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DC9 precipita ad Ustica: nessuna prova per alto tradimento (Cass. 9174/07)

2 marzo 2007, Cassazione penale

L'istruttoria per attentato contro organi costituzionali e alto tradimento, derubricata in primo grado in quella di alto tradimento commesso con atti diretti a turbare le attribuzioni del Governo mediante la trasmissione di false informazioni sul coinvolgimento di altri aerei nel disastro aereo del DC9 ad Ustica del 27 giugno 1980 si è  limitata ad acquisire un’imponente massa di dati dai quali peraltro non è stato possibile ricavare elementi di prova a conforto della tesi di accusa.

L'assoluzione ai sensi dell'art. 530 c.p.p., comma 2 con la formula "perchè il fatto non sussiste" costituisce un completo e pieno riconoscimento dell'innocenza degli imputati dai reati contestati senza alcuna riserva o aspetto che possa in qualche modo mettere in dubbio una pronunzia assolutamente liberatoria.

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

(ud. 10/01/2007) 02-03-2007, n. 9174

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GEMELLI Torquato - Presidente

Dott. CANZIO Giovanni - Consigliere

Dott. CORRADINI Grazia - Consigliere

Dott. URBAN Giancarlo - Consigliere

Dott. CASSANO Margherita - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

1) PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI;

contro

2) MINISTERO DELLA DIFESA;

contro

3) B.L., N. IL (OMISSIS);

4) F.F., N. IL (OMISSIS);

avverso SENTENZA del 15/12/2005 CORTE ASSISE APPELLO di ROMA;

visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. URBAN GIANCARLO;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. CIAMPOLI L. che ha concluso l'annullamento senza rinvio mutando la formula di evoluzione; inammissibilità del ricorso della parte civile pubblica.

Udito, per la parte civile l'Avv.to ME; Avv.to GA; Avv.to GA; Avv.to MCR;

Avv.to ML in sost. Avv.to (Ndr: testo originale non comprensibile) G.; Avv. SCALONI Mario; Avv.to PD.

Uditi i difensori degli imputati Avv. CV, Avv. FG.

Svolgimento del processo


1. Con sentenza del 15 dicembre 2005 la Corte d'Assise d'Appello di Roma in riforma della sentenza pronunziata il 30 aprile 2004 dalla Corte d'Assise di Roma, su appello degli imputati B. L. e F.F., del Procuratore Generale, del Procuratore della Repubblica di Roma e delle parti civili costituite assolveva - ai sensi dell'art. 530 c.p.p., comma 2 - gli stessi imputati perchè il fatto non sussiste.

L'originaria contestazione, in ordine ai reati di cui agli artt. 81 cpv., 110, 289 c.p. (attentato contro organi costituzionali) e art. 77 c.p.m.p. (alto tradimento) era stata derubricata in primo grado in quella di alto tradimento ai sensi dell'art. 289 c.p., comma 2 e art. 77 c.p.m.p. commesso con atti diretti a turbare le attribuzioni del Governo mediante la trasmissione di false informazioni sul coinvolgimento di altri aerei nel disastro aereo (di Ustica, ndr) del 27 giugno 1980;

in ordine a tale contestazione la Corte d'Assise di Roma aveva dichiarato non doversi procedere perchè il reato era estinto per prescrizione; aveva assolto con formula ampia gli stessi ed altri imputati da altre ipotesi criminose.

Il presente processo riguarda il preteso coinvolgimento di personale militare addetto al controllo del traffico aereo nella vicenda del disastro del 27 giugno 1980 ai danni dell'aereo della società Itavia con la morte di 77 passeggeri e 4 componenti dell'equipaggio, senza nessun superstite.

Con sentenza - ordinanza del 31 agosto 1999 il Giudice Istruttore dichiarò non doversi procedere in ordine al delitto di strage perchè ignoti gli autori del reato e dispose il rinvio a giudizio dei generali B., F. ed altri in ordine al reato sopra precisato.

L'ipotesi dell'accusa si fonda sulla pretesa esistenza di tracce (in gergo tecnico denominate "plot", individuati con i numeri - 17 e - 12) che furono rilevati da uno solo dei radar attivi la sera del disastro e cioè dal radar (OMISSIS). Altri radar più moderni e più sensibili di quello indicato e quelli dislocati in altre località non rilevarono detti plot. Il giudice di primo grado dedusse da tali elementi "una probabilità apprezzabile" della presenza di almeno un velivolo nei pressi dell'aereo Itavia. La sentenza impugnata ha invece ritenuto che non trattandosi di "elevata probabilità logica" ovvero di "probabilità prossima confinante con la certezza" sulla presenza di altro aereo in zona, questa sola conoscenza non fosse sufficiente a formulare ipotesi di alcun tipo se non supportata da altri elementi. Da tali premesse discende che l'informativa inviata dallo Stato Maggiore dell'Aeronautica in data 20 dicembre 1980 a firma del gen. F. d'intesa con il gen. B. e indirizzata allo Stato Maggiore della Difesa ed alle Autorità Politiche non conteneva informazioni errate ovvero fuorvianti rispetto ai dati reali acquisiti dagli organi preposti al controllo del traffico aereo.

2. Propone ricorso per Cassazione il Procuratore Generale della Repubblica osservando in via preliminare l'esistenza dell'interesse ad impugnare, poichè la formula assolutoria decisa dalla Corte d'Assise di Appello era preclusiva nel giudizio civile per le restituzioni e per il risarcimento del danno. In realtà i giudici dell'appello avrebbero dovuto pervenire ad una dichiarazione di non doversi procedere per estinzione del reato per prescrizione ai sensi dell'art. 129 c.p.p. in conformità alla copiosa giurisprudenza della Corte di Cassazione, tenuto conto che non sarebbe stata affatto evidente l'insussistenza della prova, come ritenuto dalla Corte d'Assise d'Appello di Roma. Al contrario, secondo il P.G. ricorrente, esisterebbero numerosi indizi che dimostrerebbero la presenza di altri aerei che si trovavano nella stessa zona al momento del disastro; numerose telefonate sarebbero intercorse in quel frangente tra i vari responsabili della difesa aerea e con l'Ambasciata americana; la N.A.T.O. avrebbe confermato la presenza di una portaerei nel Mediterraneo.

Il P.G. ricorrente rileva, quindi, che il reato per il quale si procede (o, più esattamente, per l'ipotesi originariamente contestata di cui all'art. 289 c.p., comma 1, trattandosi non già di "turbativa", come prevede il comma 2, ma di "impedimento") è stato abrogato dalla L. 24 febbraio 2006, n. 85 e quindi la Corte di Cassazione dovrebbe dichiarare che il fatto non è previsto dalla legge come reato. Tale formula sarebbe quindi in ogni caso prevalente su ogni altra pronunzia di assoluzione nel merito o di non doversi procedere per estinzione del reato, ai sensi dell'art. 129 c.p.p., comma 1. 3. L'Avvocatura dello Stato, nell'interesse della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero della Difesa si riporta alle stesse conclusioni del ricorso del Procuratore Generale.

4. I difensori del gen. F., premesso l'apprezzamento per la attenta e completa disamina del caso compiuta dai giudici dell'appello, anche in presenza di un esasperato interesse dell'opinione pubblica di trovare comunque un responsabile, ribadiscono che la sentenza assolutoria della Corte d'Assise d'Appello è stata pronunziata non già per insufficienza o per contraddittorietà della prova, ma per assoluta mancanza di prova.

Rilevano quindi l'inammissibilità del ricorso della Procura Generale per carenza di interesse ad impugnare, non avendo l'eventuale annullamento della sentenza impugnata alcuna conseguenza sul piano della tutela dell'interesse pubblico; nè gli interessi delle parti civili private sono stati coltivati in qualche modo.

Con il secondo motivo si rileva poi la genericità della censura e in ogni caso l'inammissibilità della diversa interpretazione da parte della Corte di legittimità degli elementi di prova acquisiti.

Con il terzo motivo si rileva la mancata indicazione della norma penale che sarebbe stata violata, posto che la diversa formula assolutoria richiesta a seguito della novella legislativa del 2006 non rientrerebbe in alcuna delle censure tassativamente previste per il ricorso per cassazione (art. 524 c.p.p. 1930). Peraltro, l'infondatezza della questione sollevata nel ricorso del P.G. sulla gerarchia tra le formule di assoluzione emergerebbe chiaramente dai principi enucleabili dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione.

5. Anche la difesa dell'imputato gen. B. ha depositato una memoria nella quale si sostiene l'inammissibilità del ricorso del P.G..

In primo luogo si rileva come la giurisprudenza ritenga inammissibile il ricorso del P.M. che abbia fatto valere - come nel caso di specie - esclusivamente interessi propri della parte civile, surrogandosi in tal modo all'inerzia della stessa.

Si rileva quindi la mancanza del requisito della specificità dei motivi, espressamente richiesta sia dal codice di procedura penale del 1930 (art. 524) che da quello vigente (art. 606). La diversa formula assolutoria non sembra infatti violare alcuna norma di legge che comporti la sanzione della nullità, inammissibilità o decadenza. Erronea e fuorviante sarebbe poi l'equiparazione che viene fatta dai ricorrenti tra l'assoluzione ai sensi dell'attuale art. 530 c.p.p., comma 2 e quella "per insufficienza di prove" di cui al codice del 1930 (art. 479, comma 3). Nella specie nessun dubbio può sorgere sulla espressa pronunzia della Corte d'Assise d'Appello che ha assolto gli imputati per assoluto difetto di prova e non già per contraddittorietà o insufficienza della stessa. E la norma di cui all'art. 129 c.p.p. nel concorso tra diverse formule di assoluzione privilegia quella più favorevole per l'imputato, nella specie avuto riguardo alla lunga e complessa istruttoria dibattimentale e non già all'abolitio criminis entrata in vigore dopo l'ultimazione del giudizio di appello.

6. Ha depositato una memoria l'avv. AG per le parti civili B.D. ed altri; si ripercorre il ricorso del Procuratore Generale per osservare che il dispositivo della sentenza in questione presupporrebbe la qualificazione giuridica del fatto come integrante l'ipotesi di cui all'art. 289 c.p., comma 1 perchè in caso contrario avrebbe dovuto mantenere ferma la pronunzia di non doversi procedere per estinzione del reato per prescrizione. Si riporta quindi alle conclusioni formulate dal P.G. nel suo ricorso.

Il difensore dell'imputato gen. F. ha controdedotto sul tale questione contestando la tesi della configurabilità del fatto come il reato di cui all'art. 289 c.p., comma 1; ha quindi insistito per l'inammissibilità dell'appello delle parti civili perchè proposto fuori dei casi consentiti e da parte di difensori sprovvisti di valida procura ad impugnare.

Motivi della decisione

7. Premesso che con ordinanza 11 luglio 2006 il giudice di appello ha dichiarato inammissibile il ricorso delle parti civili (private) per omessa presentazione dei motivi, ritiene il Collegio inammissibile per carenza di interesse il ricorso del Procuratore Generale.

Va osservato che l'assoluzione ai sensi dell'art. 530 c.p.p., comma 2 con la formula "perchè il fatto non sussiste" costituisce un completo e pieno riconoscimento dell'innocenza degli imputati dai reati contestati senza alcuna riserva o aspetto che possa in qualche modo mettere in dubbio una pronunzia assolutamente liberatoria. E' erronea l'opinione che detta formula assolutoria in qualche modo richiami l'assoluzione per insufficienza di prove prevista dall'art. 479 c.p.p., comma 3 (del 1930); basta la semplice comparazione dei testi normativi: nel testo del 1930 si prevedeva la assoluzione per insufficienza di prove quando non risultassero "sufficienti prove per condannare"; nel testo del 1988 (art. 530 c.p.p., comma 2) "il giudice pronuncia sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l'imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile".

In questa stessa ottica, la Corte di Cassazione ha ritenuto che "nel caso di formula assolutoria accompagnata dalla indicazione dell'art. 530 c.p.p., comma 2, l'interesse dell'imputato ad impugnare (nella specie preteso pregiudizio morale, per il "dubbio") non può ricavarsi dal richiamo, nel dispositivo, del predetto comma dell'articolo citato, poichè tale richiamo non è indicativo di un'assoluzione per dubbio (vedi le varie ipotesi previste), neanche per gli "operatori del diritto". Infatti, bisogna comunque attingere alla motivazione, perchè non è vero che la distinzione tra il primo ed l'art. 530 cod. proc. pen., comma 2, se il comma 2 è esplicitato nel dispositivo, fa "resuscitare" la formula dubitativa." (Cass. Sez. 3^, 20 maggio 1993 ric. Cancelli, RV 195118).

Anche per quanto riguarda l'interesse ad impugnare dell'imputato assolto ai sensi dell'art. 530 c.p.p., comma 2, la giurisprudenza più recente è orientata nel senso che deve essere valutato di volta in volta, in relazione agli elementi di prova raccolti e alla conseguente individuazione di punti oscuri, in ordine ai quali può essere riconosciuta l'esigenza di fare chiarezza mediante l'acquisizione di ulteriori elementi che portino ad accertare in modo più ampio possibile la verità (Cass. Sez. 5^, 21 settembre 2004, RV 230112; Cass. Sez. 6^, 17 giugno 1998 ric. Mazzilli, RV 212226).

Nella specie, la sentenza impugnata si è soffermata in più punti per sottolineare l'assoluta mancanza di prova a carico degli imputati in ordine ai reati contestati, con la conseguenza che si precisa espressamente che la formula assolutoria "perchè il fatto non sussiste" è riferita alla prima delle ipotesi indicate dall'art. 530 c.p.p., comma 2 e cioè alla "mancanza" della prova e non già all'insufficienza o alla contraddittorietà.

Questo spiega perchè, quand'anche gli imputati avessero proposto ricorso, allo scopo di ottenere una formula assolutoria più favorevole, sulla base della giurisprudenza richiamata, essi avrebbero difficilmente potuto sostenere l'esistenza di un interesse concreto e attuale (art. 190 c.p.p., comma 4 previgente e art. 568 c.p.p., comma 4 vigente) tenuto conto del significato che la legge ha conferito alla assoluzione ai sensi dell'art. 530 c.p.p., comma 2 e delle motivazioni presenti nella sentenza della Corte d'Assise d'Appello.

Ciò posto, deve essere presa in esame la questione dell'interesse del Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Roma ad impugnare la sentenza, per il mutamento della formula assolutoria "perchè il fatto non sussiste", in quella "il fatto non è più previsto dalla legge come reato", in conseguenza dell'entrata in vigore della L. 24 febbraio 2006, n. 85 che ha modificato la norma incriminatrice, con la previsione che l'attentato contro gli organi costituzionali e contro le assemblee regionali (art. 289 c.p.) si realizza soltanto "mediante atti violenti": il che è sicuramente escluso nella specie.

Il ricorso si pone il problema dell'interesse ad impugnare e, richiamata la giurisprudenza di legittimità sul punto (Cass. SS.UU. 24 marzo 1995 ric. P.M. in proc. Boido, RV 202018 e Cass. Sez. 3^, 19 febbraio 1993, ric. P.M. in proc. Sardina. RV 193566), giunge alla conclusione che il Pubblico Ministero, per la natura pubblica che lo caratterizza e per la funzione di vigilanza sull'osservanza delle leggi e sulla pronta e regolare amministrazione della giustizia a lui demandata dall'ordinamento giudiziario (art. 73), avrebbe un interesse ad impugnare ogni volta che sia ravvisabile la violazione o l'erronea applicazione della legge. Tale potere è, secondo la citata giurisprudenza di legittimità, condizionato dalla concretezza e dall'attualità dell'interesse della Pubblica Accusa, non essendo sufficiente l'interesse ad una pronunzia solo teoricamente corretta.

Secondo il P.G. ricorrente anche nella richiesta sopra riportata sarebbe ravvisabile tale interesse concreto ed attuale, ma non viene precisato quale possa essere se non quello proprio delle parti civili a far valere le proprie pretese risarcitorie, poichè, come viene riconosciuto nello stesso ricorso, l'assoluzione con la formula "il fatto non sussiste" sarebbe preclusiva nel giudizio civile per le restituzioni e per il risarcimento del danno, tanto nell'attuale ordinamento (art. 652 c.p.p.) che in quello del 1930 (art. 25 c.p.p.) dopo l'intervento della Corte Costituzionale con sentenza n. 165 del 1975.

Sul punto, però, si è ritenuto che "... il pubblico ministero, siccome estraneo al rapporto processuale civile instauratosi incidentalmente nel processo penale tra il soggetto danneggiato dal reato e l'imputato e, come tale, indifferente ai profili di soccombenza propri dell'azione civile risarcitoria, non appare legittimato a impugnare un provvedimento all'esclusivo fine di tutelare gli interessi civili della parte privata, così surrogandosi all'inerzia di quest'ultima la quale, rimanendo acquiescente alla decisione a sè pregiudizievole, ha invece consentito il formarsi del giudicato sul punto". (Cass. Sez. 1^, 6 marzo 1998 ric. Gargano ed altro, RV 210126).

Tale orientamento, già presente nel codice di rito del 1930, è stato recepito anche nell'attuale quale espressione dell'accessorietà della pretesa fatta valere dalle parti private nel processo penale e delle finalità di perseguimento dell'interesse pubblico proprie della pretesa punitiva dello Stato, della quale è titolare la Pubblica Accusa.

Nella medesima prospettiva deve essere letta anche la disposizione di cui all'art. 572 c.p.p. vigente - che peraltro non ha una corrispondente norma nel codice di rito previgente - che consente alla parte civile o alla persona offesa di proporre istanza motivata al pubblico ministero di proporre impugnazione "a ogni effetto penale", mentre non è prevista analoga istanza al fine di far valere i soli interessi civili.

Va altresì rilevato, a conforto dell'inammissibilità della richiesta del Procuratore Generale, che l'art. 673 c.p.p., nel disciplinare la revoca della sentenza per abolizione del reato, dispone che "Nel caso di abrogazione o di dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice, il giudice dell'esecuzione revoca la sentenza di condanna o il decreto penale dichiarando che il fatto non è previsto dalla legge come reato e adotta i provvedimenti conseguenti". Tale disposizione presuppone dunque la presenza di una sentenza di condanna: in caso di proscioglimento nel merito, non esiste alcun interesse a prevenire ad una rettifica della formula di proscioglimento.

Si deve quindi concludere per l'inammissibilità del ricorso proposto dal Procuratore Generale.

8. Quanto al ricorso proposto nell'interesse della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero della Difesa, l'Avvocatura Generale dello Stato si è limitata a riprodurre "pedissequamente" il testo del ricorso del Procuratore Generale, facendo proprie le tesi da questo sostenute, che peraltro non conducono alle stesse conclusioni per la parte civile, portatrice di un interesse concreto ed attuale, che si identifica nella possibilità di far valere in sede civile le pretese risarcitorie e restitutorie.

A tal fine, le parti civili ricorrenti deducono che il giudice pronunzia sentenza assolutoria nel merito, pur in presenza di causa estintiva del reato, a mente dell'art. 129 c.p.p., soltanto quando emerga in modo assolutamente non contestabile che il fatto non esiste, o che esso non ha rilievo sul piano penale ovvero che l'imputato non lo ha commesso: tanto che la valutazione da compiersi apparterrebbe più al concetto di "constatazione" che a quello di "apprezzamento". In questa prospettiva sì indicano alcuni precedenti giurisprudenziali della Corte di Cassazione. Si aggiunge poi che "la regola di giudizio di cui all'art. 530 c.p.p., comma 2 ... non può trovare applicazione in presenza di causa estintiva del reato. In tale situazione vale la regola di cui all'art. 129 cod. proc. pen. - omologo al previgente art. 152 c.p.p. -, in base alla quale in presenza di causa estintiva del reato, l'inizio di prova ovvero la prova incompleta in ordine alla responsabilità dell'imputato non viene equiparata alla mancanza di prova, ma, per pervenire ad un proscioglimento nel merito soccorre la diversa regola di giudizio, per la quale deve "positivamente" ("...risulta evidente" art. 129 c.p.p., comma 2) emergere dagli atti processuali, senza necessità di ulteriore accertamento, l'estraneità dell'imputato per quanto contestatogli." (Cass. Sez. 5^, 2 dicembre 1997 ric. Fratucello, RV 209802).

Secondo le parti civili ricorrenti nella specie sarebbe da escludere l'evidenza dell'estraneità degli imputati alle contestazioni loro mosse: si richiamano a tal fine le valutazioni del giudice di primo grado, che è pervenuto alla dichiarazione di non doversi procedere per estinzione del reato per prescrizione.

L'assunto è però smentito da tutta la motivazione della sentenza della Corte d'Assise d'Appello, che sottolinea in modo fermo e costante, in più punti, la "mancanza di prova" sulla responsabilità dei due imputati. A titolo esemplificativo si richiama quanto, tra l'altro, è stato affermato dai giudici di secondo grado:

- a pag. 48: "si sarebbero condannati o ritenuti responsabili di un reato persone nei cui confronti vi era un difetto assoluto di prova";

- a pag. 50: "la corte ritiene di dover assolvere i due imputati dal reato loro ascritto sia in epigrafe sia da quello ritenuto nella sentenza di primo grado perchè il fatto non sussiste";

- a pag. 51: "ma ciò che la Corte tiene a precisare, a seguito dell'impugnativa della Procura Generale e di quella della Procura di Roma per cui la sua cognitio è piena e non ridotta dalla decisione di primo grado, che, comunque, non di turbativa si sarebbe trattato ma di impedimento"; e ancora: "in termini di certezza nulla è emerso dalle perizie e dalle consulenze tecniche";

- a pag. 68; "l'esistenza di un velivolo che volava accanto al DC9 ITAVIA e ' supportato solo da ipotesi, deduzioni, probabilità e da basse percentuali e mai da certezza. Non e ' stato raggiunto cioè un risultato di ragionevole certezza su un presunto velivolo che avrebbe volato accanto o sotto il DC9 ITAVIA ...ma sono emerse solo mere probabilità di significato, quindi, dichiaratamente neutro";

- a pag. 99 si riportano le dichiarazioni dell'imputato di reato connesso R.G.: "ma è proprio l'assenza di plot successivi in prossimità alla traiettoria dell'aeromobile che mi ha fatto scartare immediatamente l'ipotesi della collisione";

- a pag. 103: "il B. fu rassicurato dal gen. M. dell'inesistenza di una collisione e di altro traffico aereo";

- a pag. 105: "non risulta un elemento sostanziale e concreto di prova di averlo riferito al B.;

- a pag. 109: vi sono solo deduzioni, ipotesi, verosimiglianze, "non poteva non sapere", "rilievi di ordine logico", ma nulla che abbia la veste non solo di una prova ma anche di un indizio;

- a pag. 112: "Già questo elemento porta ad escludere la prova sulla conoscenza dei due plot da parte del B.";

- a pag. 113: "manca quindi ogni elemento di prova con il quale si possa sostenere tutto quanto enunciato in via di proposizione accusatoria";

- a pag. 116: "il B., pertanto, non ha omesso di comunicare al Governo nulla in quanto nulla effettivamente gli risultava per cui deve essere assolto anche dall'accusa minore di cui alla sentenza di primo grado perchè il fatto non sussiste per mancanza assoluta di prova";

- a pag. 126: "anche nei confronti del F. per il quale manca del tutto una prova analoga";

- a pag. 127: "non vi è prova di manipolazione o alterazione o riduzione di tali dati e anche il B. e il F. devono essere assolti da tale accusa"; "anche in questo caso (e cioè la responsabilità del solo F. quando il B. si era recato all'estero) manca la prova e vi è solo una deduzione";) Si deve quindi porre in evidenza che la sentenza di appello, ben lungi da una valutazione perplessa, secondo quanto sostenuto dalla parti civili ricorrenti, ha ritenuto invece in modo chiaro ed esplicito che la prova dei fatti contestati sia del tutto mancata e quindi la formula assolutoria recepita, ai sensi dell'art. 530 c.p.p., comma 2., si è riferita alla prima delle ipotesi previste dalla stessa norma e cioè alla "mancanza" della prova e non già alla "insufficienza" ovvero alla "contraddittorietà" della stessa.

Non si è, pertanto, in presenza di una prova incompleta, poichè all'esito di una lunga e complessa istruttoria formale da parte del Giudice Istruttore (durata 19 anni e conclusa con una sentenza- ordinanza di 5468 pagine), seguita da quella dibattimentale con 272 udienze, è stata acquisita una imponente massa di dati, dai quali peraltro non è stato possibile ricavare elementi di prova a conforto della tesi di accusa.

Deve quindi essere ribadito il principio per il quale, nel concorso tra diverse possibilità di formule assolutorie, o nel concorso di formule assolutorie con cause di estinzione del reato, in base alle regole di cui all'art. 129 c.p.p. (analogamente alla corrispondente regola contenuta nell'art. 152 c.p.p. previgente) deve essere in ogni caso privilegiata la formula di proscioglimento più ampia, sempre che sia assistita da una situazione probatoria evidente. Vale a dire, anche nel caso di "abolitio criminis" il giudice è tenuto a verificare se allo stato degli atti non risulti già evidente che il fatto non sussiste, che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato (in tal senso: Cass. Sez. 3^, 23 giugno 1993 ric. Steinhauslin ed altri, RV 195202; Cass. Sez. 5^, 6 dicembre 2000 RV 218804).

Per concludere, la sentenza impugnata in quanto rispettosa dei principi sopra ricordati, non è censurabile; e non può di conseguenza trovare spazio la richiesta avanzata dalle parti civili ricorrenti di applicare la nuova legge introdotta nel 2006, che ha abrogato l'ipotesi di reato contestata nel senso che la assoluzione andrebbe pronunciata con la formula "perchè il fatto non è più previsto dalla legge come reato".

Al rigetto del ricorso delle parti civili Presidenza del Consiglio dei Ministri e Ministero della Difesa segue la condanna delle stesse al pagamento delle spese processuali e dell'equa somma di Euro 500,00 ciascuna in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Sezione Prima Penale, dichiara inammissibile il ricorso del Procuratore Generale;

rigetta il ricorso delle parti civili Presidenza del Consiglio dei Ministri e Ministero della difesa che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 500,00 ciascuna alla Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2007.

Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2007