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Diritto alla traduzione del capo di imputazione (Corte EDU, Brozicek 1989)

19 dicembre 1989, Corte europea per i diritti dell'Uomo

Violato il dirito ad un giusto precesso se i capi di imptuazoine non vengono tradotti in lingua comprensibile: le autorità giudiziarie italiane devono provvedere a tradurle in modo da garantire il rispetto dei requisiti dell'articolo 6 § 3 (a) (art. 6-3-a), a meno che non siano in grado di stabilire che l'interessato  effettivamente ha una conoscenza sufficiente dell'italiano per comprendere dalla notifica il contenuto della lettera che gli notificava le accuse mosse contro di lui.

(traduzione informale canestriniLex.com, testo originale qui)

CORTE EUROPEA PER I DIRITTI DELL'UOMO

 (PLENARIA)

 CASO DI BROZICEK c. ITALIA

 (Applicazione n. 10964/84)

 SENTENZA

 STRASBURGO

 19 dicembre 1989

 

Nel caso Brozicek[*],

La Corte europea dei diritti dell'uomo, deliberando in seduta plenaria ai sensi dell'articolo 50 del regolamento della Corte e composta dai seguenti giudici

R. Ryssdal, presidente,

Sig. J. Cremona,

Thór Vilhjálmsson,

signora D. Bindschedler-Robert,

sig. F. Gölcüklü,

sig. F. Matscher,

sig. J. Pinheiro Farinha,

sig. L.-E. Pettiti,

sig. B. Walsh,

sig. Vincent Evans,

sig. R. Macdonald,

sig. C. Russo,

sig. R. Bernhardt,

sig. A. Spielmann,

sig. J. De Meyer,

sig. J.A. Carrillo Salcedo,

sig. N. Valticos,

sig. S.K. Martens,

sig.ra E. Palm,

sig. I. Foighel,

nonché del sig. M.-A. Eissen, cancelliere, e del sig. H. Petzold, cancelliere aggiunto,

avendo deliberato in camera di consiglio il 28 settembre e il 22 novembre 1989,

emette la seguente sentenza, adottata in quest'ultima data:

PROCEDURA

1. La causa è stata sottoposta alla Corte dalla Commissione europea dei diritti dell'uomo ("la Commissione") l'11 maggio 1988, entro il termine di tre mesi previsto dagli articoli 32 § 1 e 47 (art. 32-1, art. 47) della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali ("la Convenzione"). Ha avuto origine da una domanda (n. 10964/84) contro la Repubblica italiana presentata alla Commissione ai sensi dell'articolo 25 (art. 25) dal signor Georg Brozicek, cittadino tedesco, il 7 maggio 1984.

La richiesta della Commissione faceva riferimento agli articoli 44 e 48 (art. 44, art. 48) e alla dichiarazione con cui l'Italia riconosceva la competenza obbligatoria della Corte (art. 46) (art. 46). L'oggetto della richiesta era quello di ottenere una decisione in merito al fatto che i fatti del caso rivelassero una violazione da parte dello Stato convenuto di alcuni dei suoi obblighi ai sensi dell'articolo 6 §§ 3 (a) e 1 (art. 6-3-a, art. 6-1).

2. In risposta all'inchiesta effettuata ai sensi dell'articolo 33 § 3 (d) del Regolamento della Corte, il ricorrente ha dichiarato di voler partecipare al procedimento. Gli è stata concessa l'autorizzazione a presentare il proprio caso (articolo 30 § 1, seconda frase).

3. La Camera da costituire comprendeva ex officio il signor C. Russo, giudice eletto di nazionalità italiana (articolo 43 della Convenzione) (art. 43), e il signor R. Ryssdal, presidente della Corte (articolo 21 § 3 (b)). Il 30 maggio 1988, alla presenza del cancelliere, il presidente estrasse a sorte i nomi degli altri cinque membri, vale a dire i signori F. Matscher, L.-E. Pettiti, il sig. J. Gersing, il sig. A. Spielmann e il sig. J. De Meyer (articolo 43 in fine della Convenzione e articolo 21 § 4 del regolamento) (art. 43). Successivamente, il signor Thór Vilhjálmsson, giudice supplente, ha sostituito il signor Gersing, deceduto (articoli 22 § 1 e 24 § 1).

4. Il sig. Ryssdal ha assunto le funzioni di presidente di sezione (articolo 21 § 5 del regolamento) e, tramite il cancelliere, ha consultato l'agente del governo italiano ("il governo"), il delegato della Commissione e il ricorrente sulla necessità di una procedura scritta (articolo 37 § 1 del regolamento). Conformemente alle ordinanze emesse di conseguenza, la cancelleria ricevette il memoriale della ricorrente il 29 settembre 1988 e il memoriale del governo il 2 novembre 1988.

In una lettera giunta alla cancelleria il 10 gennaio 1989, il vicesegretario della Commissione informò il cancelliere che il delegato avrebbe presentato le sue osservazioni all'udienza.

5. Su richiesta del Governo, la Corte decise, il 23 febbraio 1989, di ascoltare cinque testimoni su un punto specifico e di ordinare un parere di un esperto di calligrafia (articolo 40 § 1, primo comma).

6. Il ricorrente, da parte sua, chiese che venissero chiamate altre persone e il presidente acconsentì a ciò ai sensi dell'articolo 40 § 1, secondo comma, con l'intesa che le prove addotte dovessero rimanere nei termini di riferimento già stabiliti dalla Camera.

7. La Camera nominò i giudici Matscher e Pettiti che assunsero le prove dei vari testimoni in un'udienza tenutasi il 28 aprile 1989, alla presenza dei partecipanti al procedimento dinanzi alla Corte.

Essi autorizzarono uno dei testimoni, che aveva un motivo legittimo per non poter venire a Strasburgo, a presentare una dichiarazione scritta che sarebbe stata valutata dalla Corte in merito alla sua ammissibilità e pertinenza. Le dichiarazioni scritte di altre due persone, che il ricorrente aveva inviato alla cancelleria il 24 aprile, furono trattate nello stesso modo.

8. Il 5 maggio 1989 il presidente ricevette il parere della signora A.-M. Jacquin-Keller, esperta di calligrafia presso la Corte d'appello di Colmar e approvata dalla Corte di cassazione francese, sul compito che le era stato assegnato dalla Camera (cfr. precedente paragrafo 5).

La Corte aveva precedentemente ottenuto dalla Commissione, ai fini dell'atto istruttorio in questione, vari documenti del procedimento nazionale e campioni della grafia del ricorrente.

9. Lo stesso giorno, dopo aver consultato, tramite il cancelliere, coloro che sarebbero comparsi davanti alla Corte, il presidente ha disposto che la procedura orale si aprisse il 22 maggio 1989 (articolo 38).

10. L'udienza si svolse in pubblico nell'edificio dei diritti dell'uomo, a Strasburgo, il giorno stabilito. La Corte aveva tenuto una riunione preparatoria immediatamente prima.

11. Sono comparsi davanti alla Corte

- per il governo

L. Ferrari Bravo, capo del servizio giuridico diplomatico

del Ministero degli Affari Esteri, agente,

il sig. G. Grasso, avvocato, il sig. G. Raimondi, magistrato, avvocato;

- per la Commissione G. Batliner, delegato.

Il giorno dell'udienza il ricorrente ha informato la Corte di essere impossibilitato a partecipare a causa di una malattia. Ha accettato che l'udienza si svolgesse in sua assenza. Il 20 maggio aveva fornito il testo del suo discorso.

La Corte ha ascoltato gli interventi del signor Ferrari Bravo per il governo e del signor Batliner per la Commissione, nonché le loro risposte alle sue domande.

11. In varie date tra il 22 maggio e il 9 ottobre, i partecipanti al procedimento dinanzi alla Corte hanno inviato alla cancelleria osservazioni, comunicazioni e documenti, di propria iniziativa o su richiesta della Corte, a seconda dei casi.

12. Il 26 maggio, dopo aver deliberato, la Camera ha rinunciato immediatamente alla giurisdizione a favore della Corte plenaria (articolo 50).

13. Dopo aver preso atto dell'accordo del governo e dei pareri concordi della Commissione e del ricorrente, la Corte decise, il 28 settembre 1989, di procedere alla sentenza senza tenere un'ulteriore udienza (articolo 26).

PER QUANTO RIGUARDA I FATTI

I. CIRCOSTANZE PARTICOLARI DEL CASO

14. Il sig. Georg Brozicek è nato in Cecoslovacchia e risiede attualmente a Steinalben, nella Repubblica federale di Germania, di cui è cittadino.

15. Il 13 agosto 1975 la polizia municipale di Pietra Ligure (Savona) lo fermò sulla pubblica via poco dopo che aveva strappato alcune bandierine ornamentali erette in occasione di una festa organizzata da un partito politico. I poliziotti, intervenuti su richiesta di uno degli organizzatori, lo hanno portato in commissariato perché non aveva con sé alcun documento di identità e, secondo la loro versione dei fatti, perché doveva essere protetto dall'ostilità dei partecipanti. In questa occasione ha ferito uno dei carabinieri.

Il 14 agosto i carabinieri, che erano intervenuti anche il giorno precedente, hanno presentato un rapporto sull'incidente alla procura di Savona. Lo stesso giorno il signor Brozicek inviò una lettera, in francese, al capo della polizia (questore) di Savona, che fu successivamente trasmessa al pubblico ministero, il quale ne ordinò la traduzione in italiano il 31 gennaio 1976.

16. La Procura aprì un'inchiesta e il 23 febbraio 1976 inviò al ricorrente - con lettera raccomandata con ricevuta di ritorno e recante l'indirizzo dell'allora residenza del ricorrente a Norimberga - una "comunicazione giudiziaria" (cfr. paragrafi 24-25 infra). Lo informava che era stato avviato un procedimento contro di lui per i reati di resistenza alla polizia e di aggressione e ferimento (articoli 337 e 582 del codice penale). Inoltre, lo invitava a nominare un avvocato difensore di sua scelta e lo informava che, in caso contrario, il signor T. S., avvocato, sarebbe stato nominato dalle autorità.

Il 1° marzo 1976 il signor Brozicek restituì il documento alla Procura con la seguente nota (traduzione dal tedesco):

"Restituisco al mittente il documento allegato perché lo trovo di difficile comprensione. Nel presentare la mia dettagliata denuncia del 14 agosto - per la quale non è stato ancora preso alcun provvedimento anche se i fatti denunciati potrebbero avere conseguenze di vasta portata - e in tutta la corrispondenza intercorsa finora con le autorità italiane, ho sempre chiesto espressamente che venisse usata la lingua madre delle persone interessate o una delle lingue ufficiali internazionali delle Nazioni Unite, per evitare fin dall'inizio ogni rischio di malinteso".

Il Pubblico Ministero ricevette questa lettera il 3 marzo 1976. Non inviò alcuna risposta e non fece tradurre la lettera.

17. Il 17 novembre 1978 la Procura inviò al ricorrente, con lettera raccomandata che richiedeva un avviso di ricevimento, una seconda "notifica giudiziaria". Oltre alle informazioni contenute nella prima notifica, essa chiedeva al ricorrente di fornire un indirizzo per le notifiche in Italia (articolo 177 bis del codice di procedura penale).

Il 5 dicembre 1978 le autorità postali tedesche restituirono la lettera al mittente con la dicitura "non ritirata".

L'avviso di ricevimento riportava il nome "Brozicek", in uno spazio diverso da quello previsto per la firma del destinatario. Il governo ha sostenuto che si trattava della firma del ricorrente, ma lui ha sempre negato questo; ha sostenuto che non aveva ricevuto la comunicazione perché aveva appena cambiato casa. La perizia ordinata dalla Corte (si vedano i paragrafi 5 e 8 sopra) non ha risolto questa questione.

18. Con un'ordinanza (decreto) del 13 dicembre 1978 il pubblico ministero dichiarò che non era stato possibile notificare il ricorrente e che "ulteriori indagini presso il luogo di nascita e il luogo dell'ultima residenza" non avevano prodotto alcun risultato. Egli nominò un avvocato difensore e ordinò che tutti i documenti per la notifica all'imputato durante le indagini fossero depositati presso la segreteria della Procura.

All'udienza davanti alla Corte europea del 22 maggio 1989, il governo affermò che il riferimento a ulteriori indagini era probabilmente una svista. Essi sostenevano che la disposizione applicata al ricorrente era la seconda parte del secondo comma dell'articolo 177 bis del codice di procedura penale (riguardante un imputato che non ha eletto domicilio, si veda il paragrafo 26), che non richiede tali indagini.

Il pubblico ministero convocò il sig. Brozicek a comparire per un esame il 30 dicembre 1978, ma senza risultato, e, quel giorno, chiese al presidente del tribunale di Savona di rinviare il ricorrente a giudizio.

19. Il processo fu fissato per il 3 novembre 1980, ma al momento opportuno il procedimento dovette essere rinviato perché la data dell'udienza non era stata notificata all'imputato.

L'11 marzo 1981 il presidente del tribunale di Savona decise che ogni notifica sarebbe stata depositata presso la cancelleria del tribunale perché l'imputato non aveva fornito un indirizzo per le notifiche in Italia (articoli 170 e 177 bis del codice di procedura penale, cfr. paragrafo 26 infra). Ha inoltre nominato un avvocato per rappresentare l'imputato.

Dopo un rinvio per motivi estranei al procedimento, il processo ebbe luogo il 1° luglio 1981.

In tale data il ricorrente fu condannato in contumacia, a cinque mesi di reclusione e condannato alle spese. La pena fu tuttavia sospesa e nessun riferimento alla condanna doveva essere inserito nei certificati del casellario giudiziale rilasciati su richiesta di privati.

20. Anche questa decisione fu notificata al ricorrente mediante deposito nella cancelleria del tribunale perché, sempre ai sensi dell'articolo 177 bis del codice di procedura penale, il presidente del tribunale aveva nuovamente constatato, il 2 luglio, che il sig. Brozicek non aveva eletto domicilio in Italia.

Non essendoci stato appello, la sentenza divenne definitiva il 7 luglio 1981.

21. Il 5 maggio 1984 il ricorrente ricevette una lettera del procuratore principale della Corte federale di giustizia tedesca (Bundesgerichtshof). La lettera lo informava della sua condanna con sentenza del tribunale di Savona del 1° luglio 1981, divenuta definitiva il 7 luglio 1981, e che la condanna era stata iscritta nel casellario giudiziale tedesco (articolo 52 della legge sul casellario giudiziale, Bundeszentralregistergesetz).

22. Il 7 maggio il sig. Brozicek presentò un ricorso alla Commissione, affermando, tra l'altro, che "le possibilità di ricorso [erano] manifestamente prescritte dal diritto italiano ...". Lo stesso giorno ha scritto anche al Ministero degli Affari Esteri tedesco e al Ministero della Giustizia italiano.

Nella sua lettera al ministero tedesco ha chiesto la sua assistenza per ottenere, il più presto possibile, la rettifica o l'annullamento della sentenza di Savona.

Nella sua lettera al ministero italiano, egli affermava di non aver ricevuto alcuna informazione nella sua lingua sul processo e di non aver potuto difendersi perché né l'atto di accusa né la sentenza gli erano stati notificati. Chiedeva quali possibilità di ricorso contro la decisione erano aperte per lui.

Il 5 ottobre, il Ministero italiano ha risposto che poteva presentare un ricorso contro la sentenza al di fuori dei termini ordinari (qui di seguito denominato "ricorso tardivo"; vedere il paragrafo 26 qui di seguito), se la notifica nei suoi confronti non era stata fatta legittimamente, e chiedere un nuovo processo.

Il ricorrente non si è avvalso di nessuna di queste possibilità.

23. Il ministero degli Affari esteri tedesco incaricò il consolato generale della Repubblica federale di Germania a Genova di determinare se vi fosse la possibilità di ricorrere in appello contro la sentenza del 1° luglio 1981. Come primo risultato delle sue comunicazioni con il tribunale di Savona, il Consolato trasmise al ricorrente, il 10 luglio 1989, una fotocopia del testo italiano della sentenza, che era in gran parte scritto a mano. Il sig. Brozicek confermò il ricevimento di questo testo con una lettera del 18 luglio 1984.

II. DIRITTO DOMESTICO

A. Notifica giudiziaria

24. La notifica giudiziaria è il documento con il quale l'autorità giudiziaria informa la persona sospettata di aver commesso un reato che è stata aperta un'indagine e la invita a nominare un difensore di sua scelta e a fornire un indirizzo per le notifiche. Deve specificare le disposizioni legali violate e la data del presunto reato.

25. Il giudice istruttore, in caso di indagine "formale", o il pubblico ministero, quando l'indagine è "sommaria", devono inviare la notifica all'inizio della loro indagine (articoli 304 e 390 del codice di procedura penale).

La notifica deve essere inviata per lettera raccomandata con ricevuta di ritorno. Se la lettera non viene consegnata perché il destinatario è irreperibile, un ufficiale giudiziario deve notificare la notifica secondo la procedura normale (articoli 168-175 del codice di procedura penale).

B. Notifiche, processo in contumacia e appello apparentemente tardivo

26. Nella sentenza Foti e altri del 10 dicembre 1982 e nella sentenza Colozza del 12 febbraio 1985 (serie A n. 56, p. 12, §§ 33-36, e serie A n. 89, p. 11, §§ 18-19, e pp. 12-13, §§ 21-23) la Corte ha fornito una breve descrizione della legislazione italiana allora in vigore in materia di notifiche a una persona o a un imputato "irreperibile", di processo in contumacia (contumacia) e di "appello apparentemente tardivo".

A questo proposito l'articolo 177 bis del codice di procedura penale prevede quanto segue (traduzione dall'italiano):

"Quando dagli atti del procedimento risulta con precisione il luogo di residenza all'estero dell'imputato, il pubblico ministero o il giudice del dibattimento (pretore) gli trasmette con lettera raccomandata la comunicazione del procedimento a suo carico con l'invito a dichiarare o comunque a eleggere domicilio nel luogo in cui si svolge il procedimento. Questa formalità non sospende né ritarda il procedimento.

Se il domicilio dell'imputato all'estero è sconosciuto o se egli non ha dichiarato o altrimenti eletto domicilio o se le informazioni da lui fornite sono insufficienti o inadeguate, il giudice o il pubblico ministero emette il decreto previsto dall'articolo 170.

Le disposizioni di cui sopra non si applicano quando l'emissione del mandato d'arresto è obbligatoria".

Il secondo comma dell'articolo 170 stabilisce che (traduzione dall'italiano):

"Il giudice o il pubblico ministero ... adotta il provvedimento di nomina del difensore dell'imputato quando questi non ne ha ancora uno nel luogo in cui si svolge il procedimento e dispone che la notificazione che si è rivelata o si rivela impossibile da eseguire sia effettuata mediante deposito dei relativi atti nella cancelleria dell'organo giudiziario davanti al quale pende il procedimento. Il difensore è informato senza indugio di tale notifica".

La possibilità di presentare un "appello tardivo" derivava all'epoca dall'interpretazione giudiziaria degli articoli 500 e 199 del codice di procedura penale, secondo i quali (traduzione dall'italiano):

Articolo 500

"Nel caso di procedimento in contumacia, un estratto della decisione o della sentenza è notificato all'imputato, il quale può proporre contro di essa l'appello che gli sarebbe stato proposto per una sentenza pronunciata in contraddittorio, salvo il disposto dell'articolo 199, terzo comma."

Articolo 199

"...

Per le decisioni o sentenze di cui all'articolo 500, il termine per l'impugnazione dell'imputato decorre dalla notifica della decisione o sentenza.

..."

Sulla base di queste disposizioni, i tribunali hanno costantemente ritenuto che se la notifica di un estratto di una decisione o di una sentenza pronunciata in contumacia non era legittima perché si era erroneamente supposto che l'imputato non intendesse partecipare al procedimento, l'interessato poteva, entro tre giorni, contestare tale notifica e contestare la definitività della decisione in questione. Se riusciva a farlo, gli veniva accordato un nuovo termine per impugnare la suddetta decisione.

Il nuovo codice di procedura penale, entrato in vigore il 24 ottobre 1989, prevede ora espressamente questa possibilità di "ristabilire il termine".

PROCEDIMENTO DINANZI ALLA COMMISSIONE

27. Il signor Brozicek presentò il suo ricorso alla Commissione il 7 maggio 1984 (n. 10964/84). Egli lamentava una violazione dell'articolo 6 § 3 (a) (art. 6-3-a) della Convenzione in quanto non era stato informato in una lingua a lui comprensibile della natura e del motivo dell'accusa nei suoi confronti. Egli lamentava inoltre una violazione dell'articolo 6 § 1 (art. 6-1) in quanto, essendo stato processato in contumacia senza avere alcuna possibilità di difendersi, non aveva avuto un processo equo.

28. La Commissione dichiarò il ricorso ammissibile l'11 marzo 1987. Nel suo rapporto del 22 marzo 1988 (art. 31) (art. 31), essa espresse il parere che vi era stata una violazione dell'articolo 6 § 3 (a) (art. 6-3-a) (con undici voti favorevoli, uno contrario e due astensioni) e dell'articolo 6 § 1 (art. 6-1) (con tredici voti favorevoli e una astensione). Il testo completo del suo parere e dei due pareri separati che lo accompagnano è riprodotto in allegato alla presente sentenza[*].

PER QUANTO RIGUARDA LA LEGGE

I. L'OBIEZIONE PRELIMINARE DEL GOVERNO

29. Secondo il Governo, il sig. Brozicek aveva a disposizione tre rimedi interni che non ha esaurito. Questi erano: il diritto di presentare un "appello tardivo"; il diritto di chiedere il riesame della compatibilità degli articoli 170 e 177 bis del codice di procedura penale con gli articoli 10 e 24 della Costituzione; e la possibilità, per quanto riguarda la denuncia relativa all'uso della lingua, di invocare, nella fase del procedimento intentato dinanzi al Tribunale di Savona e successivamente, la nullità della notifica giudiziaria e di altri documenti relativi all'inchiesta.

A. Ammissibilità

30. Conformemente alla sua giurisprudenza consolidata, la Corte è competente ad esaminare le eccezioni preliminari di questo tipo. Tuttavia, tra le altre condizioni, lo Stato in questione deve averle sollevate dinanzi ad essa non oltre la scadenza del termine previsto per il deposito della sua memoria (articolo 47 § 1 del regolamento della Corte).

La seconda parte della memoria del governo non soddisfa questo requisito per quanto riguarda la possibilità di invocare l'articolo 10 della Costituzione. In questa misura, deve quindi essere respinta in quanto fuori tempo massimo (si veda, tra l'altro, la sentenza Barberà, Messegué e Jabardo dell'8 dicembre 1988, serie A n. 146, p. 27, § 56).

B. Il merito del resto dell'obiezione

1. Un "appello tardivo"

31. Secondo il Governo, il ricorrente avrebbe potuto presentare un "ricorso tardivo" per contestare la legittimità della notifica a lui di un estratto della sentenza del 1° luglio 1981 mediante deposito presso la cancelleria del tribunale e, di conseguenza, per contestare la definitività della decisione in questione. Ciò gli avrebbe consentito dapprima di sollevare la questione dell'applicazione nel suo caso delle norme relative agli imputati residenti all'estero di cui si conosce il luogo di soggiorno e che non hanno eletto domicilio nel luogo in cui si svolge il procedimento (seconda possibilità prevista dall'articolo 177 bis, secondo comma, del codice di procedura penale, si veda il precedente paragrafo 26), e poi di impugnare la sua condanna.

La Commissione ha ritenuto tuttavia che la brevità del termine da rispettare - tre giorni dalla notifica della sentenza, o dalla data in cui l'interessato ne ha avuto adeguata conoscenza - rendesse nel caso di specie l'esercizio di un tale rimedio puramente teorico.

32. I soli rimedi che l'articolo 26 (art. 26) della Convenzione impone di esaurire sono quelli disponibili e sufficienti e relativi alle violazioni addotte. Spetta allo Stato convenuto stabilire che queste varie condizioni sono soddisfatte (si veda, tra l'altro, la sentenza Ciulla del 22 febbraio 1989, serie A n. 148, p. 15, § 31).

Nelle circostanze del caso, la Corte non ritiene che il ricorso in questione fosse sufficientemente disponibile. All'epoca, la possibilità di proporre tale ricorso non era espressamente prevista dalla legislazione, ma si basava solo sull'interpretazione giudiziaria degli articoli 500 e 199 del codice di procedura penale nella versione allora in vigore (si veda il precedente paragrafo 26). Inoltre, tenuto conto del fatto che la sentenza del 1° luglio 1981 non era stata notificata personalmente al sig. Brozicek, il momento in cui il termine di tre giorni per la presentazione dell'appello cominciava a decorrere era dubbio. Questo è stato riconosciuto in una certa misura dal governo nella misura in cui hanno dichiarato che era "probabile" che il dies a quo non fosse il 5 maggio 1984 ma una data del luglio 1984, quando il ricorrente ha ricevuto una copia della sentenza (cfr. paragrafo 23 sopra).

Per evitare ogni rischio, il ricorrente avrebbe dovuto notificare la sua intenzione di ricorrere in appello entro i tre giorni successivi al 5 maggio, cosa che avrebbe potuto fare solo se, entro questo termine, avesse consultato un avvocato, o qualche altra persona, esperto di diritto processuale penale italiano. A parere della Corte, non poteva ragionevolmente essergli richiesto di farlo, tanto più che quando è venuto a conoscenza della sua condanna, la sentenza era passata in giudicato da diversi anni.

33. Né il "ricorso tardivo" appare in grado di porre rimedio in questo caso alle violazioni denunciate.

La corte d'appello avrebbe dovuto dichiararlo ammissibile prima di essere competente a riesaminare la condanna. A tal fine, sarebbe stato necessario che il ricorrente dimostrasse al giudice d'appello che il tribunale di Savona aveva sbagliato a concludere che egli non aveva voluto eleggere domicilio in quella città.

Inoltre, la giurisprudenza citata dal governo non stabilisce che il rimedio in questione avrebbe potuto essere efficace nel caso del sig. Brozicek. A questo proposito, la Corte rimanda alla sua sentenza Colozza del 12 febbraio 1985 (serie A n. 81, p. 16, § 31).

2. Domanda di riesame della compatibilità degli articoli 170 e 177 bis del codice di procedura penale con l'articolo 24 della Costituzione

34. Secondo il Governo, il ricorrente avrebbe potuto in qualsiasi momento chiedere il riesame della compatibilità degli articoli 170 e 177 bis del codice di procedura penale con l'articolo 24 della Costituzione. Così facendo avrebbe "riattivato il procedimento".

La Corte osserva che nell'ordinamento giuridico italiano un individuo non ha il diritto di rivolgersi direttamente alla Corte costituzionale per un controllo di costituzionalità di una legge. Solo il giudice di merito ha la possibilità di adire la Corte costituzionale, su richiesta di una parte o d'ufficio. Di conseguenza, una tale domanda non può essere un rimedio il cui esaurimento è richiesto dall'articolo 26 (art. 26) della Convenzione.

Inoltre, la domanda avrebbe dovuto in pratica essere allegata a un "ricorso tardivo", che la Corte ha ritenuto non sufficientemente disponibile ed efficace nella fattispecie (cfr. i precedenti paragrafi 32-33).

3. La possibilità di eccepire la nullità della notifica giudiziaria e di altri documenti relativi all'inchiesta

35. Secondo il Governo, il ricorrente avrebbe potuto far valere dinanzi ai tribunali nazionali il suo reclamo relativo all'uso dell'italiano nella notifica giudiziaria o nell'avviso prescritto dall'articolo 177 bis del codice di procedura penale.

La Corte ha difficoltà a vedere come avrebbe potuto formulare una tale denuncia presso il tribunale di Savona, dato che egli sostiene di non essere stato debitamente informato del procedimento avviato nei suoi confronti. Per quanto riguarda la possibilità di sollevare la questione in relazione ad un "appello tardivo", la Corte rinvia all'ultimo comma del paragrafo precedente.

4. Conclusione

36. Da quanto precede risulta che l'eccezione preliminare è in parte tardiva e per il resto infondata.

II. LE PRESUNTE VIOLAZIONI DELL'ARTICOLO 6 (art. 6)

37. Il sig. Brozicek ha addotto la violazione dei paragrafi 1 e 3 (a) dell'articolo 6 (art. 6-1, art. 6-3-a), che sono formulati come segue:

"Nell'accertamento ... di ogni accusa penale a suo carico, ogni persona ha diritto a un'equa ... audizione da parte di [un] tribunale ... .

...

3. Ogni persona accusata di un reato ha i seguenti diritti minimi

(a) essere informato tempestivamente, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell'accusa rivoltagli;

... ."

A parere della Corte è opportuno esaminare in primo luogo gli argomenti basati sul paragrafo 3 (a) (art. 6-3-a).

A. Il paragrafo 3 (a) (art. 6-3-a)

38. Il ricorrente ha sostenuto di non essere stato informato, "in una lingua a lui [comprensibile]", dell'avvio di un procedimento penale nei suoi confronti. Inoltre, la notifica giudiziaria del 23 febbraio 1976 (si veda il precedente paragrafo 16) non conteneva, a suo parere, "informazioni dettagliate" sulla "natura e la causa dell'accusa".

La Corte osserva che questo documento costituiva una "accusa" ai sensi dell'articolo 6 (art. 6) (si veda la sentenza Corigliano del 10 dicembre 1982, serie A n. 57, p. 14, § 35).

39. Dopo aver ricevuto la comunicazione giudiziaria del 23 febbraio 1976, il ricorrente scrisse alla Procura di Savona, comunicando di avere difficoltà a comprendere il contenuto di tale comunicazione per motivi linguistici. Gli chiese di utilizzare la sua lingua madre o una delle lingue ufficiali delle Nazioni Unite (cfr. paragrafo 16 sopra).

Le autorità giudiziarie non gli hanno risposto. Hanno continuato a redigere i documenti destinati al sig. Brozicek solo in italiano. Non fecero alcun riferimento al problema linguistico, se non nella sentenza del 1° luglio 1981, in cui il Tribunale di Savona attribuì all'imputato una discreta padronanza dell'italiano.

40. Secondo la Commissione, le autorità non hanno preso provvedimenti per verificare che il ricorrente comprendesse l'italiano, ma si sono limitate a presumere che egli comprendesse la sostanza della notifica giudiziaria. Il governo ha contestato questa interpretazione dei fatti. Essi sostenevano che era assolutamente chiaro dai documenti della causa che il sig. Brozicek aveva avuto una conoscenza adeguata dell'italiano.

41. Secondo la Corte, è necessario procedere sulla base dei seguenti fatti. Il ricorrente non era di origine italiana e non risiedeva in Italia. Egli informò le autorità giudiziarie italiane competenti in modo inequivocabile che a causa della sua scarsa conoscenza dell'italiano aveva difficoltà a comprendere il contenuto della loro comunicazione. Ha chiesto loro di inviargliela nella sua lingua madre o in una delle lingue ufficiali delle Nazioni Unite.

Al ricevimento di questa richiesta, le autorità giudiziarie italiane avrebbero dovuto provvedere a darvi seguito in modo da garantire il rispetto dei requisiti dell'articolo 6 § 3 (a) (art. 6-3-a), a meno che non fossero in grado di stabilire che il ricorrente aveva effettivamente una conoscenza sufficiente dell'italiano per comprendere dalla notifica il contenuto della lettera che gli notificava le accuse mosse contro di lui.

Nessuna prova in tal senso risulta dai documenti del fascicolo o dalle dichiarazioni dei testimoni ascoltati il 23 aprile 1989 (cfr. sopra, paragrafi 5-7). Su questo punto vi è stata quindi una violazione dell'articolo 6 § 3 (a) (art. 6-3-a).

42. D'altra parte, la Corte ritiene infondata l'affermazione secondo cui la comunicazione giudiziaria del 23 febbraio 1976 non avrebbe identificato "in dettaglio ... la natura e la causa dell'accusa". Questa comunicazione aveva lo scopo di informare il signor Brozicek dell'avvio di un procedimento nei suoi confronti; essa elencava sufficientemente i reati di cui era accusato, ne indicava il luogo e la data, faceva riferimento ai pertinenti articoli del codice penale e menzionava il nome della vittima.

B. Paragrafo 1 (art. 6-1)

43. Il ricorrente ha invocato anche il paragrafo 1 dell'articolo 6 (art. 6-1), sostenendo che non gli era stata data la possibilità di partecipare al processo per difendersi dalle accuse mosse contro di lui. Non aveva quindi ricevuto un'equa trattazione del suo caso.

44. La Commissione ha condiviso questa opinione. Il governo, tuttavia, la contestava. Essi sostenevano che il ricorrente era stato informato dell'esistenza di un procedimento penale con la notifica del 23 febbraio 1976 (si veda il precedente paragrafo 16) e poi con la comunicazione, che non aveva accettato, del 17 novembre 1978 (si veda il precedente paragrafo 17). Di conseguenza, a loro avviso, egli aveva deliberatamente rifiutato di rispondere delle sue azioni in tribunale e di esercitare i suoi diritti.

45. Le prove non stabiliscono che il sig. Brozicek abbia inteso rinunciare al suo diritto di partecipare al processo, un diritto "non espressamente menzionato nel paragrafo 1 dell'articolo 6 (art. 6-1)" ma la cui esistenza è dimostrata dall'"oggetto e scopo dell'articolo (art. 6) considerato nel suo insieme" (si veda la sentenza Colozza, citata, serie A n. 89, p. 14, § 27). La presente sentenza ha già rilevato che la notifica giudiziaria del 23 febbraio 1976 non soddisfaceva uno dei requisiti dell'articolo 6 § 3 (a) (art. 6-3-a) della Convenzione. Per quanto riguarda quella del 17 novembre 1978, la Corte non è convinta che il sig. Brozicek ne fosse a conoscenza. Essa è stata restituita alla segreteria della Procura di Savona come non reclamata (si veda il precedente paragrafo 17), in circostanze che rimangono incerte. Inoltre, l'esperto consultato su richiesta del governo ha concluso che l'avviso di ricevimento non recava la firma del ricorrente (vedere i paragrafi 5, 8 e 17 sopra).

Anche in questo caso, il presidente del tribunale di Savona non ha cercato di notificare personalmente al signor Brozicek la citazione a comparire davanti al suo tribunale. Conformemente alla legge italiana, egli ordinò che essa fosse depositata presso la cancelleria del tribunale (si veda il precedente paragrafo 19), cosicché si ritenne che il sig. Brozicek fosse stato informato di ogni documento relativo al procedimento e che fosse stato giudicato in contumacia.

46. Di conseguenza, il processo non è stato equo ai sensi dell'articolo 6 § 1 (art. 6-1).

III. APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 50 (art. 50)

47. Ai sensi dell'articolo 50 (art. 50),

"Se la Corte constata che una decisione o una misura adottata da un'autorità giudiziaria o da qualsiasi altra autorità di un'Alta Parte contraente è in conflitto totale o parziale con gli obblighi derivanti dalla ... Convenzione, e se il diritto interno di detta Parte consente solo una riparazione parziale delle conseguenze di questa decisione o misura, la decisione della Corte deve, se necessario, dare una giusta soddisfazione alla parte lesa."

Il sig. Brozicek ha dapprima chiesto alla Corte di dichiarare nulla la sentenza del 1° luglio 1981 e di disporne la cancellazione dal suo fascicolo. Tuttavia, la Corte non è così autorizzata dalla Convenzione (si veda, tra l'altro, la sentenza Hauschildt del 24 maggio 1989, serie A n. 154, pag. 23, § 54).

Il ricorrente ha anche chiesto il risarcimento dei danni e il rimborso dei costi e delle spese.

A. Danno

48. In primo luogo, egli ha sostenuto di aver subito un danno patrimoniale che ha valutato in 1.300.000 franchi svizzeri. Il suo reclamo a questo proposito si basa tuttavia su circostanze estranee alle violazioni riscontrate e non può quindi essere preso in considerazione dalla Corte.

Ha anche chiesto 200.000 franchi svizzeri per danni non patrimoniali. La Corte riconosce che le violazioni riscontrate devono avergli causato un certo grado di danno di questa natura, ma la constatazione di violazioni dell'articolo 6 (art. 6) costituisce in questo caso una sufficiente giusta soddisfazione a questo riguardo.

B. Costi e spese

49. Il sig. Brozicek ha chiesto, inoltre, il rimborso dei costi e delle spese da lui sostenuti dinanzi alla Commissione e successivamente alla Corte, nella misura in cui non sono stati coperti dal patrocinio a spese dello Stato che gli è stato accordato.

Secondo il governo, il fatto che egli avesse ricevuto l'assistenza legale significava che questa richiesta doveva essere respinta. In ogni caso il ricorrente non aveva dimostrato che la sua difesa aveva reso necessarie le spese da lui indicate.

50. Durante il procedimento dinanzi alla Commissione, il sig. Brozicek prese l'iniziativa di far effettuare due esami da esperti di calligrafia. Essi gli sono costati 1.027,27 marchi tedeschi, che gli devono essere rimborsati, perché in questo caso costituivano un mezzo normale per ottenere prove.

La Corte ammette anche l'onorario - 1.900 franchi svizzeri - pagato a un avvocato svizzero incaricato dal ricorrente, dopo che la causa era stata rinviata alla Corte, per ottenere un accordo amichevole con il governo convenuto.

Infine, l'avvocato Brozicek ha elencato una serie di spese relative a viaggi, in particolare a Strasburgo, fotocopie, stampa, comunicazioni telefoniche, spese postali, traduzione e acquisto di materiale. Egli ha calcolato tali spese per un totale di 5.260 marchi tedeschi. Secondo la Corte, tuttavia, alcune di queste voci non erano veramente necessarie. Facendo una valutazione equa ai sensi dell'articolo 50 (art. 50), essa assegna al ricorrente 3.000 marchi tedeschi sotto questa voce.

51. Da quanto precede risulta che lo Stato convenuto deve pagare alla ricorrente un totale di 4.027,27 marchi tedeschi e 1.900 franchi svizzeri.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE

1. Respinge con quindici voti a cinque l'eccezione di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne per quanto riguarda la possibilità di un "appello tardivo";

 

2. Respinge all'unanimità il resto di tale obiezione;

 

3. Dichiara con quindici voti a cinque che vi è stata una violazione dei paragrafi 3 (a) e 1 dell'articolo 6 (art. 6-3-a, art. 6-1) della Convenzione;

 

4. Dichiara all'unanimità, per quanto riguarda il danno non pecuniario subito dal ricorrente, che la presente sentenza costituisce di per sé un'equa soddisfazione ai fini dell'articolo 50 (art. 50);

 

5. 5. Dichiara all'unanimità che lo Stato convenuto deve pagare al ricorrente per i costi e le spese 4.027,27 marchi tedeschi (quattromila ventisette marchi e ventisette pfennig) e 1.900 (millenovecento) franchi svizzeri;

 

6. 6. Respinge all'unanimità il resto della richiesta di giusta soddisfazione.

 

Fatto in inglese e in francese, e consegnato in un'udienza pubblica nel Palazzo dei Diritti dell'Uomo, Strasburgo, il 19 dicembre 1989.

 

Rolv RYSSDAL

Presidente

 

Marc-André EISSEN

Cancelliere

 

Ai sensi dell'articolo 51 § 2 (art. 51-2) della Convenzione e dell'articolo 52 § 2 del Regolamento della Corte, i seguenti pareri separati sono allegati alla presente sentenza:

- opinione dissenziente comune dei sigg. Thór Vilhjálmsson, Pettiti, Russo, De Meyer e Valticos;

- parere separato del sig. Martens.

 

R.R.

M.-A.E.

 


OPINIONE DISSENZIENTE COMUNE DEI GIUDICI THÓR VILHJÁLMSSON, PETTITI, RUSSO, DE MEYER E VALTICOS

(Traduzione)

Riteniamo che i rimedi interni non siano stati esauriti in questo caso.

Il ricorrente avrebbe potuto ricorrere in appello contro la sentenza di condanna pronunciata a Savona[1]. Non l'ha fatto.

Egli ha scelto di rivolgersi alla Commissione già il 7 maggio 1984[2], appena due giorni dopo aver appreso, il 5 maggio 1984, l'esistenza della sentenza[3] e più di due mesi prima della scadenza del termine di ricorso, dato che ha ricevuto copia della sentenza solo tra il 10 e il 18 luglio 1984[4].

Se è stato in grado di mettere in moto così rapidamente la macchina della Convenzione, avrebbe potuto ugualmente prendere in tempo utile le misure necessarie per avviare un procedimento presso la Corte d'appello italiana.

Il suo comportamento è tanto più difficile da comprendere in quanto egli stesso possiede una certa conoscenza giuridica, essendo, come ha dichiarato, dottore in legge ed ex avvocato[5]. Spettava a lui informarsi e consigliarsi sui rimedi a sua disposizione e ha avuto tutto il tempo per farlo. Sapeva, dal 1976, che un procedimento penale era stato avviato contro di lui in Italia[6] e non aveva bisogno di contattare il Ministero della Giustizia[7] per ottenere tali informazioni e consigli. Inoltre, risulta chiaramente dai fatti di causa che il ricorrente non ha mai eletto domicilio e non ha mai avuto l'intenzione di farlo[8]. Contrariamente all'opinione che la maggioranza sembra avere a questo proposito[9], ci potrebbero quindi essere pochissimi dubbi sull'ammissibilità del ricorso.

* * *

Poiché il ricorrente non ha dato allo Stato convenuto la possibilità di porre rimedio, nel suo sistema giuridico interno, alla violazione dei suoi diritti, nella misura in cui vi sia stata una violazione, riteniamo, proprio per questa ragione, che non sia possibile riscontrare una tale violazione.

 


OPINIONE SEPARATA DEL GIUDICE MARTENS

1. Il presente caso è un esempio lampante delle conseguenze pratiche della dottrina adottata dalla Corte nel 1971 nella sentenza De Wilde, Ooms e Versyp[10].

In quella sentenza la Corte ha ritenuto di essere competente ad esaminare le obiezioni preliminari di ammissibilità, come quella basata sul mancato esaurimento delle vie di ricorso locali, nella misura in cui tali obiezioni erano state prima sollevate davanti alla Commissione. Questa dottrina è stata da allora perfezionata[11] e regolarmente applicata[12].

Il presente caso è piuttosto semplice nel merito, ma le obiezioni preliminari che lo Stato convenuto ha riproposto davanti alla Corte hanno sollevato difficili questioni, sia di interpretazione dell'articolo 26 (art. 26) della Convenzione che del diritto italiano, e hanno richiesto, inoltre, delicate valutazioni di fatto. Di conseguenza la Camera, dopo una deliberazione che ha occupato undici giudici per almeno mezza giornata, ha rinunciato alla giurisdizione a favore della Corte plenaria, dove venti giudici hanno dovuto dedicare altre cinque ore circa alla deliberazione su tali questioni. Questa esperienza mi ha fatto chiedere se, nelle condizioni attuali, la Corte debba attenersi alla sua dottrina già citata o debba annullare la sua sentenza De Wilde, Ooms e Versyp[13].

* * *

2. Un tribunale che sta valutando se dovrebbe revocare la propria giurisprudenza dovrà riflettere su vari aspetti di questa domanda. Ne citerò tre. In primo luogo, dovrà valutare se gli argomenti invocati per la nuova sentenza sono decisamente più convincenti di quelli su cui si basava la sua giurisprudenza esistente, perché si dovrebbe annullare solo se si è convinti che la nuova dottrina è chiaramente la legge migliore. In secondo luogo, c'è il lato politico della questione da esaminare. Infine, la corte dovrà considerare quanto sarebbe grave un colpo per la certezza del diritto.

Farò alcune osservazioni su ciascuno di questi aspetti.

* * *

3.1 A mio parere, gli argomenti contro la dottrina della Corte di cui sopra sono decisamente più convincenti di quelli su cui si è basata tale dottrina.

3.2 La Corte ha basato la sua dottrina principalmente sull'ampia formulazione degli articoli 45 e 46 (art. 45, art. 46) della Convenzione e ne ha dedotto che "una volta che un caso le è stato debitamente sottoposto, ... la Corte è dotata di piena competenza e può quindi prendere conoscenza di tutte le questioni di fatto e di diritto che possono sorgere nel corso dell'esame del caso"[14] (corsivo mio).

I vari dissenzienti nel caso De Wilde, Ooms e Versyp hanno già dimostrato che questa interpretazione del termine "casi" ("affaires") nell'articolo 45 (art. 45) è difficilmente compatibile con la formulazione degli articoli 31, 32 e 48 (art. 31, art. 32, art. 48) che sembra piuttosto suggerire che il termine "caso" ("affaire") significa - come ha detto il giudice Bilge - "la questione se ci sia stata o meno una violazione della Convenzione"[15]. Come i dissenzienti non hanno mancato di sottolineare, l'economia della Convenzione sostiene questa costruzione del termine "case" ("affaire"): il sistema della Convenzione sembrerebbe essere che spetta alla Commissione (che esercita una funzione giudiziaria) prendere una decisione finale sull'ammissibilità e (che esercita una funzione consultiva) esprimere un parere "se i fatti constatati rivelano una violazione da parte dello Stato interessato degli obblighi derivanti dalla Convenzione" (art. 31) (art. 31). 31), dopodiché la questione "se vi sia stata una violazione della Convenzione" (art. 32) (art. 32) sarà definitivamente decisa o dal Comitato dei Ministri o dalla Corte. La giurisprudenza successiva della Corte rafforza questo argomento basato sul sistema della Convenzione ammettendo che è la decisione della Commissione sull'ammissibilità che "determina l'oggetto della causa portata davanti alla Corte" e qualificando notevolmente la sua sentenza sopra citata sulla portata della sua giurisdizione con le parole "è solo nel quadro così tracciato che la Corte ... può prendere conoscenza di tutte le questioni di fatto o di diritto ..."[16] (corsivo mio). Ma né questo riconoscimento né la ripetuta sottolineatura che il "quadro" o "bussola" del caso è decisamente "delimitato dalla decisione di ammissibilità della Commissione"[17] hanno indotto la Corte ad abbandonare la suddetta dottrina. Eppure sembra chiaro che questa dottrina è difficilmente conciliabile con la forza delimitativa della decisione di ammissibilità della Commissione!

3.3 Si può considerare questo argomento basato sul sistema della Convenzione da un altro punto di vista. La Corte non deve agire come una corte d'appello della Commissione e non ha il potere di annullare le sue decisioni. Non si addice a questo sistema che (come è possibile secondo la dottrina della Corte) in uno stesso caso la Commissione respinga l'obiezione preliminare, accetti la petizione ed esprima il parere che c'è stata una violazione, mentre la Corte trovi quell'obiezione fondata e quindi ritenga di non poter prendere conoscenza del merito del caso. Non si deve pensare che la Convenzione renda possibile che un caso si concluda con due decisioni contraddittorie.

3.4 Nella sentenza De Wilde, Ooms e Versyp, la Corte ha anche sottolineato in particolare l'importanza della regola dell'esaurimento, che "delimita l'area entro la quale gli Stati contraenti hanno accettato di rispondere dei torti loro contestati davanti agli organi della Convenzione"[18]. Si è persino spinto a suggerire che l'osservanza di questa regola è tanto importante per gli Stati quanto il rispetto dei diritti e delle libertà garantiti dalla Convenzione per gli individui; ha quindi implicato che proprio come la questione se questi ultimi diritti siano stati rispettati è esaminata sia dalla Commissione che dalla Corte, così anche la questione se i rimedi locali siano stati esauriti dovrebbe essere esaminata da entrambi gli organi della Convenzione.

Non posso accettare questa equazione. A mio parere c'è una marcata differenza tra i diritti e le libertà fondamentali degli individui garantiti dalla Convenzione e il tradizionale privilegio degli Stati di essere dispensati "dal rispondere davanti a un organismo internazionale dei loro atti prima di aver avuto la possibilità di porre rimedio alla situazione attraverso il proprio sistema giuridico"[19]. L'argomento implicito di un doppio controllo non solo non mi convince del tutto, ma anzi milita contro la dottrina della Corte: tale dottrina è atta a creare l'errata impressione che le norme dell'articolo 26 (art. 26), norme che sono principalmente dispositivi procedurali a fini di vaglio, siano uguali per status e importanza ai diritti e alle libertà della Convenzione.

3.5 C'è un ulteriore - e ai miei occhi piuttosto pesante - argomento contro la suddetta dottrina della Corte: tale dottrina crea una disparità tra le parti, perché quando la Commissione accetta un'obiezione preliminare di ammissibilità basata sul mancato esaurimento dei rimedi interni, il ricorrente (che, ex hypothesi, è vittima di una violazione)[20] non può attaccare tale decisione davanti alla Corte, ma nel caso inverso lo Stato presunto autore del torto può. In una convenzione che sottolinea che uno dei principi fondamentali del processo equo è l'uguaglianza delle armi, questo sembra almeno strano.

3.6 Per concludere, vorrei richiamare l'attenzione sul fatto che la suddetta dottrina della Corte è stata anche criticata, a volte piuttosto severamente, da un certo numero di dotti scrittori[21]. A mio parere anche questo è un aspetto da tenere in considerazione quando si considera se la Corte debba o meno annullare la sua sentenza De Wilde, Ooms e Versyp.

* * *

4.1 Venendo ora al lato politico del problema, mi propongo di considerare vari argomenti pratici pro e contro la dottrina in discussione.

4.2 Il primo argomento pratico che mi viene in mente è decisamente contro: è molto indesiderabile che un richiedente, che dopo alcuni anni di battaglie ha vinto la sua causa davanti alla Commissione, si trovi, dopo un ulteriore periodo piuttosto lungo di stress, a vedersi negata una sentenza nel merito.

4.3 Un secondo argomento pratico è pro: sarà chiaro che la ratio principale dell'art. 26 (art. 26) è quella di fornire i mezzi per il compito di vaglio che l'art. 27 (art. 27) assegna alla Commissione; sarà anche chiaro che per il case-load della Corte non è irrilevante come la Commissione interpreta e applica le norme dell'art. 26 (art. 26). Pertanto, c'è un certo interesse per la Corte nel poter controllare la Commissione in questo senso.

Va notato, tuttavia, che questo argomento è di carattere puramente teorico. È vero che nel 1971, quando fu pronunciata la sentenza De Wilde, Ooms e Versyp, la Corte può aver avuto qualche incertezza sul fatto che la Commissione avesse o meno le stesse opinioni della Corte riguardo all'interpretazione e all'applicazione del principio del previo esaurimento dei rimedi interni. Ma a quel tempo il carico di lavoro della Corte era quasi inesistente[22], così che ai fini pratici non avrebbe avuto alcuna importanza se la Commissione avesse interpretato e applicato l'articolo 26 (art. 26) in modo più indulgente di quanto la Corte ritenesse opportuno. E ora, quasi vent'anni dopo - quando il buon funzionamento della Corte, considerato il suo attuale carico di lavoro, sarebbe seriamente minacciato da una tale interpretazione e applicazione -, l'esperienza ha insegnato che a questo proposito non esistono gravi divergenze di opinione tra la Commissione e la Corte: in tutti questi anni la Corte è giunta solo due volte a una conclusione diversa da quella della Commissione[23]!

4.4 Un terzo, e a mio avviso decisivo, argomento pratico è contra. Mi riferisco di nuovo al continuo e piuttosto allarmante aumento del carico di lavoro della Corte che, se la Commissione diventasse un organo semipermanente, non farebbe che peggiorare. Questo aumento dovrebbe, a mio parere, indurre a ripensare le dottrine accettate. L'abbandono della dottrina in discussione comporterebbe un notevole risparmio di tempo e di energia. Questo perché le obiezioni preliminari vengono discusse davanti alla Corte in molti casi e molto spesso sollevano questioni difficili e quindi dispendiose in termini di tempo: in primo luogo può essere necessario ripercorrere molto attentamente gli archivi della Commissione per verificare se l'obiezione è già stata sollevata - nella sostanza (! ) - davanti alla Commissione; poi, possono sorgere questioni sull'interpretazione delle molte regole sottilmente collegate che noi convenientemente, ma con qualche semplificazione eccessiva, designiamo come la regola di esaurimento; e, infine, può essere necessario entrare in intricate questioni di diritto interno e fare difficili valutazioni di fatto. Inoltre, la maggior parte di queste domande avrà già ricevuto una risposta dall'altro organo della Convenzione, che ha molta più pratica e quindi esperienza in questo campo rispetto alla Corte. Il tempo e l'energia dedicati a queste questioni potrebbero e dovrebbero essere dedicati al compito specifico della Corte di assicurare il rispetto dei diritti e delle libertà garantiti dalla Convenzione.

* * *

5. Vengo poi alla certezza del diritto. Naturalmente si può dire che ogni overruling incide sulla certezza del diritto, ma ci sono differenze di grado. Un tribunale non dovrebbe annullare l'interpretazione di una norma di diritto civile sulla quale la società ha basato i suoi contratti. Ma mi sembra che le regole di cui ci occupiamo qui non rientrino in quella categoria molto speciale in cui l'overruling è quasi impensabile.

Può essere vero che senza la regola dell'esaurimento alcuni, o forse anche molti, Stati contraenti difficilmente sarebbero stati disposti ad accettare il sistema del "meccanismo internazionale di esecuzione collettiva istituito dalla Convenzione"[24]. Ma non si può seriamente sostenere che essi abbiano accettato quel meccanismo nell'aspettativa che l'osservanza di quella regola sarebbe stata messa alla prova due volte. E anche se da qualche parte si facesse affidamento su una tale aspettativa, essa non sembrerebbe meritare protezione: almeno non vedo che interessi statali reali, seriamente degni di protezione, sarebbero danneggiati se la Corte decidesse che, una volta portato il caso davanti a sé, agli Stati convenuti non verrebbe più concessa la possibilità di sottrarsi al dovere di rispondere nel merito.

* * *

6. Avendo considerato questi vari aspetti della questione se, nelle condizioni attuali, la Corte debba annullare la sua sentenza De Wilde, Ooms e Versyp del 1971, sono giunto alla conclusione che si debba rispondere in modo affermativo. Per ragioni di completezza vorrei aggiungere che non si dovrebbe, naturalmente, dedurre dalle considerazioni di cui sopra che in quei casi - presumibilmente rari - in cui la questione del non esaurimento non può essere separata dal merito, la Corte non sarebbe competente a prendere conoscenza anche di tale questione.

7. Per queste ragioni ho votato a favore del rigetto delle obiezioni di ammissibilità del governo italiano solo con la riserva che a mio parere la Corte dovrebbe rifiutare di prenderne conoscenza.

 

Nota della cancelleria. Il caso è numerato 7/1988/151/205. Il primo numero indica la posizione della causa nella lista delle cause sottoposte alla Corte nell'anno in questione (secondo numero). Gli ultimi due numeri indicano la posizione della causa sulla lista delle cause rinviate alla Corte dalla sua creazione e sulla lista delle corrispondenti domande originarie alla Commissione.

Nota del cancelliere. Per ragioni pratiche, questo allegato apparirà solo con la versione stampata della sentenza (volume 167 della serie A delle pubblicazioni della Corte), ma una copia della relazione della Commissione è ottenibile presso la cancelleria.

[1] Paragrafo 26 della sentenza.

[2] Paragrafo 1 della sentenza.

[3] Punto 21 della sentenza.

[4] Punto 23 della sentenza.

[5] V. la sua lettera dell'8 luglio 1988, con la quale chiedeva di poter presentare il proprio caso alla Corte.

[6] Punto 16 della sentenza.

[7] Punto 22 della sentenza.

[8] Punti da 17 a 20 della sentenza.

[9] Punto 33 della sentenza.

[10] Sentenza del 18 giugno 1971, serie A n. 12, pp. 29-31, §§ 47-55.

[11] Cfr. la sentenza Artico del 13 maggio 1980, serie A n. 37, p. 12, § 24, e la sentenza Van Oosterwijck del 6 novembre 1980, serie A n. 40, p. 13, § 25: "nella misura in cui lo Stato convenuto può averle sollevate per la prima volta dinanzi alla Commissione, in linea di principio nella fase dell'esame iniziale di ammissibilità, nella misura in cui il loro carattere e le circostanze lo permettevano."

[12] Si veda, ad esempio, la sentenza Klass e altri del 6 settembre 1978, serie A n. 28, p. 17, § 32, e, come esempio più recente, la sentenza Bricmont del 7 luglio 1989, serie A n. 158, p. 27, § 73.

[13] Per quanto ne so, non ci sono esempi di overruling esplicito nella giurisprudenza della Corte. Ciò non significa, naturalmente, che la Corte ritenga di non avere il potere di annullare i propri precedenti; lo ha fatto implicitamente nel paragrafo 78 della sua citata sentenza De Wilde, Ooms e Versyp, dove ha di fatto ritrattato ciò che aveva detto nel paragrafo 24 della sua sentenza Neumeister del 27 giugno 1968 (Serie A n. 8, p. 44). (Devo questo riferimento al gentile aiuto del nostro cancelliere).

[14] Si veda la citata sentenza De Wilde, Ooms e Versyp, p. 29, § 49.

[15] Vedi la già citata sentenza De Wilde, Ooms e Versyp, p. 52; vedi allo stesso modo il giudice Wold a p. 57.

[16] Si veda la sentenza Irlanda c. Regno Unito del 18 gennaio 1978, serie A n. 25, p. 63, § 157. Si veda anche la sentenza Winterwerp del 24 ottobre 1979, serie A n. 33, p. 27, § 71.

[17] Si veda la sentenza Johnston e altri del 18 dicembre 1986, serie A n. 112, p. 23, § 48.

[18] Vedi p. 29, § 50.

[19] Citazione dalla citata sentenza De Wilde, Ooms e Versyp, p. 29, § 50.

[20] Mi riferisco all'ipotesi di lavoro di cui al paragrafo 27 della citata sentenza Van Oosterwijck (citata nella nota 2).

[21] Vedi, per esempio: Jacobs, The European Convention on Human Rights (1975), pp. 263/264; Pelloux, Annuaire français de droit international, 1972, pp. 444-445 (il quale giustamente sottolinea che l'interpretazione più probabile dell'articolo 45 (art. 45) è quella di supporre che esso si riferisca alle condizioni di cui agli articoli 46, 47 e 48 art. 46, art. 47, art. 48)); Trechsel, Zeitschrift für Schweizerisches Recht, 1975, pp. 422-423; A.A. Cançado Trindade, Human Rights Journal, 1977, pp. 149 e seguenti; G. Cohen Jonathan, Cahiers de droit européen, 1979, p. 480; D. Sulliger, L'épuisement des voies de recours internes en droit international général et dans la Convention européenne des droits de l'homme (1979), pp. 152-154; Van Dijk e Van Hoof, Theory and practice of the European Convention on Human Rights (1984), pp. 123-128; Frowein-Peukert, Europäische Menschenrechtskonvention, p. 448.

[22] Dal 1959 solo 10 casi erano stati portati davanti alla Corte.

[23] Vedi la sentenza Van Oosterwijck, citata alla nota 2, e la sentenza Barberà, Messegué e Jabardo del 6 dicembre 1988, serie A n. 146, pp. 28-29, § 59.

[24] Citazione dalla sentenza della Corte del 23 luglio 1968 nella causa "relativa a certi aspetti delle leggi sull'uso delle lingue nell'istruzione in Belgio", serie A n. 6, p. 35, § 10.