui l'espletamento degli accertamenti tecnici sul DNA comporti la distruzione dei reperti acquisiti attraverso i rilievi tecnici, tali accertamenti devono ritenersi irripetibili e soggiacciono, sotto il profilo delle garanzie difensive, alla disciplina dell'art. 360 c.p.p., la cui applicazione presuppone l'individuazione di un soggetto indagato, con la conseguenza che i risultati di tali attività sono utilizzabili nei confronti di soggetti che al momento del conferimento dell'incarico non erano ancora indagati per assenza di elementi indiziari a carico (Sez. 4, n. 36280 del 21/06/2012, Forlani e altri, Rv. 253564).

In altri termini, laddove al momento dell'accertamento tecnico irripetibile si procede contro ignoti ovvero contro un soggetto diverso da quello successivamente indagato - come nell'ipotesi che si sta considerando - nessuna garanzia difensiva deve essere rispettata, non essendo stato identificato l'indagato eventualmente beneficiario delle garanzie previste dall'art. 360 c.p.p..

Tutto questo comporta l'utilizzabilità degli accertamenti tecnici irripetibili eseguiti sul presupposto processuale che, al momento dell'incarico, non risultava indagato il soggetto poi divenuto tale.

Nel caso di specie, per quanto riguarda l'esame del DNA svolto dal R.I.S. dei Carabinieri di Parma, è evidente che non essendo l'imputato, al momento dell'espletamento di tale analisi, iscritto nel registro degli indagati di cui all'art. 335 c.p.p., non si poteva avvisarlo, come rilevato dalla Corte distrettuale.

In effetti, il Pubblico ministero - in ossequio a quanto previsto dall'art. 360 c.p.p., comma 1, - ha dato regolare avviso alle parti offese dell'inizio delle attività dei consulenti tecnici. Quindi le predette persone offese - che avevano evidente interesse all'individuazione dell'autore del reato e al regolare svolgimento dell'esame - sono state poste nelle condizioni di controllare quanto effettuato dai consulenti tecnici del Pubblico ministero, anche avvalendosi dell'ausilio dei propri consulenti.

I rilievi tecnici sul cadavere venivano effettuati tre anni prima dell'individuazione dell'imputato alla quale si arrivava molto tempo dopo e attraverso complesse indagini, effettuate su un campione elevatissimo di popolazione, tanto è vero che si prelevava il campione di materiale genetico dell'indagato a seguito dell'alcool test al quale veniva sottoposto.

In definitiva, l'esame del DNA repertato sugli indumenti della vittima deve ritenersi legittimamente eseguito come affermato dalla Corte distrettuale che correttamente ha escluso la violazione delle garanzie difensive previste dall'art. 360 c.p.p., in quanto nessun obbligo era previsto a favore dei difensori dell'odierno imputato.

2.3. Queste considerazioni risultano in linea con quanto stabilito da questa Corte, secondo cui le garanzie difensive dettate a pena di inutilizzabilità, dall'art. 360 c.p.p., riguardano solo gli accertamenti tecnici irripetibili, ossia quegli accertamenti che hanno a oggetto persone, cose, luoghi, soggetti a modificazioni tali da fare perdere loro, in tempi brevi, ogni valenza probatoria in relazione ai fatti oggetto di indagini.

Ne consegue che qualora il Pubblico ministero, che è libero di scegliere la modalità da seguire per l'accertamento, procede ad accertamenti tecnici irripetibili, sussiste l'obbligo di dare avviso al difensore solo se, al momento dell'incarico, era già stata individuata la persona nei cui confronti si procede; presupposto, questo, ricorrente nei confronti di F., ma insussistente nei confronti dell'imputato, conformemente al seguente principio: "qualora il P.M. debba procedere ad accertamenti tecnici non ripetibili previsti dall'art. 360 c.p.p., ricorre l'obbligo di dare l'avviso al difensore solo nel caso in cui al momento del conferimento dell'incarico al consulente sia già stata individuata la persona nei confronti della quale si procede, mentre tale obbligo non ricorre nel caso che la persona indagata sia stata individuata successivamente nel corso dell'espletamento delle operazioni peritali" (Sez. 4, n. 20591 del 23/02/2010, Colesanti e altro, Rv. 247327).

Il prelievo di tracce biologiche sul cadavere e la successiva analisi del DNA, compiuta dal R.I.S. dei Carabinieri di Parma, che avrebbe in seguito consentito l'identificazione dell'imputato, sono utilizzabili nei suoi confronti, conformemente alla giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale: "il prelievo di tracce biologiche su un oggetto rinvenuto nel luogo del commesso reato e le successive analisi dei polimorfismi del DNA, per l'individuazione del profilo genetico per eventuali confronti, sono utilizzabili se non sia stato possibile osservare, in quanto l'indagine preliminare si svolgeva contro ignoti, le garanzie di partecipazione difensiva previste per gli accertamenti tecnici irripetibili compiuti dal pubblico ministero" (Sez. 2, n. 37708 del 24/09/2008, Vastante, Rv. 242094).

2.4 E' manifestamente infondata, e anzi distorta, la proposta interpretazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 239/2017, nella quale il giudice delle leggi, dopo avere richiamato i sopra riportati costanti indirizzi giurisprudenziali, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 360 c.p.p., "ove non prevede che le garanzie difensive previste da detta norma riguardano anche le attività di individuazione e prelievo di reperti utili per la ricerca del DNA", sollevate, in riferimento agli artt. 24 e 111 Cost., con ciò ribadendo la piena legittimità dell'orientamento giurisprudenziale dianzi citato.

Si è precisato, infatti, che è priva di fondamento la tesi secondo cui il prelievo di tracce biologiche, per sua natura, avrebbe caratteristiche tali da farlo assimilare in ogni caso a un accertamento tecnico preventivo e da richiedere quindi le medesime garanzie difensive.

Tali ragioni impongono di ritenere inammissibile il primo motivo di ricorso.

3. Il secondo e il terzo motivo di ricorso, nell'interesse di ((OMISSIS)) B.M.G., che vanno trattati unitariamente poichè vertenti sulla medesima questione e sviluppati in modo complementare (violazione di legge, violazione del diritto al contraddittorio, vizio della motivazione e travisamento della prova in relazione all'utilizzabilità della relazione RIS del (OMISSIS) perchè non irripetibile), sono inammissibili perchè generici, privi di specificità e volti a introdurre, in un caso di doppia conforme, una diversa valutazione delle prove che risulta, peraltro, in patente contraddizione con i precedenti scritti e attività difensivi.

Secondo la difesa è erroneo e contraddittorio l'inquadramento della disciplina applicabile al caso di specie, tenendo presenti i parametri normativi degli artt. 360 e 370 c.p.p., tant'è che il provvedimento impugnato, pur richiamando la disciplina in esame, attribuisce al Pubblico ministero la facoltà di scegliere quale percorso processuale seguire in presenza di accertamenti tecnici irripetibili.

Si denuncia, in generale, la costante violazione del diritto al contraddittorio nella formazione della prova, essendo state illegittimamente acquisite prove preformate.

3.1. Deve, in proposito, rilevarsi che sulla disciplina applicabile agli accertamenti tecnici eseguiti dal R.I.S. dei Carabinieri di Parma sulle tracce biologiche rinvenute sul cadavere della vittima, ci si è già soffermati nel paragrafo precedente (p. 2), sicchè occorre ribadire che la scelta processuale originariamente compiuta dal Pubblico ministero non pregiudica i diritti di difesa del ricorrente perchè questi, al momento del conferimento dell'indagine tecnica, nemmeno figurava tra gli indagati.

A tali conclusioni il provvedimento impugnato giunge, con un percorso motivazionale logicamente coerente e immune da censure, affermando che non solo è perfettamente valida la complessa serie di attività compiute dal reparto specializzato dell'Arma dei Carabinieri, ma anche che restano utilizzabili integralmente gli esiti compendiati nella relazione conclusiva.

In questa cornice motivazionale, deve rilevarsi che l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato ha un orizzonte necessariamente circoscritto, dovendo il sindacato demandato a questa Corte essere limitato a riscontrare l'esistenza di un apparato argomentativo logico sui vari punti della decisione, senza la possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali; la carenza e l'illogicità della motivazione devono essere evidenti ovvero di spessore tale da risultare immediatamente percepibili, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza - insussistenti nel caso in esame attesa la correttezza dell'affermazione di utilizzabilità degli accertamenti tecnici eseguiti -, restando ininfluenti le incongruenze logiche o giuridiche che non inficiano il tessuto argomentativo complessivo del provvedimento considerato (Sez. un., n. 24 del 24/11/1999, dep. 16/12/1999, Spina, Rv. 214794).

Non possono, perciò, trovare accoglimento le prospettazioni difensive, laddove il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve ritenersi rigorosamente circoscritto a verificare che la pronuncia sia sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell'applicazione delle regole della logica, non fondate su dati palesemente contrastanti con le emergenze processuali ed esenti da vistose e insormontabili incongruenze tra di loro.

Nel caso di specie, nessuna di tali incongruenze è riscontrabile nelle argomentazioni con cui il provvedimento impugnato ha ritenuto utilizzabili i risultati degli accertamenti eseguiti dal R.I.S. dei Carabinieri di Parma sulle tracce ematiche rinvenute sul cadavere della vittima, atteso che tale conclusione, sotto il profilo delle garanzie difensive connesse alle attività svolte, risulta confortata dalla giurisprudenza di legittimità consolidata che impone di ritenere immune da censure la soluzione adottata.

E', infine, irrilevante, ai fini della valutazione dell'utilizzabilità dei risultati delle verifiche genotipiche eseguite dal R.I.S. dei Carabinieri di Parma, il mancato ricorso da parte del Pubblico ministero alla nomina diretta di un consulente tecnico ex art. 359 c.p.p., potendo gli accertamenti tecnici essere oggetto di delega alla polizia giudiziaria ai sensi dell'art. 370 c.p.p. (Cass., Sez. 1, n. 301 del 09/02/1990, Duraccio, Rv. 183648).

In proposito, è utile precisare che, se per un verso, deve escludersi la sussistenza dell'obbligo per il Pubblico ministero di procedere all'accertamento ex art. 360 c.p.p., mancando una persona sottoposta alle indagini al momento del ritrovamento del cadavere e all'estrazione delle tracce genetiche, per altro verso, la necessità ravvisata dal Pubblico ministero di avvalersi di competenze tecniche prescinde dalle forme utilizzate per avvalersi di dette competenze, sicchè l'eventuale inutilizzabilità dei risultati dell'accertamento tecnico discende non certo dall'utilizzo dell'una (art. 370 c.p.p.) o dell'altra (art. 359 c.p.p.; art. 360 c.p.p.) forma utilizzata per compiere le attività, quanto piuttosto dalla violazione delle garanzie apprestate a tutela dell'indagato, garanzie che vanno rispettate indipendentemente dalle modalità prescelte.

Orbene, nel caso di specie, esclusa la violazione delle garanzie difensive nei confronti dell'imputato perchè non ancora sottoposto alle indagini (egli sarà individuato soltanto tre anni dopo), la difesa non allega (e neppure altrimenti indica in modo specifico e puntuale) il verbale delle operazioni, da cui dovrebbe trarsi la denunciata violazione, così non ponendo in grado il Collegio di verificare l'asserzione.

3.2. D'altra parte, i motivi di ricorso sono perplessi e intrinsecamente contraddittori e perciò inammissibili, perchè, come correttamente posto in evidenza dalla sentenza impugnata, la difesa ha ripetutamente affermato, per tutto il corso del giudizio, che il DNA estratto dai reperti era stato consumato.

Sul punto è sufficiente richiamare quanto già risulta accertato da questa Corte con sentenza n. 18.246 del 2015, laddove si è dato atto che la difesa aveva riconosciuto la consumazione del reperto (affermazione già riportata alla pag. 3 del ricorso per cassazione avverso l'ordinanza del Tribunale del riesame di Brescia del 14 ottobre 2014; ribadita alla pag. 55 dei motivi di appello; ulteriormente ribadita a pag. 65 dei motivi di appello nuovi, dichiarati inammissibili).

La sentenza impugnata, per parte sua, enumera diversi passaggi degli atti processuali della difesa che affermano e fermamente ribadiscono l'avvenuta consumazione del DNA, sicchè, mancando una specifica confutazione della motivazione stesa dalla Corte distrettuale, il ricorso è inammissibile per genericità laddove tenta di introdurre, senza rimuovere la correttezza della motivazione, ulteriori e diversi elementi di valutazione che sono (es)tratti - in maniera inammissibile perchè non autosufficiente - da stralci di deposizioni di alcuni consulenti in relazione ad argomenti che non risultano noti a causa della de-contestualizzate della citazione effettuata dalla difesa.

3.2.1. E', infatti, del tutto fuorviante, allo scopo di confutare la consumazione dei reperti contenenti il DNA di (I1) IGNOTO 1, il denunciato travisamento della prova che riporta per stralcio una frase tratta dall'esame del consulente del Pubblico ministero Dott. Ca. all'udienza del 20 novembre 2015 (pag. 111 del verbale stenotipico).

In effetti, l'affermazione del consulente, secondo il quale sarebbero ancora disponibili presso l'Ospedale (OMISSIS) svariate aliquote del materiale genetico, fa univoco riferimento a quello ottenuto dopo l'estrazione effettuata dal RIS, trattandosi, quindi, del materiale impiegato per la decodificazione e per la comparazione dei profili genetici di (I1) IGNOTO 1 con i possibili candidati.

Il consulente non si riferisce all'estrapolazione del profilo genetico presente sui reperti, attività tecnica della quale la Corte distrettuale attesta la sopravvenuta irripetibilità, ma semplicemente alla successiva decodificazione dell'impronta genetica e comparazione dei profili, attività che hanno carattere ripetibile, sicchè la deduzione difensiva risulta incentrata su un elemento del tutto estraneo al denunciato vizio di travisamento e pacificamente irrilevante.

D'altra parte, che l'attività di estrapolazione delle tracce genetiche dai reperti sia divenuta irripetibile per consunzione del materiale lo affermava già la sentenza di primo grado allorquando poneva in evidenza il notevole lasso di tempo intercorso tra l'acquisizione dei reperti (febbraio/marzo 2011) e l'identificazione dell'indagato ((OMISSIS)), periodo nel quale il materiale si è degradato ed è stato consumato per estrarre decine di reperti genetici da utilizzare per individuare i caratteri del possibile autore.

3.3. Conformemente a quanto riportato in premessa (paragrafo n. 1.4.), è il caso di evidenziare che le doglianze formulate al secondo e terzo motivo di ricorso sono inammissibili anche perchè generiche e aspecifiche, in quanto esposte in un ricorso privo di autosufficienza che riporta per stralcio brani di deposizioni o di altri atti e documenti versati nel fascicolo processuale che non sono specificamente indicati nella loro affogliazione, sicchè la Corte di legittimità è posta nella impossibilità di verificarne la esistenza, la completezza e la pertinenza.

3.4. Risulta, inoltre, inammissibile la deduzione concernente la colposa distruzione dei reperti, sviluppata al terzo motivo di ricorso, da cui vorrebbe trarsi l'inutilizzabilità della prova.

Si tratta di una deduzione generica poichè non si confronta con l'ampia motivazione stesa sul punto dalla Corte distrettuale la quale ha evidenziato che le attività tecniche finalizzate a identificare l'autore dell'omicidio si sono sviluppate, senza sosta e con ogni mezzo, per oltre tre anni, sottoponendo ad analisi migliaia di persone, coltivando ipotesi investigative ad ampio raggio mediante sperimentali analisi dei reperti biologici finalizzate a individuare il responsabile del delitto.

La motivazione in proposito stesa dalla Corte distrettuale appare logica, puntuale e coerente e immune dai denunciati vizi di legittimità, poichè solidalmente agganciata alle risultanze probatorie e allo sviluppo dell'investigazione.

Non è, infatti, logicamente e giuridicamente ammissibile la (postuma) critica all'azione del Pubblico ministero e degli investigatori fondata sulla violazione del contraddittorio nella formazione della prova da parte di colui che non solo non era indagato, ma mai lo sarebbe stato se la caparbietà e la competenza dimostrate da coloro che hanno svolto le indagini si fossero dovute arrestare di fronte alla necessità di conservare i reperti per ripetere - in un ipotetico e futuro contraddittorio processuale - le procedure di estrazione del DNA una volta identificato l'autore dell'omicidio perchè, senza il compimento di quelle attività irripetibili, non sarebbe stato possibile individuarlo.

3.5. Risulta, infine, inammissibile la denuncia di violazione del contraddittorio nella formazione della prova relativa all'inserimento nel fascicolo del dibattimento della relazione del RIS concernente l'estrazione del DNA dai reperti, perchè, se per un verso si tratta - per le ragioni sopra esposte - di un atto irripetibile legittimamente confluito nel fascicolo del giudice, per altro verso si è sviluppato un ampio ed effettivo contraddittorio su tale elemento di prova, anche per ciò che concerne il contributo offerto dai consulenti tecnici della parte civile.

Sul punto si tornerà in seguito, ma è utile qui anticipare che la difesa ha proceduto, nel pieno rispetto del contraddittorio, all'esame dei consulenti tecnici che hanno effettuato gli accertamenti, ha avuto a disposizione tutto il materiale relativo e ha potuto fare partecipare alle attività istruttorie dibattimentali i propri consulenti che sono anche stati esaminati in contraddittorio, nel pieno rispetto di quanto autorevolmente affermato dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 239 del 2017): "E non è privo di rilevanza che nel dibattimento l'imputato abbia la possibilità di verificare e contestare la correttezza dell'operazione anche attraverso l'esame del personale che l'ha eseguita, oltre che dei consulenti tecnici e dell'eventuale perito nominato dal giudice".

3.5.1. Per quanto riguarda la mancata effettuazione della perizia genetica da parte della Corte d'assise, fermo restando che sul tema si tornerà al momento opportuno, è utile anticipare che, tenuto conto di quanto si è sopra esposto in merito alla natura irripetibile delle legittime procedure di estrazione del DNA compiute nel corso delle indagini preliminari, la perizia non poteva certo svolgersi su tale aspetto, che la difesa ritiene centrale, ma semmai avere ad oggetto la valutazione di tali estrazioni.

Tuttavia, trattandosi di un'attività prettamente valutativa, la perizia è stata ritenuta superflua da entrambi i giudici di merito con una motivazione logica e coerente incentrata sulla genericità delle critiche mosse dai consulenti della difesa all'attività compiuta dai consulenti del Pubblico ministero, motivazione rispetto alla quale il ricorso non si confronta, risultando perciò generico.

3.6. E', quindi, il momento di dichiarare inammissibile, perchè generica e comunque manifestamente infondata, la denuncia, costantemente riproposta in vari motivi di ricorso, di violazione del contraddittorio formulata con riguardo al principio costituzionale di cui all'art. 111 Cost., comma 4.

In questo processo è stato attuato e tutelato il contraddittorio. La stessa difesa ammette (pag. 180 del ricorso) che in due gradi di giudizio e in oltre cinquanta udienze ci si è confrontati su questo tema, riconoscendo pacificamente il contraddittorio sulla formazione della prova.

Sono stati compiuti degli accertamenti di tipo irripetibile (esame autoptico, accertamenti tanatologici, prelievo delle tracce estrazione del DNA) allorquando si procedeva a carico di ignoti ed essi non erano differibili perchè urgenti e necessari all'individuazione dell'autore dei fatti.

Non appena si è proceduto all'iscrizione nel registro degli indagati di ((OMISSIS)) B.M.G. la difesa ha nominato il proprio consulente tecnico Dott.ssa Gi. che ha partecipato agli ulteriori accertamenti effettuati, come la stessa ha dichiarato (udienza 12/2/2016): "Io inizierò la mia analisi dicendo innanzitutto che l'incarico l'ho ricevuto nel momento in cui c'è stato il fermo dell'attuale imputato. Quindi a fine (OMISSIS). Per questo motivo sono stata in grado, insieme alla collega che allora mi affiancava, la dottoressa O., di seguire le operazioni che si sono svolte sia presso il RIS di Parma, che presso l'Università di Pavia dal dottor P. e dalla dottoressa Gr.. Quindi non è detto che lo abbia partecipato attivamente, ma in collaborazione appunto con la collega, per cui ci siamo suddivise la partecipazione a queste operazioni peritali". Il medesimo consulente tecnico, rispondendo alla domanda del Pubblico ministero che chiedeva "Mi pare di rilevare poi, nelle sue conclusioni su questo lavoro del professor P. e dottoressa Gr., che Lei alla fine è d'accordo con i metodi di indagine e con i risultati?", così risponde: "Certo, con i risultati e i metodi di indagine sono d'accordissimo. Sono le tecniche che impiego anche io in laboratorio".

D'altra parte, tutte le parti del giudizio hanno avuto la possibilità di saggiare, attraverso l'esame incrociato, la bontà delle affermazioni dei consulenti tecnici e di valutare la sostanza del contributo probatorio dei consulenti e la capacità di resistere alle confutazioni e alle proposte falsificazioni, secondo il metodo dialettico tipico del contraddittorio.

Alla luce di queste evidenze risulta del tutto infondata, oltre che generica, la denunciata violazione del contraddittorio: sin dal primo momento nel procedimento a carico di ((OMISSIS)) B.M.G. i consulenti tecnici nominati dalla difesa hanno potuto partecipare agli accertamenti tecnici effettuati; a ciò ha fatto seguito l'ampio contraddittorio nella fase del dibattimento.

Non può sfuggire, d'altra parte, il significato, nell'ottica della sottrazione al contraddittorio da parte della difesa ovvero nell'ottica della piena condivisione delle risultanze tecniche oggetto di esame incrociato, da attribuire al mancato deposito di eventuali contributi a confutazione che i consulenti tecnici della difesa avrebbero potuto sottoporre all'attenzione del giudice.

Ad eccezione di una breve relazione depositata dalla Dott.ssa Gi. a supporto di un'istanza cautelare formula da ((OMISSIS)) B.M.G. nella fase delle indagini, i consulenti tecnici di parte non hanno predisposto alcuna relazione di parte a confutazione delle conclusioni esposte dai consulenti del Pubblico ministero, nè, circostanza non meno significativa, hanno inteso sottoscrivere o in altro modo asseverare la memoria, infarcita di riferimenti di (presunto) carattere tecnico scientifico, depositata dai difensori al momento della discussione del processo in grado di appello.

4. E' inammissibile il quarto motivo di ricorso nell'interesse di ((OMISSIS)) B.M.G..

La richiesta di esaminare i reperti da parte dei consulenti avanzata dalla difesa ai sensi dell'art. 233 c.p.p., comma 1-bis, è stata ritenuta tardiva in quanto formulata per la prima volta all'udienza dell'11 dicembre 2015 in sede di illustrazione dell'eccezione di inutilizzabilità dei dati grezzi diversi da quelli acquisiti all'udienza del 26 ottobre 2015, e comunque irrilevante non attenendo ai temi della tempistica e delle modalità delle analisi genetiche sui campioni dai quali era stato estrapolato il profilo di (I1) IGNOTO 1 sui quali la difesa si era unicamente riservata il controesame dei consulenti del Pubblico ministero.

Tale richiesta è stata poi riproposta all'udienza del 4.3.2016 e la Corte d'assise si è riservata all'udienza del 15.4.2016; con ordinanza 22.4.2016 l'ha ritenuta intempestiva essendosi ormai esaurito il dibattimento ed essendosi più specificamente già esauriti nelle udienze del 4 e 11 febbraio 2016 l'esame e il controesame dei consulenti della difesa, ai quali l'esame dei reperti era preliminare e propedeutico.

4.1. E' utile precisare che il meccanismo di cui all'art. 233 c.p.p., comma 1-bis, destinato a regolare la particolare situazione processuale della consulenza tecnica disposta fuori del caso di perizia e dunque con il preciso scopo di non pregiudicare il successivo eventuale esperimento di quest'ultima, introduce una facoltà per il difensore di chiedere l'autorizzazione al Pubblico ministero o al giudice (secondo la fase) di far esaminare dal proprio consulente "le cose sequestrate nel luogo in cui esse si trovano".

Si tratta, a ben guardare, di una richiesta difensiva che, non avendo il carattere del diritto potestativo processuale - al quale corrisponde la soggezione del destinatario chiamato a compiere un determinato atto o comportamento o a subirne gli effetti -, non può essere priva di una specifica argomentazione a sostegno, rispetto alla quale l'autorità giudiziaria è chiamata a esercitare i propri poteri discrezionali sulla base delle prospettazioni difensive.

Da ciò si desume che, al pari di ogni altro analogo strumento processuale tipico dell'ambito probatorio, la richiesta è soggetta alle motivate ponderazioni dell'autorità giudiziaria che, dunque, potrà respingerla se generica, immotivata, inutile, tardiva, dilatoria o altrimenti infondata, fermo restando, a garanzia della difesa, il sindacato di tale decisione da esercitarsi secondo i consueti canali del ragionamento probatorio e perciò deducibile, in questa sede, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).

4.2. Ciò premesso, ad avviso del Collegio, in disparte la citazione da parte del ricorrente di una decisione di legittimità estranea al thema decidendum (Sez. 3, n. 21186 del 2013), la Corte di secondo grado ha correttamente ritenuto intempestiva, irrilevante e infondata la richiesta, in quanto formulata in termini generici e dopo l'esame dei consulenti sui reperti dei quali si era chiesta l'esibizione nonchè irrilevante perchè collegata all'eccezione di inutilizzabilità dei dati grezzi (diversi da quelli acquisiti all'udienza del 26 ottobre 2015) che nulla ha a che vedere con l'esibizione dei reperti.

E' utile rimarcare, in proposito, che i reperti in questione, al pari di tutto il restante materiale sequestrato e acquisito (i reperti sono stati tutti filmati e fotografati), sono stati resi disponibili all'atto della notificazione dell'avviso ex art. 415-bis c.p.p., e, comunque, alla conclusione delle indagini preliminari, mentre nessuna richiesta di esame è stata avanzata dalla difesa che l'ha avanzata soltanto quando l'esame dei consulenti, sia del Pubblico ministero che della difesa, erano già stato completato, rendendo perciò palese sia la genericità della richiesta che l'intento dilatorio di essa.

D'altra parte, la genericità della richiesta difensiva tardivamente introdotta è evidente laddove si consideri che (volutamente) confonde i reperti (vestiti e altri oggetti sequestrati) - questi sì esaminabili ex art. 233 c.p.p. -, con gli estratti biologici (i campioni di DNA) oggetto della consulenza, dovendosi, inoltre, evidenziare che i primi erano stati privati delle tracce biologiche (perchè asportate per l'estrazione del profilo genetico), sicchè il loro esame risultava del tutto inutile, mentre i secondi sono stati esauriti nelle varie analisi, come la stessa difesa ha ripetutamente affermato nei propri scritti difensivi e come i giudici di merito hanno confermato, di tal che anche detta richiesta è stata correttamente giudicata infondata.

La Corte di merito evidenzia come mai, prima della tardiva formulazione dell'istanza di esame dei reperti, sia stata avanzata richiesta di esaminare i reperti per conto dei consulenti tecnici della difesa Dott. Ranelletti, Dott. Gi. e Dott. C.; ciò, in effetti, trova puntuale riscontro nella sentenza di primo grado da cui si evince (pag. 3) che le richieste della difesa sono state tutte accolte, tranne questa perchè totalmente generica e tale rimasta anche dopo l'invito a fornire precise indicazioni rivolto dalla Corte alla difesa.

D'altra parte, la Corte di secondo grado precisa che la difesa ha avuto accesso a tutti i dati grezzi delle analisi genetiche indicati come essenziali per la consulenza di parte (i consulenti avevano, in effetti, specificamente individuato quelli utili), come da richiesta istruttoria formulata in data 11/9/2015 e accolta dalla Corte di primo grado; allo stesso modo, sempre nell'ottica di assicurare un pieno contraddittorio, la Corte d'assise aveva accolto la successiva richiesta di differimento del controesame dei consulenti tecnici della difesa per consentire un approfondito esame dei dati grezzi, sicchè la nuova e tardiva richiesta di esame dei reperti, come esplicitata dalla difesa, preludeva unicamente alla eventuale richiesta di perizia e nulla aveva a che vedere con l'esame di essi (pag. 67 della sentenza di primo grado).

Nella sentenza di primo grado, inoltre, si richiamano i verbali e i filmati relativi ai reperti acquisiti, mentre i consulenti della difesa non hanno mai riferito della necessità di esaminarne uno specifico, nè risulta depositata alcuna nota dei medesimi o della difesa da cui si evinca la necessità di visionare o di accedere al reperto ai fini dell'espletamento di un determinato accertamento.

4.3. D'altra parte, il ricorso non chiarisce, ed è perciò generico, quali conclusioni si vorrebbero trarre dalla denunciata irregolarità o illegittimità dell'ordinanza reiettiva, posto che non è prevista alcuna sanzione processuale e non è allegato alcun concreto ed effettivo interesse all'esame dei reperti.

La difesa, peraltro, ammette (pag. 70 dei motivi) il carattere meramente esplorativo della richiesta di esame dei reperti affermando "come non solo l'esame non sia condizionato all'elaborazione della consulenza, ma la portata della norma di certo non imponeva che l'esame fosse vincolato ai consulenti medico-legali e genetici già presenti".

5. E' inammissibile il quinto motivo di ricorso, nell'interesse di ((OMISSIS)) B.M.G., che riguarda il prelievo effettuato in data (OMISSIS) di un campione di saliva dell'imputato.

5.1. Va, innanzitutto, sgombrato il campo dalle fuorvianti suggestioni relative a pretesi vizi dell'atto perchè compiuto nei confronti di un soggetto che, seppur non formalmente iscritto nel registro degli indagati, risulterebbe di fatto sottoposto all'indagine per omicidio.

In realtà, al momento in cui è stato acquisito il campione di saliva dell'imputato non erano emersi indizi a suo carico, proprio perchè non era stato effettuato il confronto tra il suo DNA e quello di (I1) IGNOTO 1: la circostanza che gli inquirenti stessero cercando il figlio naturale di (OMISSIS) G.G.B. e di (OMISSIS) A.E., la quale aveva più figli nati in costanza di matrimonio con il proprio coniuge, è di per sè indicativa della assoluta incertezza sulla identificazione dell'indagato, a tacere del fatto che si era anche ipotizzato che il figlio naturale fosse stato dato, anche se informalmente, in adozione a un'altra famiglia.

D'altra parte, l'argomentazione difensiva è priva di logica perchè, seguendone il ragionamento, il Pubblico ministero avrebbe dovuto procedere all'iscrizione nel registro degli indagati delle migliaia di soggetti ai quali è stato prelevato un campione biologico per confrontarlo con quello di (I1) IGNOTO 1, perchè ciascuno di loro poteva essere l'assassino.

5.2. Sono inammissibili le doglianze relative alle modalità di acquisizione del campione salivare residuato, dopo l'uso dell'etilometro, sul boccaglio dell'apparecchio di misurazione.

E', in particolare, manifestamente infondata la denuncia di violazione dell'art. 224-bis c.p.p., poichè, come correttamente rappresentato dai giudici di merito che hanno proceduto alla ricostruzione fattuale dell'episodio - attività incensurabile in questa sede -, il boccaglio in questione è stato abbandonato dall'imputato, così potendo essere legittimamente appreso dalla polizia giudiziaria e sottoposto agli accertamenti genetici del caso, alla stregua del costante orientamento di legittimità secondo il quale il prelievo di saliva, avvenuto all'insaputa dell'imputato, può essere effettuato ai sensi dell'art. 348 c.p.p., in quanto l'attività non determina alcuna incidenza sulla sfera della libertà personale dell'interessato, riguardando materiale biologico fisicamente separato dalla persona (ex multiis: Sez. 2, n. 51086 del 07/10/2016, Franchin, Rv. 269233; in precedenza Sez. 1, n. 1028 del 02/11/2005 dep. 2006, Esposito ed altro, Rv. 233132).

In effetti, il boccaglio dell'etilometro è di per sè destinato alla dispersione dopo l'uso, allo scopo di evitare la possibile contaminazione batteriologica di altri individui da sottoporre al medesimo esame, sicchè può essere legittimamente appreso da chicchessia se colui che lo ha utilizzato lo abbandona, così allontanando il campione biologico dalla propria disponibilità, come è avvenuto nel caso di specie.

5.3. E' manifestamente infondata e perciò inammissibile la denuncia di violazione dell'art. 114 disp. att. c.p.p., poichè l'avviso ivi previsto è dovuto soltanto quando si procede agli atti di cui all'art. 356 c.p.p. (perquisizioni ex art. 352 c.p.p.; accertamenti urgenti e sequestro ex art. 354 c.p.p.; immediata apertura della corrispondenza a norma dell'art. 353 c.p.p., comma 2), tra cui non rientra l'acquisizione ex art. 348 c.p.p. del boccaglio abbandonato, nè, tanto meno, le successive attività di estrazione del DNA in quanto ripetibili.

5.4. Nel caso di specie, infine, le questioni poste sono inammissibili perchè irrilevanti: il prelievo di campione biologico è stato, in seguito, ripetuto nelle forme garantite, sicchè ogni questione sulle precedenti attività è irrilevante, non potendosi certo ipotizzare, come invece fa il ricorso, una nullità derivata tra due atti che risultano privi di collegamento sia logico che probatorio.

6. E' inammissibile, perchè generico e manifestamente infondato, il sesto motivo di ricorso, nell'interesse di ((OMISSIS)) B.M.G., che denuncia la violazione di legge e il vizio della motivazione in relazione all'inutilizzabilità di tutti gli atti di indagine compiuti dopo la scadenza del termine di sei mesi dall'iscrizione della notizia di reato nel Registro Modello 44 (Ignoti) a seguito di mancata proroga.

6.1. La giurisprudenza di legittimità è costantemente orientata, e da ciò deriva la manifesta infondatezza della censura proposta, ad affermare che "la previsione normativa di inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti oltre il termine di durata, ed in assenza di proroga, non trova applicazione nei procedimenti contro ignoti" (Sez. 6, n. 20064 del 25/03/2014, R e altro, Rv. 262536; in precedenza Sez. 2, n. 48104 del 13/11/2008, Ronghi e altri, Rv. 243031).

Ciò premesso, la questione da affrontare è quella relativa all'utilizzabilità degli atti acquisiti, nell'ambito di un procedimento a carico di ignoti, con attività di indagine espletata dopo la scadenza del termine iniziale di un anno (ex art. 405 c.p.p., comma 2) e non di sei mesi come asserisce il ricorrente. Peraltro, in caso di proroga, il termine massimo è di due anni, trattandosi di un reato rientrante tra quelli indicati nell'art. 407 c.p.p., comma 2, lett. a), circostanza che il ricorso omette di segnalare.

Il ricorrente eccepisce l'inutilizzabilità di tali atti sulla base dell'art. 415 c.p.p., così come modificato dalla L. 16 dicembre 1999, n. 479. In particolare rileva che: è stato introdotto dal Legislatore un termine anche per le indagini a carico di ignoti; che l'art. 415 c.p.p., comma 1, prevede che il P.M. deve chiedere entro quel termine o l'archiviazione o la richiesta di proroga; che l'art. 415 c.p.p., comma 3, stabilisce che "si osservano, in quanto applicabili, le altre disposizioni di cui al presente articolo"; che la violazione da parte del Pubblico ministero di quanto sopra e cioè, come nel caso di specie, il compimento di attività di indagine oltre il termine massimo, senza aver richiesto e ottenuto la proroga (di sei mesi) comporta, ex art. 407 c.p.p., comma 3, l'inutilizzabilità degli atti di indagine così acquisiti, citando a sostegno della tesi la sentenza delle Sezioni Unite del 28/03/2006 n. 13040.

Appare doveroso premettere che la citata decisione delle S.U. (così massimata: "non è abnorme, ma legittimo e perciò inoppugnabile, il provvedimento con cui il Gip autorizzi il P.M. alla prosecuzione delle indagini nei confronti di ignoti, fissando il termine di mesi sei, in quanto la determinazione del termine per la proroga delle indagini, previsto dall'art. 406 c.p.p., comma 2 bis, è applicabile, in forza della norma di rinvio dell'art. 415 c.p.p., comma 3, novellato ad opera della L. n. 479 del 1999, anche al provvedimento che autorizza la prosecuzione delle indagini nei confronti di ignoti, nelle medesime ipotesi per le quali essa è autorizzabile nei confronti di indagati noti" Sez. U, n. 13040 del 28/03/2006, P.M. in proc. Ignoti, Rv. 233197) non riguarda la questione dell'applicabilità della sanzione processuale (inutilizzabilità) prevista dall'art. 407 c.p.p., comma 3.

Tuttavia, secondo la difesa, tale sanzione di inutilizzabilità sarebbe però applicabile al caso in esame perchè le S.U. hanno affermato che il rinvio operato dall'art. 415 c.p.p., comma 3, deve intendersi nel senso che ricomprenda l'intero regime sui termini delle indagini, con applicazione della disciplina di cui agli artt. 406 e 407 c.p.p., fatte salve le disposizioni oggettivamente incompatibili.

Questa deduzione appare, però, manifestamente infondata, come già affermato dalla giurisprudenza di questa Corte in un caso analogo (Sez. 2, n. 48104 del 13/11/2008, Ronghi e altri, Rv. 243031).

6.1.1. La decisione delle Sezioni Unite risolve, in effetti, il problema relativo alla legittimità della fissazione del termine di cui all'art. 406 c.p.p., comma 2-bis, e più in generale il problema dei termini di durata delle indagini preliminari per i procedimenti a carico di ignoti, ma non affronta la questione del compimento di attività di indagine oltre il termine e, soprattutto, non afferma l'applicabilità, in questo caso, dell'art. 407 c.p.p., comma 3, e non stabilisce se tale ultima disposizione sia oggettivamente compatibile con il procedimento a carico di ignoti.

In realtà, dalla sentenza delle Sezioni Unite sopra citata si ricava, invece, che la sanzione processuale di inutilizzabilità prevista dall'art. 407 c.p.p., comma 3, non è applicabile ai procedimenti a carico di ignoti.

Si deve rilevare, innanzitutto, che le Sezioni Unite hanno affermato che l'assoggettamento delle indagini a limiti cronologici, nel contesto di uno stretto e penetrante controllo da parte del giudice, risulta funzionale all'efficace contrasto di un'eventuale inerzia del Pubblico ministero al fine dell'effettivo rispetto del canone di obbligatorietà dell'azione penale, sicchè sarebbe assurdo ritenere che il legislatore da una parte voglia - attraverso la modifica apportata nel 1999 all'art. 415 c.p.p. - contrastare un'eventuale inerzia e tutelare il rispetto effettivo del canone di obbligatorietà dell'azione penale, e dall'altra sanzionare con l'inutilizzabilità il compimento di atti di investigazione dopo la scadenza del termine.

Si tratterebbe, perciò, di un'interpretazione intrinsecamente illogica e contraddittoria nonchè contraria allo scopo della legge, in quanto le indagini svolte "oltre il termine" sono proprio quelle che, consentendo l'identificazione degli autori del reato, realizzano proprio lo scopo voluto dal legislatore e cioè la tutela effettiva dell'obbligatorietà dell'azione penale.

D'altra parte, la negligenza (eventualmente sanzionabile disciplinarmente) del Pubblico ministero che, alla scadenza del termine, non chieda nè l'archiviazione nè la proroga, non conculca il diritto di difesa dell'indagato proprio perchè manca un soggetto indagato, portatore di uno specifico interesse alla sollecita chiusura dell'attività d'indagine.

Nè si può obbiettare che adottando tale indirizzo si vanificherebbe la riforma dell'art. 415 c.p.p.: il legislatore ha voluto dotare il G.I.P. di un incisivo controllo dell'attività del Pubblico ministero anche quando questi proceda a carico di ignoti e proprio per questo gli ha fornito i mezzi per porre riparo all'inerzia (il G.I.P. ha il potere ex art. 415 c.p.p., comma 2, di ordinare l'iscrizione nel registro degli indagati del nome della persona che ritenga essere l'autore del reato).

Vi è di più: è proprio la citata decisione delle Sezioni Unite, dopo aver individuato la ratio della modifica all'art. 415 c.p.p., che riconosce la non l'applicabilità al procedimento contro ignoti dell'art. 407 c.p.p., comma 3. La sentenza in esame, infatti, esclude - proprio in conseguenza della individuazione della ratio del nuovo art. 415 c.p.p. - l'applicabilità dell'art. 414 c.p.p. nei procedimenti contro ignoti; si afferma che "analogamente, non interferisce con tali ragioni (ndr: l'applicazione del termine di sei mesi per la proroga, ex art. 406 c.p.p., comma 2-bis) la soluzione negativa che deve continuare a darsi (in conformità con la dominante giurisprudenza: v, sez. 1, 20 aprile 2004, dep. 25 maggio 2004, n. 23975, Molinari; sez. 1, 16 giugno 2005, dep. 19 luglio 2005, n. 26793, Giampà; sez. 4, 4 maggio 2005, dep. 19 agosto 2005, n. 31355, P.M. in proc. ignoti; sez. 5, 26 maggio 2004, dep. 16 luglio 2004, n. 31404, Madonna; sez. 1, 11 febbraio 2003, dep. 30 aprile 2003, Carelli e altri; sez. 1, 3 marzo 2003, dep. 13 marzo 2003, Bidognetti; sez. 7, 25 marzo 2002, dep. 10 maggio 2002, Perna;) al quesito relativo all'applicabilità, dopo il provvedimento di archiviazione delle indagini per essere ignoti gli autori del reato, della disposizione di cui all'art. 414 c.p.p., che impone un provvedimento formale di riapertura da parte del giudice: provvedimento che, invero, in tanto si giustifica in quanto, e solo in quanto, deve assolvere alla funzione di garanzia di un soggetto già indagato".

Ebbene, se le Sezioni Unite escludono l'applicabilità dell'art. 414 c.p.p. nel caso di archiviazione per essere ignoti gli autori del reato perchè manca, in tal caso, la funzione di garanzia di un soggetto già indagato e perchè lo svolgimento di ulteriori successive attività investigative è ricollegabile direttamente al principio dell'obbligatorietà dell'azione penale, a maggior ragione si deve escludere l'applicabilità dell'art. 407 c.p.p., comma 3, nell'ipotesi di in cui dette indagini siano state svolte oltre la scadenza del termine massimo poichè, come si è detto, tale evenienza non pregiudica alcun diritto dell'indagato, proprio perchè manca un soggetto indagato, che sia portatore di uno specifico interesse alla sollecita chiusura dell'attività d'indagine e perchè il compimento - dopo la scadenza del termine - di atti di investigazione che consentono l'identificazione degli autori del reato, realizza proprio lo scopo voluto dal legislatore e cioè la tutela effettiva dell'obbligatorietà dell'azione penale.

6.2. D'altra parte, il motivo di ricorso è inammissibile perchè generico, non essendo indicati il termine di scadenza delle indagini preliminari e gli specifici atti che sarebbero stati compiuti oltre detta data e, dunque, secondo l'ipotesi difensiva, colpiti dalla sanzione d'inutilizzabilità.

Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, infatti, la parte che deduce l'inutilizzabilità ha l'onere di indicare specificamente gli atti sui quali l'eccezione si fonda e di allegare tali atti qualora non facciano parte del fascicolo trasmesso al giudice di legittimità, dovendosi evidenziare che, nel caso di specie, si tratterebbe di atti contenuti nel fascicolo del Pubblico ministero (Sez. U, n. 39061 del 16/07/2009, De Iorio, Rv. 244329; Sez. 6, n. 18187 del 14/12/2017 dep. 2018, Nunziato, Rv. 273007).

Manca, nel caso di specie, la specifica deduzione degli atti sui quali si fonda l'eccezione di inutilizzabilità, sicchè la stessa è inammissibile perchè generica e non autosufficiente.

6.3. In ogni caso, il motivo di ricorso è inammissibile perchè il ricorrente non ha neppure dedotto le specifiche conseguenze dell'ipotizzata inutilizzabilità degli atti (non meglio indicati), conseguenze che dovrebbero incidere sulle prove acquisite in contraddittorio nel corso del dibattimento.

La giurisprudenza di legittimità è, infatti, orientata ad affermare, proprio in relazione ad atti asseritamente compiuti dopo la scadenza del termine di durata delle indagini preliminari, che "in tema di ricorso per cassazione, è onere della parte che eccepisce l'inutilizzabilità di atti processuali indicare, pena l'inammissibilità del ricorso per genericità del motivo, gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne altresì la incidenza sul complessivo compendio indiziario già valutato, sì da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugnato" (Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, Fruci, Rv. 243416).

In altri termini, ferma restando l'inammissibilità della deduzione concernente l'inutilizzabilità degli atti compiuti dopo la scadenza del termine delle indagini preliminari perchè manifestamente infondata e generica - non essendo indicati gli atti de qua -, è onere del ricorrente indicare quali conseguenze, da tale asserita inutilizzabilità, ritiene di trarre con riguardo alle prove acquisite nel giudizio dibattimentale svoltosi nel contraddittorio delle parti, risultando, ad esempio, che l'indagine genetica (atto irripetibile del 10 dicembre 2012) è stata effettuata nel rispetto del termine delle indagini preliminari (25 febbraio 2013 in ragione del termine di due anni, oltre la sospensione feriale).

Manca, come si è detto, una specifica deduzione in proposito, sicchè il motivo di ricorso, anche sotto tale profilo, è inammissibile.

7. Il settimo, l'ottavo e il nono motivo di ricorso, nell'interesse di ((OMISSIS)) B.M.G., denunciano la violazione di legge e il vizio della motivazione in relazione alle indagini genetiche, con riferimento all'inosservanza delle linee guida Europee e internazionali, e la mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione per travisamento della prova: 1) sulla questione "kit scaduti" (settimo motivo); 2) sull'omesso espletamento dei controlli positivi e negativi (ottavo motivo); 3) sull'omessa "ripetizione delle corse" (nono motivo).

Deve essere premesso che si tratta di motivi inammissibili perchè estranei al perimetro devolutivo giacchè introdotti nel giudizio di merito mediante i motivi nuovi di appello che sono stati dichiarati inammissibili per tardività; vi è da dire, sul punto, che il ricorso neppure contesta la declaratoria di inammissibilità di detti motivi di appello, sicchè la riproposizione di essi sotto forma di ricorso per cassazione non può che indurre a ritenerli tout court irricevibili, senza necessità di analizzarli.

Ciò non di meno, il Collegio, consapevole delle reiterate mistificazioni di cui è stato alimentato il dibattito tecnico e pubblico sulla vicenda, ritiene utile evidenziare ulteriori aspetti di inammissibilità specifica, sotto il profilo della genericità, non autosufficienza e manifesta infondatezza, delle ridette doglianze.

7.1. Conformemente a quanto riportato in premessa (paragrafo n. 1.4.), è il caso di evidenziare che le doglianze formulate al settimo, ottavo e nono motivo di ricorso sono inammissibili anche perchè generiche e aspecifiche, in quanto esposte in un ricorso privo di autosufficienza che riporta per stralcio brani di deposizioni o di altri atti e documenti versati nel fascicolo processuale che non sono specificamente indicati nella loro affogliazione, sicchè la Corte di legittimità è posta nella impossibilità di verificarne la esistenza, la completezza e la pertinenza.

7.2. D'altra parte, come pure si è premesso (paragrafo n. 1.3.), la deduzione del travisamento della prova non può limitarsi nella proposizione di una diversa lettura delle fonti, sicchè le doglianze a tale proposito sviluppate nel settimo, ottavo e nono motivo di ricorso, sono inammissibili perchè, fermo restando il già rilevato limite della genericità per mancanza di specificità in ragione della scelta di riportare per stralcio alcuni brani delle deposizioni dei consulenti, risultano estranee al parametro di deducibilità: il ricorso, infatti, deduce il travisamento della prova, costituita dalla perizia genetica, mediante l'inserimento di un'affermazione o di una frase, che si assume di segno opposto alle conclusioni concordemente raggiunte in entrambi i gradi di giudizio, (es)tratta da un più ampio compendio probatorio o documentale, ma, in concreto, deducendo l'erroneità del ragionamento probatorio per mancato esame di un singolo e specifico aspetto o per asserito contrasto di esso con le conclusioni.

7.3. I motivi di ricorso sono inammissibili anche perchè introducono valutazioni di merito e in fatto che sono estranee al perimetro del giudizio di legittimità.

7.3.1. Deve essere premesso che, come risulta dalla concorde ricostruzione compiuta da entrambi i giudici di merito, sono stati utilizzati kit diversi per l'estrazione di più marcatori STR (cioè quelli che permettono di individuare un profilo genetico); i kit, normalmente in uso ai RIS, permettono già di individuare ben 16 marcatori. In particolare, nel campione 31-G20 ne sono stati isolati 23 + l'amelogenina (cromosoma sessuale XY), comprendendo anche SE33, con gli alleli 18 e 26, particolarmente rari nella popolazione, nonchè il Penta D con alleli 9 e 14, il Penta E con alleli 11 e 16.

Il prof. Pi., altro consulente, ha eseguito autonomamente le analisi sulle aliquote di campioni 31-G15 e 31-G16, consegnategli dal Prof. Ca., e sulle aliquote dei campioni G23 e G24, consegnategli dal RIS; in particolare, con il diverso sequenziatore presente nel suo laboratorio ne ha analizzati 7, di cui 2, il Penta D e il Penta E, perfettamente identici a quelli individuati dal RIS e 5 completamente nuovi, sicchè risulta eseguito positivamente il controllo incrociato, così come affermato dalle linee guida.

In definitiva, il controllo è stato eseguito su 28 marcatori: 23 del RIS e 5 di Pi. (entrambi su l'amelogenina), fermo restando che basterebbero 10 marcatori STR per individuare un soggetto.

Oltre ad usare kit diversi, in giorni diversi, risultano essere stati addirittura utilizzati pozzetti diversi, dove è stato diluito il campione estratto, sicchè risulta scongiurato il rischio di inquinamento.

7.3.2. Ciò premesso, i giudici di merito hanno superato, con logica e coerente argomentazione, le questioni poste dalla difesa in merito ai kit scaduti.

Il consulente della difesa Dott. C., che è l'unico dei due consulenti del ricorrente ad avere esaminato i dati grezzi (peraltro, per sua ammissione, "a campione"), ha evidenziato che alcuni kit utilizzati per individuare il DNA nucleare erano scaduti e ha affermato che tali kit scaduti, per essere utilizzati oltre alla data di scadenza, devono essere oggetto di test di validazione.

Tuttavia, come logicamente affermato dai giudici di merito, la data di scadenza dei kit è rilevante solo a fini commerciali e può, comunque, essere superata dai test di validazione.

In particolare, sulla non rilevanza della scadenza dei kit si sono soffermati, in maniera ritenuta convincente dal punto di vista scientifico e logico, anche i consulenti del P.M., rilevando che quello dei kit eventualmente scaduti non è un tema che incide sulla interpretazione, qualità e validità del dato. Invero, se un dato non è interpretabile per problemi tecnici di qualsiasi tipo (e questo può avvenire anche con polimeri e kit non scaduti), quell'analisi deve essere ripetuta, sicchè l'effettivo utilizzo di kit scaduti (inefficienti) avrebbe determinato un risultato nullo perchè non interpretabile, sicchè se in esito all'amplificazione di un estratto e della successiva corsa elettroforetica, invece, non si ravvisano problemi e il dato genetico che appare risulta leggibile, solido e ben interpretabile, il relativo risultato deve ritenersi del tutto valido anche con polimeri scaduti in quanto, in caso diverso, il risultato sarebbe abortito e non sarebbe apparso con i caratteri appena indicati.

D'altra parte, nel corso del giudizio si è fatto concreto riferimento a documentazione scientifica prodotta e acquisita (nota dell'azienda produttrice dei polimeri con la quale è stato escluso che la data di scadenza possa precludere il corretto utilizzo dei reagenti, facendo riferimento ad ampi studi di validazione, tant'è che la stessa azienda produttrice ha provveduto a sostituire il software dei sequenziatori che inizialmente inibiva la corsa elettroforetica nel caso in cui il sistema avesse rilevato un reagente scaduto, consentendone l'impiego) che conferma la possibilità di utilizzare kit scaduti.

Nel medesimo contesto è stata acquisita la nota di un famoso genetista (prof. B.) il quale afferma che la data scadenza è posta soltanto a fini commerciali (si tratta di una "business decision"); a ciò deve aggiungersi che lo stesso genetista, nella propria pubblicazione riconosciuta la base della moderna indagine genetico-forense, ha affermato che "...Vale la pena notare che la qualità del profilo del DNA non è necessariamente diminuita se vengono utilizzati reagenti scaduti".

A fronte di tali produzioni e argomentazioni la difesa non ha sviluppato alcuna contestazione nei motivi di appello e neppure nella memoria aggiunta (soltanto in sede di discussione la difesa ha chiesto di produrre una mail del genetista che dovrebbe smentire quanto risulta dalla sue stesse pubblicazioni), sicchè i giudici di merito hanno logicamente concluso che, se per un verso, l'utilizzo di un kit scaduto non determina di per sè una inefficacia del test, d'altra parte, l'ipotetica inefficienza del polimero scaduto produrrebbe un risultato non leggibile o non interpretabile, ma mai porterebbe alla produzione di un profilo riconducibile a una persona specifica e sempre la stessa: ((OMISSIS)) B.M.G..

I giudici di merito hanno condivisibilmente anche fatto notare che:

- la difesa, nella memoria conclusiva (intestata: motivi aggiunti), ha ammesso che diversi kit utilizzati non erano scaduti, sicchè conferma che ve ne erano molti ai quali non si riferisce l'obiezione;

- il Dott. C., consulente della difesa, non ha (in realtà) mai affermato che i test di validazione dei kit utilizzati non siano avvenuti;

- come emerge dalle dichiarazioni dei consulenti del Pubblico ministero ( S. e Ge.), mentre le Linee Guida Internazionali non indicano nulla di preciso sull'utilizzo o meno di reagenti con data di scadenza superata, in quanto un siffatto tema non incide sull'interpretazione e qualità del dato, le linee guida Ge.Fi. (Genetisti Forensi Italiani, organizzazione di cui sono coordinatori e membri anche il prof. P., il Prof. G., il Prof. Pi. e il Dott. Gi., genetisti che tutti hanno convalidato, nel caso in esame, la validità del dato genetico ottenuto e della procedura seguita) parlano della possibilità di effettuare una procedura di rivalidazione documentata, attestante una analoga performance analitica rispetto al prodotto non scaduto, vale a dire una verifica attraverso l'utilizzo che consenta una analoga performance rassicurante, come avvenuto nel caso di specie per mezzo della citata ripetizione dei test con diversi reagenti e per diverse volte;

- il Col. p., comandante della sezione di biologia del RIS di Parma, ha precisato, senza ricevere specifiche contestazioni dalla difesa, che le amplificazioni e le tipizzazioni costituiscono accertamenti che consentono di ottenere dati attendibili, nonostante i kit siano scaduti. Il teste, dopo aver precisato che, a seguito di procedure complicate dal punto di vista scientifico e di numerosi test, nei laboratori del RIS è stata stabilita la soglia di rilevabilità minima e la soglia stocastica, indicando quali sono le soglie per gli strumenti e i kit in uso nel laboratorio, ha precisato che molte delle scadenze indicate non sono in realtà reali e che, comunque, qualsiasi problema viene rilevato dall'operatore ("ma il buon operatore lo vede subito se un kit... i picchi cominciano a sbilanciarsi, a ballare etc., se il kit non è a posto rifà l'amplificazione e buonanotte"), aggiungendo che "nel caso di specie sono stati usati così tanti kit, ripetuti su tante campionature, ripetuti sullo stesso estratto, sullo stesso amplificato, che il problema proprio non si poneva";

- il consulente della difesa Dott. C., che non ha espressamente contestato la bontà dei dati ottenuti con reattivi utilizzati oltre la data commerciale di scadenza, è stato ritenuto, sulla base del curriculum professionale, non esperto degli strumenti tecnici in uso in quegli anni presso il RIS (tant'è che ha erroneamente sostenuto che il RIS aveva una strumentazione che automaticamente non permetteva di utilizzare reattivi scaduti) e, comunque, privo di esperienze specifiche (non era a conoscenza che presso il RIS era stato cambiato il software dopo che al congresso internazionale di Vienna il prof. B. aveva affermato che la data di scadenza dei polimeri reattivi è posta a soli fini commerciali e che, quindi, si possono usare anche dopo la scadenza). D'altra parte, i giudici di merito hanno evidenziato che il Dott. C. non ha saputo indicare i tracciati (gli elettroferogrammi) per i quali sarebbero stati utilizzati kit scaduti e nei quali avrebbe rilevato problemi (artefatti) tecnici, pur avendo avuto a disposizione i dati grezzi;

- con riferimento alle indagini eseguite per tentare di stabilire l'origine biologica della traccia, il Dott. C. ha ammesso che "queste tracce sono state esplorate in maniera precisa e approfondita con quelli che sono i kit attualmente disponibili sul mercato, più rilevanti... sono kit specifici testati, approvati e validati per l'utilizzo su tracce degradate", così smentendo le proprie generiche affermazioni sulla scadenza dei kit.

Conclusivamente, ad avviso del Collegio, le doglianze concernenti l'utilizzo di kit scaduti oltre a essere generiche, perchè non sono stati indicati i test nei quali tale evenienza si sarebbe verificata, risultano manifestamente infondate perchè i giudici di merito, con ampia, logica e coerente motivazione, hanno posto in evidenza l'ininfluenza della data di scadenza, stabilita a fini commerciali, rispetto all'efficienza del test per identificare il DNA e la legittimità dell'uso di reagenti scaduti perchè sottoposti a procedura di validazione sul campo mediante la ripetizione delle analisi in diversi contesti laboratoristici e con diverse apparecchiature e da parte di diversi operatori.

In ultima analisi deve essere evidenziato che i giudici di merito hanno preso in esame le argomentazioni del consulente di parte Dott. C., ritenendo, sulla base di un ampio e ragionevole percorso logico valutativo, il medesimo privo delle necessarie competenze specifiche rispetto ai consulenti dell'accusa e, perciò, di accedere alle conclusioni concordemente espresse da tutti gli altri esperti del settore, sicchè la motivazione sul punto è incensurabile, dovendosi richiamare il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale "in tema di prova, in virtù del principio del libero convincimento, il giudice di merito, pur in assenza di una perizia d'ufficio, può scegliere tra le diverse tesi prospettate dai consulenti delle parti, quella che ritiene condivisibile, purchè dia conto con motivazione accurata ed approfondita, delle ragioni della scelta nonchè del contenuto della tesi disattesa e delle deduzioni contrarie delle parti e, ove tale valutazione sia effettuata in modo congruo, è inibito al giudice di legittimità procedere ad una differente valutazione, trattandosi di accertamento di fatto, come tale insindacabile in sede di legittimità" (Sez. 4, n. 8527 del 13/02/2015, Sartori, Rv. 263435; in tema di perizia d'ufficio, si veda, ex multiis, Sez. 5, n. 18975 del 13/02/2017, Cadore, Rv. 269909).

Da ultimo, quanto affermato in sentenza ha ricevuto l'avallo ufficiale dei Genetisti Forensi che, all'esito di in un recente congresso, hanno approvato una modifica delle linee guida, richiamate dalla difesa nei motivi aggiunti, che esclude la necessità di procedere a una formale e distinta procedura di validazione dei kit scaduti.

7.3.2.1. In conclusione, anche allo scopo di evidenziare l'intento defatigatorio del comportamento difensivo, è utile analizzare il denunciato travisamento circa quanto risulta a pag. 250 della sentenza impugnata in ordine ai marcatori Penta D e Penta E; in merito il ricorso denuncia: "Del tutto evidente, che i tre kit utilizzati per le quattro tracce in questione ("31G15, 31G16", "G23 e G24", diversamente da come riportato in sentenza, pag. 250) non contemplano i sistemi Penta D e Penta E (che sono prerogativa esclusiva, tra i kit utilizzati dal RIS, del prodotto denominato PowerPlex16)".

E', anzitutto, utile chiarire, per illustrare la confusione e la contraddittorietà delle affermazioni contenute nel ricorso, che Penta D e Penta E non sono "testi" (come si afferma a pag. 164 del ricorso), nè "sistemi" analizzati dai KIT (pag. 166 del ricorso), nè "reagenti" (pag. 169 del ricorso), nè "accertamenti" (pag. 174 del ricorso), ma piuttosto dei marcatori genetici.

Ciò premesso, il ricorso denuncia che "nessun consulente dell'accusa ha mai neppure verificato se l'odierno imputato possiede le caratteristiche genetiche rilevate dai reagenti Penta D e Penta E ".

Si tratta di una affermazione radicalmente falsa: a pag. 249 della sentenza si legge: "Nel campione 31-G20 ne sono stati isolati 23 + l'amelogenina (cromosoma sessuale XY) comprendendo anche SE33, con gli alleli 18 e 26, particolarmente rari nella popolazione, nonchè il Penta D con alleli 9 e 14, il Penta E con alleli 11 e 16 (vedi tabella genotipica riassuntiva, pag. 216, relazione RIS). Il prof. Pi. a Milano ha eseguito autonomamente le analisi sulle aliquote di campioni 31-G15 e 31-G16, consegnategli dal Prof. Ca. e sulle aliquote dei campioni G23 e G24 consegnategli dal RIS. In particolare, con il sequenziatore presente nel suo laboratorio (con il reattivo PowerPlex CxS 7, di cui egli disponeva e che non era in possesso del RIS) ne ha analizzati 7 (ndr ovviamente marcatori), di cui 2, il Penta D e il Penta E, perfettamente identici a quelli individuati dal RIS e 5 completamente nuovi". D'altra parte, quanto affermato in sentenza trova piena corrispondenza nella relazione dei RIS (pag. 77) ben nota ai difensori del ricorrente che, lungi dal denunciare errori metodologici nelle valutazioni compiute dai giudici di merito, preferiscono accusarli di falsità.

7.3.2. I giudici di merito hanno anche superato, con logica e coerente argomentazione, le questioni poste dalla difesa in merito ai controlli positivi e negativi.

I giudici hanno, innanzitutto, evidenziato che, in merito ai controlli negativi e positivi, il consulente della difesa Dott. C., unico che muove critiche sul tema, ha affermato che "c'erano dei risultati chiari e c'erano dei risultati che erano assolutamente non interpretabili", così restringendo le censure a una parte dei controlli, sicchè gli altri devono essere considerati esenti da difetti.

In generale, i giudici di merito, dopo avere premesso che ogni analisi prevede un controllo positivo e uno negativo che deve fornire risultanze previste dalla metodica, hanno precisato che il laboratorio del RIS ha obbligatoriamente svolto i controlli positivi e negativi, come è stato più volte ribadito al dibattimento (cap. S. e Ge.) e come risulta confermato dall'esame dei dati grezzi ed è riportato a chiare lettere nella relazione del (OMISSIS), laddove si legge: "per buona prassi di laboratorio, così come richiesto dai citati standard, l'intero processo di caratterizzazione genetica, dall'estrazione alla tipizzazione, è stato monitorato anche mediante controllo negativo e controllo positivo. Il controllo negativo (un mix di reazione priva di DNA), denominato anche "bianco di reazione", garantisce che durante tutte le operazioni di laboratorio non si è patita alcuna contaminazione da DNA esogeno di primati (operatore/apparecchiature, etc.), mentre il controllo positivo (mix contenente DNA di ottima qualità e sequenza nota) assicura il corretto andamento delle reazioni in condizione standard. Infine l'ultimo controllo viene effettuato comparando i pattern allelici ottenuti con tutti quelli degli operatori che gravitano nel laboratorio, al fine di garantire che il risultato ottenuto non sia frutto di una accidentale contaminazione ad opera di terzi".

Con logica e coerente motivazione risulta, quindi, smentita l'obiezione difensiva (contenuta nei motivi aggiunti inammissibili) con la quale si è, in modo generico, affermata la mancanza di controlli positivi e negativi, predisponendo all'uopo una tabella (redatta dai difensori) contenente l'indicazione "assenti" sotto la voce "controlli positivi e negativi", laddove i consulenti del RIS, hanno assicurato, non venendo nemmeno smentiti dal consulente della difesa Dott. C., di aver eseguito tali controlli.

D'altra parte, si è posto in evidenza che il Dott. C. ha confermato la validità di alcuni controlli positivi e negativi e che, comunque, allorquando gli sono stati rappresentati i numerosi controlli positivi e negativi, non ha formulato alcuna specifica osservazione.

In conclusione, secondo i giudici di merito, i controlli positivi e negativi che sono contestati (in minima parte) dal Dott. C. non superano la decina (6 controlli negativi e 4 controlli positivi) e riguardano alcuni "picchi" degli alleli.

Secondo i giudici di merito la comunità scientifica internazionale non è stata mai tassativa riguardo ai "picchi", ma è stata sempre concorde nell'invitare a valutare, in sede di interpretazione, gli eventuali picchi presenti nei controlli negativi verificando se siano o meno ricorrenti anche negli altri campioni della corsa. In altri termini, come ha affermato anche un illustre genetista (prof. G.P.), solamente la ridondanza dei medesimi alleli presenti nel controllo negativo anche sugli altri campioni della corsa deve destare allarme e far pensare a una possibile contaminazione.

In proposito, osserva logicamente la Corte distrettuale, lo stesso Dott. C., alla specifica domanda se egli abbia notato una ridondanza di alleli presenti nei controlli negativi, ha risposto che "non è una cosa che ha richiamato la mia attenzione", con ciò rappresentando l'irrilevanza della questione.

D'altra parte, come ha osservato logicamente il giudice di merito, deve essere esclusa in radice ogni ipotesi di contaminazione dei campioni con il DNA dell'imputato, in quanto il DNA di ((OMISSIS)) B.M.G. non è mai transitato presso i laboratori del RIS e i DNA degli operatori erano controllati per esclusione, secondo una consolidata prassi operativa, sicchè la presenza di picchi per alcuni alleli non può derivare da contaminazione.

Quanto al fenomeno di "drop in" (presenza di uno o più alleli spuri in un elettroferogramma), i giudici di merito hanno logicamente affermato che si tratta di un fenomeno ampiamente considerato nelle linee guida e nella letteratura scientifica e che è considerato un effetto stocastico (nel calcolo delle probabilità: dovuto al caso, casuale, aleatorio) la cui incidenza è studiata e monitorata proprio partendo dai controlli negativi (è stimato normalmente ricorrente in una piccola percentuale di casi), sicchè un picco isolato in un controllo negativo non determina l'inaffidabilità della procedura, tanto più in presenza di un controllo caratterizzato da un profilo solidissimo che è 15 o 20 volte più rappresentato rispetto al singolo picco riscontrato in un solo controllo negativo.

In proposito, la Corte distrettuale ha sottolineato che il dato di riscontro numerico della presenza del profilo è tanto più rilevante in quanto l'estratto, nel quale è stato rinvenuto il profilo dell'imputato, era stato a sua volta diluito 15 volte per ottenere un dato elettroforetico significativo, in ragione della particolare abbondanza di esso.

La Corte ha, infine, evidenziato, con coerente e logica motivazione, che il tema dei controlli positivi e negativi e ininfluente nel caso in esame, tenuto conto che il DNA dell'imputato era particolarmente evidente e quantitativamente rilevante. In particolare, è stata valorizzata, con logica e coerente argomentazione, la dichiarazione del teste (col. p.) che, dopo avere specificato che nel laboratorio RIS avevano stabilito sulla base di valutazioni scientifiche la soglia di rilevabilità minima e la soglia stocastica (con la conseguenza, ad esempio, che se un controllo positivo ha dei picchi superiori alla soglia stocastica vuol dire che in quell'analisi qualche cosa non va), ha affermato "però nel caso di specie, soprattutto per (I1) IGNOTO 1, era talmente tanto il DNA che c'era, tanto rispetto ai nostri standard, e presente in così tante campionature, che questa problematica non c'era".

Conclusivamente i giudici di merito hanno evidenziato che un diverso consulente (Dott. Po.) ha verificato l'analisi dei dati grezzi (16 tra amplificazioni e ripetizioni effettuate sul campione 31-G20), promuovendo, in ragione della presenza di segnali allelici chiaramente interpretabili e della regolarità dei controlli positivi e negativi, gli amplificati ottenuto dal RIS, sicchè le argomentazioni del consulente della difesa sono state giudicate destituite di fondamento.

Anche in questo caso, ad avviso del Collegio, le doglianze concernenti i controlli oltre a essere generiche, perchè non sono stati indicati i test nei quali tale evenienza si sarebbe verificata, risultano manifestamente infondate perchè i giudici di merito, con ampia, logica e coerente motivazione, hanno posto in evidenza l'irrilevanza del fenomeno e la sua giustificazione in termini statistici, escludendo, d'altra parte, l'ipotesi che vi possa essere stata una contaminazione del campione con il DNA dell'imputato che, all'epoca degli accertamenti, non risultava presente o acquisito in nessuna banca dati e, in particolare, in quella del RIS. 7.3.3. I giudici di merito hanno anche superato, con logica e coerente argomentazione, le questioni poste dalla difesa in merito alla "ripetizione della corsa" elettroforetica.

Va premesso che i giudici di merito hanno concordemente evidenziato che, alla luce della tabella di quantificazione del DNA totale (pg/ml) desumibile da pag. 212 della relazione (OMISSIS) del RIS, se si tiene conto solo del quantitativo del DNA maschile, non richiedevano ripetizione i campioni: G1-Ext (DNA totale 2.500,00; DNA maschile 1.000,00); G2-Int (DNA totale 800,00; DNA maschile 150,00); G19 (DNA totale 290,00; DNA maschile 140,00); G20 (DNA totale 2.000,00; DNA maschile 1.400,00).

Allo stesso modo, tenendo conto anche del quantitativo del DNA totale del campione, non richiedevano una seconda ripetizione anche i campioni: G2 Ext (DNA totale 630,00); G3 (DNA totale 640,00); G4 (DNA totale 250,00); G13 (DNA totale 300,00); G14 (DNA totale 140,00); G15 (DNA totale 310,00); G16 (DNA totale 450); G17 (DNA totale 130,00); G18 (DNA totale 150,00), G24 (DNA totale 160,00).

Ciò non di meno, la Corte distrettuale ha evidenziato che anche diversi campioni con quantitativo di DNA superiore alla soglia sopra indicata (per i quali, quindi, non era necessaria la ripetizione) sono stati sottoposti a ripetizione, con esiti identici, a ulteriore conferma nella bontà dell'accertamento e della particolare affidabilità delle conclusioni raggiunte.

Si può concludere, secondo i giudici di merito, che la necessità di ripetizione delle analisi riguarda solo i casi in cui la quantità di materiale biologico è estremamente ridotta (Low Copy Number DNA).

E' importante premettere, perchè costituisce un dato non contestato scientificamente, che le linee guida internazionali, come riconosce lo stesso consulente della difesa Dott. C., richiedono una doppia analisi, ove per analisi si intende una seconda amplificazione e non la ripetizione della corsa con gli stessi parametri, ma soltanto quando il quantitativo di DNA sia inferiore a 100 picogrammi per microlitro (cioè si tratti di un caso di Low Copy Number o Low Template), sicchè la questione posta nel ricorso è manifestamente infondata e perciò inammissibile.

Risulta, in particolare, manifestamente infondata la pretesa di procedere alla ripetizione della corsa per tutti i campioni, indipendentemente dal superamento della soglia indicata dalla letteratura scientifica, solo perchè si sarebbe proceduto a un accertamento tecnico fuori del caso di cui all'art. 360 c.p.p., poichè, in disparte la già risolta questione della correttezza procedurale dell'analisi genetica affidata al RIS, la necessità di ripetizione delle analisi è prevista, ed è stata regolarmente effettuata, in caso di "Low Copy Number" nonchè, per maggiore approfondimento e sicurezza dei risultati, anche per alcuni campioni che superavano detta soglia.

8. Il decimo motivo di ricorso, nell'interesse di ((OMISSIS)) B.M.G., denuncia il vizio di motivazione per mancanza, contraddittorietà e illogicità in relazione alla questione "DNA nucleare" e il travisamento della prova sulla medesima questione.

8.1. Prima di esaminare il motivo di ricorso, saranno premesse alcune considerazioni sulla prova scientifica con particolare riferimento all'uso processuale del DNA. Lo scenario del moderno processo penale è dominato dal sapere scientifico. Il giudice dt legittimità è chiamato a misurarsi con tale sapere e con la sua validità e a verificare se i giudici di merito lo abbiano correttamente governato e coniugato con i principi e le regole che presidiano l'accertamento della responsabilità penale. In effetti, non si può privare il giudice dell'apporto della scienza e dei suoi risultati al fine di approssimarsi a quella nozione di verità che costituisce il presupposto necessario per l'emissione di decisioni avvertite come giuste dal corpo sociale.

8.1.1. Il primo tema è, quindi, quello dell'affidabilità scientifica di una disciplina tecnica e la sua veicolazione nel processo.

Il criterio da adottare per valutare se una certa disciplina possa reputarsi scientifica, e quindi affidabile, è quello della sua controllabilità o falsificabilità empirica. Il controllo del giudice, non può quindi limitarsi alla sola circostanza se l'esperto sia stato più o meno diligente, ma deve verificare se la tesi prospettata risulti convincente e fondata.

A tal fine si impone un'attenta verifica delle garanzie di competenza e imparzialità che offre l'esperto, per evitare che l'accertamento della verità sia affidato alla "scienza spazzatura" o alla "frode scientifica" (Corte Suprema degli Stati Uniti: Daubert v. Merrel Dow Pharmaceuticals).

Il giudice è, dunque, il garante dell'affidabilità del sapere scientifico riversato nel processo e di colui che a tale operazione di riversamento provvede, cioè l'esperto.

D'altra parte, il giudice di legittimità non è il giudice del sapere scientifico e non detiene proprie conoscenze privilegiate; esso è chiamato a valutare la correttezza metodologica dell'approccio del giudice di merito al sapere tecnico-scientifico che riguarda la preliminare, indispensabile verifica critica in ordine all'affidabilità delle informazioni che utilizza ai fini della spiegazione del fatto. La Corte di legittimità è chiamata a valutare se la spiegazione fornita nel provvedimento impugnato sia razionale e logica e tale valutazione non può che prendere le mosse proprio dai risultati raggiunti in tema di prova scientifica a partire dalla sentenza Franzese (Sez. U, n. 30328 del 10/07/2002, Franzese, Rv. 222138) che costituisce lo snodo essenziale per fare entrare la prova scientifica nelle logiche dell'accertamento processuale e ha segnato il definitivo superamento della pretesa positivistica di una conoscenza indelebilmente certa.

La sentenza Cozzini (Sez. 4, n. 43786 del 17/09/2010, Cozzini, Rv. 248943), pur condividendo sostanzialmente i criteri enunciati dalla Corte statunitense nel caso Daubert, ne ha arricchito la portata con riferimento alla fase di valutazione della prova scientifica da parte del giudice, aggiungendo l'indipendenza e l'affidabilità dell'esperto, l'ampiezza e il rigore del dibattito critico che ha accompagnato la ricerca, la finalità di studi che la sorreggono, l'attitudine esplicativa dell'elaborazione teorica, e ha fissato un punto fondamentale nei rapporti tra sapere scientifico e sapere giuridico: il "sapere scientifico è indispensabile strumento al servizio del giudice di merito".

Si tratta di una impostazione metodologica che la Corte di legittimità ha ulteriormente ribadito, ritenendo corretto il ricorso alla innovativa "Blood Pattern Analysis" (B.P.A.) e l'utilizzo delle risultanze di tale analisi scientifica per fondare la responsabilità, poichè i giudici di merito avevano ammesso e valutato la prova facendo puntuale applicazione dei criteri fissati dallo "standard Daubert", espressione di principi universalmente accettati nel governo della prova scientifica, di tal che la relativa novità dell'analisi scientifica delle tracce ematiche non poteva costituire di per sè un ostacolo alla sua utilizzazione nel processo ai fini di prova (Sez. 1, n. 31456 del 21/05/2008, Franzoni, Rv. 240764).

L'appropriazione a fini giuridici del sapere scientifico avviene determinando i criteri di validità della prova in ragione della legittimazione che a questa proviene dal diritto piuttosto che dalla scienza. Ciò che il giudice non può eludere è la verifica dell'attendibilità intrinseca ed estrinseca della prova scientifica nel contraddittorio delle parti e nel contesto dell'intera evidenza disponibile, tenuto conto della credibilità soggettiva di colui che veicola la scienza nel processo nonchè dell'attendibilità razionale del metodo utilizzato.

8.1.2. Il secondo tema riguarda i criteri di valutazione della prova scientifica.

Deve essere chiarito, anzitutto, che non si chiede alla Corte di legittimità di stabilire se la tesi accolta sia esatta, ma piuttosto se la spiegazione fornita risulti razionale, completa e logica. La prova scientifica va, dunque, inquadrata sotto il profilo degli artt. 192 e 546 c.p.p.: i criteri della sentenza Daubert sono indizi gravi, precisi e concordanti della validità scientifica della teoria.

D'altra parte, il principio del ragionevole dubbio impone di valutare la possibilità di spiegazioni alternative (l'importanza di determinare la percentuale di errore della teoria o del metodo), sicchè occorre verificare se la motivazione della sentenza risulti razionale in merito all'attendibilità della teoria applicata e degli studi scientifici che la sorreggono, al rigore scientifico e di metodo, ai fatti che sostengono la tesi, agli studi critici che discutono l'ipotesi, al consenso della comunità scientifica, ai curricula e all'indipendenza degli esperti; in altri termini se le teorie sono sufficientemente affidabili e in grado di spiegare l'argomentazione probatoria di quello specifico caso.

Assumono, dunque, rilievo nel vaglio di legittimità l'affidabilità delle informazioni utilizzate ai fini della spiegazione del fatto, la correttezza dell'applicazione pratica del metodo, il rispetto dei protocolli operativi, il margine di errore correlato alla stima delle probabilità, alle evidenze statistiche e, da ultimo, la generale o ampia accettabilità della teoria. Ovviamente i medesimi criteri devono essere utilizzati per la valutazione dell'ipotesi antagonista.

8.1.2.1. Essendo state evocate le linee guida, è utile ricordare cosa, sul punto, ha affermato la giurisprudenza di legittimità.

Le linee guida sono linee di comportamento, che non hanno forza cogente ove non recepite in un testo normativo, ma che costituiscono regole comportamentali autoimposte e normalmente rispettate, volte ad assicurare, sulla base delle acquisizioni tecnico-scientifiche del tempo, risultati peritali attendibili e verificabili, sicchè la loro inosservanza fa legittimamente dubitare della correttezza delle conclusioni esposte dal consulente tecnico di ufficio (Cass. Civile Sez. 1, n. 16229 del 31/07/2015 Rv. 636498).

D'altra parte, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che le linee guida non sono assimilabili a tecniche scientifiche, precisando che le linee guida e il successivo aggiornamento non costituiscono l'enunciato di teorie o, se si vuole, di tecniche, scientifiche, verificabili attraverso lo strumento della falsificabilità, quanto, piuttosto, un insieme di cautele, precauzioni, verifiche, modelli comportamentali finalizzati ad acquisire le informazioni necessarie a scopo di giustizia con il minor tasso possibile di fallacia (Sez. 4, Sentenza n. 3446 del 12/11/2014 dep. 2015, C., Rv. 262029). Le Sezioni Unite, pronunciandosi in tema di responsabilità dell'esercente la professione sanitaria, hanno statuito che "le raccomandazioni contenute nelle linee guida definite e pubblicate ai sensi della L. 8 marzo 2017, n. 24, art. 5 - pur rappresentando i parametri precostituiti a cui il giudice deve tendenzialmente attenersi nel valutare l'osservanza degli obblighi di diligenza, prudenza, perizia - non integrano veri e propri precetti cautelari vincolanti, capaci di integrare, in caso di violazione rimproverabile, ipotesi di colpa specifica, data la necessaria elasticità del loro adattamento al caso concreto, ne consegue che, nel caso in cui tali raccomandazioni non siano adeguate rispetto all'obiettivo della migliore cura per lo specifico caso del paziente, l'esercente la professione sanitaria ha il dovere di discostarsene" (Sez. U, n. 8770 del 21/12/2017 dep. 2018, Mariotti, Rv. 272176).

8.1.3. E', ora, necessario, introdurre alcune nozioni relative al DNA e all'utilizzo forense dell'analisi di tale componente.

La prova scientifica incentrata sull'analisi del DNA ha ampliato l'orizzonte delle investigazioni, soprattutto con riguardo all'identificazione personale nelle investigazioni di carattere criminale.

Dagli inizi del secolo scorso si è cercato di catalogare tutte le caratteristiche che rendono unico un individuo passando dallo studio di caratteri antropometrici a quello delle impronte papillari e genetiche.

L'analisi del DNA, a scopo forense, rappresenta la naturale evoluzione tecnologica delle impronte papillari: grazie ad accordi internazionali che hanno unificato i criteri di catalogazione oggi è possibile comparare profili estrapolati da laboratori diversi.

Il DNA Working Group dell'ENFI (quello i cui parametri di tipizzazione sono richiamati dalla legge istitutiva della Banca dati nazionale del DNA), ha verificato che nei paesi dove era già stata istituita una banca dati del DNA vi era stato un incremento notevole nell'identificazione degli autori dei reati nell'ordine del 4050%.

Il DNA (acido desossiribonucleico) è la molecola che racchiude le informazioni che definiscono le caratteristiche biologiche ereditarie di ciascun individuo. La maggior parte di queste informazioni è contenuta all'interno del nucleo delle cellule del corpo umano ed è organizzata, sotto forma di una molecola lineare in 23 coppie di cromosomi; una piccola parte è contenuta all'interno dei mitocondri (organelli citoplasmatici, organizzata sotto forma di una molecola circolare).

Il DNA contenuto nel nucleo è detto nucleare ed è presente in duplice copia per cellula; il DNA mitocondriale, presente in ciascun mitocondrio, varia a seconda del tessuto da cui provengono le cellule.

Diverse sono anche le modalità di trasmissione: il DNA nucleare si eredita per metà del corredo cromosomico dal padre e per metà dalla madre; il DNA mitocondriale si eredita solo per linea materna.

Il DNA nucleare è utilizzato in ambito forense sin dal 1980 (articolo pubblicato su Nature da G.P. ed altri), per dimostrare la partecipazione di un individuo a un fatto di reato; quello mitocondriale viene studiato quasi esclusivamente in ambito medico (malattie genetiche) e per ricostruire la storia evolutiva della nostra specie.

Le analisi effettuate con i Kit in commercio permettono di evidenziare almeno 15/16 marcatori genetici del DNA mitocondriale.

La genetica forense utilizza il DNA nucleare a fini di identificazione; ciò non solo a causa delle caratteristiche intrinseche del materiale genetico presente nei campioni, ma anche per il fatto che ai Tini dell'identificazione personale il DNA nucleare è un marcatore maggiormente informativo nella identificazione genetica di una traccia biologica laddove il mtDNA (DNA mitocondriale) è "scarsamente informativo e ha un limitato potere di discriminazione a causa della sua modalità di trasmissione matrilineare".

I più recenti sviluppi nell'analisi del DNA nucleare hanno portato a sviluppare modelli predittivi delle caratteristiche somatiche dell'individuo che vengono ricostruite in laboratorio secondo varie incidenze statistiche, analizzando specifiche componenti del DNA. I "predictive DNA markers" consentono cioè di individuare alcuni caratteri esterni dell'individuo di cui non si conosca l'identità anagrafica, quali il colore degli occhi e il colore dei capelli. E', dunque, possibile individuare, allo stato attuale dello sviluppo della metodica, due caratteri fenotipici in grado di restringere il campo dei sospettati.

Nel caso in esame l'accertamento ha individuato il colore degli occhi di (I1) IGNOTO 1 in azzurro chiaro con una percentuale superiore al 94% (i giudici di merito fanno, in proposito, notare che il colore corrisponde a quello degli occhi dell'imputato).

Ritornando alla capacità identificativa dell'analisi del DNA, nell'ottica del confronto uno a uno tra campioni, la comunità scientifica afferma che la sovrapposizione del profilo genetico individuato in una traccia su quello oggetto del confronto può essere completa o non completa. Per la validazione del risultato vengono in rilievo l'adozione di metodologie analitiche accettate dalla comunità scientifica e il rispetto degli standard garantito dalla certificazione e dall'accreditamento dei laboratori, oramai obbligatorie ai sensi della legge istitutiva della Banca nazionale del Dna L. n. 85 del 2009.

8.1.4. E', quindi, possibile premettere alcune considerazioni in merito ai denunciati vizi logici del ragionamento causale della Corte d'Assise d'Appello, riservando al prosieguo della trattazione la specifica risposta alle doglianze.

La sentenza impugnata ha valutato il metodo scientifico utilizzato per le analisi tecniche - metodo che era già stato validato dal Tribunale del Riesame e dalla Corte di legittimità in fase cautelare e, quindi, dalla Corte di primo grado affermando che esso risponde ai canoni di valutazione della prova scientifica, avuto riguardo ai principi della controllabilità, della falsificabilità e della verificabilità della teoria posta a fondamento della prova.

Ad avviso del Collegio, deve essere sottolineata, nel ragionamento probatorio dei giudici di merito, la particolare importanza delle evidenze statistiche nella quantificazione del risultato delle analisi genetiche sugli elementi di prova raccolti sulla scena del crimine. In particolare, i risultati delle analisi comparative di laboratorio sul DNA sono rappresentati in forma di probabilità ovvero di rappresentazione di probabilità che le caratteristiche del campione coincidano con quelle dell'imputato.

Determinante, al fine di apprezzare correttamente il margine di certezza di tale giudizio statistico, è il calcolo delle probabilità dell'identificazione.

Nel caso di specie le numerose e varie analisi biologiche effettuate da diversi laboratori hanno messo in evidenza la piena coincidenza identificativa tra il profilo genetico di (I1) IGNOTO 1, rinvenuto sulle mutandine della vittima, e quello dell'imputato, sicchè è stato attribuito valore di prova piena all'evidenza scientifica sulla base di una esplicitata e verificata analisi statistica.

Infatti, sul tema della capacità identificativa del profilo genetico la domanda alla quale è necessario fornire una risposta scientifica è: quanti sono gli individui nella popolazione rilevante per il caso che possiedono lo stesso profilo genetico? I giudici di merito hanno fornito una risposta basata sulla teoria scientifica e sull'analisi statistica delle evenienze: per trovare un'altra persona avente lo stesso profilo genetico occorrerebbero 3.700 miliardi di miliardi di miliardi di individui (secondo la metodica "Random Match Probability").

L'analisi statistica ha, altresì, evidenziato che la probabilità di errore è di 1 su 20 miliardi (superiore a tutta la popolazione, viva e morta, transitata sulla Terra dalla comparsa dell'uomo), salvo che l'imputato abbia un fratello gemello monozigote (in questo caso il DNA è identico), circostanza però non dedotta ed esclusa da tutti i protagonisti della vicenda.

La valenza processuale di tali dati è stata attribuita in ragione dell'elevatissimo numero di ricorrenze statistiche confermative, tale da rendere infinitesimale la possibilità di un errore (ex multiis: Sez. 2, n. 8434 del 05/02/2013, Mariller, Rv. 255257).

8.2. E' generica e manifestamente infondata e perciò inammissibile la deduzione difensiva secondo la quale non sarebbe incontroverso che (GGB) G.G.B. è il padre naturale di ((OMISSIS)) B.M.G., poichè la Corte distrettuale ha preso atto delle risultanze genetiche, acquisite nel contraddittorio delle parti e non specificamente contestate sul punto, da cui si desume con assoluta certezza detto rapporto di filiazione naturale, nonchè della concreta insussistenza di contestazioni da parte del consulente della difesa che, dopo avere riconosciuto l'assenza di legame dell'imputato con il proprio padre anagrafico (OMISSIS) Bo.Gi., ha riconosciuto di non avere verificato il rapporto di filiazione tra l'imputato e (OMISSIS) G.G.B., con ciò non formulando alcuna critica ai risultati delle indagini tecniche del RIS. 8.3. E', del pari, inammissibile, perchè generica e assertiva la contestazione dell'identità tra il profilo di (I1) IGNOTO 1 e l'imputato ((OMISSIS)) B.M.G., perchè, anche in questo caso, la Corte distrettuale ha preso atto delle risultanze genetiche, acquisite nel contraddittorio delle parti e non specificamente contestate sul punto, da cui si desume con assoluta certezza detta identità, nonchè della concreta insussistenza di contestazioni da parte del consulente della difesa Dott.ssa Gi. che, esaminate le tabelle di confronto predisposte dal RIS all'esito della consulenza acquisita agli atti, ha ammesso la correttezza l'identità dei tracciati di (I1) IGNOTO 1 e dell'imputato, manifestando, inoltre, piena condivisione rispetto al lavoro svolto dal consulente del Pubblico ministero che ha svolto l'accertamento.

8.4. Sono, inoltre, inammissibili le ulteriori doglianze di pretesi travisamenti, poichè, come si è detto al paragrafo n. 1., caratterizzate da frammentarietà, assertività e assenza di specificità nell'ambito di una critica parziale e disarticolata della singola affermazione tratta dal complesso dell'apparato motivazionale della sentenza.

E', in particolare, fuorviante e mistificatoria e perciò inammissibile la doglianza difensiva (paragrafo n. 2.10.4. del ritenuto in fatto) che attribuisce alla Corte distrettuale l'affermazione secondo la quale l'identità genetica potrebbe essere stabilita con un margine di compatibilità inferiore al 100%.

La Corte distrettuale non ha mai affermato quanto riportato nel ricorso: si tratta, in effetti, di una sgradevole mistificazione.

I giudici di merito hanno, invece, correttamente affermato che il profilo genetico è stato confermato da ben 24 marcatori - che dunque sono identici -, evidenziando, a maggior tutela dell'imputato, che la certezza dell'identificazione è particolarmente solida in quanto le linee guida scientifiche consentono di affermare l'identità del soggetto con l'identità di soli 15 marcatori.

8.4.1. In realtà, il ricorso pretende un risultato impossibile e contrario a tutte le conoscenze scientifiche: per avere capacità identificativa ogni analisi di ogni campione dovrebbe indicare la coincidenza del DNA di (I1) IGNOTO 1 con quella di ((OMISSIS)) B.M.G..

Si tratta, però, di una ulteriore mistificazione poichè i giudici di merito hanno accertato, ma sul punto il ricorso non prende posizione, che ogni volta che l'analisi è stata ritenuta scientificamente valida e attendibile ha dato la coincidenza con il DNA dell'imputato, mentre nel caso in cui l'estrazione del DNA dal campione biologico repertato sugli indumenti della vittima è fallita per problematiche tecniche essa è stata scartata e neppure confrontata con il DNA dell'imputato proprio perchè nulla era stato estratto, sicchè non può computarsi come mancata coincidenza delle tracce quella che è stata scartata perchè invalida.

8.4.2. Siccome il tema è stato variamente ripreso, anche mediante denigratorie espressioni, il Collegio ritiene necessario ripercorrere la questione della sovrapponibilità dei profili genetici di (I1) IGNOTO 1 e di ((OMISSIS)) B.M.G., per ribadire la radicale inammissibilità, per genericità, difetto di specificità e manifesta infondatezza delle deduzioni difensive.

La difesa non ha svolto alcuna deduzione o censura sulle analisi del prof. P. relative alla accertata corrispondenza tra (I1) IGNOTO 1 e l'imputato; neppure i consulenti tecnici della difesa hanno mosso critiche su tali conclusioni, condividendole.

Ciò premesso, la difesa assume che la percentuale di compatibilità tra contributore alla traccia - (I1) IGNOTO 1 - e campione di riferimento - ((OMISSIS)) B.M.G. - debba essere pari al 100%: l'asserzione è palesemente errata, oltre che non supportata da alcuna pubblicazione scientifica, nè dalle affermazioni dei consulenti della difesa.

La regola cui deve informarsi, secondo l'assunto difensivo, l'indagine genetica, ovvero che per stabilire l'appartenenza di una traccia a un soggetto vi deve essere necessariamente la totale sovrapponibilità degli assetti genetici accertati ovvero 15/15, 16/16, 21/21 (sempre il 100%), contrasta con la evidenza scientifica acquisita agli atti, è priva di fondamento scientifico (la difesa non allega alcuno studio in proposito), non è accreditata in alcun modo e contrastata con le linee guida GE.FI. che la difesa ha allegato ai motivi nuovi.

D'altra parte l'argomentazione difensiva è formulata in termini confusi; nel ricorso:

- si parla, sovrapponendoli, di confronto tra "traccia" e "campione" e tra "traccia" e "indagato", così volutamente confondendo oggetti diversi;

- si travisa l'affermazione del col. L., che ricordava come di (I1) IGNOTO 1 siano stati individuati 24 marcatori STR nucleari, 16 del cromosoma Y e 12 del cromosoma X, asserendo che il tecnico sta parlando "di (I1) IGNOTO 1 non di ((OMISSIS)) B.M.G.". - si riporta un solo segmento delle conclusioni del prof. P., così rendendo impossibile la verifica di legittimità. Peraltro il consulente tecnico aveva dichiarato: "Cosa abbiamo fatto in più? Visto che era stato fatto un gran lavoro di caratterizzazione genetica, con tantissimi marcatori genetici di questo profilo dell'Ignoto, abbiamo preso il profilo Y, quindi caratteristico di provenienza paterna, dalla relazione del RIS a pagina 216, e l'abbiamo confrontato con il profilo Y dell'imputato, e abbiamo trovato perfetta compatibilità, perfetta corrispondenza. Quindi abbiamo analizzato complessivamente ventuno marcatori STR, che hanno dato una piena compatibilità, e diciassette marcatori dell'Y, che anche questi hanno dato una piena compatibilità. Arriviamo alle conclusioni. Riassumo brevemente tutto quello che ho detto fino adesso: l'identificazione genetica si effettuata esclusivamente analizzando i marcatori del DNA autosomici. Identificazione genetica individuale, quindi individuo specifica analizzando i marcatori del DNA autosomici STR, quindi quelli del nucleo. In Genetica Forense vengono analizzati, viene studiato questo standard di marcatori genetici ben definiti. Quindi il profilo genetico è qualche cosa che è ormai ben definita all'interno della Comunità Scientifica internazionale. Quindi il profilo genetico dell'imputato è risultato perfettamente compatibile con quello del soggetto definito (I1) IGNOTO 1 per ventuno marcatori STR autosomici, e per diciassette del cromosoma Y. Per un totale di marcatori analizzati e compatibili di trentotto. Ovviamente è più che solido affermare l'identificazione dell'imputato per il soggetto (I1) IGNOTO 1".

Tutti gli esperti chiamati a giudicare la interpretabilità e la qualità della comparazione effettuata (Polizia Scientifica, prof. P., prof. Pi., prof. G., prof. Ca.) si sono sempre espressi accordando il massimo grado di attendibilità scientifica a quel risultato senza alcuna ombra di dubbio. Lo stesso consulente della difesa Dott. C. lo interpreta correttamente (pag. 239 dell'udienza del 12/2/16), tanto che la consulente della difesa Dott. Gi. ha affermato "anche un bambino di cinque anni vede che sono identici" (pag. 32 udienza 12/12/16).

D'altra parte, le linee guida della GE.FI (prodotte dalla difesa) definiscono la "4.2.1. Procedura di interpretazione di un profilo genetico da campione biologico e da reperto biologico a singolo contributore. Match o concordanza (inclusione). Tra il profilo genetico derivante dal reperto ed il profilo genetico del campione di confronto sussiste una piena concordanza tra i genotipi tale da sostenere l'ipotesi di identificazione personale del soggetto come donatore della traccia. Il metodo raccomandato per la valutazione dell'evidenza del match è l'approccio basato sul calcolo del rapporto di verosimiglianza (LR). Il valore di LR è l'inverso della probabilità di riscontro casuale (RMP), valore che è sempre opportuno riportare per i loci per i quali non si ipotizza la presenza di fenomeni stocastici. Il massimo dell'evidenza in favore dell'ipotesi dell'accusa è dato da valori di LR maggiori di 106 (un milione), cui è associato un "supporto estremamente forte all'ipotesi dell'accusa rispetto a quella della difesa", o anche "il profilo genetico della traccia è estremamente più probabile se è vera l'ipotesi dell'accusa piuttosto che quella della difesa". Poichè nella comune pratica di laboratorio, da profili a 16-21 marcatori si ottengono sistematicamente valori di LR superiori a 1015, si propone a titolo puramente orientativo di attribuire a valori di LR "1012 (valore che si ottiene elevando al quadrato LR 106) valenza di pratica certezza dell'identificazione. Nel caso, cioè, in cui si ottengano valori di LR "1012 si esprime di fatto la certezza che la traccia biologica sia riferibile (derivi da) un dato soggetto, fatta eccezione per situazioni genetiche particolari quali, ad esempio, i gemelli monovulari".

Come risulta dalle decisioni di merito, sul punto non contrastate dal ricorso, la probabilità statistica di compatibilità casuale è stata calcolata applicando la regola del prodotto alle frequenze genotipiche dei loci costituenti il profilo. Le frequenze genotipiche utilizzate per ciascun marcatore sono quelle ricavate da un campione di popolazione di circa 36.500 individui, realizzato presso i laboratori del Reparto Carabinieri Investigazioni Scientifiche di Parma. La probabilità casuale di individuare un altro soggetto con lo stesso profilo genotipico evidenziato, ad esempio, dal campione 31-G-20 di (I1) IGNOTO 1, campionatura di tessuto sugli slip della vittima, calcolata su 23 marcatori STR, è pari a 2,693859 ovvero a 1031; in altre parole un soggetto ogni 3700 miliardi di miliardi di miliardi di individui scelti a caso nella popolazione di riferimento esibisce un profilo genotipico come quello in esame.

9. E' inammissibile anche l'undicesimo motivo di ricorso, nell'interesse di ((OMISSIS)) B.M.G., che denuncia il vizio di motivazione per mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione in relazione alla questione concernente il "livello di diluizione del volume dell'estratto utilizzato" e per travisamento della prova sulla medesima questione, poichè si tratta di questioni di merito, non proponibili in questa sede, perchè non viene illustrata la specifica rilevanza dell'eventuale vizio motivazionale e perchè si tratta della parziale riproposizione delle medesime censure già sviluppate al decimo motivo.

9.1. In ogni caso la denuncia è inammissibile perchè generica e assertiva, laddove propone la propria diversa interpretazione della questione oggetto di una valutazione di merito, in assenza di specifiche doglianze.

I giudici di merito hanno ampiamente e coerentemente illustrato le risultanze istruttorie, evidenziando che, quanto alla differenza tra le quantità di DNA totale e maschile riportate nelle tabelle, solo quella contenuta nella relazione del col. L. contiene l'indicazione volumetrica, mentre nessuna spiegazione è stata chiesta dalla difesa nè al consulente L. nè ai consulenti S. e Ge. in merito al volume dell'estratto utilizzato da L. e al suo livello di diluizione, sicchè le censure mosse nell'atto di appello e poi reiterate nel ricorso per cassazione sono inammissibili perchè generiche in quanto basate su considerazioni che non hanno formato oggetto del contraddittorio.

D'altra parte, i giudici di merito hanno evidenziato che, come risulta dai dati grezzi, mentre S. e Ge. hanno continuato ad analizzare i campioni in questione onde ampliare il numero dei marcatori STR del DNA nucleare, quelli utilizzati dal consulente Dott. L. erano degli estratti degli originari campioni (la stessa cosa hanno fatto i consulenti Pi., P. e Ca. con altri campioni), per cui il confronto tra i quantitativi di concentrazione delle due tabelle è privo di costrutto.

Risulta incontroverso (la sentenza ricorda, senza ricevere contestazioni sul punto, che in tal senso si è espresso anche il consulente della difesa Dott. C.) che per leggere il segnale di un amplificato è necessario diluire l'estratto poichè una intensità eccessivamente elevata del segnale elettroforetico (fuori scala), avrebbe potuto non esibire il profilo (per inibizione da troppo DNA), sicchè risulta logica e coerente la motivazione che spiega l'apparente divergenza tra i dati.

10. E' inammissibile, perchè generico e assertivo, il dodicesimo motivo di ricorso che denuncia il vizio di motivazione in relazione alla "catena di custodia" e per travisamento della prova sulla medesima questione, poichè si tratta di questioni di merito, non proponibili in questa sede, e perchè non viene illustrata la specifica rilevanza dell'eventuale vizio motivazionale.

L'inammissibilità del motivo di ricorso si evince agevolmente dalla circostanza che, al di là della episodica critica a una delle argomentazioni sviluppate in proposito nella motivazione del provvedimento impugnato - di per sè, quindi, non in grado di travolgerne la complessiva tenuta -, esso non si confronta con l'ampia motivazione che descrive, senza che il ricorso muova specifiche critiche, l'intera catena della custodia a partire dal momento del rinvenimento del cadavere, evidenziando come l'intera attività sia stata continuamente documentata e tracciata.

D'altra parte, il motivo di ricorso è intrinsecamente contraddittorio laddove non si confronta con un dato incontroverso che anche la difesa è costretta ad ammettere: il DNA dell'imputato non era presente nelle banche dati all'epoca disponibili e che sono state ampiamente e ripetutamente consultate proprio allo scopo di identificare (I1) IGNOTO 1, sicchè è impossibile ipotizzare una contaminazione dei reperti prelevati all'inizio del 2011 con il profilo dell'imputato che è stato acquisto soltanto tre anni dopo.

11. E' inammissibile, perchè generico e assertivo, il tredicesimo motivo di ricorso, nell'interesse di ((OMISSIS)) B.M.G., che denuncia il vizio di motivazione per travisamento della prova sulla questione concernente "gli esiti delle analisi del campione originario 31-2", poichè si tratta di questioni di merito, non proponibili in questa sede e perchè non viene illustrata la specifica rilevanza dell'eventuale vizio motivazionale.

La deduzione è inammissibile sia perchè trattandosi di questione posta in sede di discussione, non rientrante, quindi, nei motivi di appello, spetta al ricorrente dedurre la specifica rilevanza della questione, sia perchè si presenta aspecifica, sotto il profilo della non auto sufficienza, laddove viene genericamente riportato uno stralcio della relazione del RIS dall'esame del quale dovrebbe emergere la discrepanza con l'apparato motivazionale della sentenza; si tratta, come detto in premessa (paragrafo n. 1,4.), di una tecnica redazionale inammissibile.

12. E' inammissibile, perchè generico e assertivo, il quattordicesimo motivo di ricorso, nell'interesse di ((OMISSIS)) B.M.G., che denuncia il vizio di motivazione per travisamento della prova sulla questione concernente "le centoquattro tra ripetizioni e amplificazioni delle componenti alleliche riconducibili a (I1) IGNOTO 1".

Il motivo di ricorso si basa su un dato non dimostrato e che discende unicamente dalla petizione difensiva, sicchè risulta autoreferenziale e perciò privo di concreta capacità critica.

In effetti, l'inammissibilità del motivo di ricorso si rende palese allorquando, per illustrarne il contenuto, il ricorrente è costretto a chiarire che il motivo in esame deriva dal "reiterato travisamento di atti e di principi di genetica forense, avendo la Corte di secondo grado pedissequamente e acriticamente recepito la posizione accusatoria che ha erroneamente considerato come unica traccia quelle che in realtà sono tracce diverse", dimenticando che la questione attiene alla specifica ricostruzione dei fatti operata concordemente dai giudici di merito i quali hanno evidenziato che la traccia biologica in questione (posta sugli slip della vittima) è stata sezionata con una tecnica a griglia solo per consentire la pluralità degli accertamenti e dei controlli, senza che, per questo, possa parlarsi di più tracce.

D'altra parte, l'unicità della traccia (campione 31, prelevata dagli slip) non è un dato controverso ed è stata già ampiamente evidenziata in sentenza sulla base delle incontroverse risultanze documentali e istruttorie.

Tenuto conto dei reiterati tentativi di mistificazione degli elementi di fatto che caratterizzano numerose censure contenute nel ricorso, amplificate da improprie pubbliche sintetizzazioni, il Collegio ritiene utile richiamare alcuni passaggi della sentenza impugnata allo scopo, poi, di mettere in luce l'assertività e assoluta infondatezza delle deduzioni difensive: "Il R.I.S., nel maggio del 2011, comunicava che sul campione 31 prelevato dagli slip di (OMISSIS) G.Y. era stato estrapolato un profilo genetico maschile che avrebbe potuto essere confrontato: si trattava di un profilo genetico molto ricco che veniva denominato (I1) IGNOTO 1. In particolare, veniva evidenziata, nella parte dello slip prossimale al taglio ed approssimativamente collocata all'altezza del fianco destro, un'area interessata da una significativa componente diversa dalla vittima (profilo STR misto) che aveva come contributore della mistura un individuo di sesso maschile (Amelogenina, cromosoma Y). L'analisi della traccia consentiva di estrapolare 16 diverse campionature; infatti, la suddetta area dell'indumento intimo di (OMISSIS) G.Y. veniva sottoposta ad una serie sistematica di prelievi secondo il criterio, del tutto corretto dal punto di vista operativo, a griglia il cui esame analitico consentiva di tipizzare il profilo genetico di (I1) IGNOTO 1. A tal riguardo, appare convincente quanto ricordato dal P.G. secondo cui "a questo dato genetico andava ad aggiungersi il fatto di un rapporto quantitativo reciproco vittima/soggetto maschile che non era costante per cui risultava del tutto verosimile e convincente una interpretazione che prevedesse la deposizione di un liquido biologico che, per capillarità peraltro accentuata dai liquidi introdotti esternamente dagli agenti atmosferici, neve, pioggia, si fosse diffuso nell'area sottoposta ad analisi e che tale diffusione comportasse una variabilità delle quantità reciproche in senso approssimativamente radiale, cioè quantità più abbondante nel punto originario della deposizione e via via in quantità decrescente allontanandosi dal punto di origine". Inoltre, deve essere ricordato che la componente nucleare maschile appariva sempre in traccia mista (come evidenziato da tutti in consulenti sentiti nonchè dall'esito della procedura di quantificazione effettuata dal RIS), anche se, come hanno spiegato S., Ge. e L., in alcune campionature, come quella G20, appariva talmente dominante da oscurare quasi la componente minoritaria di (OMISSIS) G.Y.. Nel (OMISSIS) veniva comunicato dal RIS che un altro profilo genetico maschile era stato ricavato dai leggings di (OMISSIS) G.Y.. Anche in tal caso si notava, in 2 campionature (reperti 62.3 e 62.4), topograficamente coerenti con l'area dello slip, lo stesso profilo genetico di (I1) IGNOTO 1 e già questa coincidenza appariva emblematica e confermava l'ipotesi investigativa".

L'assoluta genericità e infondatezza della doglianza può essere colta esaminando i motivi di appello (pagg. 89-90) laddove viene riportata la risposta del Col. L. che, a domanda della difesa che gli chiedeva "La famosa traccia 31G20 è una traccia mista o una traccia che ha un solo contribuente?", così rispondeva: "qui mi richiamo al concetto di prima, quello che noi vediamo nell'esito di questa traccia è che non mostra contributi diversi da (I1) IGNOTO 1. Quindi la lettura di questa traccia non è una mistura. Il che non significa che la traccia non sia una mistura"; esattamente quanto ha riportato la Corte.

13. E' inammissibile, perchè generico e assertivo, il quindicesimo motivo di ricorso, nell'interesse di ((OMISSIS)) B.M.G., che denuncia il vizio di motivazione in relazione alla questione concernente i "raw data" (dati grezzi) e il travisamento della prova sulla medesima questione.

Il motivo di ricorso, che consta di quasi duecento pagine, si palesa inammissibile perchè deduce, sotto pretesi travisamenti, questioni di merito già ampiamente analizzate e discusse in relazione alle quali la sentenza di secondo grado ha fornito specifiche risposte ai motivi di appello, tanto è vero che esso ripropone questioni di fatto, anche a carattere tecnico e valutativo, che sono ictu oculi estranee al giudizio di legittimità poichè riguardano la ricostruzione operata con concorde valutazione dai giudici di merito.

D'altra parte, si tratta di questioni di dettaglio a contenuto tecnico in relazione alle quali il ricorso ripropone le posizioni assunte nel corso dei due gradi di merito senza confrontarsi con la motivazione del provvedimento impugnato, sviluppando unicamente critiche a specifici passaggi che, alla luce della complessiva tenuta del ragionamento probatorio, risultano inammissibili.

13.1. Il motivo è inammissibile anche perchè la formulazione di esso cela la produzione di nuova documentazione preclusa in sede di legittimità, peraltro frutto della scienza privata del difensore: non si richiama alcuna fonte scientifica che accrediti i dati snocciolati in quasi duecento pagine di ricorso.

Le osservazioni formulate in relazione ai campioni 31.6; 31.G1-Est; 31.G1-Int, 31.G13; 31.G14, 31G15; 31G16; 31G18, 31 G19, 31.G2-Int, 31.G20, 31.G23, 31.G24, 62.3, 62.4. non provengono da un esperto analista.

Si tratta, come già si è evidenziato, di censure che attengono al merito del processo e che, peraltro, non hanno costituito oggetto di rilievi difensivi in sede di appello, neanche nei motivi aggiunti (dichiarati inammissibili perchè tardivi e poi trasfusi in una memoria a firma dei soli difensori).

A conforto di ciò deve essere evidenziato che la consulente della difesa Dott. Gi. ha dichiarato di non aver esaminato i dati grezzi, mentre l'altro consulente di parte Dott. C. ha riferito genericamente di averne esaminati alcuni, senza illustrare le proprie conclusioni in merito e senza che alcuna relazione di consulenza della difesa abbia mai fatto ingresso nel processo. Nel ricorso, quindi, sono riportate pseudo-valutazioni tecniche che sono estranee alle argomentazioni sviluppate dagli esperti (anche della difesa) sentiti nel corso del giudizio.

Anche con riguardo agli elettroferogrammi richiamati nel prolisso motivo di ricorso nessuna contestazione, nessun approfondimento è stato effettuato dalla difesa in dibattimento. Si tratta, perciò, di una congerie di asserzioni, elucubrazioni e considerazioni che non sono mai state acquisite agli atti del giudizio e sono, pertanto, irricevibili.

13.2. Sempre nell'ottica di totale trasparenza e apertura verso le doglianze, pur inammissibili, sviluppate nel ricorso, il Collegio ritiene utile riportare alcune considerazioni sulle asserzioni difensive.

13.2.1. I "raw data" (dati grezzi) asseritamente non leggibili: i "raw data" sono file prodotti dai sequenziatori con una specifica estensione informatica (esempio "fsa") stabilita dall'azienda produttrice e leggibili con un software dedicato fornito dall'azienda stessa. Le doglianze della difesa in merito alla presunta non leggibilità dell'estensione dei summenzionati file appaiono prive di fondamento. Gli elettroferogrammi, richiesti dalla difesa, sono stati depositati su supporto cartaceo e informatico (CD-Rom) e analizzati nel corso del dibattimento anche con la proiezione di diapositive, sicchè l'affermazione secondo cui la Corte non ne avrebbe acquisito conoscenza è smentita per tabulas.

13.2.2. L'assenza di un profilo in un tentativo di analisi non è una anomalia, che neppure si deduce sia in grado di invalidare l'esito degli altri accertamenti, perchè, come ampiamente illustrato nella sentenza, può derivare da varie cause note e identificabili: ad esempio per inibizione del campione da troppo DNA, da coloranti, ecc.. L'affermazione difensiva che considera per ciò solo l'analisi "completamente fallita" è priva di fondamento. Nei dati grezzi si rinviene la traccia di tutto il lavoro effettuato dai tecnici, compresi i casi in cui gli esiti sono stati ritenuti dai RIS, come ampiamente chiarito in dibattimento, non accettabili e pertanto scartati. Ciò semmai testimonia la trasparenza e il rigore metodologico con cui sono stati effettuati gli accertamenti.

Le 23 asserite violazioni su questo punto sono affermazioni che non trovano riscontro e non corrispondono al vero in quanto: non sono violazioni, non hanno alcuna incidenza su altro, verificano il principio di trasparenza, non costituiscono alcuna deviazione dalla prassi, si tratta di una situazione del tutto ordinaria e frequentissima.

13.2.3. Le medesime conclusioni devono trarsi con riguardo al "profilo parziale"; sono denunciate 40 asserite violazioni su questo aspetto.

Tuttavia, come ampiamente illustrato da tutti i consulenti, non si può considerare come criticità o violazione la presenza di "drop in" (picchi non attesi in più) o "drop out" (picchi attesi in meno) che risultano statisticamente più frequenti proprio su tracce non fresche e miste, come quelle in discorso.

Il risultato finale emerge dall'interpretazione di più ripetizioni, della stessa traccia, valutando gli alleli che si ripetono e scartando quelli che non si ripetono: si tratta di una nota e corretta metodica di affinamento progressivo dell'analisi che i consulenti della difesa non hanno mai contestato proprio perchè ampiamente documentata nella letteratura scientifica di settore.

13.2.4. La difesa assume che la presenza di un picco sul controllo negativo renda l'analisi non valida.

Si tratta di una affermazione che non è supportata da alcuna evidenza scientifica, tant'è che neppure i consulenti della difesa l'hanno mai fatta.

La letteratura scientifica citata dal RIS e dai consulenti afferma, come correttamente evidenzia la Corte di merito non contrastata sul punto dal ricorso, che la presenza di un segnale sul controllo negativo costituisce un'evenienza non solo possibile, ma frequente e perciò del tutto fisiologica. In questi casi è necessario verificare se detto picco possa avere un impatto importante sull'interpretazione di tutti i campioni di quella corsa. Se tale impatto non si verifica, il controllo è perfettamente valido e ciò anche se in presenza di più segnali con tali caratteristiche.

Anche le denunciate ulteriori 41 violazioni di una non definita - in quanto non esistente - regola scientifica sono prive di riscontro.

La sentenza di merito ha ampiamente motivato sull'inconsistenza delle presunte anomalie, mentre, ad avviso del Collegio, ciò che appare certamente anomalo è, invece, il computo numerico di queste che propone il ricorso poichè, ad esempio, si procede a moltiplicare un controllo negativo asseritamente non valido per il numero dei campioni effettuati con quel controllo in una determinata corsa.

13.2.5. Le asserite mancate ripetizioni.

Si tratta, ancora una volta, di un tema ampiamente esplorato dai giudici di merito.

Le ripetizioni sono state effettuate, risultano e sono state mostrate e regolarmente depositate nel documento integrativo del RIS anche quando, come nella traccia 31-G20, non sono necessarie perchè non si tratta di una "Low Copy Number".

Le ripetizioni sono state anche riepilogate tramite una presentazione in aula e depositata in atti dai cap. S. e Ge..

La presunta criticità, come evidenziato in sentenza, è priva di fondamento. Nel caso in esame trattandosi di campioni non "Low Copy Number" la ripetizione, come da riconosciuto dalla letteratura scientifica e dalle linee guida internazionali, non era necessaria ed è stata comunque compiuta ad abundantiam.

La documentazione su tali ripetute analisi è stata prodotta anche in dibattimento.

13.2.6. La mancata diagnosi biologica della traccia di (I1) IGNOTO 1.

Come ampiamente illustrato dai giudici di merito, è stata effettuata un'approfondita indagine, ampiamente esposta e documentata sia nella relazione dei RIS che nelle deposizioni di L., S. e Ge., all'esito della quale si è concluso che non sempre è scientificamente possibile effettuare con esattezza la diagnosi della provenienza tessutale di una traccia mista con positività a un solo test (emoglobina) poichè i fluidi che concorrono a formarla sono (in questo caso) almeno due.

L'unica ragionevole considerazione che può essere avanzata - e che è stata in concreto formulata dagli esperti - è che in quella traccia è presente del sangue (almeno uno dei fluidi è certamente sangue). Qualsiasi altra affermazione risulterebbe priva di pregio scientifico, di fatto aleatoria e non supportata da alcuna evidenza sperimentale.

La stessa difesa, nel confutare nel merito (e perciò in modo inammissibile) le argomentazioni della Corte, evidenzia di aver formulato mere constatazioni (pag. 366-369 del ricorso) non dotate di alcuna validità ai fini scientifici.

E' stato, in ogni caso, correttamente e logicamente evidenziato che il consulente della difesa Dott. C. ha riconosciuto come "abbastanza interpretabile il profilo genetico per 14 marcatori autosomici" e "che il profilo genetico di (I1) IGNOTO 1 è straordinariamente di ottima qualità". Ciò, come logicamente affermato dai giudici di merito, è particolarmente rilevante tenuto conto che tale evidenza si è ottenuta nonostante l'intervenuto dilavamento del corpo e in presenza dei liquidi di degradazione del cadavere.

D'altra parte, i giudici di merito hanno fornito una logica e coerente spiegazione alla discrasia, segnalata dal Dott. C., nell'identificazione biologica tessutale della traccia, secondo la quale la stessa potrebbe essere composta da altro materiale biologico - oltre al sangue di (I1) IGNOTO 1 pur non segnalando discrasie sui tracciati elettroforetici. Essi hanno fatto notare che, indipendentemente dall'esatta individuazione del materiale biologico tessutale della traccia (si tratta di un'analisi del tutto diversa da quella genetica), il profilo genetico di (I1) IGNOTO 1 rinvenuto su detta traccia è stato convalidato da tutti i consulenti, compresi quelli della difesa, come straordinariamente di ottima qualità.

Ad avviso del Collegio, ciò che è stato (volutamente) trascurato nei motivi di ricorso, è la circostanza che il prof. Pi. ha personalmente analizzato nel suo laboratorio dell'università di Milano alcune aliquote dei campioni 31-G15, 31G16, 31-G23, 31-G24, mediante il kit Powerplex CS7, mai utilizzato fino a quel momento, allo scopo di incrementare il numero dei marcatori autosomici da confrontare con quelli già estratti dai resti del cadavere riesumato di (OMISSIS) G.G.B., confermando per i marcatori comuni ai kit utilizzati dal RIS i risultati delle analisi di S. e Ge. riferite a (I1) IGNOTO 1.

In questo modo, come correttamente evidenziato dai giudici di merito con motivazione che non viene confutata nel ricorso, è stata ulteriormente assicurata la certezza del dato, perchè oltre a essere stati utilizzati "kit" diversi, pozzetti diversi, personale diverso, diluizioni diverse e sequenziatore diverso, è stato utilizzato per le analisi addirittura un diverso laboratorio; sicchè, in definitiva, su 104 tracciati, in ben 71 di essi è stata riscontrata la presenza del DNA e, quindi, del profilo genetico di un individuo di sesso maschile che la Dott.ssa Gi. ha riconosciuto essere corrispondente al profilo genetico appartenente a ((OMISSIS)) B.M.G.; gli altri 33 tracciati sono risultati illeggibili o non interpretabili, ma certamente non relativi a terzi soggetti.

Come ha logicamente affermato il giudice di merito, sul punto non venendo smentito dal ricorso: le analisi sono state effettuate su reperti campionati su punti diversi e materiali diversi (leggings e mutandine); con KIT diversi, operatori diversi e laboratori diversi; da parte di operatori diversi, in giorni e ore diversi, nonchè mediante diluizioni di campioni diversi; mediante apparecchiature (sequenziatore) che non consente modificazione dei dati; con oltre 100 tipizzazioni (ripetizioni e amplificazioni), di cui 71 chiaramente leggibili e interpretabili; con risultati positivi che, in taluni casi, lo stesso consulente Dott. C. ha definito chiaramente interpretabili; seguendo i parametri e le regole stabilite dalle linee guida Europee e internazionali.

Non vi è mai stato un trasferimento accidentale del DNA di ((OMISSIS)) B.M.G. sui reperti o sui campioni analizzati in quanto non precedentemente presente nel laboratorio dei RIS. L'ipotetico errore non ha trovato alcun logico riscontro, sicchè è stato correttamente ritenuto una pura fantasiosa asserzione.

14. E' inammissibile il sedicesimo motivo di ricorso, nell'interesse di ((OMISSIS)) B.M.G., che denuncia il vizio di motivazione in relazione alla questione del "DNA mitocondriale" e il travisamento della prova sulla medesima questione.

14.1. Devono essere premessi, in quanto necessari per la comprensione delle specifiche doglianze difensive, alcuni elementi di conoscenza tecnica che risultano esposti dalle decisioni impugnate e che, sul punto, non risultano avversati dalla difesa.

Ogni cellula ha un unico nucleo, dentro cui vi è il DNA nucleare, nato dalla combinazione tra il DNA paterno e quello materno, e che contiene l'informazione genetica specifica dell'individuo, come tale identificativa, e numerosi mitocondri, deputati alla produzione di energia e il cui numero, vista la funzione, varia da tessuto a tessuto e anche all'interno di parti diverse di un singolo tessuto.

All'interno dei mitocondri vi è il DNA mitocondriale, che ha una struttura circolare e consta di circa 16.540 basi che codificano componenti fondamentali per la produzione di energia e le cui mutazioni sono responsabili di una serie di malattie (ciò che spiega l'ampio utilizzo degli studi sul DNA mitocondriale in campo medico).

Nel settore della genetica forense viene studiata solo una parte delle basi, contenute in due regioni (HV1 e HV2) c.d. "ipervariabili", che presentano delle variazioni rispetto alla sequenza base e, pertanto, possono assolvere a una finalità identificativa, anche se solo parziale, giacchè, trasmettendosi invariato dalla madre a tutti i figli, il DNA mitocondriale identifica soltanto la linea materna, ovvero tutti i soggetti tra loro correlati in linea materna, ma non il singolo individuo di quella linea.

D'altra parte, il fatto che il numero dei mitocondri vari notevolmente (da tessuto a tessuto, da individuo a individuo e anche all'interno dello stesso tessuto) spiega perchè la ricerca del DNA mitocondriale in tracce miste sia sconsigliata, potendo portare anche a false esclusioni.

La limitata capacità identificativa del DNA mitocondriale spiega perchè in ambito forense si ricorra alla ricerca di tale tipo di DNA soltanto quando non sia possibile estrapolare il DNA nucleare, magari a causa del livello di degradazione del reperto biologico o per le intrinseche caratteristiche dello stesso (capello o pelo privo di bulbo; reperti ossei combusti).

Il limitato utilizzo in ambito forense spiega, d'altro canto, perchè, diversamente da quanto accade per il DNA nucleare, non vi siano in commercio kit per l'estrapolazione di questo tipo di DNA e perchè, dal punto di vista delle analisi forensi, l'impegno degli scienziati nell'elaborazione di kit sempre più sofisticati si sia concentrato sul solo DNA nucleare; spiega, inoltre, perchè all'interno del laboratorio RIS non si effettuino ricerche sul DNA mitocondriale.

Le linee guida Ge.Fi., richiamate dalla difesa, ricordano che lo studio di aplotipi del DNA mitocondriale (mtDNA) trova applicazione solamente in tracce contenenti DNA nucleare altamente degradato o costituite da cellule anucleate (prive di nucleo) e, inoltre, avvertono "del rischio di ottenere aplotipi chimerici, generati dal mescolamento involontario di segmenti di mtDNA provenienti da diversi individui".

14.2. I giudici di merito, con concorde motivazione non contrastata sul punto, hanno illustrato le ragioni che hanno spinto gli inquirenti a ricercare il DNA mitocondriale nei campioni biologici estratti dal cadavere e dagli indumenti della vittima.

Una volta individuato un DNA nucleare chiaramente leggibile, ma riferito ad una persona ignota (denominata appunto (I1) IGNOTO 1), e visto che nella banca dati del RIS non vi era un DNA sovrapponibile e comparabile con alcuna persona nota, è stata eseguita l'indagine sul DNA mitocondriale per cercare la linea materna o qualche notizia ulteriore utile alla identificazione antropometrica (caratteristiche fisiche e somatiche). Tale indagine è stata svolta nella consapevolezza che, trattandosi di una traccia mista - perchè composta da fluidi dell'aggressore e della vittima -, la ricerca del DNA mitocondriale, oltre a non essere attendibile ai fini investigativi, non era consigliabile perchè difficilmente avrebbe condotto a un risultato utile.

E' bene chiarire, quindi, che, secondo la non controversa ricostruzione operata dai giudici di merito sul punto, le indagini tecniche sul DNA mitocondriale non sono state svolte perchè si era in possesso di un dato genetico (DNA nucleare) incerto, ma solo per tentare tutti gli ulteriori approfondimenti utili all'identificazione del soggetto che, nonostante il chiaro profilo genetico e le migliaia di comparazioni effettuate con la popolazione coinvolta, restava impossibile da individuare.

14.3. Ciò premesso, i giudici di merito si sono domandati, alla luce delle specifiche prospettazioni difensive, se il mancato rilevamento nelle tracce esaminate del DNA mitocondriale di ((OMISSIS)) B.M.G., nonostante il chiaro rinvenimento del suo DNA nucleare, costituisce un'anomalia.

Ad avviso del Collegio la risposta fornita dai giudici di merito è logica e coerente ed è in grado di superare le argomentazioni difensive che risultano, perciò, inammissibili perchè assertive, prive di supporto scientifico, reiterative di argomentazioni già prospettate e giudicate infondate dai giudici di merito con concorde motivazione, nonchè perchè contraddette dalle affermazioni dei consulenti della difesa (oltre che da quelli dell'accusa).

14.4. I giudici di merito hanno concordemente escluso, all'esito dell'istruttoria dibattimentale, che esista una presunzione scientifica secondo la quale, rinvenuto il DNA nucleare all'interno di una mistura di materiale biologico, si possa o si debba necessariamente rinvenire, nella medesima mistura, il DNA mitocondriale dello stesso soggetto.

Tale conclusione, che non è specificamente avversata dal ricorso, non è neppure contraddetta dai consulenti della difesa perchè, come correttamente rappresentato dai giudici di merito, la stessa prof.ssa Gi. ha affermato con chiarezza che "quando una traccia è mista il discorso sul DNA mitocondriale è molto arduo. Per un motivo molto semplice: perchè già di per sè il DNA di una persona può presentare delle sequenze differenti. Quella che abbiamo chiamato eteroplasmia. E, quindi, a quel punto lì, di fronte ad una traccia mista, tu non sai se, in realtà, stai... ma potrebbe essere lo stesso soggetto che ha lasciato sia lo sperma sia il sangue... perchè comunque ciascuno di noi, nelle nostre cellule, può avere questa differenza di sequenza. Non solo, all'interno della stessa cellula ci possono essere DNA mitocondriali diversi. Negli stessi tessuti del nostro corpo dove l'eteroplasmia si manifesta maggiormente. E, quindi, diventa molto difficile poi a quel punto dire se quella traccia è una traccia mista, o se in realtà è una eteroplasmia".

Ad avviso del Collegio, dunque, il motivo di ricorso è inammissibile perchè muove da un presupposto (la necessaria compresenza di DNA nucleare e DNA mitocondriale) che risulta smentito dallo stesso consulente tecnico di parte la cui deposizione, infatti, non viene neppure citata nel ricorso.

D'altra parte, la Corte distrettuale ha messo in luce la scarsa competenza ed esperienza professionale dell'altro consulente della difesa (Dott. C.), evidenziando che il medesimo, oltre a non avere esaminato i "dati tecnici", ha precisato di avere sollecitato in un diverso caso giudiziario l'analisi del DNA mitocondriale, ma proprio perchè non risultava individuabile quello nucleare, così convenendo sulle argomentazioni dei consulenti tecnici che la Corte ha ritenuto maggiormente affidabili.

D'altra parte, secondo i giudici di merito, la rilevata assenza del DNA mitocondriale dell'imputato è spiegabile - con un ragionamento logico che non viene criticato e che non presenta cadute - in ragione della concreta possibilità che di fronte a una maggiore quantità del DNA mitocondriale della vittima questo abbia coperto il DNA mitocondriale dell'imputato, anche in considerazione della variabilità dei fenomeni degradativi dei diversi tessuti e del DNA mitocondriale che li compone.

Le argomentazioni sviluppate nel motivo di ricorso con riguardo alla valutazione del contributo conoscitivo offerto dal Dott. C. sono, sul punto, meramente assertive e perciò inammissibili perchè, tra l'altro, ribadiscono che il consulente non ha esaminato il materiale tecnico in questione, sicchè l'opinione di questi è stata giustamente ritenuta inidonea a scalfire gli autorevoli pareri tecnici degli altri consulenti.

15. E' inammissibile anche il diciassettesimo motivo di ricorso, nell'interesse di ((OMISSIS)) B.M.G., che denuncia il vizio di motivazione in relazione alla questione della "eteroplasmia" e il travisamento della prova sulla medesima questione.

15.1. Per la comprensione del motivo di ricorso e delle argomentazioni che di seguito saranno sviluppate è necessario fornire una definizione di eteroplasmia; essa, in genetica molecolare, rappresenta la coesistenza di molecole di DNA mitocondriale di tipo normale e di tipo mutato all'interno di una cellula.

Da questa eventualità deriva il cd. mosaico genetico caratterizzato dalla presenza, in un individuo pluricellulare, di due o più linee genetiche diverse, ossia di diversi patrimoni genetici all'interno di uno stesso individuo che vengono espressi contemporaneamente. In pratica, non tutte le cellule di quell'organismo hanno lo stesso corredo cromosomico, oppure lo esprimono in maniera variabile. Il mosaicismo può riguardare il DNA mitocondriale, nel qual caso prende il nome di eteroplasmia.

15.2. Deve essere ricordato che, una volta esclusa la rilevanza dell'assenza del DNA mitocondriale di ((OMISSIS)) B.M.G. (paragrafo 14.), i giudici di merito si sono domandati, alla luce delle specifiche prospettazioni difensive, se gli accertamenti sul DNA mitocondriale abbiano portato effettivamente a individuare la presenza di un preciso profilo genetico, diverso da quello dell'imputato, con capacità, quindi, escludente.

I giudici di merito hanno esaminato, ritenendola infondata, l'argomentazione difensiva secondo la quale sarebbe stato rinvenuto un DNA mitocondriale non appartenente all'imputato e neppure alla vittima e perciò con capacità escludente della responsabilità dell'imputato.

In proposito, nel corso dei due gradi di giudizio si è giunti alla conclusione che la traccia minoritaria del DNA mitocondriale rinvenuta su una traccia mista sugli indumenti della vittima non solo non individua il profilo genetico di una persona, ma non ha capacità di esclusione dell'imputato, potendo appartenere alla stessa vittima (parte maggioritaria) il cui profilo genetico è caratterizzato da eteroplasmia e che, può, avere coperto la traccia minoritaria (appartenente all'imputato).

Tali conclusioni sono state logicamente tratte dai seguenti elementi che non sono confutati nel ricorso:

- il Prof. G., con riferimento alla componente minoritaria del DNA mitocondriale, ha addirittura parlato di artefatto o di segnale sporco, rifiutandosi, perciò, di esaminare il profilo misto. In forza di tale specifica presa di posizione del consulente non deve essere presa in considerazione la parte minoritaria del DNA mitocondriale rivenuto sulla vittima, sicchè tale traccia non ha capacità escludente nei confronti dell'imputato;

- il prof. Ca. ha affermato che sui campioni 31-G23 e 31-G24 ha eseguito la ricerca del DNA mitocondriale per le regioni HV1 e HV2 e non ha individuato un'ulteriore traccia attribuibile a un soggetto persona fisica, ma ha ripetutamente precisato di aver riscontrato: 1) la presenza di "una traccia minoritaria, che potrebbe essere intorno a un 5% delle sequenze, che però... ha uno scarso significato, perchè una banale eteroplasmia, cioè la co-presenza di DNA con aplotipi diversi nello stesso individuo è possibile", anche tenuto conto della accertata presenza di "una eteroplasmia dell'individuo, di (OMISSIS) G.Y." desunta dall'analisi dell'amplificato del capello che gli aveva consegnato il prof. P.; 2) la presenza di una traccia minoritaria potrebbe essere dovuta a una eteroplasmia, "cioè alla co-presenza di entrambi i genomi mitocondriali all'interno dello stesso individuo, di (OMISSIS) G.Y."; 3) la presenza potrebbe essere "banalmente una eteroplasmia di (OMISSIS) G.Y.", perchè, analizzando i campioni 31G23 e 31-G24, nelle ipotesi che la traccia mista sia sangue per (I1) IGNOTO 1 e sangue per (OMISSIS) G.Y., avrebbe dovuto rilevare il 50% di sequenze CRS (sequenza di Cambridge che non è identificativa) come nel nucleare. Invece, ha notato una traccia sicuramente molto più piccola che potrebbe essere banalmente una eteroplasmia di (OMISSIS) G.Y."; 4) anche dall'analisi del capello di (OMISSIS) G.Y. ha notato che vi è eteroplasmia, sicchè "questo mi fa assumere che (OMISSIS) G.Y. sia portatrice di una eteroplasmia".

In proposito, la Corte distrettuale logicamente e coerentemente valorizza un'argomentazione introdotta dal consulente della difesa (prof. Gi.) che, nel convenire sul fatto che la ricerca del DNA mitocondriale su una traccia mista è assolutamente sconsigliata, ha aggiunto che potrebbe emergere un falso positivo in considerazione di una possibile eteroplasmia di uno dei contributori, così, d'altra parte, rafforzando le conclusioni dei consulenti del Pubblico ministero in ordine alla concreta possibilità, basata su una precisa documentazione scientifica, che la ricerca del DNA mitocondriale su traccia mista possa portare anche a false esclusioni.

Ad avviso del Collegio, quindi, il motivo di ricorso è inammissibile perchè generico, assertivo e reiterativo di argomentazioni già ampiamente confutate dai giudici di merito, sicchè non è in grado di scalfire le ampie, logiche e coerenti argomentazioni sviluppate dai giudici di merito per escludere la presenza di DNA mitocondriale di un terzo soggetto, dovendosi innanzitutto escludere la possibilità di analizzare la traccia minoritaria del DNA mitocondriale rinvenuto frammisto a una maggioritaria di pertinenza della vittima e, comunque potendosi ragionevolmente ascrivere le tracce minoritarie di DNA mitocondriale rinvenute alla medesima persona offesa che risulta portatrice di eteroplasmia, comune alterazione genetica da cui deriva la presenza di diverso DNA mitocondriale all'interno di diversi tessuti della stessa persona.

16. E' inammissibile anche il diciottesimo motivo di ricorso, nell'interesse di ((OMISSIS)) B.M.G., che denuncia il vizio di motivazione in relazione alla rinnovazione del dibattimento per disporre la perizia genetica, sia con riguardo alla totale rinnovazione della perizia genetica "completa" e cioè partire dall'esame del DNA, sia, in subordine, alla semplice rinnovazione delle verifiche documentali sui dati del DNA estratti dal RIS. 16.1. Va premesso che il procedimento di identificazione del DNA della persona attraverso l'utilizzo del profilo genetico si articola in fasi distinte, rispettivamente costituite: dall'estrapolazione del profilo genetico presente sui reperti; dalla decodificazione dell'impronta genetica dell'indagato; dalla comparazione tra i due profili. Delle tre operazioni necessarie per giungere all'identificazione, profili di irripetibilità possono eventualmente rinvenirsi soltanto nella prima e risiedere sia nella scarsa quantità della traccia genetica, sia nella scadente qualità del DNA presente nella stessa (Sez. 2, n. 2476 del 27/11/2014, Santangelo, Rv. 261866), come si è verificato nel caso in esame a seguito del totale esaurimento del materiale genetico (sul punto si tornerà).

Infine, i risultati del procedimento attraverso il quale si giunge all'identificazione del DNA della persona vengono trasposti in supporti documentali nei quali è riversata la composizione della catena genomica rilevata dall'analisi dei campioni di materiale genetico. Questi supporti documentali, generalmente riversati su file, sono stabili e non modificabili, con la conseguenza che la comparazione genetica si risolve nel confronto dei supporti documentali su cui sono stati registrati i profili genotipici estratti attraverso l'attività tecnica.

16.2. E' utile far premettere una breve illustrazione delle tematiche relative alla consulenza e alla perizia nel processo penale.

Il codice di procedura penale del 1930 relegava l'apporto del consulente tecnico in un ambito endo-peritale e inquadrava la perizia tra i mezzi di valutazione della prova piuttosto che tra i mezzi di prova e, conseguentemente, il perito tra i collaboratori diretti del giudice nella formazione della decisione, in un ruolo ancillare rispetto a esso.

La Legge Delega 16 febbraio 1987, n. 81, nel predisporre le linee guida del codice vigente all'art. 2, n. 10 prevede un riordinamento dell'istituto della perizia, assicurando la più idonea competenza tecnica e scientifica dei periti, ciò in linea con il passaggio da un codice ad impronta prevalentemente inquisitoria ad un sistema tendenzialmente accusatorio.

Nel codice vigente è, dunque, mutato in radice il rapporto tra perizia e consulenza tecnica; in precedenza la consulenza tecnica aveva il suo necessario presupposto nella previa nomina di un perito, l'attuale codice ha delineato accanto alla consulenza tecnica endo-peritale, quella extra peritale, svincolata dalla perizia.

Nel processo emanato nel 1988 il legislatore ha riconosciuto alle parti (pubbliche e private) un ruolo centrale nella formazione della prova. Alla valorizzazione complessiva del ruolo delle parti in ambito probatorio corrisponde l'analoga valorizzazione dei consulenti tecnici.

Il legislatore ha espressamente consentito alle parti di usufruire dell'apporto tecnico dei propri consulenti indipendentemente dall'esperimento di una perizia e in via del tutto autonoma rispetto ad essa. L'art. 233 c.p.p. "quando non è stata disposta perizia" legittima questa conclusione e l'ampiezza dell'ambito di operatività della consulenza tecnica extra peritale, che garantisce l'effettività del diritto alla prova con riferimento a materie che richiedono peculiari competenze specialistiche.

Il codice vigente ha dunque inteso rimarcare il valore estremamente significativo della consulenza tecnica nella consapevolezza che nelle materie caratterizzate da un elevato tecnicismo il difensore e il Pubblico ministero possano esercitare correttamente il loro impegno dialettico solo ove supportati dall'indispensabile contributo degli esperti.

Al patrimonio isolato del perito e alla sua primazia rispetto ai consulenti si è preferita la gestione partecipata del contributo tecnico scientifico che non consente alcuna gerarchia tra perizia e consulenza.

La previsione della consulenza tecnica extra peritale ha realizzato un importante presupposto - in aderenza al modello accusatorio - per l'attuazione del diritto alla prova in ordine a materie che per loro natura potrebbero anche dare luogo a perizia, essendo conferita alle parti la facoltà di avvalersi dell'ausilio di un organo tecnico e soprattutto di sottoporre i contributi al giudice, anche quando quest'ultimo non abbia ritenuto necessario nominare un perito. Peraltro, mentre i quesiti formulati dal giudice delimitano l'attività peritale, l'apporto del consulente può invece snodarsi senza soluzione di continuità, lungo l'intero arco del procedimento.

Tali conclusioni hanno ricevuto l'avallo della Corte costituzionale (sentenza 19 febbraio 1999, n. 33) che, nel dichiarare l'illegittimità della L. 30 luglio 1990, n. 217, art. 4, comma 2, primo periodo, in tema di patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti, ha affermato come debba ritenersi ormai perfettamente compenetrato nello spirito dell'attuale modello processuale il principio in base al quale la consulenza tecnica extra-peritale "è suscettibile di assumere pieno valore probatorio", aggiungendo che il giudice, senza necessità di disporre perizia, può legittimamente desumere elementi di prova dall'esame dei consulenti tecnici dei quali le parti si siano avvalse, non essendo vincolato a nominare un perito qualora le conclusioni fornite dai consulenti di parte gli appaiano oggettivamente fondate, esaustive e basate su argomenti convincenti. Per mezzo della consulenza tecnica le parti possono fornire autonomamente al giudice, a prescindere dalla nomina o meno di un perito, i dati ed i contributi di carattere tecnico scientifico ritenuti idonei a supportare le rispettive tesi. Esse nell'ambito dei loro poteri dispositivi, godono di una assoluta libertà di scelta circa la convenienza o meno di ricorrere all'apporto di consulenti tecnici. Peraltro, il consulente nominato sin dalla fase delle indagini preliminari, è portatore di un bagaglio conoscitivo già acquisito di cui il giudice può disporre per formare il proprio libero convincimento".

In linea di continuità si colloca la più recente sentenza della Corte Costituzionale n. 239/2017, già sopra richiamata, tesa a superare l'obiezione relativa alla presunta maggiore complessità di rilievi tecnici derivante dalla necessità di rispettare sofisticati protocolli cautelari, che ha affermato: "...l'esistenza - alla quale ha fatto riferimento il giudice rimettente - di protocolli per la ricerca e il prelievo di tracce di materiale biologico può, da un lato, rendere routinaria l'operazione e, dall'altro lato, consentirne il controllo attraverso l'esame critico della prescritta documentazione. E non è privo di rilevanza che nel dibattimento l'imputato abbia la possibilità di verificare e contestare la correttezza dell'operazione anche attraverso l'esame del personale che l'ha eseguita, oltre che dei consulenti tecnici e dell'eventuale perito nominato dal giudice". In detta sentenza, dunque, si ribadisce che la nomina del perito è eventuale e si sottolinea che ciò che rileva, in realtà, è il contraddittorio.

Anche la L. n. 85 del 2009, istitutiva della banca nazionale del DNA, parifica ai fini dell'inserimento in banca dati, i profili tipizzati nel corso di accertamenti tecnici, consulenza o perizia (art. 10).

Il mutato approccio del legislatore e l'intervento del giudice delle leggi sono a base del diverso orientamento giurisprudenziale, ormai consolidato, secondo cui il giudice può fondare la propria decisione anche sui soli pareri dei consulenti delle parti (ex multiis: Sez. 4, n. 14863 del 03/02/2004, Micucci, Rv. 228596; in precedenza: Sez. 1, n. 7252 del 17/03/1999, Loiacono, Rv. 213704).

16.2.1. Non appare dunque in linea con l'evoluzione normativa e giurisprudenziale ed è dissonante rispetto alla stessa giurisprudenza costituzionale, l'atteggiamento di sfiducia e di diffidenza manifestato dalla difesa nei confronti delle consulenze e dell'apporto degli esperti, operando nel corso di tutto il processo e nei motivi di ricorso, il sistematico declassamento dell'apporto dei consulenti in termini di affidabilità perchè ritenuto funzionale ai soli interessi dell'accusa.

Peraltro, come evidenziato in sentenza, la difesa ha ritenuto di non depositare relazioni di consulenza o memorie a firma dei propri esperti, limitando in tal modo l'apporto degli stessi alle sole argomentazioni sporadicamente espresse al dibattimento su singoli dettagli della complessa attività tecnica, così rinunciando a confutare, mediante una specifica critica suscettibile di confutazione dialettica nel contraddittorio delle altre parti, i risultati raggiunti dai consulenti del Pubblico ministero, di tal che i giudici di merito hanno ritenuto, con ampia e logica motivazione, l'assenza di un effettivo e documentato contrasto tra le tesi prospettate, in mancanza del quale, quindi, non è apparsa giustificata la nomina di un perito (Sez. 1, n. 3633 del 18/01/1995, Mazzoni, Rv. 201496).

In effetti, la necessità della perizia postula l'insanabile contrasto tra tesi contrapposte, ma per far ciò occorre rinvenire nel processo l'evidenza dell'utilizzo di una metodica errata o superata e dell'esistenza di un metodo più recente e più affidabile di lettura delle informazioni acquisite al processo: nulla di tutto questo emerge dagli atti, sicchè, sul punto, il motivo di ricorso è inammissibile, tanto è vero che in seicento pagine di ricorso ci si sofferma, per confutarli in modo assertivo su ripetizioni, controlli positivi e negativi, senza riuscire mai a contrastare la prova cardine del DNA; si frazionano, si parcellizzano, si valorizzano elementi non dotati di effettiva capacità confutativa e, poi, quando non si possono contrastare in alcun modo le evidenze tecniche, diviene inevitabile formulare richieste esplorative, senza riuscire neanche a indicare la direzione di tale esplorazione: è emblematica, di tale modo di procedere, la richiesta di visionare i reperti, tant'è che il presidente del collegio domanda di quali reperti si tratti, senza ottenere risposta.

16.3. Il motivo di ricorso è inammissibile in relazione alla perizia genetica "completa" poichè, oltre a muovere da un assunto erroneo (la disponibilità dei reperti su cui sono state rilevate le tracce genetiche), è generico e meramente reiterativo di argomentazioni già giudicate infondate dai giudici di merito con ampia e logica motivazione.

In realtà, non sono più disponibili, per il decorso del tempo e per la consumazione del materiale, i reperti acquisiti in sede autoptica da cui sono stati estratti i profili genetici utilizzati per l'individuazione del profilo genetico di (I1) IGNOTO 1, sicchè correttamente entrambi i giudici di merito hanno rigettato la richiesta di perizia genetica.

Sulla questione della consumazione dei reperti è sufficiente richiamare quanto già risulta accertato da questa Corte con sentenza n. 18.246 del 2015, laddove si è dato atto che la difesa aveva riconosciuto la consumazione del reperto (affermazione riportata alla pag. 3 del ricorso per cassazione avverso l'ordinanza del Tribunale del riesame di Brescia del 14 ottobre 2014; ribadita alla pag. 55 dei motivi di appello; ulteriormente ribadita a pag. 65 dei motivi di appello nuovi, dichiarati inammissibili).

E', dunque, corretta la decisione dei giudici di merito che hanno rigettato la richiesta di perizia genetica perchè, tenuto conto di quanto si è detto in merito alla natura irripetibile delle legittime procedure di estrazione del DNA compiute nel corso delle indagini preliminari, detta perizia non poteva svolgersi su tale aspetto, che la difesa ritiene centrale, ma semmai avere a oggetto la valutazione di tali estrazioni.

E', d'altra parte, fuorviante il richiamo alla decisione del Tribunale di Brescia, in funzione di tribunale del riesame, poichè essa si riferisce all'eventuale opportunità di svolgere una perizia sul DNA mitocondriale in relazione al quale, come già si è detto al paragrafo precedente (n. 15.), è stata motivatamente esclusa la rilevanza a fini identificativi o di esclusione.

16.4. Il motivo di ricorso è inammissibile anche nella parte che riguarda la "perizia documentale", da compiersi sui tracciati ottenuti a seguito dell'attività irripetibile sopra richiamata, perchè il provvedimento di rigetto è sorretto da idonea e adeguata motivazione e il ricorso si limita a ribadire quanto già esaminato dai giudici di merito.

Deve, in proposito, essere ricordato che la perizia in questione è stata ritenuta "assolutamente superflua e non necessaria ai fini della decisione" sulla base di varie argomentazioni, nessuna delle quali è validamente confutata dal ricorso.

16.4.1. Già si è visto che, come correttamente ritenuto dai giudici di merito, non sussiste, in considerazione delle inammissibili argomentazioni sviluppate nel ricorso, un reale contrasto tra le posizioni dei consulenti dell'accusa e quelle dei consulenti della difesa per quanto concerne: l'estrazione e la tipizzazione del DNA di (I1) IGNOTO 1, ivi comprese le questioni relative ai kit, ai controlli positivi e negativi e alla ripetizione delle corse elettroforetiche; il rapporto di discendenza dell'imputato da (OMISSIS) G.G.B. e (OMISSIS) A.E.; l'identità del DNA di (I1) IGNOTO 1 e dell'imputato; l'irrilevanza, a fini identificativi o di esclusione, dell'assenza del DNA mitocondriale dell'imputato; l'assenza di contaminazione del DNA da trascinamento.

In disparte la giurisprudenza citata dalla difesa perchè estranea al motivo di ricorso (Sez. 4, n. 43786 del 17/09/2010, Cozzini e altri, Rv. 248943 e Rv. 248944, in tema di nesso di causa per esposizione all'amianto), deve essere evidenziato che correttamente i giudici di merito hanno ritenuto la superfluità della perizia a contenuto prettamente ripetitivo dell'esame dei tracciati già documentalmente acquisiti, anche in considerazione della genericità delle critiche mosse dai consulenti della difesa all'attività compiuta dai consulenti del Pubblico ministero, motivazione rispetto alla quale il ricorso non si confronta, risultando perciò generico.

In ultima analisi deve essere evidenziato che i giudici di merito hanno preso in esame le argomentazioni dei consulenti della difesa, ritenendole, sulla base di un ampio e ragionevole percorso logico valutativo, prive di concreta capacità critica, così logicamente ritenendo preferibile accedere alle conclusioni concordemente espresse da tutti gli altri esperti del settore, sicchè la motivazione sul punto è incensurabile, dovendosi richiamare il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale "in tema di prova, in virtù del principio del libero convincimento, il giudice di merito, pur in assenza di una perizia d'ufficio, può scegliere tra le diverse tesi prospettate dai consulenti delle parti, quella che ritiene condivisibile, purchè dia conto con motivazione accurata ed approfondita, delle ragioni della scelta nonchè del contenuto della tesi disattesa e delle deduzioni contrarie delle parti e, ove tale valutazione sia effettuata in modo congruo, è inibito al giudice di legittimità procedere ad una differente valutazione, trattandosi di accertamento di fatto, come tale insindacabile in sede di legittimità" (Sez. 4, n. 8527 del 13/02/2015, Sartori, Rv. 263435; in tema di perizia d'ufficio, si veda, ex multiis, Sez. 5, n. 18975 del 13/02/2017, Cadore, Rv. 269909).

In effetti, il ricorso non evidenzia alcuna reale e documentata critica relativa all'esame dei tracciati riversati su file, sicchè la richiesta di procedere a rinnovazione della perizia su tale aspetto è stata correttamente ritenuta superflua, con conseguente inammissibilità del motivo di ricorso.

16.5. L'eventualità, peraltro non specificamente denunciata nell'originario ricorso, di un contrasto con l'art. 6 della Convenzione EDU, come interpretato dalla Corte di Strasburgo, non può neppure essere ipotizzata, contrariamente all'assunto difensivo trasfuso nei motivi nuovi depositati il 26 settembre 2018 che, a norma dell'art. 585 c.p.p., comma 4, sono però inammissibili a causa dell'inammissibilità del ricorso originario.

Ciò non di meno, sempre allo scopo di mostrare la strumentalità delle asserzioni, non infrequentemente esposte anche al di fuori del contenitore processuale, relative alla violazione del diritto al contraddittorio e alla prova, il Collegio ritiene utile richiamare alcuni principi elaborati dalla giurisprudenza di Strasburgo e calarli nel caso oggetto del giudizio.

16.5.1. La Corte di Strasburgo equipara agli effetti dell'art. 6, comma 3, lett. d), CEDU le varie figure di "dichiaranti", omologando sotto questo profilo a quella del tradizionale testimone anche quella del consulente tecnico, ma tale equiparazione rileva solo in una dimensione finalistica, poichè è posta a presidio del diritto dell'imputato a confrontarsi con l'accusatore. Essa mira, in effetti, a garantire all'accusato il diritto al contraddittorio, al rispetto del quale è legata la "sole or decisive rule", che esclude la possibilità di porre a fondamento in maniera "esclusiva o determinante" di una sentenza di condanna le dichiarazioni rese da persone che la difesa non abbia mai avuto la possibilità di esaminare, anche in una fase successiva del procedimento.

Il livello di garanzia convenzionale si ferma però a questa soglia, senza avere riguardo alle regole di ammissione della prova e, dunque, senza distinzione a seconda della veste del dichiarante (testimone in senso stretto o ausiliario tecnico di una parte), delle modalità delle dichiarazioni (con o senza giuramento di verità da parte dell'esaminato) e, soprattutto, prescindendo da eventuali separazioni funzionali delle fasi, e, conseguentemente, degli atti di indagine dalle prove.

Non sussiste, dunque, alcuna violazione dell'art. 6 della Convenzione EDU perchè è stata garantita la piena parità delle armi.

16.5.2. La Corte E.D.U., chiamata a valutare l'equità del procedimento seguito per giungere alla decisione, opera un controllo prevalentemente in concreto e, muovendo dai singoli casi, ha enunciato parametri idonei a delineare quando può dirsi che il processo sia giusto, produttore di una verità raggiunta nel rispetto di determinate regole.

Con riferimento al diritto al contraddittorio, l'art. 6 C.E.D.U. si traduce nel diritto dell'accusato a "esaminare o far esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l'esame dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico".

Viene in rilievo quella parte della garanzia che consta del diritto a contraddire mediante l'ammissione e l'acquisizione di prove a discarico, come si evince da una serie di decisioni, emesse dalla Corte durante l'arco degli ultimi vent'anni.

Nella sentenza Vidal c. Belgio, 22 aprile 1992, la Corte enuncia anzitutto una regola generale secondo cui spetta al giudice nazionale valutare la rilevanza degli elementi di prova che gli imputati cercano di addurre, e, comunque, l'ammissione delle prove è una questione di regole scelte dal legislatore interno. Di fatto, si precisa, la Convenzione non esige che sia ammesso l'esame di ogni testimone richiesto, ma certamente di tutti quelli indispensabili a garantire la parità delle armi tra accusa e difesa. Per converso, il concetto di ègalitè des arms non esaurisce il contenuto della garanzia medesima e, in effetti, nel caso Vidal i giudici del merito avevano rifiutato l'ammissione dei testi richiesti dalla difesa senza offrire alcuna motivazione per il rifiuto. Il silenzio completo sul punto in questione - osserva la Corte - non è coerente con il concetto di processo equo che è alla base dell'art. 6 C.E.D.U. Il caso Perna c. Italia, 6 maggio 2003, contiene importanti precisazioni sui confini del diritto all'ammissione della prova a discarico: non è sufficiente per la difesa dolersi della mancata acquisizione delle prove a discarico; occorre che la richiesta sia stata sostenuta da argomentazioni che spieghino la rilevanza della prova in rapporto alla concreta regiudicanda. Nel processo Perna - osserva la Corte - i testimoni e i documenti di cui è stata rifiutata l'ammissione, non mostravano contenuti potenzialmente idonei ad incidere sulla decisione del caso.

16.5.3. Il diritto all'ammissione della prova scientifica risulta, a sua volta, ben delineato all'interno di due sentenze.

Nel caso Matytsina contro Russia, del 27 marzo 2014, secondo la Corte EDU il contraddittorio con gli esperti dell'accusa non è stato garantito, non solo perchè veniva respinta la richiesta di consulenza sulle cause della malattia, ma anche perchè non è stato possibile per l'accusato partecipare alla formulazione dei pareri degli esperti nel corso delle indagini. I giudici nazionali avevano impedito alla difesa di introdurre la testimonianza di un proprio esperto a confutazione dei risultati addotti dall'accusa, con conseguente violazione del canone di parità delle armi.

Analoga la posizione della Corte nel caso Dusko Ivanovski c. ex Repubblica yugoslava di Macedonia, del 24 aprile 2014: all'introduzione di accertamenti tecnico-scientifici da parte dell'accusa, la difesa non è stata posta in grado di replicare tramite propri esperti ovvero tramite un perito nominato dal giudice. Da qui l'iniquità della procedura che ha condotto alla condanna del ricorrente. In entrambi i casi la mancata ammissione della prova scientifica ha pregiudicato la possibilità della difesa di contraddire l'accusa ad armi pari.

16.5.4. Il caso oggetto del giudizio è, dunque, rispettoso di tutti i principi elaborati dalla Corte di Strasburgo.

Infatti, ciò che assume rilievo, secondo la Corte EDU, è la compiuta esplicitazione del risultato probatorio auspicato dalla parte all'atto della richiesta, mediante argomentazioni finalizzate a illustrare la relazione intercorrente tra la prova di cui si chiede l'ammissione e la fattispecie concreta.

Rilievo fondamentale assumono le proposizioni probatorie tramite le quali la parte intende proiettare nel processo un determinato risultato dimostrativo e la motivazione dell'ordinanza con cui il giudice di merito illustra le ragioni della non necessità dell'ingresso della data prova nel processo.

In questo processo è evidente la carente esplicitazione da parte della difesa delle ragioni della ritenuta decisività della perizia, con riferimento agli ulteriori e diversi risultati cui dovrebbe pervenire rispetto alle consulenze.

La Corte di merito ha respinto la richiesta di un ulteriore accertamento genetico da espletarsi mediante perizia sulla base delle argomentazioni che seguono: 1) il contrasto tra diversi e opposti apporti dei consulenti è stato davvero poco apprezzabile, poichè: - vi è stato prevalentemente un contrasto tra numerosi contributi tecnici sostanzialmente concordi tra loro provenienti dall'accusa pubblica e privata ( L., S., Ge., P., G., Ca., Po.) e alcune sporadiche affermazioni prive di organicità, in quanto neppure organizzate in apposita relazione scritta (senza, dunque, riferimenti bibliografici e di letteratura scientifica a sostegno), rese da uno solo dei due consulenti della difesa (Dott. C.), posto che l'altro consulente (Dott.ssa Gi.) non ha formulato effettive obiezioni a tali consulenze; - l'unico consulente della difesa che ha formulato alcune sporadiche obiezioni agli elaborati consulenziali dell'accusa pubblica e privata (il Dott. C.), ha mostrato criticità nella propria attività professionale (non sempre svolgeva controlli positivi e negativi), ha lodato lo scrupolo e la professionalità del RIS, ha finito per fornire alcune ammissioni che convalidano la fondatezza delle valutazioni dei consulenti del Pubblico ministero e della parte civile (si pensi alla chiara interpretabilità del DNA in alcune analisi, all'irrilevanza della ricerca del DNA mitocondriale laddove si sia acquisito il DNA nucleare, alla mancata indicazione di come i Kit scaduti avrebbero potuto influenzare il risultato delle analisi e, quando, con la produzione da parte del RIS dei dati grezzi, è stato messo in condizioni di dimostrare la fondatezza delle sue obiezioni, non ha formulato alcuna valutazione, diversamente dal Dott. Po. consulente di parte civile che ha mostrato di aver avuto tempo e modo per commentare quei dati grezzi); 2) il denunciato contrasto è stato più apparente che sostanziale tra un consulente della difesa (Dott. C.) e numerosi contributi tecnici sostanzialmente concordi tra loro, provenienti da personalità, non soltanto di notevole preparazione ed esperienza scientifica ( L., S., Ge., P. e Gr., Pi. - G., Ca., Po.), ma anche esercitanti la loro professione in strutture diverse e lontane (Parma, Milano, Bologna, Pavia, Roma), ciò che depone maggiormente per la loro credibilità e fondatezza, dal momento che, in definitiva, tali consulenti non hanno operato all'interno di un collegio peritale, ma si sono casualmente succeduti nelle loro valutazioni che, significativamente, sono risultate sostanzialmente corrispondenti o sovrapponibili (si pensi al tema del DNA mitocondriale); 3) il contrasto semmai è stato tra i numerosi contributi tecnici provenienti dai consulenti del Pubblico ministero e della parte civile e i pareri espressi direttamente dai difensori dell'imputato veicolati senza alcun contributo dei propri consulenti. Come illustrato in sentenza, il processo si è svolto in primo grado e in grado d'appello con grande scrupolo e con i necessari approfondimenti nel pieno rispetto del contraddittorio tra le parti e dei diritti della difesa, la quale è stata posta in grado di contrastare gli elementi di prova addotti dall'accusa e di portare gli elementi a discarico; e tale rispetto del contraddittorio e dei diritti della difesa si è anche realizzato, oltre che nella acquisizione e valutazione di tutti gli elementi probatori, anche nella verifica dell'ipotesi accusatoria con specifico riferimento ai dati grezzi degli accertamenti sul profilo genetico nucleare che avevano portato alla individuazione di ((OMISSIS)) B.M.G.; 4) Il controllo sulla validità del metodo risulta effettuato dalla Corte: le operazioni e le investigazioni della polizia sono state sottoposte al controllo di laboratori autonomi. I consulenti del Pubblico ministero e della parte civile hanno dato evidenza di specifiche competenze nello studio del DNA. Si è accertato il rispetto degli standars di accuratezza e di analisi. Il metodo utilizzato risulta correttamente proposto e validato dalla letteratura scientifica internazionale. La Corte ha valutato la "tenuta dell'ipotesi identificazione dell'imputato sulla base del DNA nucleare di (I1) IGNOTO 1". E' stata valutata l'affidabilità delle informazioni e dei dati acquisiti (si pensi agli elettroferogrammi). Richiamato e approfondito è stato il rapporto di verosimiglianza che fornisce allo scienziato forense la misura del grado con cui l'evidenza può consentire di discriminare tra diverse ipotesi sostenute dalle parti. Alla certezza identificativa si contrappongono le tesi difensive: quella di ((OMISSIS)) B.M.G. stesso, oggetto della imputazione per calunnia; quella ventilata dalla difesa che ha prodotto un articolo di una rivista sulla possibilità di realizzare in laboratorio un "DNA artificiale", lasciando sottintendere che l'ipotesi doveva essere esplorata nel caso di specie, senza allegare, però, alcun elemento in merito.

In proposito è utile chiarire, visto che la difesa ha utilizzato l'argomento anche in sede extra processuale, che la genericissima ipotesi della creazione in laboratorio del DNA dell'imputato, oltre ad appartenere alla schiera delle idee fantasiose prive di qualsiasi supporto scientifico e aggancio con la realtà, è manifestamente illogica.

Infatti, se si volesse seguire la tesi complottista legata anche alla necessità di dare in pasto all'opinione pubblica un responsabile, è evidente che - ammessa (solo per ipotesi) la reale possibilità di creare in laboratorio un DNA - si sarebbe creato un profilo che immediatamente poteva identificare l'autore del reato senza attendere, come invece è accaduto nel caso di specie, ben tre anni per incolpare ((OMISSIS)) B.M.G..

Dunque, seguendo la fantasiosa ipotesi difensiva sarebbe certamente stato più agevole concentrare la "costruzione delle false prove" sul primo indagato già identificato F. M. (in realtà del tutto estraneo alla vicenda come poi accertato) oppure su un'altra persona della quale fosse già conosciuto il DNA (perchè registrato nella relativa banca dati), senza attendere oltre tre anni spesi nell'affannosa ricerca del vero colpevole.

Ciò, senza dimenticare che l'estrazione del profilo genetico di (I1) IGNOTO 1 è avvenuta sotto il controllo dei consulenti tecnici della persona offesa che erano stati avvisati dell'inizio delle attività e che avevano, quindi, tutto l'interesse al regolare svolgimento delle attività tecniche.

D'altra parte, le attività tecniche di cui sopra hanno consentito di individuare, sulla manica del giubbotto, anche il profilo genetico dell'istruttrice di ginnastica della vittima che è risultata del tutto estranea al delitto, sicchè non vi è motivo di dubitare della piena regolarità delle attività di repertazione ed estrazione delle tracce biologiche.

17. E' inammissibile il diciannovesimo motivo di ricorso, nell'interesse di ((OMISSIS)) B.M.G., che denuncia la violazione di legge in ordine alla sussistenza del quadro indiziario e l'inosservanza delle norme a disciplina della valutazione della prova, nonchè il vizio della motivazione, anche per travisamento.

17.1. E' manifestamente infondata e perciò inammissibile la doglianza relativa al valore di prova dell'accertamento genetico.

La difesa di duole che la sentenza abbia affermato come la semplice "attribuzione del DNA all'imputato costituisca elemento di prova (e non di semplice indizio) della realizzazione dell'omicidio", evidenziando che tale elemento, semmai, costituisce un indizio poichè rappresenta un fatto statico (presenza di una traccia), rispetto al fatto da provare (omicidio) che è caratterizzato da una azione dinamica.

In realtà, la sentenza impugnata attribuisce valore di prova (e non di semplice indizio) all'identificazione genetica compiuta per mezzo dell'analisi del DNA, sicchè afferma che la traccia appartiene senza ombra di dubbio all'imputato, con ciò facendo corretta applicazione del principio di diritto costantemente espresso dalla giurisprudenza di legittimità secondo la quale "gli esiti dell'indagine genetica condotta sul DNA, atteso l'elevatissimo numero delle ricorrenze statistiche confermative, tale da rendere infinitesimale la possibilità di un errore, presentano natura di prova, e non di mero elemento indiziario ai sensi dell'art. 192 c.p.p., comma 2" (Sez. 1, n. 48349 del 30/06/2004, Rizzetto, Rv. 231182, seguita da Sez. 2, n. 43406 del 01/06/2016, Syziu, Rv. 268161, secondo la quale "gli esiti dell'indagine genetica condotta sul DNA hanno natura di prova, e non di mero elemento indiziario ai sensi dell'art. 192 c.p.p., comma 2, sicchè sulla loro base può essere affermata la responsabilità penale dell'imputato, senza necessità di ulteriori elementi convergenti", e da Sez. 2, n. 8434 del 05/02/2013, Mariller, Rv. 255257).

La sentenza, poi, afferma, facendo corretta applicazione delle regole probatorie, che detta prova abbraccia anche la responsabilità per l'omicidio poichè la traccia genetica è stata rinvenuta in una specifica e significativa posizione (gli slip della vittima), in presenza di un complessivo quadro interpersonale che esclude la contaminazione casuale posto che, come lo stesso imputato afferma, i due non si conoscevano e non si sono mai incontrati e toccati. E' stato escluso che la traccia possa essersi depositata sull'indumento in un diverso contesto di relazione, sicchè appare inapplicabile il principio di diritto secondo il quale "in tema di indagini genetiche, l'analisi comparativa del DNA svolta in violazione delle regole procedurali prescritte dai Protocolli scientifici internazionali in materia di repertazione e conservazione dei supporti da esaminare, nonchè di ripetizione delle analisi, comporta che gli esiti di "compatibilità" del profilo genetico comparato non abbiano il carattere di certezza necessario per conferire loro una valenza indiziante, costituendo essi un mero dato processuale, privo di autonoma capacità dimostrativa e suscettibile di apprezzamento solo in chiave di eventuale conferma di altri elementi probatori" (Sez. 5, n. 36080 del 27/03/2015, Knox e altri, Rv. 264863). In detto caso, infatti, si sospettava che, a causa di una violazione delle modalità di repertazione, fosse stato possibile un trasferimento del DNA dell'imputato, che frequentava la casa della vittima, sul reperto campionato e analizzato.

Deve, perciò, affermarsi che l'esito dell'indagine genetica condotta sul DNA, atteso l'elevatissimo numero delle ricorrenze statistiche confermative tale da rendere infinitesimale la possibilità di un errore, lungi dall'avere valore meramente indiziario, ai sensi dell'art. 192 c.p.p., comma 2, ha natura di prova dell'identità del contributore, sicchè costituisce a carico del medesimo la prova del fatto-reato, secondo un percorso logico deduttivo che si poggia, tra l'altro, sulla particolare localizzazione della traccia e dei rapporti tra le parti.

17.2. E', del pari, inammissibile la doglianza secondo la quale il dato genetico è inaffidabile perchè non falsificabile (verificabile) mediante la ripetizione dell'accertamento, poichè ripropone censure già dichiarate inammissibili allorquando sono stati esaminati i motivi di ricorso relativi alla perizia genetica.

17.3. E' inammissibile, perchè generica, assertiva e in fatto, la doglianza concernente la collocazione della traccia biologica dell'imputato in una zona significativa (slip).

Il motivo di ricorso, che introduce una diversa ricostruzione in fatto della localizzazione della traccia, non si confronta con l'ampia e coerente motivazione stesa sul punto con concorde valutazione da entrambi i giudici di merito e introduce argomentazioni, anche mediante l'allegazione di alcune immagini tratte dal fascicolo processuale che, oltre a essere irricevibili in questa sede, tendono a una diversa valutazione del compendio probatorio con riguardo alla collocazione delle ferite, dei tagli e degli altri segni rinvenuti sul cadavere.

Risultano, poi, ipotetiche le asserzioni relative alla manomissione del reperto che dovrebbero trarsi dall'esame, inammissibile, di alcune immagini fotografiche che, in realtà, documentano le fasi di refertazione svolte nell'immediatezza dalla polizia giudiziaria e dai consulenti, senza che da ciò possa inferirsi quanto ipotizzato dalla difesa.

17.4. Sono, del pari, inammissibili le doglianze concernenti la contaminazione perchè generiche laddove non si confrontano con la motivazione del provvedimento impugnato che ha fornito una logica ed esaustiva spiegazione a quanto risulta dalle immagini in ordine alle fasi di contenimento, raccolta e svestizione del cadavere.

D'altra parte, il motivo di ricorso è inammissibile perchè ipotetico e illogico quando, nell'evidenziare che alcuni operatori accorsi sul luogo del ritrovamento del cadavere erano privi di calzari e sono saliti con le scarpe sul sacco destinato a raccogliere le spoglie della vittima, vuole dedurre la possibile contaminazione con il DNA dell'imputato, dimenticando però che esso non era disponibile in nessuna banca dati, sicchè non può esservi stato portato dalle calzature degli operatori, nè in nessun altro modo.

17.5. E' inammissibile la doglianza che imputa alla sentenza impugnata di non avere "voluto neppure prendere in considerazione l'ipotesi alternativa di una contaminazione volontaria da parte di terzi prima del ritrovamento, contaminazione che non è possibile escludere", poichè, invece, entrambe le decisioni di merito hanno esaminato l'ipotesi avanzata dalla difesa, escludendone la ricorrenza con una motivazione che viene criticata in modo generico e assertivo.

Si tratta, è bene sottolinearlo, di una mera asserzione di una fantasiosa ipotesi la quale, allorquando è stata affacciata con ben maggiori dettagli dallo stesso imputato, è stata ritenuta del tutto incredibile da parte dei suoi difensori che hanno fermamente insistito nella richiesta di assoluzione dall'ipotesi di calunnia ai danni di M. (capo B).

In effetti, la fantasiosa ipotesi dei difensori non raggiunge neppure quella astratta soglia di credibilità che è stata inizialmente attribuita alle accuse formulate dall'imputato ai danni di un soggetto compiutamente indicato e che, secondo le accuse mosse, aveva avuto l'occasione per procurarsi il sangue di ((OMISSIS)) B.M.G., manifestato una peculiare tendenza a delinquere e uno specifico interesse ad accusarlo ingiustamente dell'omicidio. L'ipotesi dei difensori è, all'evidenza, ancora più lunatica di quella dell'imputato e perciò giustamente ritenuta fantasiosa.

17.5.1. V'è da dire, inoltre, che trattandosi di una mera ipotesi dedotta dalla difesa dell'imputato non può essere individuato uno specifico obbligo confutativo da parte del giudice, tanto più che la motivazione si presenta inattaccabile laddove ha correttamente qualificato come congetturale l'argomentazione difensiva (che riecheggia la condotta contestata al capo B) secondo cui terzi avrebbero volontariamente raccolto il sangue dell'imputato per cospargerlo tre mesi dopo l'omicidio sul corpo della vittima.

In effetti, come ha costantemente affermato la giurisprudenza di legittimità, "il principio dell'oltre ragionevole dubbio, introdotto nell'art. 533 c.p.p. dalla L. n. 46 del 2006, non ha mutato la natura del sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione della sentenza, che non può essere utilizzato per valorizzare e rendere decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, eventualmente emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa, una volta che tale duplicità sia stata oggetto di attenta disamina da parte del giudice dell'appello, giacchè la Corte è chiamata ad un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva per mezzo di una valutazione unitaria e globale dei singoli atti e dei motivi di ricorso su di essi imperniati, non potendo la sua valutazione sconfinare nel merito" (Sez. 2, n. 29480 del 07/02/2017, Cammarata e altro, Rv. 270519; in precedenza, ex multiis: Sez. 1, n. 53512 del 11/07/2014, Gurgone, Rv. 261600; Sez. 5, n. 18999 del 19/02/2014, C e altro, Rv. 260409), sicchè il motivo di ricorso che ripropone l'ipotesi congetturale alternativa è inammissibile.

17.5.2. D'altra parte, il ricorso non si confronta con le coerenti e logiche argomentazioni sviluppate dai giudici di merito per illustrare le ragioni, processualmente accertate, della parziale conservazione delle tracce biologiche nonostante l'esposizione del cadavere agli agenti atmosferici, essendo state valorizzate la presenza di una parziale copertura del corpo da parte degli indumenti e le condizioni climatiche di costante e bassa temperatura che hanno consentito la conservazione delle tracce biologiche dell'imputato.

Sul punto, conclusivamente, è il caso di notare che la critica è contraddetta da uno specifico elemento che, ove necessario, rafforza ulteriormente le conclusioni motivatamente espresse da entrambi i giudici di merito in ordine alla conservazione della traccia di (I1) IGNOTO 1, in seguito identificato in ((OMISSIS)) B.M.G., sugli slip e i leggings della vittima.

Ciò che dimostra definitivamente la pura assertività e manifesta infondatezza della censura è il rinvenimento, nello stesso contesto spazio temporale che ha portato a evidenziare sugli slip e i leggings la traccia di ((OMISSIS)) B.M.G., di un'altra traccia biologica, repertata sulla manica del giubbotto della vittima, attribuita all'istruttrice di ginnastica di (OMISSIS) G.Y., traccia che, dunque, ha resistito anch'essa per tre mesi alle intemperie.

E' bene evidenziare che, pur trattandosi di una traccia biologica di modestissime dimensioni e proveniente da contatto epidermico - dunque meno ricco di materiale genetico -, essa si è conservata per tre mesi al pari di quella, ben più abbondante e ricca di DNA perchè verosimilmente proveniente dal sangue di ((OMISSIS)) B.M.G., rivenuta sugli slip e i leggings della vittima.

17.5.3. Sono, infine, meramente assertive e generiche le critiche concernenti le modalità di deposito della traccia ematica dell'imputato sugli indumenti della vittima, posto che la ricostruzione sul punto concordemente fatta dai giudici di merito trova logico conforto in numerosi elementi (posizione del corpo, vestizione parziale, ribaltamento, corrispondenza tra lesioni e tagli sugli indumenti, ecc.) che il ricorso tralascia di considerare, svolgendo argomentazioni su singoli e secondari aspetti della completa motivazione.

17.6. Premesso che nel caso di specie vi è già una prova, per quanto sopra già evidenziato, costituita dall'esame del DNA, l'insieme di indizi correttamente valutati dalla Corte territoriale, oltre a confermare appieno il ragionamento probatorio incentrato sulla prova scientifica, consente di per sè di giungere all'affermazione della responsabilità dell'imputato.

Sono inammissibili, perchè generiche, assertive e caratterizzate da argomentazioni di fatto e di merito, le doglianze sviluppate in merito agli ulteriori indizi individuati dalla Corte distrettuale, poichè si tratta di un complesso di elementi di fatto e logici che, in una visione unitaria, propria del ragionamento indiziario, vanno a costituire un mosaico che, per la forza dimostrativa che ne deriva, è caratterizzato da una forza persuasiva superiore a quella dei singoli elementi che lo compongono, sicchè le critiche contenute nel diciannovesimo motivo di ricorso, che pure saranno singolarmente esaminate, mostrano per se stesse la scarsa valenza argomentativa che le caratterizza.

Prima di esaminare le singole critiche, sarà utile premettere alcune considerazioni di metodo rese necessarie dalla natura indiziaria del processo nonchè dalla articolazione del motivo di ricorso, nell'ambito del quale alcuni frammenti della complessa ricostruzione indiziaria sono stati affrontati e - in ottica difensiva - confutati.

Ciò, se da un lato rappresenta la condivisibile proiezione del controllo sulle singole attribuzioni di significato probatorio ai dati indizianti, dall'altro lato è un'operazione che tende a frammentare la critica senza tener conto della necessaria valutazione globale e unitaria dei dati indizianti e della ridotta incidenza che l'eventuale "caduta" di un singolo indizio sulla complessiva tenuta del giudizio di attribuibilità del fatto all'imputato.

17.6.1. In effetti, "il difetto di motivazione, quale causa di nullità della sentenza, non può essere ravvisato sulla base di una critica frammentaria dei singoli punti di essa. La sentenza, infatti, costituisce un tutto coerente e organico, onde, ai fini del controllo critico sulla sussistenza di una valida motivazione, ogni punto di essa non può essere preso a sè, ma va posto in relazione agli altri. Pertanto la ragione di una determinata statuizione può anche risultare da altri punti della sentenza ai quali sia stato fatto richiamo, sia pure implicito" (Sez. 5, n. 8411 del 21/05/1992, Chirico, Rv. 191487).

In conclusione, soltanto l'emersione di una precisa disarticolazione di un punto effettivamente qualificante del ragionamento decisorio può portare all'annullamento della decisione, mentre eventuali opinabilità nell'attribuzione dell'effettivo peso dimostrativo a un dato, salvo che non si traducano in illogicità manifesta, possono al più portare a una parziale rettificazione della motivazione espressa, ai sensi dell'art. 619 c.p.p., comma 1, (ex multiis, Sez. 1, n. 9707 del 10/08/1995, Caprioli, Rv. 202302). Tale rimedio è apprestato quando il ragionamento giustificativo è nel suo complesso adeguato, dovendosi riconoscere che, nell'ambito di decisioni complesse, l'emersione di una criticità su una delle molteplici valutazioni concorrenti può non comportare l'annullamento della decisione per vizio di motivazione se le restanti valutazioni offrono ampia e rassicurante tenuta del ragionamento ricostruttivo (Sez. 1, n. 6922 del 11/05/1992, Cannarozzo, Rv. 190572; Sez. 4, n. 10116 del 28/09/1993, Dossi, Rv. 195709; Sez. 1, n. 1495 del 2/12/1998, Archinà, Rv. 212274).

Oggetto di verifica in sede di legittimità non è l'esito ricostruttivo compiuto nel giudizio, quanto il metodo con cui il giudice di merito perviene al risultato valutativo, esplicitato attraverso la motivazione della sentenza, secondo il modello legale disegnato dall'art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e).

Il giudizio di legittimità, pertanto, non si costruisce sull'esame delle possibilità rappresentative - anche plausibili - del fatto, ma sull'opzione del fatto come recepita dal giudice di merito, nel senso che il controllo sulla corretta applicazione dei canoni logici e normativi che presidiano all'attribuzione del fatto all'imputato passa attraverso l'analisi dello sviluppo motivazionale della decisione impugnata e della sua interna coerenza logico-giuridica, non essendo possibile compiere in sede di legittimità nuove attribuzioni di significato o realizzare una diversa lettura dei medesimi dati dimostrativi, e ciò anche nei casi in cui si ritenga preferibile una diversa lettura, maggiormente esplicativa (ex multiis, Sez. 6, n. 11194 del 80/3/2012, Lupo, Rv. 252178).

17.6.2. Le operazioni di verifica da compiersi in sede di legittimità in rapporto ai motivi di ricorso (e alla tipologia di atti istruttori oggetto di valutazione), al fine di riconoscere o meno il vizio argomentativo del provvedimento impugnato, possono essere così riassunte:

- verifica circa la completezza e la globalità della valutazione operata in sede di merito, non essendo consentito operare irragionevoli parcellizzazioni del materiale indiziario raccolto (ex multiis, Sez. 2, n. 9269 del 5/12/2012, Della Costa, Rv. 254871), nè omettere la valutazione di elementi obiettivamente incidenti nella economia del giudizio (Sez. 4, n. 14732 del 1/03/2011, Molìnario, Rv. 250133, nonchè Sez. 1, n. 25117 del 14/07/2006, Stojanovic, Rv. 234167);

- verifica circa l'assenza di evidenti errori nell'applicazione delle regole della logica tali da compromettere passaggi essenziali del giudizio formulato (si veda in particolare la ricorrente affermazione della necessità di scongiurare la formulazione di giudizi meramente congetturali, basati cioè su dati ipotetici e non su massime di esperienza generalmente accettate, rinvenibile di recente in Sez. 6, n. 6582 del 13/11/2012, Cerrito, Rv. 254572, nonchè in Sez. 2, n. 44048 del 13/10/2009, Cassarino, Rv. 245627);

- verifica circa l'assenza di insormontabili contraddizioni interne tra i diversi momenti di articolazione del giudizio (cd. contraddittorietà interna);

- verifica circa la corretta attribuzione di significato dimostrativo agli elementi valorizzati nell'ambito del percorso seguito e circa l'assenza di incompatibilità di detto significato con specifici atti del procedimento indicati e allegati in sede di ricorso (travisamento della prova), laddove tali atti siano dotati di una autonoma e particolare forza esplicativa, tale da disarticolare l'intero ragionamento svolto dal giudicante (ex multiis, Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011, Rv. 251516).

Il giudice di legittimità è, quindi, chiamato a svolgere un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva, non manifestamente illogica e internamente coerente, a seguito delle deduzioni del ricorrente concernenti specifici atti del processo.

Tale controllo è destinato a tradursi in una valutazione, di carattere necessariamente unitario e globale, sulla reale esistenza della motivazione, sul correlato rispetto delle regole normative di giudizio e sulla permanenza - a fronte delle specifiche deduzioni - della resistenza logica del ragionamento del giudice.

17.6.3. Il rispetto del canone decisorio secondo cui la colpevolezza dell'imputato deve risultare "al di là di ogni ragionevole dubbio" (art. 533 c.p.p., come novellato dalla L. n. 46 del 2006) non introduce un'ulteriore tipologia di vizio, tale da consentire l'esame del merito, ma si pone come criterio generale alla cui stregua valutare la consistenza logica (e dunque la tenuta dimostrativa) delle affermazioni probatorie contenute nella sentenza impugnata (sicchè il mancato rispetto del criterio rifluisce come ipotesi particolare di apparenza di motivazione, secondo quanto affermato da Sez. 6, n. 8705 del 24/01/2013, Farre, Rv. 254113).

Il dubbio, idoneo a determinare l'ingresso di una reale ipotesi alternativa di ricostruzione dei fatti tale da determinare una valutazione di inconsistenza dimostrativa della decisione, è solo quello "ragionevole" e cioè quello che trova conforto nella buona logica, non certo quello che la logica stessa consente di escludere o di superare.

D'altra parte la riconoscibilità dell'errore logico - dunque la presa d'atto dell'esistenza del limite all'affermazione di responsabilità dell'imputato - impone un confronto con le emergenze processuali, nel senso che per convalidare sul piano logico l'affermazione di responsabilità è necessario che il dato probatorio acquisito sia tale da lasciar fuori solo eventualità remote, pur astrattamente formulabili come possibili, ma la cui effettiva realizzazione nella fattispecie concreta risulti priva del benchè minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell'ordine naturale delle cose e della ordinaria razionalità umana (Sez. 1, n. 31456 del 21/05/2008, Franzoni, Rv. 240763; recentemente Sez. 4, n. 22257 del 25/03/2014, Guernelli, Rv. 259204 che ha escluso che possa aver rilievo, a fini inibitori della pronunzia di sentenza di condanna, una ipotesi alternativa del tutto congetturale, pur se in astratto plausibile).

E' necessario, perciò, procedere alla verifica, in rapporto al contenuto dei motivi di ricorso, del corretto utilizzo delle massime logiche e di esperienza indicate come tali dal giudice di merito per attribuire o negare valenza ai singoli dati indizianti (Sez. 6, n. 31706 del 7/03/2003, P.G. in proc. Abbate, Rv. 228401) e del corretto utilizzo di una pretesa regola generale che risulti priva, però, di qualunque e pur minima plausibilità.

17.6.4. Quando le valutazioni compiute in sede di merito trovano fondamento in elementi probatori di natura indiziaria, la cui effettiva sussistenza e/o valenza viene contestata nei singoli motivi di ricorso, è necessario approfondire innanzitutto la natura e la valenza dell'indizio.

Va, in proposito, ricordato che la prova del fatto è sempre fondata su un giudizio di correlazione tra un fatto principale (la proposizione fattuale contenuta nell'ipotesi di accusa) e fatti secondari, capaci, in rapporto al loro contenuto informativo, di evidenziare un significato di corrispondenza al vero dell'enunciato introdotto nell'atto di accusa.

La classificazione logica e giuridica degli elementi probatori tra prova storica (o diretta) e prova critica (o indiziaria) si muove esclusivamente sul piano della loro idoneità rappresentativa (dello specifico contenuto informativo) rispetto al fatto da provare.

Tale partizione non riguarda la tipologia della fonte probatoria (un testimone può essere portatore quanto dell'una che dell'altra classe di elementi), bensì il rapporto esistente tra la capacità dimostrativa del singolo elemento considerato e il fatto da provare nella sua oggettiva materialità, così come descritto nell'imputazione.

E' definibile quale prova critico-indiziaria, ogni contributo conoscitivo che, pur non rappresentando in via diretta il fatto da provare, consenta - sulla base di una operazione di raccordo logico tra più circostanze - di contribuire al suo disvelamento (dal fatto noto - l'indizio - si perviene alla conoscenza di quello ignoto).

L'indizio, pertanto, ha una sua propria autonoma capacità rappresentativa che, tuttavia, per la sua parzialità - e per il rappresentare una circostanza diversa (pur se logicamente collegata) rispetto al fatto da provare -, consente esclusivamente di attivare, nella mente del soggetto chiamato a operare la ricostruzione, un meccanismo di inferenza logica capace di condurre a un accettabile risultato di conoscenza di ciò che rileva ai fini del giudizio.

E' proprio in ragione di tale differenza di capacità dimostrativa, che la prova indiziaria è oggetto di una particolare cautela valutativa da parte del legislatore che richiede particolari caratteristiche degli elementi posti a base della suddetta inferenza (gravità, precisione, concordanza; art. 192 c.p.p., comma 2), il tutto nell'ambito di una doverosa valutazione unitaria e globale dei dati raccolti (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231678: "poichè l'indizio è significativo di una pluralità, maggiore o minore di fatti non noti - tra cui quello da provare -, nella valutazione di una molteplicità di indizi è necessaria una preventiva valutazione di indicatività di ciascuno di essi - sia pure di portata possibilistica e non univoca - sulla base di regole collaudate di esperienza e di criteri logici e scientifici, e successivamente ne è doveroso e logicamente imprescindibile un esame globale e unitario, attraverso il quale la relativa ambiguità indicativa di ciascun elemento probatorio possa risolversi, perchè nella valutazione complessiva ciascun indizio si somma e si integra con gli altri, sì che il limite della valenza di ognuno risulta superato e l'incidenza positiva probatoria viene esaltata nella valutazione unitaria, in modo da conferire al complesso indiziario pregnante e univoco significato dimostrativo, per il quale può affermarsi conseguita la prova logica del fatto").

Il singolo indizio, inteso come dato con contenuto informativo tale da concorrere all'accrescimento della verità contenuta nell'ipotesi di partenza, va pertanto sottoposto a verifica al fine di individuarne il grado di persuasività (Sez. 1, n. 42750 del 9/11/2011, Livadia, Rv. 251502), fermo restando che non può pretendersi che il giudizio di gravità (ossia il peso dimostrativo in rapporto al fatto da provare) sia uguale per ogni singolo dato indiziante, essendo del tutto logica la concorrenza di elementi indizianti di maggiore o minore gravità, ferma restando la necessaria precisione (intesa come direzione tendenzialmente univoca del contenuto informativo) e concordanza (il che implica, almeno tendenzialmente, la pluralità dei dati sottoposti a valutazione, la convergenza dimostrativa e l'assenza di dati antagonisti).

Il diverso "grado" di gravità del singolo indizio influisce sulla valutazione complessiva, nel senso che "in tema di prova indiziaria, il requisito della molteplicità, che consente una valutazione di concordanza, e quello della gravità sono tra loro collegati e si completano a vicenda, nel senso che, in presenza di indizi poco significativi, può assumere rilievo l'elevato numero degli stessi, quando una sola possibile è la ricostruzione comune a tutti, mentre, in presenza di indizi particolarmente gravi, può essere sufficiente un loro numero ridotto per il raggiungimento della prova del fatto" (Sez. 5, n. 16397 del 21/02/2014, P.G. in proc. Maggi, Rv. 259552).

La prova indiziaria, proprio in rapporto alle sue caratteristiche ontologiche, non può offrire una rappresentazione del fatto sovrapponibile a quella di una prova diretta, poichè la dimostrazione è figlia di un raccordo logico tra il fatto secondario e il fatto da provare.

La prova logica non costituisce uno strumento meno qualificato rispetto alla prova diretta (o storica) posto che, tra l'altro, la stessa prova storica, se da un lato ha il pregio di rappresentare il fatto in via diretta (si pensi alla narrazione del teste che abbia assistito all'azione delittuosa o una videoripresa del delitto), dall'altro annida in sè rischi di errore (falsità della deposizione, errore percettivo del teste, alterazione del dato tecnologico, ecc.) tali da determinare la necessità di un approccio critico.

17.6.5. Ciò premesso, saranno di seguito specificamente esaminate le singole doglianze sviluppate nel diciannovesimo motivo di ricorso (a partire dal paragrafo n. 2.19.6.1. del ritenuto in fatto):

- la presenza dell'imputato nella zona è stata correttamente valorizzata come indizio della concreta ed effettiva opportunità di commettere il delitto, sicchè risulta inconferente l'argomentazione difensiva che evidenza la presenza di altre migliaia di persone nella zona, nonchè quella relativa all'errata interpretazione del tabulato telefonico (paragrafo n. 2.19.7. del ritenuto in fatto), poichè la presenza nella zona risulta ammessa dallo stesso imputato in orario prossimo a quello in cui si sono svolti i fatti (sul punto, comunque, si tornerà nel prosieguo);

- l'attività professionale svolta dall'imputato, la rilevata presenza sul cadavere di tracce fisiche relative a materiali o prodotti per l'edilizia (calce e sfere metalliche), sono stati logicamente valorizzati come elementi indiziari a carico dell'imputato, ancorchè non esclusivi, poichè rafforzativi del quadro complessivo a suo carico, essendosi esclusa, contrariamente a quanto affermato nel ricorso (si veda anche il paragrafo n. 2.19.10 del ritenuto in fatto), la possibilità che detta contaminazione provenga da famigliari della vittima. In proposito è utile ricordare, perchè sul punto il ricorso è volutamente laconico, che per ogni ipotesi di contaminazione del cadavere (calce, sfere metalliche, tessuti, ecc.) sono stati effettuati specifici accertamenti dai quali sono emersi controlli negativi in tutti i luoghi frequentati dalla vittima (casa; (OMISSIS), ecc.). D'altra parte, la sentenza impugnata ha correttamente evidenziato che i consulenti medico-legali hanno riscontrato la presenza di calce nelle lesioni o in prossimità delle stesse, sicchè hanno concluso che è stata l'arma da taglio, sporca di calce, che ha inquinato le ferite e anche gli abiti, così, per un verso, escludendo la contaminazione occasionale e, per altro verso, esaltando il valore probatorio dell'indizio. Allo stesso modo è stata valorizzata la presenza delle sfere metalliche, sia sul cadavere, sia a bordo del veicolo dell'imputato, sicchè anche questo elemento indiziario è apparso grave e convergente, nonostante le generiche deduzioni difensive (si veda anche il paragrafo n. 2.19.11 del ritenuto in fatto) che, lungi dal contestare il giudizio di compatibilità si limitano a ribadire la mancanza di identità che, però, mai la Corte ha affermato;

- la compatibilità tra le fibre di cui sono compositi i sedili del veicolo in uso all'imputato con quelle rinvenute sul cadavere è stata logicamente ritenuta un elemento indiziario grave e convergente, ancorchè non sia stato effettuato un accertamento peritale finalizzato a provarne l'identità (si veda anche il paragrafo n. 2.19.10. del ritenuto in fatto) poichè, considerati il numero di variabili che possono influenzare la propensione al rilascio delle fibre, la loro permanenza sul tessuto ricevente e l'esito degli accertamenti sui veicoli simili eseguiti dai consulenti, è stato logicamente ritenuto impossibile giungere alla prova positiva dell'identità;

- la presenza di un veicolo simile, per marca, modello, tipo, colore e caratteristiche identificative (passo, segni di ruggine, serbatoio maggiorato, cassetta porta oggetti, ecc.) a quello in uso all'imputato nei pressi dei luoghi e nel medesimo contesto temporale in cui si sono svolti i fatti è stata ritenuta un grave e convergente indizio, risultando infondata e anzi meramente asserita la diversità del mezzo. Del resto, come logicamente affermano i giudici di merito, nemmeno l'imputato ha negato di essere passato con il veicolo davanti alla (OMISSIS) nel tardo pomeriggio del fatto (verso le ore (OMISSIS)), sicchè, essendo stato accertato che ((OMISSIS)) B.M.G. nel tardo pomeriggio del (OMISSIS) si trovava, a partire dalle ore (OMISSIS), in località prossima al Centro sportivo e che in tale frangente aveva il telefono spento e si trovava a bordo del suo autocarro, che mai nell'immediatezza del fatto e anche in epoca successiva, ben prima del suo arresto, benchè esplicitamente interpellato, era stato in grado o aveva voluto riferire alla moglie, ai cognati e agli altri familiari cosa avesse fatto quel pomeriggio e quella sera; che la sera del (OMISSIS) era tornato a casa più tardi del solito senza dare spiegazioni alla moglie; che, nonostante affermasse di non ricordare cosa avesse fatto quel pomeriggio e quella sera, ricordava, invece, perfettamente che quel pomeriggio aveva il telefono scarico (quindi spento), di avere salutato il cognato o altra persona con un colpo di clacson, sicchè deve ritenersi accertato, anche alla luce degli accertamenti videofotografici eseguiti e delle intercettazioni, che l'imputato è passato nelle immediate vicinanze della (OMISSIS) in orario compatibile con la scomparsa della ragazza e con l'omicidio della stessa. Ad avviso del Collegio, infatti, in sede di valutazione unitaria e collegata degli elementi sopra indicati, la cui incidenza probatoria viene reciprocamente esaltata dalla specifica concordanza e conducenza, i singoli elementi probatori perdono la loro naturale ambiguità e confluiscono nel dimostrare, data la contiguità logica e temporale al fatto, che ((OMISSIS)) B.M.G. è passato e ripassato davanti alla (OMISSIS) proprio in perfetta coincidenza con l'uscita della ragazza. In particolare, secondo la logica e coerente ricostruzione operata dai giudici di merito, mentre è accertato che la ragazza è uscita dalla (OMISSIS) verso le ore (OMISSIS)-(OMISSIS) e che ha iniziato a intraprendere il percorso che la portava a casa, deve ritenersi provato che ((OMISSIS)) B.M.G., a bordo del suo autocarro, si trovava a percorrere via (OMISSIS), tornando indietro proprio dalla rotonda di via Lesina indicata nelle intercettazioni, via (OMISSIS), nuovamente via (OMISSIS). La Corte distrettuale ha, inoltre, valorizzato il concordante valore indiziario derivante dalle dichiarazioni di un teste ( Fe.) il quale, facendo riferimento a elementi certi che convalidavano il suo ricordo, ha indicato che (OMISSIS) verso le (OMISSIS) aveva incrociato proprio un autocarro in tutto simile a quello dell'imputato che, a velocità sostenuta rispetto ai luoghi, aveva girato in via (OMISSIS). Il giudice di merito ha logicamente affermato che, indipendentemente dalla ricostruzione precisa dei movimenti del veicolo, peraltro evidenziata in gran parte dagli orari delle riprese delle telecamere e dalle dichiarazioni del teste, e indipendentemente dall'indicazione del punto preciso dove ((OMISSIS)) B.M.G. abbia agganciato la vittima, vi è certezza sul fatto che alle ore (OMISSIS) l'imputato si trovava proprio davanti all'uscita della (OMISSIS) o nelle immediate vicinanze. D'altra parte, la convergenza e concordanza dei vari elementi è stata logicamente ravvisata anche nella videoripresa di un autocarro simile a quello dell'imputato alle ore (OMISSIS), orario perfettamente compatibile con un nuovo passaggio dell'assassino in (OMISSIS) di ritorno dal campo di (OMISSIS) dopo avere commesso l'omicidio.

17.6.6. E' inammissibile la deduzione secondo cui la Corte di secondo grado avrebbe illegittimamente valorizzato a carico dell'imputato la mancanza di alibi (si veda anche il paragrafo n. 2.19.12. del ritenuto in fatto).

La sentenza impugnata, che ragionevolmente avrebbe potuto persino spingersi ad affermare la falsità dell'alibi (il coniuge smentisce l'imputato proprio con riguardo all'orario del rientro a casa, riferendo delle generiche usanze di famiglia, ma poi precisando di non ricordare l'orario esatto di rientro del marito la sera dei fatti, salvo precisare nelle conversazioni intercettate che lo stesso era ritornato più tardi del solito), ha, in realtà, optato per l'irrilevanza di tale elemento, tanto è vero che la deduzione difensiva è, in proposito, manifestamente infondata e generica.

La Corte distrettuale ha, infatti, affermato che l'assenza di alibi si coordina perfettamente con gli elementi indiziari emersi costituiti dalla compatibilità tra l'orario di ritorno a casa di ((OMISSIS)) B.M.G. e il tempo necessario per eseguire l'aggressione e commettere l'omicidio nel campo di (OMISSIS).

E' stata correttamente valorizzata, in ottica di concordanza e conducenza degli indizi, la volontaria reticenza manifestata dall'imputato sui propri spostamenti del pomeriggio e della prima serata, sicchè si è logicamente affermato che non si tratta di un semplice silenzio, giustificato dal mancato ricordo a distanza di anni, ma piuttosto di una volontaria reticenza di fornire spiegazioni su cosa egli avesse fatto nell'arco temporale di interesse, nonostante le precise sollecitazioni che i parenti e i famigliari gli avevano posto a distanza di soli otto giorni dalla sparizione della ragazzina.

L'esistenza di una volontaria reticenza è stata logicamente affermata anche in ragione del ricordo, invece questo immediatamente affiorato alla mente dell'imputato, di particolari estremamente significativi, quali, tra l'altro, la presenza nelle immediate vicinanze della (OMISSIS) in orario non lontano dall'aggressione e il ricordo dello spegnimento del cellulare.

17.6.6.1. E' utile richiamare, in proposito, le concordanti ricostruzioni dei fatti effettuate dai giudici di merito su alcuni specifici aspetti che non sono contestati dalla difesa: - l'imputato aveva riferito agli inquirenti e alla moglie ((OMISSIS)) C.M. di non ricordare cosa avesse fatto quel pomeriggio;

- dalle ore (OMISSIS) e fino al mattino successivo il cellulare di ((OMISSIS)) B.M.G. risulta spento, come lo stesso imputato ha ammesso nel corso dell'intercettazione ambientale ((OMISSIS)) allorquando, parlando con la moglie e riferendosi al giorno della sparizione di (OMISSIS) G.Y., spiega che non aveva risposto alla telefonata del cognato perchè il suo telefono si era scaricato, aveva incrociato una persona e aveva provato ad accendere il telefono, ma era scarico e così l'aveva salutata con un colpo di clacson, e ricorda che quel giorno era brutto tempo ed il terreno del campo di (OMISSIS) era fangoso. La conversazione è significativa, l'imputato ricorda limpidamente alcuni particolari relativi a quel pomeriggio, ma la moglie gli rappresenta che la sua versione non è credibile: non può ricordare alcune cose e non altre di quel pomeriggio;

- l'imputato non ha negato la possibilità di essere passato quel pomeriggio davanti alla (OMISSIS);

- l'imputato ha mentito sull'orario di rientro a casa: nella conversazione ambientale ((OMISSIS)) la moglie riferisce all'imputato, che afferma di non ricordare assolutamente quando sia rientrato a casa il giorno della scomparsa di (OMISSIS) G.Y.: "Sì, ascolta, lo gli ho detto... perchè mi han chiesto a che ora sei arrivato, ho detto: "Non mi ricordo M..... Non mi ricordo a che ora sei arrivato, M.. Quattro anni fa, non mi ricordo a che ora sei arrivato. lo ho detto che comunque di sicuro prima delle sette e mezza, L'ora non mi ricordo, M.. Non posso dirgli un'ora che non mi ricordo, lo capisci?... Eri via quella sera. Non mi ricordo a che ora sei venuto e non mi ricordo neanche cosa hai fatto. Perchè... perchè all'inizio mi ricordo che eravamo arrabbiati, quindi non te l'ho chiesto. E' uscita dopo per la storia, così, della scomparsa e non mi hai mai detto cosa hai fatto. Non l'hai mai detto... Non me l'hai mai detto, nè al C.A. ((OMISSIS)) nè... nè oggi, neanche quest'anno (inc. audio insufficiente) non l'hai mai detto... lo non ho mai insistito... non ho mai insistito perchè non me ne fregava niente, quindi non lo so"; - la moglie dell'imputato non fornisce un alibi al marito, nè lo fornisce il fratello ((OMISSIS)) B.F. che si è avvalso della facoltà di non rispondere. D'altra parte, ((OMISSIS)) C.A., come la moglie di ((OMISSIS)) B.M.G., ha riferito di aver parlato della scomparsa di (OMISSIS) G.Y. con ((OMISSIS)) B.M.G. il primo sabato successivo alla notizia (circostanza confermata anche dall'imputato in sede di esame), mentre aspettavano i figli al corso di nuoto, perchè sui giornali si parlava di furgoni bianchi e lui aveva un autocarro di quel colore e intorno alle (OMISSIS) aveva accompagnato a casa il suo socio che abitava a (OMISSIS), al che ((OMISSIS)) B.M.G. gli aveva risposto che non ricordava se fosse passato da (OMISSIS), strada che faceva spesso per evitare il traffico.

17.6.7. E' inammissibile anche la deduzione che riguarda il materiale informatico (si veda anche il paragrafo n. 2.19.13 del ritenuto in fatto) poichè non si confronta, in disparte la manifesta infondatezza della deduzione secondo cui sarebbe illegittima l'indagine sulla ricerca informatica di materiale pedo-pornografico, con la motivazione del provvedimento impugnato che valorizza la ricerca in questione e, logicamente, la attribuisce all'azione volontaria dell'imputato, da ciò traendo la prova dell'interesse morboso dell'imputato per le ragazzine, interesse che viene posto a base del movente del delitto.

La deduzione difensiva, volta a escludere l'attribuibilità della ricerca in questione all'imputato, si limita, però, a confutare una sola di esse, così non confrontandosi con la motivazione della sentenza impugnata che ha evidenziato come, almeno in una diversa occasione, l'imputato si trovava da solo a casa proprio quando detta ricerca è stata effettuata, del pari omettendo di confortarsi con le affermazioni del coniuge, specificamente valorizzate in sentenza, che esclude di avere effettuato, da sola o con l'imputato, ricerche a contenuto pedo-pornografico.

17.6.8. Sono, peraltro, inammissibili, le argomentazioni relative all'identificazione del veicolo dell'imputato e quelle in tema di perizia (paragrafo n. 2.19.8. del ritenuto in fatto) poichè non si confrontano con l'ampia e logica motivazione stesa sul punto dalla Corte distrettuale.

Sono inammissibili, perchè generiche laddove si limitano ad affermare l'erroneità delle conclusioni tratte dalla Corte distrettuale, le deduzioni in merito all'errata ricostruzione della scansione temporale delle video riprese in quanto i giudici di merito hanno logicamente ancorato gli orari ai rilievi eseguiti in sede di acquisizione delle registrazioni, nonchè alle risultanze del tabulato telefonico che ha tracciato la conversazione telefonica alla quale era intento il conducente del veicolo con targa elvetica ripreso dalle telecamere (circostanza che ha consentito la puntuale datazione del transito del veicolo dell'imputato davanti alla telecamera).

Sono stati ritenuti, con giudizio di fatto incensurabile in sede di legittimità, particolarmente significativi dal punto di vista identificativo del veicolo la presenza di: una cassetta porta attrezzi posta all'interno del cassone; una cassetta porta attrezzi posta sotto la sponda destra; un serbatoio "maggiorato" da 90 litri, compatibile con il passo 3450 del veicolo; due inserti poligonali (trapezoidali) che interrompono la striscia rossa della sponda del cassone, tipici solo della ditta (OMISSIS) che aveva installato il cassone, ben visibili nella loro dimensione e corrispondenti nella loro collocazione a quelli del furgone di ((OMISSIS)) B.M.G.; una macchia scura corrispondente alla macchia di ruggine all'interno del cassone e una macchia scura corrispondente alla macchia di ruggine posta sul secondo inserto trapezoidale del lato destro del cassone.

Come logicamente affermato dalla Corte distrettuale, sarebbe davvero una singolare coincidenza che, in una zona solitamente frequentata da ((OMISSIS)) B.M.G. il quale - per sua stessa ammissione - proprio quel pomeriggio è transitato in quel punto a bordo del proprio furgone cassonato, sia stato visto passare e ripassare varie volte proprio un mezzo dello stesso tipo, marca, modello, colore e caratteristiche esteriori nella stessa zona ove è scomparsa la vittima, avuto riguardo alla circostanza che l'autocarro in questione è dotato di ben sedici elementi identificativi identici a quello dell'imputato.

La Corte distrettuale ha motivatamente superato le obiezioni poste dal consulente tecnico della difesa D., evidenziando, tra l'altro, che, in relazione al passo dell'autocarro, appaiono particolarmente convincenti le valutazioni e conclusioni del RIS che, dopo avere parlato con i tecnici dell' I., ha avuto dagli stessi conferma che le immagini raffigurano un I. con passo 3450, identico a quello dell'imputato, all'esito dell'orientamento del modello 3D in posizione analoga a quella del mezzo ripreso dalle telecamere, dell'evidenziazione di punti/linee corrispondenti a forme e profili rilevabili sul mezzo oggetto d'indagine, dell'evidenziazione degli assi delle ruote e della parte inferiore della fascia paracolpi, per ridimensionare, senza variare le proporzioni, i modelli CAD 3D, mentre è emerso che il consulente della difesa, che ha operato sulle immagini originali dei filmati, ha effettuato varie approssimazioni delle misurazioni, compiendo errori nella determinazione degli effetti della prospettiva.

La Corte distrettuale ha, quindi, concluso che il giudizio di identificazione ritenuto "probabile" dal RIS (valutato in termini analoghi dal giudice di primo grado) che comporta che vi siano forti elementi a supporto dell'ipotesi che le immagini a confronto riproducano il medesimo soggetto, può essere modificato in giudizio di "identificazione ragionevolmente certa", soprattutto se contestualizzato con gli spostamenti di ((OMISSIS)) B.M.G. che si trovava in zona, e rapportato alle intercettazioni ambientali e alle sue dichiarazioni.

A tale proposito la Corte distrettuale, con ampia e logica motivazione ha evidenziato che il contenuto delle intercettazioni dimostra che non solo ((OMISSIS)) B.M.G. non ha mai negato di essere passato la sera dei fatti vicino alla (OMISSIS), in via (OMISSIS) (addirittura indica la rotonda di via (OMISSIS) dove tornava indietro), ma dimostra di avere anche riconosciuto il proprio autocarro per alcune particolarità, come il cassone (OMISSIS), i rinforzi alle sponde, le prese d'aria, sicchè risultano generiche e, in particolare, inammissibili e inconferenti le contestazioni che deducono il travisamento delle intercettazioni e che deducono che l'imputato non ha mai visto i filmati in relazione ai quali avrebbe riconosciuto il proprio veicolo, mentre i giudici di merito hanno valorizzato la conversazione intercettata nel corso della quale ((OMISSIS)) B.M.G. ammette di avere riconosciuto nei filmati il proprio furgone specialmente per il serbatoio maggiorato che vi aveva fatto installare.

17.6.8.1. Risulta, infine, inammissibile perchè generica e reiterativa di argomentazioni già puntualmente esaminate dai giudici di merito la doglianza concernente il rigetto della richiesta di perizia per l'identificazione dell'autocarro, giudicata non rilevante, perchè la Corte distrettuale ha logicamente evidenziato che la presenza in loco dell'imputato a bordo del proprio veicolo non è contestata neppure dallo stesso, mentre le obiezioni formulate dal consulente della difesa in merito alle caratteristiche del veicolo sono state motivatamente superate in considerazione degli evidenti errori e imprecisioni in cui questi è incorso, sicchè, con motivazione logica e coerente, i giudici di merito hanno attribuito maggiore credibilità e affidabilità ai consulenti del Pubblico ministero.

Si tratta, come già si è ricordato in precedenza, di una valutazione di merito insuscettibile di censura in sede di legittimità laddove, come nel caso in esame, supportata da adeguata motivazione.

17.6.9. Sono inammissibili le deduzioni relative alla scansione temporale degli eventi poichè propongono deduzioni in fatto a carattere alternativo circa i tempi di percorrenza del veicolo condotto dall'imputato che sono irricevibili nel giudizio di legittimità.

Deve essere premesso che, con logica e coerente motivazione, la Corte distrettuale ha ritenuto provato che: a) nel tardo pomeriggio del (OMISSIS) ((OMISSIS)) B.M.G., che non era andato al lavoro e che aveva impiegato il tempo senza uno scopo a partire dalle (OMISSIS) e senza tornare a casa nonostante piovesse e nevischiasse, si trovava a partire dalle ore (OMISSIS) in località prossima al Centro sportivo dove si trovava la vittima; in tale frangente aveva il telefono spento e si trovava a bordo del suo autocarro Fiat I.D.; b) mai ((OMISSIS)) B.M.G. nell'immediatezza (otto giorni dopo) del fatto (e, dunque, quando il ricordo dei fatti non poteva essere offuscato dal tempo trascorso) e anche in epoca successiva, ben prima del suo arresto, benchè esplicitamente interpellato, è stato in grado o ha voluto riferire alla moglie, ai cognati e agli altri familiari cosa avesse fatto quel pomeriggio e quella sera, sicchè si è logicamente concluso che ((OMISSIS)) B.M.G. dice il falso quando riferisce, nel corso dell'esame, di avere sicuramente risposto alla moglie dove fosse stato, venendo smentito dal contenuto inequivocabile delle intercettazioni ambientali oltre che dalle dichiarazioni della stessa; c) quella sera del (OMISSIS) B.M.G. è tornato a casa più tardi del solito senza dare spiegazioni alla moglie; al riguardo la Corte distrettuale ha correttamente ritenuto significativo quanto emerge nell'intercettazione ambientale e cioè che nessuna spiegazione sul ritardo gli aveva chiesto la moglie in quanto avevano litigato (circostanza confermata dal contenuto dei tabulati, che evidenziano che in quella settimana ((OMISSIS)) B.M.G. non aveva assolutamente chiamato la moglie, nonchè dalle ammissioni al riguardo dello stesso); d) quella sera del (OMISSIS) B.M.G. circolava a bordo del suo autocarro Fiat I.D. cassonato in quanto, per sua stessa dichiarazione, non utilizzava mai la (OMISSIS) berlina in un giorno lavorativo; e) ((OMISSIS)) B.M.G., che afferma di non ricordare cosa avesse fatto quel pomeriggio e quella sera, ricorda, invece, perfettamente che quel pomeriggio aveva il telefono scarico (quindi spento), di avere salutato il cognato o altra persona con un colpo di clacson; ricorda, inoltre, che pioveva e nevicava e che il campo di (OMISSIS) era tutto infangato, circostanza, quest'ultima, particolarmente significativa, secondo il logico giudizio della Corte distrettuale, poichè dimostra che l'imputato, contrariamente a quanto dallo stesso affermato, si è recato nel campo dove è stata uccisa la vittima.

Alla luce di tali logiche e condivisibili premesse, la Corte distrettuale ha concluso che ((OMISSIS)) B.M.G., dopo aver prelevato la ragazza e averla stordita, l'ha trasportata nel campo di (OMISSIS); i tempi del prelevamento della vittima, del suo trasbordo sul campo di (OMISSIS) e del ritorno a casa dell'imputato, sono stati giudicati compatibili con il rilevato orario di rientro alle ore (OMISSIS), come si desume dalle dichiarazioni del coniuge ((OMISSIS)) C.M..

Secondo la Corte distrettuale, che ha ricostruito i fatti con logica e coerente motivazione, partendo dall'orario delle ore (OMISSIS) (prelievo della vittima), aggiungendo 16-18 minuti per arrivare al campo di (OMISSIS), ipotizzando una permanenza sul posto di 15-20 minuti (ore (OMISSIS)) e il ritorno a casa (dipende dalla strada che ha percorso; se ha seguito la strada di (OMISSIS) si impiegano 17 minuti, seguendo altra strada 23 minuti) si raggiunge la casa alla (OMISSIS) dalle ore (OMISSIS), quindi attorno alle ore (OMISSIS), in orario compatibile con quanto riferito dal coniuge ((OMISSIS)) C.M..

La Corte si fa, inoltre, carico di verificare i tempi secondo un diverso percorso, precisando che se, invece, l'assassino è ritornato sui suoi passi, passando nuovamente da (OMISSIS) per poi andare a casa, è transitato nuovamente da (OMISSIS) tra le ore (OMISSIS), per essere nuovamente a casa (si impiegano circa 15 minuti) intorno alle ore (OMISSIS) o poco dopo, anche in questo caso in orario compatibile con quello genericamente indicato dal coniuge ((OMISSIS)) C.M..

Ad avviso del Collegio, la ricostruzione effettuata dal giudice di merito con motivazione logica e coerente, consente di affermare, come ha fatto la Corte distrettuale, che il tempo di permanenza fuori casa di ((OMISSIS)) B.M.G. è compatibile con il tempo utilizzato dall'assassino per prelevare, stordire e trasportare la vittima sul campo di (OMISSIS) e per ritornare presso la sua abitazione.

17.6.10. E' inammissibile perchè meramente assertiva e generica la deduzione che contesta il valore indiziante del tentativo di fuga al momento dell'arresto poichè, invece di confrontarsi con gli elementi materiali e logici posti a fondamento della specifica rilevanza dell'azione posta in essere (iniziale tentativo di fuga e successiva ammissione di essere al corrente delle ragioni dell'arresto, ancora prima che fossero esposte dai militari), si limita a negare la rilevanza indiziaria del comportamento tenuto dall'imputato.

18. Il ventesimo motivo di ricorso è generico, assertivo e reiterativo delle già analizzate deduzioni sul valore della prova genetica e della gravità indiziaria, sicchè deve essere dichiarato inammissibile.

19. All'inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sentenza n. 186 del 2000), anche la condanna al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in Euro 2.000,00.

19.1. All'inammissibilità del ricorso consegue, altresì, la condanna dell'imputato alla rifusione delle spese di difesa sostenute nel grado dalle parti civili, spese che, tenuto conto dello sforzo defensionale profuso, vanno liquidate come da dispositivo.

20. E' inammissibile il ricorso del Procuratore generale presso la Corte d'appello di Brescia in relazione al delitto di calunnia contestato al capo B) all'imputato ((OMISSIS)) B.M.G..

20.1. E' bene chiarire, però, che l'inammissibilità non deriva, come ritiene la difesa dell'imputato, dalla novella dell'art. 608 c.p.p., comma 1-bis, come introdotto dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, portante "Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all'ordinamento penitenziario", (in G.U. n. 154 del 4/7/2017), entrata in vigore in data 03/08/2017.

In forza della nuova disposizione, infatti, è stato limitato il potere di impugnazione del Pubblico ministero, prevedendo che "1-bis. Se il giudice di appello pronuncia sentenza di conferma di quella di proscioglimento, il ricorso per cassazione può essere proposto solo per i motivi di cui all'art. 606, comma 1, lett. a), b) e c)".

Tale nuova disciplina, che modifica il regime delle impugnazioni per il Pubblico ministero limitando i casi di ricorso alle questioni di giurisdizione e alla violazione della legge penale e processuale, trova applicazione per i provvedimenti emanati dopo il 3 agosto 2017, in virtù del principio di diritto secondo il quale "ai fini dell'individuazione del regime applicabile in materia di impugnazioni, allorchè si succedano nel tempo diverse discipline e non sia espressamente regolato, con disposizioni transitorie, il passaggio dall'una all'altra, l'applicazione del principio "tempus regit actum" impone di far riferimento al momento di emissione del provvedimento impugnato e non già a quello della proposizione dell'impugnazione" (Sez. U, n. 27614 del 29/03/2007, Lista, Rv. 236537; non trova applicazione, invece, il principio espresso con riguardo al ricorso personale da Sez. U, n. 8914 del 21/12/2017 dep. 2018, Aiello, Rv. 272010; poichè, in quel caso, la modifica riguarda le modalità e formalità di presentazione dell'impugnazione e non i casi o il potere di proporla).

Tenuto conto che la sentenza impugnata è stata pronunciata in data 17 luglio 2017, il regime dell'impugnazione resta regolato dalle disposizioni anteriormente vigenti che non presentavano limiti al ricorso per cassazione del Pubblico ministero.

20.2. Il ricorso è inammissibile perchè sviluppa censure di merito volte a introdurre una diversa valutazione degli elementi di prova concordemente interpretati dai giudici di merito.

La contestazione di cui al capo B) si fonda sul contenuto delle dichiarazioni rese dall'imputato ((OMISSIS)) B.M.G. nell'interrogatorio avanti al Pubblico Ministero dell'(OMISSIS).

Secondo la ricostruzione dei fatti operata da entrambi i giudici di merito, mentre nei primi interrogatori ((OMISSIS)) B.M.G. si era limitato a ripetere di non capacitarsi di come il suo profilo genetico potesse essere stato rinvenuto sugli indumenti della vittima, nell'interrogatorio in questione egli avanzava una serie di sospetti nei confronti del collega di lavoro e socio del cognato, M.M., descritto come soggetto sessualmente interessato a ragazzine in età scolare e così invidioso della sua situazione familiare e pieno di rancore per il fatto che l'imputato, in caso di contrasto tra i due soci, si schierava a fianco del cognato, da essere capace di uccidere la giovane e contaminarla con il DNA di ((OMISSIS)) B.M.G., onde far ricadere su di lui la responsabilità dell'omicidio.

B.M.G. ((OMISSIS)) forniva, quindi, una pluralità di dettagli indizianti nei confronti di M. (l'interesse per le ragazzine, l'odore di "cane marcio" nel suo furgone, le immotivate assenze dal cantiere), accusandolo indirettamente, ma in modo chiaro, di avere perpetrato l'omicidio.

D'altra parte, secondo i giudici di merito, essendo ((OMISSIS)) B.M.G. l'autore dell'omicidio non poteva che essere certo dell'innocenza di M., sicchè doveva ritenersi sussistente il dolo del delitto, mentre non poteva scriminare la condotta dell'imputato l'animus defendendi, che trova un limite nel rapporto funzionale tra le affermazioni astrattamente calunniose e la confutazione delle accuse e che non può tradursi nell'assunzione di ulteriori iniziative dirette a coinvolgere un terzo, di cui si conosce l'innocenza.

20.3. Ciò premesso, i giudici di merito, con concorde valutazione, hanno affermato che la condotta di ((OMISSIS)) B.M.G. è stata inidonea a porre a repentaglio, anche in grado minimo, il bene giuridico tutelato dalla norma, facendo riferimento ad alcuni precedenti della giurisprudenza di legittimità secondo i quali deve essere esclusa la configurabilità dell'elemento materiale del delitto di calunnia nel caso in cui l'accusa si compendi in circostanze assurde, inverosimili o grottesche, tali da non poter ragionevolmente adombrare - perchè in contrasto con i più elementari principi della logica e del buon senso - la concreta ipotizzabilità del fatto (Sez. 6, n. 10282 del 22/01/2014, Romeo, Rv. 259268).

Al fine di escludere la sussistenza dell'elemento materiale i giudici di merito hanno anche richiamato la giurisprudenza di legittimità secondo la quale quando manca la possibilità di inizio del procedimento penale a carico dell'incolpato per manifesta inverosimiglianza dell'allegazione accusatoria, il fatto di calunnia non sussiste e neppure v'è materia per l'attivazione delle fattispecie scriminanti (Sez. 6, n. 14042 del 02/10/2014 dep. 2015, P.G. in proc. Lizio, Rv. 262972).

In particolare, la Corte distrettuale ha ritenuto inverosimili le accuse formulate da ((OMISSIS)) B.M.G. che non si è limitato a sostenere che M., lavorando con lui, avrebbe potuto avere attrezzi o altro materiale contenenti tracce biologiche a lui riconducibili che potevano aver contaminato il cadavere, ma ha espressamente accusato M. di aver recuperato uno straccio o un guanto intriso del suo sangue e un filo del suo cappello e di aver commesso l'omicidio proprio allo scopo di far accusare lui, posizionando ad arte le prove raccolte in precedenza.

Secondo la Corte distrettuale, la motivazione dedotta da ((OMISSIS)) B.M.G. per ascrivere l'omicidio a M. (questi l'avrebbe commesso per deviazione sessuale, facendone ricadere la responsabilità sull'imputato in quanto aveva dei dissidi con lui) rende le accuse (false) assurde e inverosimili, poichè, secondo logica, una persona non potrebbe mai commettere un fatto così grave solo per rancore derivante da questioni poco rilevanti.

D'altra parte, l'assurdità e l'assoluta inverosimiglianza delle accuse rivolte a M. sarebbero immediatamente apprezzabili, secondo la Corte distrettuale, anche in considerazione dello stato avanzato in cui si trovavano le indagini a carico di ((OMISSIS)) B.M.G..

20.4. Ciò premesso, il ricorso del Pubblico ministero è inammissibile poichè incentrato sulla rilettura degli elementi di fatto concordemente ricostruiti da entrambi i giudici del merito.

Secondo la Corte distrettuale, infatti, le accuse formulate da ((OMISSIS)) B.M.G. denunciano, in sostanza, un complotto ordito ai suoi danni, similmente a quanto sarà, poi, sostenuto dai difensori che hanno adombrato, senza formulare specifiche accuse a carico di soggetti individuabili, ma pur sempre in modo del tutto incredibile secondo i canoni dell'ordinaria logica, dapprima la dolosa creazione "in laboratorio" del DNA di ((OMISSIS)) B.M.G. e, in seguito, il prelievo di esso o di vere tracce biologiche dell'imputato con successiva collocazione sugli indumenti della vittima allo scopo di sviare le indagini dal vero responsabile dell'omicidio.

Il ricorso è inammissibile perchè si dilunga nell'analizzare e diversamente valorizzare gli elementi di fatto sopra richiamati, così sconfinando in una rilettura nel merito delle conclusioni raggiunte dai giudici di primo e secondo grado che hanno portato a una doppia pronuncia conforme di assoluzione, perciò dotata di una particolare capacità di resistenza.

P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna il ricorrente B.M.G. al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, rappresentate rispettivamente dall'avv. AP e dall'avv. EP, che liquida in complessivi Euro 6.000 per la prima e in Euro 7.200 per la seconda, oltre spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 12 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2018