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Diffamazione, critica, cronaca (Cass. civ., 1939/15)

3 febbraio 2015, Cassazione Civile

Il carattere distintivo del diritto di critica rispetto alla cronaca e all'insolenza si attesta pertanto sul fronte della veridicità limitata, intesa come oggettiva esistenza del fatto posto a fondamento delle proprie personali considerazioni, con piena libertà di espressione delle proprie opinioni purchè, ripetesi, non gratuite o pretestuose.

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SEGRETO Antonio - Presidente -
Dott. PETTI Giovanni B. - Consigliere -
Dott. SPIRITO Angelo - Consigliere -
Dott. TRAVAGLINO Giacomo - rel. Consigliere -
Dott. ROSSETTI Marco - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 9270/2012 proposto da:
M.E., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA ADRIANA 11, presso lo studio dell'avvocato GIURATO Ugo, che lo rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
R.M.;
- intimato -
avverso la sentenza n. 4166/2011 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 10/10/2011, R.G.N. 4183/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/10/2014 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;
udito l'Avvocato UGO GIURATO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto del ricorso.


Svolgimento del processo

Il 23 giugno del 2006 M.E., senatore della Repubblica, convenne dinanzi alla Corte di appello di Roma R.M., all'epoca dei fatti di causa Pubblico Ministero presso il Tribunale di Marsala, proponendo appello avverso la sentenza del tribunale capitolino che aveva accolto la domanda risarcitoria proposta dall'appellato, a suo dire diffamato da alcune dichiarazioni rese dall'appellante, nel novembre del 2003, nel corso di un convegno promosso in occasione del centenario della nascita di L.M.U..
L'appellante chiese il rigetto della domanda risarcitoria accolta in prime cure e l'accoglimento della propria riconvenzionale, rigettata in quella sede.
Il Dott. R., nel costituirsi, chiese il rigetto del gravame e l'accoglimento di quello da lui proposto in via incidentale, con il quale si lamentava la inadeguatezza della somma liquidata dal tribunale a titolo di risarcimento.
La vicenda trae origine da un lancio dell'agenzia Ansa dell'8 novembre 2003, con il quale si evidenziava come l'appellante, nel corso del predetto convegno, avesse dichiarato che un magistrato dal quale era stato interrogato aveva cercato di coinvolgere lo statista del quale si celebrava il centenario, dopo la sua morte, come corresponsabile politico nell'inchiesta a carico di G. A., di farne una sorta di imputato da morto, di infangare la sua storia, tanto che, per reazione, egli si era alzato e se ne era andato.
Dal palco del convegno il sen. M. non aveva fatto il nome del magistrato - limitandosi a dire che, all'epoca dei fatti, lavorava a (OMISSIS) per divenire in seguito un esponente di punta della procura di Palermo -, ma, rispondendo poi ai cronisti che lo avevano intervistato alla fine del convegno, aveva chiarito che si trattava del Dott. R., e la notizia era stata ripresa da alcuni giornali il giorno successivo.
Le impugnazioni hinc et inde proposte furono entrambe rigettate dalla Corte di appello adita.
M.E. ricorre per cassazione sulla base di 2 motivi di censura illustrati da memoria.
La parte intimata non ha svolto attività difensiva.


Motivi della decisione

Il ricorso è fondato.
Con il primo motivo, si denuncia violazione e comunque applicazione dell'art. 21 Cost. e degli artt. 595, 51 c.p. - omesso e comunque parziale esame di fatti rappresentati e di documenti decisivi prodotti, omesso e comunque difetto di motivazione in relazione all'art. 360 c.p.c. , nn. 3 e 5. La censura è preceduta dalla seguente illustrazione di sintesi: La Corte di merito ha erroneamente dichiarato insussistente nella presente controversia la scriminante del diritto di critica, ritenendo che le "sensazioni" cosi come esternate dal sen. M. al convegno promosso in occasione del centenario della nascita dell'on. L.M., relativamente al comportamento tenuto dal P.M. che nel corso del suo interrogatorio nell'ambito dell'indagine sull'on. G.A., intendesse coinvolgere, la figura del deceduto L.M. nell'inchiesta, per responsabilità non solo politiche, ma anche penalmente rilevanti, non fossero da ritenersi valutazioni e giudizi sull'operato del P.M. in quanto non suffragate da elementi oggettivi. E perchè, cos' statuendo, ha violato i principi che distinguono il diritto di critica rispetto a quello di cronaca ai fini della declaratoria della scriminante del diritto di critica.
Nella successiva illustrazione della censura, la difesa di parte ricorrente, richiamando le argomentazioni già svolte in sede di appello, evidenzia:
Che l'intervento del sen. M., avvenuto a distanza di anni dal suo interrogatorio da parte del Dott. R. nel corso di un convegno di commemorazione dell'on. L.M., si era concretizzato, da un canto, nel riferire e rappresentare fatti assolutamente veri (quali appunto il suo interrogatorio dal parte del P.M. nell'ambito dell'indagine preliminare su G.A., quale persona informata sui fatti), dall'altra, nel manifestare la (propria) sensazione avuta in quell'occasione - che il P.M. intendesse perseguire una strategia di indagine tale da coinvolgere la figura dell'on. L.M. oltre che dal punto di vista politico anche da un punto di vista personale sì da determinarlo ad acquisire elementi finalizzati a dar corpo ad una ipotesi penalisticamente rilevante nei suoi confronti;
Che detta "sensazione" era obbiettivamente fondata e derivava dai seguenti fatti certi: 1) dalle domande che gli erano state poste dal P.M. nel corso dell'interrogatorio, anche se le stesse non erano mai state verbalizzate, ma che si evincevano chiaramente in relazione alla risposte dallo stesso date (queste si verbalizzate) e che vertevano oltrechè sull'indagato G.A. anche sull'on. L.M., "estraneo tuttavia all'indagine"; 2) dalle congetture del P.M. su sue (pretese) dichiarazioni (in realtà mai rese nel corso dell'interrogatorio), così come riportate nella richiesta di archiviazione al GIP di Marsala a conclusione delle indagine sull'on. G.;
Che, nel manifestare la sensazione avuta durante l'interrogatorio - che riteneva altresì fondata e confermata dalla successiva lettura e conoscenza degli atti processuali - e nel criticare la strategia (di indagine) del P.M. dal proprio punto di vista, il sen. M. non aveva fatto altro che esprimere il proprio giudizio rispetto alle opinioni e alla condotta del pubblico ministero, così esercitando un diritto fondamentale riconosciuto dalla Costituzione quale quello del diritto di critica in generale e di critica storica e giudiziaria in particolare. Il che rilevava ai fini del rispetto del principio della verità osservato dal sen. M. sugli avvenimenti esposti, di cui aveva inteso chiarire in quell'occasione significato e portata.
Sulla base di tali premesse, la Corte territoriale avrebbe errato, a giudizio di parte ricorrente, nel ritenere (f. 2 della sentenza impugnata) che le frasi utilizzate nel corso del convegno esulassero dal limite del diritto di critica avendo egli affermato:
di essere stato oggetto di un interrogatorio "pesante"; che il P.M. pretendeva che egli attestasse una corresponsabilità di L.M. U. in tutta la vicenda che riguardava G.;
che si trattava di avere un imputato già morto ma da infangare e una storia da riscrivere, quella di L.M.U., tanto che a quel punto si era alzato e se ne era andato dicendo che non si sarebbe mai prestato a mutare un giudizio che, con tutte le polemiche, restava non solo positivo ma di gratitudine per quanto L.M.U. aveva fatto per il Paese.
Da tali circostanze la Corte di appello aveva tratto il convincimento secondo il quale (f. 3 della sentenza impugnata), ben lungi dall'esprimere una mera critica, l'appellante aveva affermato un comportamento (quantomeno) scorretto del P.M. nell'esercizio delle sue funzioni ("pretendeva" etc.), non suffragato da alcun concreto elemento, come posto in luce dal giudice di primo grado che aveva altresì rilevato la correttezza della verbalizzazione, sottoscritta dall'appellante.
Non appariva lecito esercizio del diritto di critica - conclude il giudice di appello - il riferire come fatto certo quella che l'appellante stesso sostiene essere stata una sensazione (non suffragata da elementi oggettivi) allegando un comportamento del P.M. contrario ai doveri di ufficio.


La censura mossa alla sentenza impugnata è pienamente fondata.


Risultano falsamente interpretate, nella specie, le norme di cui agli artt. 595 e 51 c.p. lette in combinato disposto con l'art. 21 Cost. , alla luce di quello che costituisce, ad oggi, un ormai cristallizzato ius vivens.

Si assume erroneamente, da parte della Corte territoriale, che la legittimità di qualsivoglia manifestazione critica del proprio pensiero sia condizionata, restandone irrimediabilmente vincolata, alla esistenza di elementi obbiettivi nei relativi contenuti e nella relativa forma, e non anche alla realtà (altrettanto obbiettiva) del fatto posto a fondamento della valutazione critica espressa in relazione ad esso. Costituisce altresì ius receptum presso questa Corte regolatrice - definiti come sopra i confini tra cronaca e critica - il principio secondo il quale l'actio finium regundorum tra il diritto di critica e l'insulto l'invettiva l'insolenza deve compiersi sul presupposto per cui la prima deve essere argomentata, in modo non futile nè palesemente pretestuoso (onde celare maldestramente una gratuita e ingiustificata aggressione verbale), attraverso una efficace spiegazione che renda manifesto, così al destinatario come ai terzi, le ragioni poste a fondamento delle espressioni usate.

Non è, di conseguenza, necessario che il destinatario o i terzi condividano e facciano proprie le critiche espresse dal dichiarante, risultando viceversa sufficiente che tali critiche, pur colorandosi di oggettiva intensità espressiva ed evocativa, abbiano seguito un itinerario di pensiero improntato a logica e coerenza rispetto a quanto accaduto (oltre che a logica e coerenza con la propria storia personale).

Il carattere distintivo del diritto di critica rispetto alla cronaca e all'insolenza si attesta pertanto sul fronte della veridicità limitata, intesa come oggettiva esistenza del fatto posto a fondamento delle proprie personali considerazioni, con piena libertà di espressione delle proprie opinioni purchè, ripetesi, non gratuite o pretestuose.

L'assenza di qualsivoglia travisamento e/o manipolazione strumentale del nucleo e del profilo essenziale dei dati di fatto da cui scaturisce la libera manifestazione del proprio pensiero costituisce, dunque, il necessario discrimen tra narrazione e opinione, tra resoconto e giudizio, tra oggettività (relativa) e soggettività (espressiva), fermo restando che il fatto e il comportamento presupposto e poi oggetto della critica deve corrispondere a verità, sia pur non assoluta ma ragionevolmente putativa.

Alla luce di tali premesse, la falsa interpretazione di norma di diritto appare, nel caso di specie, del tutto predicabile, così come condivisibile appare la censura di difetto motivazionale, volta che la Corte di merito non ha tenuto in alcun conto quanto emerso da obbiettivi dati documentali - i.e. il contenuto dell'interrogatorio del ricorrente da parte del P.M., indiscutibilmente focalizzato sull'operato di un soggetto non indagato, quale risulta inequivocabilmente dalle affermazioni contenute nella richiesta di archiviazione formulata dallo stesso P.M. al GIP di Marsala, e puntualmente riportate, in ossequio dal principio di autosufficienza del controricorso, ai ff. 12 ss. dell'odierno atto di impugnazione.
Al di là della correttezza e della conferenza di talune affermazioni rispetto al procedimento penale del quale si chiedeva un provvedimento di archiviazione, il tenore, il contenuto e la rilevanza delle affermazioni stesse appaiono efficace dimostrazione della esistenza del fatto oggettivo dal quale il ricorrente, ritenendo di poter interpretare la condotta del P.M. che lo interrogava nel senso poi manifestato a distanza di anni in un convegno di commemorazione dell'on. L.M., si è determinato ad attingere memoria e convincimento al fine esprimere il proprio legittimo diritto di critica così come manifestato nella circostanza indicata.
Indipendentemente dalla corrispondenza alla realtà, la oggettiva condotta del P.M., quale emerge dal contenuto delle stesse sue richieste rivolte al GIP, poteva del tutto legittimamente apparire al teste (indipendentemente dal fatto che lo fosse realmente) come tesa a perseguire una strategia di indagine funzionale al coinvolgimento dell'on. L.M. da un punto di vista personale e giudiziario, mentre il M. aveva inteso esprimere (come poi confermato dalla brusca interruzione della propria deposizione e dalla decisione di sospenderla e di allontanarsi) un'opinione, contraria a quella del P.M., volta ad una valutazione soltanto politica, nell'ambito del sistema italiano di quegli anni, dell'operato dell'on. L.M..
Scrive, difatti, il P.M. che, "alla stregua di quanto dichiarato sia dal Giusto che dal Curatola che dal M., l'operazione congegnata per fare avere al candidato G. il necessario appoggio politico da parte della locale famiglia mafiosa non solo ebbe l'avallo ma fu verosimilmente ideata e stimolata dallo stesso L.M.U., che, per cinico calcolo elettorale, ritenne conveniente richiedere i voti anche all'organizzazione mafiosa". La sensazione tratta dal sen. M., al di là della sua corrispondenza alla realtà, si fondò, pertanto, su fatti ben precisi ed oggettivamente discrepanti con il suo ricordo e il suo intendimento relativi alla deposizione resa, e da quei fatti la critica espressa pubblicamente in sede di convegno non ebbe poi a manifestarsi in un gratuito attacco personale al magistrato inquirente o in una ingiustificata invettiva circa la sua professionalità o moralità, assumendo di converso i connotati critici di una dichiarazione di inopportunità degli atti dello stesso, pur contenuti entro i limiti e nell'ambito delle norme di legge.
Critica che, se rivolta al Pubblico Ministero, deve ritenersi in via generale scriminata anche se espressa (e non è questo il caso) in forma offensiva, volta che il giudizio sia stato mantenuto nei ristretti limiti del significato espansivo dei termini usati impropriamente come sinonimi di quelli giuridici e comunque sia diretto ad investire non la persona sul piano della moralità individuale nè il magistrato su quello della dignità professionale, ma i vizi formali e di merito di un provvedimento e l'inopportunità e la potestatività di un atto, anche se consentita dalla norma.
Il secondo motivo, che denuncia, sotto altri aspetti, i medesimi vizi della sentenza impugnata, risulta assorbito dall'accoglimento della censura che precede.
Il ricorso è pertanto accolto.


P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di Cassazione, alla Corte di appello di Roma, in altra composizione.
Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2014.
Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2015