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Diplomatic assurances non garantiscono il rispetto del divieto di pena di morte (Cass,. 33980/06)

10 ottobre 2006, Cassazione penale

Va rigettata la richiesta di estradizione per l'estero nel caso in cui il reato sia punibile con la pena di morte secondo le leggi dello Stato richiedente (anche quando in alternativa alla pena detentiva).

Il vincolo derivante dal principio di cui all'art. 27, comma 4, Cost., così come interpretato dalla giurisprudenza costituzionale, non ammette l'estradizione sulla base di semplici assicurazioni che non consentano di pervenire a conclusioni che garantiscano, con assoluta certezza, il bene della vita.

Le assicurazioni date dallo Stato richiedente sono prive di ogni carattere di certezza circa la non applicazione della pena di morte quando si basano su una semplice dichiarazione di intenti, tra l'altro proveniente da una Procura della Repubblica, cioè da un organo che svolge solo funzioni di accusa, dichiarazione che in ogni caso non impegna la volontà dello Stato in maniera formale.

Corte di Cassazione

Sezione VI penale

Sentenza 10 ottobre 2006, n. 33980

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

 Con la sentenza in epigrafe la Corte d'appello di Ancona ha accolto la domanda di estradizione presentata dal Governo della Repubblica della Bielorussia nei confronti di D.D., colpito da mandato di arresto internazionale emesso il 12 marzo 1996 dalla Procura del Tribunale di Minsk per il reato di omicidio premeditato.

L'estradando, unitamente al suo difensore, ha presentato ricorso per cassazione.

Con il primo motivo ha dedotto l'erronea applicazione dell'art. 705, comma 1, c.p.p., in quanto la Corte d'appello ha ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza solo sulla base della relazione informativa trasmessa dalla Procura di Minsk, senza aver esaminato e valutato gli atti allegati al fascicolo processuale, mai acquisiti. Secondo il ricorrente, trattandosi di estradizione extra-convenzionale il giudice italiano era tenuto ad accertare l'esistenza dei gravi indizi esaminando direttamente la documentazione processuale. Pertanto, non potendosi basare il giudizio sulla sola relazione presentata dall'autorità giudiziaria bielorussa, si richiede la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale per acquisire, tra l'altro, i verbali delle chiamate in correità poste a fondamento dell'accusa di omicidio.

Con altro motivo ha dedotto inosservanza dell'art. 111 Cost., nonché violazione dell'art. 705, comma 2, lett. b), c.p.p. in relazione agli artt. 64, 197 e 197-bis c.p.p., assumendo che "non è dato sapere se nei confronti dei coimputati che avrebbero reso dichiarazioni accusatorie (...) siano stati dati gli avvisi prescritti dall'art. 64 c.p.p." e che qualora nello Stato richiedente non risultasse tutelato il diritto al giusto processo, in termini analoghi a quanto previsto nell'ordinamento processuale italiano, la sentenza risulterebbe emessa in violazione, appunto, della lett. b) del richiamato art. 705 c.p.p.

Il terzo motivo riguarda l'erronea applicazione dell'art. 705, comma 2, lett. b), c.p.p. in relazione all'art. 27, comma 4, Cost. Il ricorrente, ribadendo quanto già rappresentato davanti alla Corte d'appello, ha sostenuto che non può farsi luogo ad estradizione in quanto il reato per cui deve essere giudicato nella Repubblica bielorussa prevede la pena di morte.

Con l'ultimo motivo si contesta la sentenza impugnata perché emessa in violazione dell'art. 705, comma 2, lett. c), c.p.p.: la assoluta mancanza di rispetto e di tutela dei diritti umani, civili, politici e religiosi nella Repubblica di Bielorussia - situazione che secondo il ricorrente sarebbe documentata da associazioni umanitarie, da fonti ufficiali di organismi internazionali, da governi democratici e dalle stesse istituzioni europee -, sarebbe ostativa all'estradizione.

MOTIVI DELLA DECISIONE 

La Corte ritiene di occuparsi immediatamente del terzo motivo, con cui la sentenza è stata censurata per avere ritenuto sussistenti le condizioni per l'estradizione del D., accusato di un reato per il quale è prevista la pena di morte.

Dalla documentazione trasmessa ai sensi dell'art. 700, comma 2, c.p.p. risulta che, nel mandato di arresto emesso dalla procura di Minsk, al D. è stato contestato il reato di omicidio volontario, punito dall'art. 100 del c.p. della Repubblica di Bielorussia anche con la pena di morte.

La Corte d'appello ha accolto la domanda di estradizione sulla base dell'assicurazione data dalla procura della Repubblica presso il Tribunale di Minsk, secondo cui al D., qualora condannato, non verrà applicata la pena di morte, assicurazione ritenuta sufficiente ed attendibile dai giudici, anche in considerazione del fatto che i complici del reato di cui è accusato l'estradando sono stati condannati a pene temporanee, oscillanti tra i nove e i quindici anni di reclusione.

Tale decisione non può essere condivisa, in quanto non sembra tenere in alcun conto l'avvenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale del comma 2 dell'art. 698 c.p.p. ad opera della sentenza 223/1996 della Corte costituzionale.

Nel caso di specie, mancando una regolamentazione convenzionale in materia estradizionale tra l'Italia e la Bielorussia, trova applicazione ai sensi dell'art. 697, comma 2, c.p.p. il regime codicistico, regime che individua un limite assoluto alla concessione dell'estradizione per l'estero nel caso in cui il reato sia punibile con la pena di morte secondo le leggi dello Stato richiedente. La Corte costituzionale, con sentenza 54/1979, ha affermato, sempre in tema di estradizione, che lo Stato italiano non può concorrere all'esecuzione di pene che in nessuna ipotesi e per nessun tipo di reati potrebbero essere inflitte nel nostro Paese in tempo di pace; successivamente, con la richiamata sentenza 223/1996, ha escluso che il meccanismo delineato nell'art. 698, comma 2, c.p.p. sia compatibile con l'art. 27, comma 4, Cost. e ne ha dichiarato l'illegittimità costituzionale.

Quello previsto dalla disposizione da ultimo citata proponeva un rimedio flessibile e adattabile alle diverse situazioni di politica criminale, che consentiva l'estradizione anche per un reato per il quale fosse prevista la pena di morte, qualora le assicurazioni date dallo Stato richiedente sulla non inflizione o non esecuzione della pena capitale fossero state ritenute sufficienti dall'autorità giudiziaria italiana e dal ministero della Giustizia. Ma un tale meccanismo è stato considerato in contrasto con il divieto della pena di morte sancito dall'art. 27, comma 4, Cost., divieto che, nella misura in cui è rivolto a garantire il bene essenziale della vita, deve essere inteso in modo assoluto, senza deroghe affidate a valutazioni discrezionali, sfruttando la formula delle "sufficienti assicurazioni".

Sulla base di quanto si è detto la Corte d'appello non poteva dichiarare la sussistenza delle condizioni per l'estradizione, in quanto il vincolo derivante dal principio di cui all'art. 27, comma 4, Cost., così come interpretato dalla giurisprudenza costituzionale, non ammette l'estradizione sulla base di semplici assicurazioni che non consentano di pervenire a conclusioni che garantiscano, con assoluta certezza, il bene della vita. Infatti, nel caso in esame le assicurazioni date dallo Stato richiedente sono prive di ogni carattere di certezza circa la non applicazione della pena di morte nei confronti di D., perché si basano su una semplice dichiarazione di intenti, tra l'altro proveniente da una Procura della Repubblica, cioè da un organo che svolge solo funzioni di accusa, dichiarazione che in ogni caso non impegna la volontà dello Stato in maniera formale.

Inoltre deve ritenersi irrilevante la circostanza che l'art. 100 del c.p. bielorusso, contestato al D., preveda, accanto alla pena di morte, l'irrogazione alternativa della reclusione da quindici a ventidue anni ovvero dell'ergastolo, in quanto, anche in questo caso, la garanzia offerta dall'ufficio della procura di Minsk non appare in grado di escludere con assoluta certezza che l'autorità giurisdizionale competente applichi nel caso in esame la pena capitale.

La previsione nella fattispecie incriminatrice di tale pena, seppure affiancata da altre sanzioni di natura detentiva, è sufficiente per ritenere minacciato il bene supremo della vita, soprattutto in presenza di un sistema sanzionatorio che riconosce al giudice una così larga discrezionalità nella stessa scelta della tipologia di pena da applicare nel caso concreto.

Da quanto esposto deriva la riforma dell'impugnata sentenza, con conseguente irrilevanza e assorbimento dei motivi non esaminati, compreso quello con cui è stato dedotto il mancato rispetto dei diritti umani, civili, politici e religiosi, aspetto sul quale questa Corte ha avuto già modo di pronunciarsi in termini negativi (Sez. VI, 32625/2006, Barouskaya).

La dichiarazione di non sussistenza delle condizioni per l'estradizione comporta anche la revoca della misura cautelare disposta.

Va da sé che resta applicabile il rimedio di cui all'art. 10, comma 2, c.p., in considerazione degli obblighi alternativi cui è tenuto lo Stato (aut dedere aut iudicare) potendo il ministro della Giustizia richiedere la punizione in Italia dei reati commessi all'estero quando, come nel caso in esame, ricorrano tutte le condizioni indicate dall'art. 10, comma 2, nn. 1, 2 e 3, c.p.

 P.Q.M.

in riforma della sentenza impugnata dichiara non sussistere le condizioni per la estradizione di D.D.

Revoca la misura cautelare emessa il 5 gennaio 2006 nei confronti di D.D., di cui ordina l'immediata scarcerazione se non detenuto per altra causa.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui agli artt. 626 c.p.p. e 203 disp. att. c.p.p.