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Obbligo di diligenza non può invertire onere della prova per conoscenza del processo (Cass. 13802/21)

13 aprile 2021, Cassazione penale

Se si esaspera il concetto di "mancata diligenza" sino a trasformarla automaticamente in una conclamata volontà di evitare la conoscenza degli atti, ritenendola sufficiente per fare a meno della prova della consapevolezza della vocatio in ius per procedere in assenza, si farebbe una mera operazione di cambio nome e si tornerebbe alle vecchie presunzioni, il che ovviamente è un’operazione non consentita.

Corte di Cassazione

sez. II Penale, sentenza 10 marzo – 13 aprile 2021, n. 13802
Presidente Rago – Relatore Sgadari

Ritenuto in fatto

1. Con l’ordinanza in epigrafe, la Corte di Appello di Firenze rigettava la richiesta di rescissione del giudicato avanzata dal ricorrente in relazione alla sentenza del Tribunale di Firenze del 24 aprile del 2018, che lo aveva condannato per il reato di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 75, comma 2.
La Corte rilevava che l’imputato, in sede di identificazione avvenuta durante le indagini preliminari, ex art. 161 c.p.p., aveva nominato un difensore di fiducia, avv. Carmen Capoccia, eleggendo domicilio presso lo studio legale di questi.
Successivamente, il predetto difensore rinunciava al mandato e al ricorrente veniva nominato un difensore di ufficio, come tale indicato nel decreto che dispose il giudizio emesso dal GUP.
Al dibattimento, l’originario difensore di fiducia, dopo che il Tribunale aveva rilevato che la rinuncia al mandato non aveva esplicato i suoi effetti in quanto non comunicata all’imputato, era intervenuto in udienza, precisando di non aver potuto contattare il ricorrente in nessun modo - nonostante i tentativi alla sua utenza cellulare - e confermando la rinuncia all’incarico, cui seguiva la nomina di altro difensore di ufficio e la celebrazione del processo in assenza dell’imputato.
Per il che, la Corte riteneva che la mancata conoscenza del processo fosse stata dovuta a negligenza del ricorrente, "che avrebbe certamente potuto conferire col proprio difensore, se non altro telefonicamente o via mail".
2. Ricorre per cassazione L.F. , deducendo violazione di legge per non avere la Corte rilevato che la sua assenza fosse stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo, nessun elemento di segno contrario dimostrando l’effettiva conoscenza, a tanto non bastando l’elezione di domicilio presso un difensore di fiducia con il quale l’imputato non era mai entrato in contatto.

Considerato in diritto

Il ricorso è fondato.

1. La questione giuridica posta dal ricorso deve essere risolta alla luce della interpretazione dell’art. 420-bis c.p.p., comma 2, fornita dalla recente sentenza delle SS.UU. di questa Corte n. 23948 del 28/11/2019, dep. 2020, Darwish, della quale si trasfondono alcuni passaggi motivazionali nelle parti di interesse in relazione al caso di cui si discute.

Al paragrafo 11 di quella statuizione si legge: "va considerata la portata, ai fini della conoscenza del processo, della situazione "dell’imputato che nel corso del procedimento abbia dichiarato o eletto domicilio ovvero sia stato arrestato, fermato o sottoposto a misura cautelare ovvero abbia nominato un difensore di fiducia".

La prima osservazione è che si tratta di situazioni che necessitano di caratteri di effettività rispetto alle modalità con cui sono realizzate. Si fa riferimento ad aspetti quali la efficacia della scelta del domicilio, al consentire la misura cautelare l’effettiva conoscenza del procedimento, alla realizzazione del rapporto con il difensore di fiducia che accetti la nomina".

Più avanti, al paragrafo 11.3 si afferma: "gli indici di conoscenza dell’art. 420-bis c.p.p., comma 2, genericamente indicati nella disposizione, vanno interpretati secondo loro funzione.

Si pensi all’ipotesi del soggetto arrestato in flagranza per un qualsiasi reato che riesca a fuggire subito dopo la cattura, prima ancora della formalizzazione dell’attività della polizia giudiziaria e, soprattutto, della presentazione al giudice. Non è certo una situazione che consenta di ritenere la consapevolezza del processo, essendo, si ripete ancora, escluso che il processo in assenza sia una forma di sanzione. Lo stesso vale per la misura cautelare restata ineseguita per irreperibilità dell’indagato. L’interpretazione, invece, deve essere che la disposizione fa riferimento al caso in cui vi sia il regolare compimento del procedimento cautelare o precautelare, che prevede sempre il contatto con il giudice e la contestazione specifica degli addebiti. In caso contrario, si affermerebbe il contrario di quanto ripetutamente detto dalla Corte EDU in tema di latitanza.
Anche la nomina del difensore di fiducia va letta nel senso di effettività: perché abbia il rilievo della disposizione, sul presupposto del regolare rapporto informativo tra difensore ed assistito, va intesa quale nomina accettata".

Più in generale ed alla luce di questa cornice interpretativa, al paragrafo 13 e seguenti, si afferma: "È ora opportuno ampliare la valutazione di questa Corte alla complessiva portata delle ipotesi di cui l’art. 420-bis c.p.p. per comprendere in che termini la realizzazione delle date situazioni, in condizioni di effettività, consenta la dichiarazione di assenza anche se non vi sia stata notifica personale della vocatio in ius all’imputato.
13.1. Va considerato il contesto complessivo della disposizione: L’art. 420-bis c.p.p., comma 2, indica i casi in cui, sul presupposto ovviamente della regolarità delle notifiche, il giudice in fase di costituzione delle parti, verificati gli avvisi, possa procedere al processo ritenendo che vi sia assenza "volontaria". Si tralascia, per ora, il caso della "sottrazione alla conoscenza" di cui si dirà alla fine. Il fondamento del sistema è che la parte sia personalmente informata del contenuto dell’accusa e del giorno e luogo della udienza e, quindi, in necessaria applicazione dei principi sopra richiamati, il processo in assenza è ammesso solo quando sia raggiunta la certezza della conoscenza da parte dell’imputato. Questa, del resto, è la ragione per la quale il sistema, introducendo la regola di certezza della conoscenza del processo, ha escluso il diritto "incondizionato" al nuovo giudizio di merito in favore del soggetto giudicato in assenza.

Si noti, peraltro, che l’art. 420-quater c.p.p. prevede che, quando il giudice non abbia raggiunto la certezza della conoscenza della chiamata in giudizio da parte dell’imputato, deve disporre la notifica "personalmente ad opera della polizia giudiziaria".

La disposizione, quindi, dimostra come il sistema sia incentrato esclusivamente sulla effettività di tale conoscenza, senza alcuna presunzione.

13.2. Su questi presupposti, si comprende che l’art. 420-bis c.p.p., comma 2, nell’ottica di una comprensibile "facilitazione" del compito del giudice, ha tipizzato dei casi in cui, ai fini della certezza della conoscenza della vocatio in ius, può essere valorizzata una notifica che non sia stata effettuata a mani proprie dell’imputato.

Letto nel contesto della disposizione, quindi, l’aver eletto domicilio, l’essere stato sottoposto a misura cautelare, aver nominato il difensore di fiducia, sono situazioni che consentono di equiparare la notifica regolare ma non a mani proprie alla effettiva conoscenza del processo.

Non si tratta, quindi, di una presunzione che consenta di ritenere conosciuto il processo e non più necessaria la prova della notifica, ma di casi in cui, nelle date condizioni, è ragionevole ritenere che l’imputato abbia effettivamente conosciuto l’atto regolarmente notificato secondo le date modalità".

Infine e con particolare significato rispetto alla soluzione del caso all’esame, al paragrafo 14 viene precisato: "si rammenta come la disposizione, per la difesa dai "finti inconsapevoli", valorizzi, quale unica ipotesi in cui possa procedersi pur se la parte ignori la vocatio in ius, la volontaria sottrazione "alla conoscenza del procedimento o di atti del procedimento".

Evidentemente, si deve trattare di condotte positive, rispetto alle quali si rende necessario un accertamento in fatto, anche quanto al coefficiente psicologico della condotta.

L’art. 420-bis c.p.p. non "tipizza" e non consente di tipizzare alcuna condotta particolare che possa ritenersi tale; quindi non possono farsi rientrare automaticamente in tale ambito le situazioni comuni quali la irreperibilità, il domicilio eletto etc. Certamente la manifesta mancanza di diligenza informativa, la indicazione di un domicilio falso, pur se apparentemente valido ed altro, potranno essere circostanze valutabili nei casi concreti, ma non possono essere di per sé determinanti, su di un piano solo astratto, per potere affermare la ricorrenza della "volontaria sottrazione": se si esaspera il concetto di "mancata diligenza" sino a trasformarla automaticamente in una conclamata volontà di evitare la conoscenza degli atti, ritenendola sufficiente per fare a meno della prova della consapevolezza della vocatio in ius per procedere in assenza, si farebbe una mera operazione di cambio nome e si tornerebbe alle vecchie presunzioni, il che ovviamente è un’operazione non consentita".
2. Nel caso in esame, si osserva che la Corte di Appello - pur a fronte della prova positiva che il difensore di fiducia, nominato dall’imputato in fase di indagini preliminari all’atto della sua identificazione, non avesse avuto alcun contatto con il suo assistito (secondo le dichiarazioni dello stesso professionista, avv. Capoccia) e proprio in forza di ciò avesse rinunciato al mandato - ha ritenuto di presumere l’effettiva conoscenza del processo in capo all’imputato dalla circostanza che questi non avesse risposto alle chiamate telefoniche del difensore di fiducia e non si fosse adoperato per contattarlo a sua volta, qualificando tale condotta come "colpevole negligenza".
Applicando gli insegnamenti della sentenza delle SS.UU. prima citata, si rileva che, pur a fronte della presenza di due "indici di conoscenza" tra quelli indicati dall’art. 420-bis c.p.p., comma 2, costituiti dalla elezione di domicilio in fase di indagini preliminari seguita alla nomina di un difensore di fiducia, le circostanze del caso concreto - elezione di domicilio e nomina del difensore intervenute in fase di indagini preliminari, successiva rinuncia al mandato da parte del difensore, attestazione della mancata "presa di contatto" tra imputato e difensore di fiducia - non consentono di dedurre con il sufficiente grado di certezza che dietro il fatto che l’imputato non avesse risposto al telefono o non si fosse premurato di contattare il difensore di fiducia, si celasse l’effettiva volontà di sottrarsi alla conoscenza del processo.
Ne consegue che il provvedimento impugnato deve essere annullato con conseguente revoca della sentenza del Tribunale di Firenze indicata in premessa. con rinvio, al fine di consentire alla Corte di verificare se vi siano agli atti altri indici rivelatori di una effettiva conoscenza del processo in capo all’imputato attraverso, per esempio, contatti, allo stato non evidenziati, con il difensore di fiducia o con i difensori di ufficio o, comunque, altre circostanze significative alla luce dei principi di diritto prima indicati.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e, per l’effetto, revoca la sentenza del Tribunale di Firenze n. 2095 pronunciata in data 24 aprile del 2018 nei confronti di L.F. e dispone trasmettersi gli atti al medesimo Tribunale per il giudizio.