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Detenuto all'estero, è legittimo impedimento al processo in Italia? (Cass. 43200/22)

14 novembre 2022, Cassazione penale

Il diritto dell'interessato di partecipare personalmente al giudizio e di essere presente, soprattutto se egli sia sottoposto a restrizioni della libertà personale, costituisce espressione qualificata del fondamentale diritto di difesa.

il diritto di difesa è un diritto fondamentale dell'individuo e nell'ottica del processo "tendenzialmente" accusatorio, la partecipazione dell'imputato al processo è condizione indefettibile per il regalare esercizio della giurisdizione; essa afferisce al diritto di difesa e non è "conculcabile", potendo al più essere oggetto di rinuncia esplicita da parte del titolare dello stesso. Al diritto dell'imputato di partecipare al processo è riconosciuto rango costituzionale (art. 111 Cost.): un giudizio senza imputato può essere infatti celebrato solo a seguito di una opzione consapevole e volontaria dello stesso imputato.

La detenzione all'estero, anche per reato diverso da quello oggetto del giudizio, costituisce legittimo impedimento a comparire anche in udienza camerale, purché risultante dagli atti.

 

Corte di Cassazione

sez. II penale, ud. 28 settembre 2022 (dep. 14 novembre 2022), n. 43200
Presidente Diotallevi – Relatore Perrotti

Ritenuto in fatto

Con sentenza deliberata, all'esito dell'udienza camerale non partecipata del 11/2/2021, la Corte di appello di Potenza, investita dall'impugnazione proposta dagli imputati confermava la sentenza di primo grado, emessa a seguito di giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato.

Avverso tale pronuncia ricorrono gli imputati a mezzo del comune difensore di fiducia, che con motivi quasi integralmente sovrapponibili deduce:

1. Inosservanza della legge processuale prevista a pena di nullità (art. 178 c.p.p., lett. c, art. 599 c.p.p., D.L. 149 del 2020 art. 23), atteso che la Corte di merito aveva ritenuto di procedere nell'assenza degli imputati, ancorché tempestivamente informata (annotazione c.c. Stazione di Scalea in data 27 aprile 2019 e nota difensiva del 6 febbraio 2021) dello stato di detenzione all'estero (Romania ed Austria) degli stessi per altra causa, in quanto non risultava comunque manifestata -ai sensi dell'art. 23, comma 1 (D.L. cit.)- la volontà degli imputati di comparire in udienza camerale veicolata attraverso la richiesta del difensore di trattazione orale del processo. Con la conseguente nullità del giudizio celebrato in assenza e della sentenza impugnata, atteso che il legittimo impedimento a comparire era stato rappresentato dal difensore anche con le conclusioni scritte depositate per l'udienza dell'11 febbraio 2021;

2. violazione della legge penale sostanziale (art. 606 c.p.p., comma 1., lett. b), avendo la Corte di merito confermato la qualificazione giuridica del delitto di concorso in rapina, riconosciuto in primo grado, laddove la descrizione dell'occorso induceva a ritenere che il fatto potesse qualificarsi come concorso anomalo nel delitto di furto con strappo commesso dalla minorenne separatamente giudicata;

3. vizi di motivazione e violazione di legge (art. 606, comma 1, lett. b, c, e), avendo la Corte di merito omesso di motivare in ordine alla richiesta prevalenza delle attenuanti generiche, già riconosciute in giudizio di equivalenza in primo grado, ed avendo pure errato nella individuazione del minimo edittale previsto per il delitto di rapina non aggravato al momento del fatto (6/11/2015, anni tre di reclusione, oltre la multa).

Considerato in diritto

1. Il primo motivo di ricorso è fondato; restano assorbiti dalla decisione processuale i successivi due argomenti di carattere sostanziale.

1.1. Nella fattispecie processuale portata all'attenzione della Corte risulta che gli imputati all'atto della loro rispettiva liberazione avevano dichiarato domicilio in (omissis) ; presso tale domicilio la Corte tentò di notificare il decreto di citazione a giudizio; entrambi gli imputati risultarono tuttavia irreperibili presso l'indicato domicilio (v. relata di notifica in data 15 marzo 2019); il decreto di citazione per il giudizio di appello fu quindi notificato (per entrambi) presso il difensore, ai sensi dell'art. 161, comma 4, del codice di rito. Già con annotazione del 27 aprile 2019 la Corte era, tuttavia, stata edotta della detenzione (già in essere in allora) all'estero, per altra causa, degli imputati.

Correva pertanto l'obbligo di procedere alla notifica del decreto di citazione per il giudizio di appello agli imputati detenuti per altra causa (v. da ultimo, anche per la complessiva ricostruzione dell'istituto e la indicazione della giurisprudenza stratificatasi Sez. U., n. 12778, del 27/2/2020, Rv. 278869, che ha affermato il seguente principio di diritto: Le notificazioni effettuate, nei confronti dell'imputato detenuto, presso il domicilio dichiarato od eletto e non nel luogo di detenzione, danno luogo a nullità a regime intermedio, soggetta alla sanatoria prevista dall'art. 184 cod. proc. Pur volendo prescindere dal luogo di detenzione per altra causa degli imputati, incombeva sulla Corte procedente (che era stata edotta della condizione di detenzione ad altro titolo degli imputati) l'obbligo di notificare il decreto di citazione a giudizio presso il luogo di detenzione. Il legittimo impedimento a comparire e la stessa nullità del decreto di citazione era stato peraltro rappresentato dal difensore in sede di conclusioni scritte.

Ma v'è di più, giacché con nota del 6 febbraio 2021 il difensore di entrambi gli imputati aveva pure informato la Corte procedente dello stato di detenzione all'estero, per altra causa, degli stessi. La decisione della Corte -che riteneva di poter procedere in assenza degli imputati, atteso che non risultava in atti la richiesta di trattazione orale del procedimento o la manifestazione degli imputati di comparire in giudizio, talché l'impedimento sopravvenuto, non appariva rilevante- appare quindi eccentrica rispetto al tema processuale dedotto dalla difesa e comunque conosciuto dalla Corte di merito, edotta sul punto da precedente annotazione dei CC. Ciò che rileva nella fattispecie, non è tanto il rito emergenziale eletto dal difensore (che non ha tempestivamente richiesto la trattazione partecipata dell'udienza camerale), quanto piuttosto la nullità della citazione degli imputati per il giudizio di appello, giacché costoro risultavano (al momento della citazione) già detenuti all'estero per altro titolo.

1.2. Orbene ed a fortiori, quand'anche lo stato detentivo fosse sopravvenuto rispetto alla rituale citazione a giudizio, secondo il diritto vivente, la detenzione all'estero, anche per reato diverso da quello oggetto del giudizio, costituisce legittimo impedimento a comparire anche in udienza camerale, purché risultante dagli atti (Sez. 6, n. 14778, del 23/1/2020, Rv. 278760; Sez. 4, n. 47497 del 03/11/2011, Gasi, Rv. 251740; Sez. 2, n. 24535 del 29/05/2009, Volpe, Rv. 244252; più in generale sull'impedimento costituito dallo stato detentivo dell'imputato v.: Sez. U, n. 7635 del 30/9/2021, dep. 2022, Rv. 282806, in motiv. sub 9.1. e 10. Pag. 14, 15 e 16; Sez. U., n. 35399 del 24/6/2010, Rv. 24783701; Sez. U. Arena del 2006; negli stessi sensi: Sez. 6, n. 15139 del 11/11/2021, dep. 2022, in motiv., Rv. 283143; Sez. 3, n. 3958 del 12/11/2021, dep. 2022, Rv. 282888; Sez. 6, n. 36813 del 31/5/2018, n. m.; Sez. 6, n. 47594 del 14/11/2014, Rv. 261722).

Il giudice, pertanto, nel valutare la causa impeditiva dedotta nell'interesse dell'imputato anche dal difensore, deve attenersi alla natura della stessa e, ai sensi di quanto dispone l'art. 420 ter, comma 1, del codice di rito, informato dell'impedimento ha l'onere di differire l'udienza e procedere alla verifica della sussistenza dell'impedimento stesso, che nella fattispecie avrebbe anche inibito la richiesta di partecipazione (anche in forme diverse dalla presenza fisica) al giudizio.

Si tratta invero di una questione che involge un diritto fondamentale dell'individuo. Nell'ottica del processo "tendenzialmente" accusatorio, la partecipazione dell'imputato al processo è condizione indefettibile per il regalare esercizio della giurisdizione; essa afferisce al diritto di difesa e non è "conculcabile", potendo al più essere oggetto di rinuncia esplicita da parte del titolare dello stesso. Al diritto dell'imputato di partecipare al processo è riconosciuto rango costituzionale (art. 111 Cost.): un giudizio senza imputato può essere infatti celebrato solo a seguito di una opzione consapevole e volontaria dello stesso imputato.

Il principio in esame trova affermazione anche nella normativa convenzionale (art. 6, comma 3, lett. c), d), e), della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo; art. 14, comma 3, del Patto internazionale sui diritti civili e politici - adottato a New York il 16 dicembre 1966, reso esecutivo con L. 25 ottobre 1977, n. 881, ed entrato in vigore per l'Italia il 15 dicembre 1978-).

Il diritto di partecipare all'udienza rappresenta un requisito fondamentale dell'equo processo, ovvero una garanzia del principio della "parità delle armi"; si tratta, tuttavia, di un diritto non assoluto, posto che se ne ammettono tanto limitazioni dettate dall'esigenza di salvaguardare la corretta amministrazione della giustizia - qualora essa sia minacciata dall'abuso dei diritti della difesa - quanto limitazioni dipendenti da una legittima e volontaria rinuncia a comparire dinanzi al tribunale giudicante.

Le Sezioni unite di questa Corte (n. 35399 del 24/06/2010, RV. 247836), proprio in relazione al giudizio di appello di un processo celebrato nelle forme del rito abbreviato, hanno affermato il diritto fondamentale dell'imputato di essere presente nel giudizio camerale in cui si decide sulla sua responsabilità. Si è in quella sede chiarito come la mancata traduzione all'udienza camerale d'appello determina la nullità assoluta e insanabile del giudizio camerale e della relativa sentenza.

Al problema della tempistica della richiesta di partecipazione all'udienza camerale, la sentenza n. 35399 del 2010 dedica particolare attenzione. A differenza del giudizio ordinario, nel giudizio camerale di appello, a fortiori in quello disciplinato dalla normativa emergenziale ancor oggi in vigore "l'imputato detenuto ha l'onere di comunicare al giudice di appello la sua volontà di comparire" e il diritto alla partecipazione è correlato alla regolarità e alla tempestività dell'adempimento, ossia alla circostanza che "la comunicazione sia fatta con modalità tali da permettere la traduzione dell'imputato per l'udienza", non potendosi prescindere da un "bilanciarnento tra il diritto fondamentale dell'imputato di essere presente e la necessità di rispettare le caratteristiche di snellezza e celerità del rito prescelto dal medesimo imputato e di assicurare che la durata del processo non sia irragionevolmente e senza necessità prolungata per effetto di condotte dell'imputato maliziose o non giustificate" (da ultimo, sul tema, Sez. U., n. 11803 del 27/02/2020, Ramundo, Rv. 278491).

Si tratta di una interpretazione che trova conforto nella sentenza della Corte costituzionale n. 45 del 1991, la quale, con riferimento al procedimento di riesame, ha chiarito l'assoluta importanza dell'instaurazione del contraddittorio di fronte al giudice che dovrà assumere la decisione ed ha riconosciuto che l'imputato detenuto è certamente titolare di un interesse ad essere presente all'udienza per contrastare, se lo voglia, le risultanze probatorie ed indicare eventualmente altre circostanze a lui favorevoli. D'altra parte, il diritto-dovere del giudice di sentire personalmente l'imputato, e il diritto di quest'ultimo di essere ascoltato dal giudice che dovrà giudicarlo, rientrano nei principi generali d'immediatezza e di oralità cui s'informa l'attuale sistema processuale (nello stesso senso, Corte Cost. n. 31 del 2017). Dunque, il diritto dell'interessato di partecipare personalmente al giudizio e di essere presente, soprattutto se egli sia sottoposto a restrizioni della libertà personale, costituisce espressione qualificata del fondamentale diritto di difesa.

1.3. Quanto alla disciplina emergenziale, esplicitamente fondante la decisione processuale della Corte territoriale, è necessario fare riferimento al D.L. n. 137 del 2020 artt. 23 e ss., convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176. Con la legge di conversione è stata attuata la fusione, per incorporazione, nel testo del D.L. n. 137 del 2020, dei successivi decreti-legge c.d. "Ristori" -bis - ter e -quater, contestualmente abrogati, le cui disposizioni sono state trasfuse integralmente nel primo, divenuto il testo di riferimento per le norme emergenziali. In particolare, sono state riportate le previsioni precedentemente contenute nel D.L. n. 149 del 9 novembre 2020, artt. 23-24 (c.d. decreto Ristori-bis) - relative alla celebrazione e decisione dei giudizi penali d'appello e alla sospensione del corso della prescrizione e dei termini di custodia cautelare nei procedimenti penali e dei termini dei procedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati- ora divenute, rispettivamente, gli artt. 23-bis e 23-ter dell'articolato. L'art. 23 bis della legge indicata, espressamente dedicato al processo penale di appello, prevede che a decorrere dal 9 novembre 2020 e fino al 31 aprile 2021, ad eccezione dei casi di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale ex art. 603 c.p.p., le udienze di appello si celebrano in camera di consiglio, senza la partecipazione del pubblico ministero e dei difensori, salvo che le parti private o il p.m. espressamente richiedano la discussione orale ovvero che "l'imputato manifesti la volontà di comparire" (comma 1). Il comma 2 prescrive, conseguentemente e coerentemente con l'assetto limitativo delle garanzie processuali, le regole per la discussione finale, secondo le quali le conclusioni devono essere formulate con atto scritto e trasmesse alla cancelleria della Corte d'appello per via telematica. Dalla norma in esame si evince che l'udienza di appello non si celebra in camera di consiglio senza la partecipazione delle parti se: a) le parti private o il p.m. chiedano la discussione orale; b) se l'imputato manifesti la volontà di comparire. L'udienza, dunque non si celebra in camera di consiglio senza la partecipazione del pubblico ministero e dei difensori, anche se, nonostante nessuna delle parti chieda la discussione orale, l'imputato manifesti la volontà di comparire. Oltre al L. n. 176 del 2020 art. 23-bis, assume rilievo l'art. 23, rubricato "Disposizioni per l'esercizio dell'attività giurisdizionale nella vigenza dell'emergenza epidemiologica da COVID-19". All'interno dei commi 3, 4 e 5 dell'art. 23, specificamente destinati ai giudizi penali, si fa a più riprese riferimento alle "udienze penali", senza alcuna specificazione in punto di fase o grado processuale in cui l'udienza medesima debba svolgersi. Il comma 4 dell'art. 23 garantisce la partecipazione a distanza a "qualsiasi udienza" delle persone "detenute, internate, in stato di custodia cautelare, fermate o arrestate", mediante esplicito richiamo ai commi 3, 4 e 5 dell'art. 146-bis disp. att. c.p.p., cioè alla norma processuale generale disciplinante la partecipazione a distanza al dibattimento penale. Il sistema prevede un generale incomprimibile diritto dell'imputato di partecipare all'udienza e prevede, come nel caso di specie, per gli imputati detenuti che la partecipazione a "qualsiasi udienza" sia garantita a distanza. Il quadro normativo emergenziale di riferimento corrobora dunque il principio di diritto più volte ribadito da questa Corte con le decisioni (anche a Sez. U.) sopra richiamate.

1.4. Ciò che viene in rilievo nella fattispecie è: l'impedimento assoluto a comparire eterodeterminato; la difficoltà pratica per gli imputati detenuti all'estero di comunicare al giudice che procede la volontà di comparire in giudizio; la comunicazione al giudice che procede della causa impeditiva e la conseguente conoscenza dell'impedimento. Il che avrebbe dovuto indurre, proprio ai sensi dell'art. 420 ter, comma 1, c.p.p., la Corte quanto meno a differire l'udienza al fine di informare gli imputati del processo ed acquisire la esplicita rinunzia a presenziare in giudizio.

2. Si impone pertanto l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata e la conseguente trasmissione gli atti al Corte di appello di Salerno, per ulteriore corso (citazione a giudizio, verificandone l'effettività, nuovo giudizio, con avviso agli imputati della facoltà di chiedere, ove impossibilitati a presenziare in udienza, la partecipazione a distanza).

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti alla Corte di appello di Salerno, per ulteriore corso.