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Dati personali e uso giudiziario senza consenso (Cass. civ., 7783/14)

4 aprile 2014, Cassazione civile

La legislazione in tema di privacy permette di prescindere dal consenso dell'interessato quando il trattamento dei dati sia necessario per far valere o difendere un diritto in giudizio, pur se tali dati non riguardino una parte del giudizio in cui la produzione viene eseguita: unica condizione richiesta è che la produzione sia pertinente alla tesi difensiva e non eccedente le sue finalità; che sia cioè utilizzata esclusivamente nei limiti di quanto necessario al legittimo ed equilibrato esercizio della propria difesa.

 

Corte di Cassazione,sez. III Civile, sentenza 25 febbraio ? 4 aprile 2014, n. 7783
Presidente Chiarini ? Relatore Lanzillo

Svolgimento del processo

Con sentenza 14 febbraio - 20 giugno 2007 n. 3519 il Tribunale di Roma, su ricorso di P.P. , ha dichiarato illecita per violazione della legge a tutela dei dati personali (d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196) la condotta della Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio (BPEL), soc. coop. a r. 1., in relazione alla seguente vicenda.
Convenuta in giudizio con ricorso ai sensi dell'art. 700 cod. proc. civ. da un suo dipendente licenziato, avv. C.G. (marito della P. ), che chiedeva il reintegro nel posto di lavoro, la Banca ha prodotto in giudizio tramite il suo difensore, avv.  M. A., le buste paga della P. , delle quali era in possesso in relazione ad un mutuo precedentemente concesso alla stessa.
La produzione aveva lo scopo di smentire quanto il ricorrente affermava circa il periculum in mora, adducendo che la sua mancata reintegrazione nel posto di lavoro e la perdita della retribuzione avrebbero arrecato grave danno alla sua famiglia, anche a causa dell'impossibilità di rimborsare le rate di un mutuo contratto dalla moglie nei confronti della medesima Banca Popolare dell'Etruria.
Con ricorso notificato il 27 febbraio 2007 ai sensi dell'art. 152 d. lgs. 196/2003, la P. ha chiesto la condanna della BPEL e del suo difensore, avv.  M. A., per violazione dell'art. 23 del testo cit., per non avere essa autorizzato la produzione in giudizio delle sue buste paga. Ha chiesto anche il risarcimento dei danni nell'importo di Euro 26.000,00.
La BPEL ha resistito, invocando in suo favore l'esimente di cui all'art. 24, 1 comma lett. f) d. lgs. cit., che autorizza l'uso dei documenti riservati per esigenze di difesa in giudizio.
Il Tribunale ha accolto la domanda attrice quanto all'accertamento dell'illiceità del comportamento della BPEL ed ha respinto la richiesta di risarcimento dei danni.
BPEL propone ricorso per cassazione, illustrato da memoria.
Resiste la P. con controricorso.

Motivi della decisione

1.- La sentenza impugnata ha ritenuto illegittima la produzione in giudizio delle buste paga della P. con la motivazione che i cedolini degli emolumenti sono dati personali protetti dall'art. 4 legge n. 196/2003 cit.; che l'interessata non aveva dato il suo consenso alla loro utilizzazione e che non poteva essere invocata la scriminante dell'esercizio del diritto di difesa, trattandosi di documenti riguardanti un soggetto terzo e non una parte del giudizio, dei quali la Banca era in possesso per ragioni estranee alla questione controversa. Ha ritenuto che la produzione in giudizio possa ritenersi autorizzata solo se direttamente riconducibile alle parti in causa e se indispensabile per l'esercizio del diritto di difesa; non solo per avvalorare argomentazioni difensive a titolo esemplificativo e comparativo; che i documenti avrebbero potuto essere utilizzati solo rendendo non identificabile il soggetto a cui si riferiscono.
2.- Con l'unico motivo la Banca ricorrente denuncia violazione dell'art. 24 lett. f) del d. lgs. n. 196/2003 cit., anche in relazione agli art. 2, 24 e 111 Cost., sul rilievo che la decisione impugnata verrebbe a creare un conflitto fra tutela della privacy ed esercizio del diritto di difesa in giudizio.
Richiama il Parere 3 giugno 2004 del Garante per la protezione dei dati personali, secondo cui il fatto che le informazioni utilizzate a fini difensivi si riferiscano a soggetti terzi non è decisivo al fine di richiedere il consenso del titolare, purché siano rispettati i principi di pertinenza e di non eccedenza, come deve dirsi del caso in esame, ove la Banca intendeva replicare alle argomentazioni del suo dipendente, secondo cui la famiglia sarebbe rimasta priva di mezzi, in mancanza del suo reintegro nel posto di lavoro.
3.- Deve essere preliminarmente respinta l'eccezione della resistente - peraltro immotivata - di improcedibilità del ricorso perché non notificato al Garante, come prescritto per l'atto introduttivo del giudizio.
La legge non prescrive alcuna notifica al Garante, se non quando il ricorso si rivolga contro un provvedimento dello stesso. In tal senso deve essere interpretato il disposto dell'art. 152, 4 e 7 comma, d. lgs. 196/2003.
Qualora si tratti di materie di particolare importanza o che presentino profili controversi e meritevoli dell'interessamento del Garante, spetterà al giudice valutare se disporre che sia data comunicazione allo stesso della pendenza della controversia, se del caso anche tramite la notificazione a lui degli atti di parte.
Nella specie non ricorre alcuno degli estremi di cui sopra.
4.- Nel merito, il ricorso è fondato.
In primo luogo, non si può condividere l'affermazione del Tribunale circa l'estraneità della P. alla controversia nel corso della quale la Banca ha esercitato il suo diritto. Non solo la situazione patrimoniale della stessa ha costituito oggetto di discussione e di accertamento giudiziale su sollecitazione di una delle parti del processo, cioè del C. , ma soprattutto questi ha fatto indirettamente valere, accanto al suo, gli interessi dell'intero nucleo familiare, ivi inclusa la moglie e l'esigenza della stessa di rimborsare un mutuo; sicché le condizioni economiche di lei costituivano in certa misura oggetto (riflesso) di controversia, nello stesso interesse di lei donde anche la legittimazione della controparte a difendersi sul punto, adducendo i fatti a sua conoscenza idonei a contrastare l'avversaria affermazione e la relativa documentazione, fra cui quella diretta a dimostrare che anche la moglie del ricorrente godeva di uno stipendio.
In secondo luogo il c.d. "trattamento" dei dati riservati - nella specie, la diffusione dei documenti relativi all'entità della retribuzione della moglie del ricorrente per il reintegro nel posto di lavoro - è avvenuto esclusivamente in relazione ad un soggetto che già era conoscenza dei suddetti dati, unica controparte della Banca essendo il marito della stessa P. , che aveva fatto della sua personale conoscenza della situazione patrimoniale della moglie e della famiglia, specifico argomento di difesa delle sue ragioni.
A fronte di tali deduzioni, non poteva essere negato alla Banca il diritto di difendersi e di confutare le avversarie ragioni, utilizzando i documenti di cui era legittimamente in possesso a dimostrazione dei redditi della moglie.
La giurisprudenza ha più volte chiarito che l'art. 24 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 permette di prescindere dal consenso dell'interessato quando il trattamento dei dati sia necessario per far valere o difendere un diritto in giudizio, pur se tali dati non riguardino una parte del giudizio in cui la produzione viene eseguita (Cass. civ. Sez. 1, 20 settembre 2013 n. 21612).
Unica condizione richiesta è che la produzione sia pertinente alla tesi difensiva e non eccedente le sue finalità; che sia cioè utilizzata esclusivamente nei limiti di quanto necessario al legittimo ed equilibrato esercizio della propria difesa (Cass. civ. S.U. 8 febbraio 2011 n. 3033; Cass. civ. Sez. 1, 11 luglio 2013 n. 17204 e 1 agosto 2013 n. 18443, ed altre).
Manifestamente illogica è poi la motivazione del Tribunale, secondo cui la produzione in giudizio dei cedolini delle retribuzioni della P. sarebbe stata lecita solo se anonima.
Ciò equivarrebbe a dire che la produzione sarebbe stata legittima solo se inefficace, considerato che l'anonimato delle buste paga avrebbe privato la difesa della Banca di ogni pratica utilità, essendo in discussione le condizioni economiche del C. e della sua famiglia; non quelle di un personaggio ignoto.
In definitiva, va ribadito il principio per cui l'interesse alla riservatezza dei dati personali deve cedere, a fronte di autentiche esigenze di difesa di altri interessi giuridicamente rilevanti, fra cui quello al corretto e coerente esercizio del diritto di difesa in giudizio, assumendo in ogni caso e a fronte di ogni decisione come
criterio direttivo la comparazione tra gli interessi concretamente coinvolti: comparazione a cui deve procedere il giudice del merito, sulla base del suo sereno ed equilibrato apprezzamento (cfr. sul tema, Cass. civ. Sez. Lav. 30 giugno 2009 n. 15327).
Le questioni bagatellari, i casi in cui l'asserito abuso sia in realtà privo di ogni pratica rilevanza e inidoneo a produrre alcuna conseguenza pregiudizievole, venendo i dati diffusi solo fra coloro che già li conoscono, debbono essere senza timore accantonati.
Ferme restando le esigenze di fondo a cui si ispira la normativa in tema di riservatezza, l'abuso di protezione avrebbe il solo effetto di ingolfare il sistema e di annacquare nell'indifferenziazione la tutela delle situazioni e degli interessi effettivamente meritevoli.
5.- La sentenza impugnata è annullata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito.
La domanda di P.P. non è fondata e deve essere rigettata, avendo la Banca Popolare dell'Etruria legittimamente esercitato il suo diritto di difesa, tramite atti anche oggettivamente inidonei a ledere il diritto della resistente alla riservatezza.
6.- Considerata la natura della controversia e le presumibili difficoltà di interpretazione della normativa, desumibili anche dal fatto che la tesi della ricorrente è stata condivisa dal Tribunale, si ravvisano giusti motivi per compensare le spese dell'intero giudizio, ivi incluso il presente grado.

P.Q.M.

La Corte di cassazione accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta da P.P. .
Compensa le spese dell'intero giudizio.