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Danno da omesso consenso informato (Tr. Napoli, 7889/07)

24 settembre 2018, Tribunale di Napoli

E' escluso che l'assenza del consenso informato possa determinare il risarcimento del danno alla salute laddove gli interventi sanitari siano stati correttamente eseguiti.

Il consenso informato attiene al diritto fondamentale della persona all'espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, e quindi alla libero e consapevole autodeterminazione del paziente, atteso che nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge (anche quest'ultima non potendo peraltro in ogni caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana: art. 32 Cost., comma 2).

Dalla lesione del diritto fondamentale all'autodeterminazione determinata dalla violazione, da parte del sanitario, dell'obbligo di acquisire il consenso informato deriva, secondo il principio dell'id quod plerumque accidit" un danno-conseguenza autonomamente risarcibile- costituito dalla sofferenza e dalla contrazione della libertà di disporre di sé stesso psichicamente e fisicamente - che non necessita di una specifica prova, salva la possibilità di contestazione della controparte e di allegazione e prova, da porte del paziente, di fatti a sé ancora più favorevoli di cui intenda giovarsi a fini risarcitori.

Non necessita di specifica prova la lesione del diritto alla autodeterminazione leso dalla omessa informazione.

 

 

Tribunale Ordinario di Napoli

SECONDA SEZIONE CIVILE

 sentenza 24.9.2018

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Mario Suriano ho pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r,g. 7889/2007 promossa da:

.. G. (codice fiscale -omissis-), rappresentata e difesa dall'avvocato Michele Liquori, ed elettivamente domiciliato presso lo stesso in Napoli, alla Piazza Esedra Ed. Edilforum IS. F 10 Centro Direzionale,

ATTRICE

E

Ministero dell'Economia e delle finanze, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Napoli, domiciliato ex lege presso la stessa in Napoli, alla Via Diaz n. 11.

CONVENUTO

NONCHE'

Università degli Studi di Roma "La Sapienza", in persona del rettore pro tempore prof. Renato Guarini, rappresentata e difesa - in virtù di procura generale alle liti per atto notarile del 14.2.2005 (rep. n. (...), racc. n. (...)) - dall'Avv. Alfredo Fava, e domiciliato con lo stesso in Roma, al piazzale Aldo Moro 5.

CONVENUTA

NONCHE'

Casa di Cura "V.M. S.p.A.", in persona del suo legale rappresentante dati. E.G., rappresentata e difesa dall'Avv. Fabio Pisani, ed elettivamente domiciliata, con quest'ultimo, in Napoli, al Viale Gramsci n. 18 presso lo studio dell'avv. Angelo Spena.

CONVENUTA

NONCHE'

Sc. Ni., rappresentato e difeso dagli avvocati Leonardo Ferlito ed Eugenio D'Andrea, ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest'ultimo in Napoli, alla Via Santa Lucia n. 29.

CONVENUTO

NONCHE'

A. S.p.A., in persona dei suoi legali rappresentanti dott. Pa. Me. e dott. Gi. Es., rappresentata e difesa dall'Avv. Carlo Puati e, con quest'ultimo, elettivamente domiciliata in Napoli, al Viale Gramsci n. 11, presso lo studio dell'avv. Roberto Finizio.

CHIAMATA IN CAUSA

NONCHE'

I.A. S.p.A., in persona del suo procuratore speciale avv. Matteo Mandò, rappresentata e difesa dall'Avv. Renato Magaldi, ed elettivamente domiciliata presso lo stesso in Napoli, alla Piazza Carità n. 32.

CHIAMATA IN CAUSA

Svolgimento del processo - Motivi della decisione
MOTIVI DELLA DECISIONE

La presente decisione ha ad oggetto le pretese rivolte da G. nei confronti del sanitario e delle strutture convenuto al fine di ottenere la declaratoria di responsabilità contrattuale od extracontrattuale dei medesimi con riferimento agli interventi chirurgici menzionati in citazione attese le lesioni subite, con conseguente restituzione degli importi erogati per le prestazioni ricevute e risarcimento di tutti danni patiti,

L'attrice ha fondato le pretese avanzate in giudizio in considerazione degli esiti, a suo dire, insoddisfacenti e dannosi di una serie di interventi di mastoplostica.

Il primo intervento chirurgico di mastoplastica additiva venne eseguito, in data 24/5/1998, dal prof. Sc. Ni. presso la Casa di Cura V.M. in Roma.

A seguito di inconvenienti all'apparato protesico mammario riferiti dalla attrice, la in data 11/2/1989, venne nuovamente operato dal prof. Sc., subendo l'intervento di sostituzione della protesi.

Tale operazione venne eseguita presso la C.C.V.G..

Essendo insorte successive complicanze, l'attrice venne nuovamente ricoverata, questa volta presso l'Università degli Studi di Roma La Sapienza, subendo, in data 1 11611992, ad altro intervento di sostituzione della protesi.

Accusando ancora problematiche sia di salute che estetiche, l'attrice si sottopose ad altro intervento chirurgico di sostituzione protesica e mastopessi bilaterale, eseguito sempre presso l'Università degli Studi di Roma La Sapienza a seguito del ricovero in data 9/9/1995.

In data 22/4/1999, l'istante si sottopose ad intervento chirurgico di asportazione di protesi mammaria.

Questi sinteticamente gli accadimenti di rilievo della presente controversia.

Ciò detto, rilevato che l'eccezione di incompetenza Territoriale del Tribunale di Napoli è stata già decisa con la sentenza non definitivo emessa in corso di lite, occorre anzitutto soffermarsi su altre questioni preliminari sollevate dalle parti in lite.

Il convenuto Sc., costituendosi in giudizio, ha eccepita l'inesistenza della procura alle liti rilasciata a margine dell'atto di citazione per l'illeggibilità della firma apposta dall'attrice.

L'eccezione è infondata.

Infatti, la dedotta circostanza del tutto irrilevante in quanto il nome del sottoscrittore emerge con chiarezza dall'intestazione e, comunque, dal corpo dell'atto introduttivo del giudizio.

Sempre il convenuto Sc. ha sollevato eccezione di inammissibilità ovvero di improcedibilità della domando attorea per l'intervenuto giudicato penale. Tuttavia, va rilevato che pur avendo il convenuto menzionato pronunce dibattimentali, l'unico atto di un procedimento penale incardinato nei confronti dello Sc. è rappresentato dal decreto di archiviazione emesso dal giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Roma in data 2/5/2006.

Ne consegue che anche l'eccezione in questione risulta evidentemente infondata in quanto, a differenza della sentenza, la quale presuppone un processo, il provvedimento di archiviazione ha per presupposto la mancanza di un processo e non dà luogo a preclusioni di alcun genere, né ho gli effetti caratteristici della cosa giudicata.

Altra questione preliminare da affrontare, seppure di merito, concerne l'intervenuta prescrizione dei diritti azionati in giudizio dall'attrice, e ciò a seguito della rituale eccezione sollevato do talune delle parti convenute.

A tal proposito, occorre valutare con attenzione la doto di decorrenza di tale termine, tenuto conto che la prima lettera di messo in moro venne trasmessa dall'attrice in data 15/12/1998 e che, nella fattispecie in esame, rileva una ipotesi di dedotto inadempimento contrattuale, con conseguente applicazione del termine decennale di prescrizione.

Orbene, ritiene questo Tribunale che l'inadempimento del monitorio pur risultando la fonte del danno risarcibile, non si identifica con questo.

Infatti, il danno effettivo può non configurarsi come realizzatosi al momento dell'intervento operatorio ma essersi prodotto successivamente.

Quindi, fintanto che il danno non si manifesta il termine di prescrizione non inizia a decorrere.

Perciò, al fine di determinare il dies a quo di decorrenza della prescrizione occorre anzitutto verificare il momento in cui si sia prodotto, nella sfera patrimoniale del creditore, il pregiudizio causato dal colpevole inadempimento del debitore (Cassazione civile, sez. II, 05/04/2012, n. 5504).

Ciò detto, la disposizione dell'art. 2935 c.c. - secondo cui "la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere" - collega la decorrenza del termine di prescrizione alla possibilità di far valere il diritto.

Come affermato da recente giurisprudenza, in tema di risarcimento del danno, l'impossibilità di far volere il diritto quale fatto impeditivi della decorrenza della prescrizione ex art. 2935 c.c., è solo quello che deriva da cause giuridiche che ne ostacolano l'esercizio e non comprendono, quando il danno è percettibile e conoscibile da parte del pericolo, gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto, tra i quali l'ignoranza , da parte del titolare, del fatto generatore del suo diritto, o il dubbio soggettivo sull'esistenza di conto diritto del ritardo indotto dalla necessitò del suo accertamento (Cassazione civile, sez. III, 19/07/2018, n.19193),

La percepibilità del danno, però, pur non dovendo valutarsi alla stregua di parametri soggettivi riguardanti la persona danneggiata, comunque va apprezzata secondo il parametro dell'ordinaria diligenza.

Orbene, pur avendo la stessa attrice dichiarato in udienza di aver avvertito a distanza di breve tempo l'insorgere degli inconvenienti lamentati già dopo il primo intervento operatorio, va, altresì, valutato che, a fronte delle rassicurazioni provenienti dal prof Sc., la possibilità che vi erano state vere e proprie complicanze operatorie può reputarsi insorta quando la stessa attrice, su indicazione del sanitario, decise di sottoporsi al 2 intervento operatorio del febbraio 1989, con conseguente valore pienamente interruttivo della prescrizione attribuibile alla lettera di messa in mora del dicembre 1998.

L'eccezione di prescrizione va, pertanto, disattesa.

Passando ad esaminare il merito della controversia, questo Tribunale condivide integralmente le valutazioni rese dai nominati consulenti tecnici di ufficio, dott. Ad. Ro., specialista in medicina legale, e dott. Lu. Pa. Ti., specialista in chirurgia plastica, nella relazione peritale depositata in data 7/7/2014.

Gli ausiliari hanno escluso fattispecie di "colpa medica" addebitabile ai sanitari.

Il pregiudizio patito dalla .. rientra, infatti, nell'ambito delle complicanze che possono realizzarsi anche sino al 30% di interventi operatori analoghi a quelli oggetto di lite.

Nella relazione peritale sono indicate specificamente anche le ragioni per cui si realizzano tali inconvenienti ed a tale motivazione ci si riporta integralmente.

Come osservato dagli ausiliari, trattasi di complicanza prevedibile, ma non prevedibile e, nel caso di specie, non riconducibile ad errori in corso di intervento o nel periodo perioperatorio.

Peraltro, in maniera motivato, i consulenti tecnici di ufficio hanno chiarito che anche le scelte operatorie adottate dal prof Sc. non appaiono censurabili.

Tuttavia, soprattutto considerando che trattasi di complicanze che si verificano di frequente, era obbligo del sanitario dare specifiche informazioni alla paziente per consentirle di scegliere in maniera consapevole se operarsi o meno.

Nel caso di specie, tale prova non è stata acquisita.

Scarso è il rilievo probatorio che può essere attribuito alle deposizioni testimoniali - invero dal tenore generico e non particolarmente approfondito - rese dalle persone indicate dalle parti.

In effetti, o perché professionalmente coinvolti nella fattispecie in esame ovvero perché legate alle parti da vincoli di amicizia, i testimoni escussi potrebbero, inconsapevolmente, aver reso dichiarazioni non del tutto collimanti con lo svolgimento delle vicende oggetto di lite (peraltro svoltesi diversi anni prima della resa deposizione testimoniale).

Ciò induce questo Tribunale a non attribuire alle testimonianze particolare rilievo circa il contenuto dei dialoghi realizzatisi nel corso delle visite tra il sanitario e la paziente.

Occorre, in proposito, ricordare che l'informazione, alla stregua della diligenza professionale, deve riguardare tutti gli esiti dell'intervento ragionevolmente prevedibili sia positivi che negativi.

Un'adeguata informazione è elemento ineliminabile per la formazione del contratto avente ad oggetto una prestazione sanitaria. Il medico ha l'obbligo di acquisire il consenso informato e su di lui grava l'onere probatorio d'aver adeguatamente informato il paziente (Cassazione civile, sez. III, 21/09/2012, n. 16047; Cassazione civile, sez. III, 09/12/2010, n. 24853).

Peraltro, va osservato che l'attrice nel corso della prima udienza del 22/11/2007 ha disconosciuto non solo la conformità all'originale dei moduli di consenso informato prodotti in giudizio in relazione all'intervento del settembre 1995, ma ha, altresì, disconosciuto le sottoscrizioni ivi opposte.

In assenza di istanze di verificazione, le scritture in esame non risultano utilizzabili

Ciò nonostante, è escluso che l'assenza del consenso informato possa determinare il risarcimento del danno alla salute laddove, come nella specie, gli interventi sanitari sono stati correttamente eseguiti.

Infatti, può essere riconosciuto il risarcimento del danno alla salute per la verificazione di tali conseguenze, salvo ove sia allegato e provato, da parte del paziente, anche in via presuntiva, che, se correttamente informato, avrebbe rifiutato di sottoporsi a detto intervento ovvero avrebbe vissuto il periodo successivo ad esso con migliore e più serena predisposizione ad accettarne le eventuali conseguenze (e sofferenze) (cfr. Cassazione civile, sez. III, 31/01/2018, n. 23,69).

Tale prova non è stata fornita dall'attrice.

Anzi, l'insistenza manifestata dall'attrice nel sottoporsi a reiterati interventi di installazione di nuove protesi in luogo di quelle che avevano determinato i notevoli fastidi patiti lascia presumere che la paziente anche se fosse stata a conoscenza delle prevedibili complicanze non avrebbe modificato le proprie intenzioni.

Tuttavia, giova ricordare che Il consenso informato attiene al diritto fondamentale della persona all'espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico (cfr. Corte Cost., 23/12/2008, n. 438), e quindi alla libero e consapevole autodeterminazione del paziente, atteso che nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge (anche quest'ultima non potendo peraltro in ogni caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana: art. 32 Cost., comma 2).

Dalla lesione del diritto fondamentale all'autodeterminazione determinata dalla violazione, da parte del sanitario, dell'obbligo di acquisire il consenso informato deriva, secondo il principio dell'id quod plerumque accidit" un danno-conseguenza autonomamente risarcibile- costituito dalla sofferenza e dalla contrazione della libertà di disporre di sé stesso psichicamente e fisicamente - che non necessita di una specifica prova, salva la possibilità di contestazione della controparte e di allegazione e prova, da porte del paziente, di fatti a sé ancora più favorevoli di cui intenda giovarsi a fini risarcitori (Cassazione civile, sez. III, 15/05/2018, n. 11749),

Attesa la sussistenza del fatto generatore della responsabilità del sanitario, e rilevato che non necessita di specifico prova la lesione del diritto alla autodeterminazione leso dalla omessa informazione, la domanda va accolta esclusivamente sotto tale profilo, non vantando l'attrice diritto alla restituzione dei compensi erogati per prestazioni che sono state correttamente eseguite.

In ordine alla quantificazione del danno, procedendo ad una liquidazione ispirata ad equità, questo Tribunale ritiene che l'attrice abbia diritto ad ottenere a ristoro del pregiudizio patito l'importo di E 2500,00 con riferimento a ciascun intervento.

Lo Sc. va, dunque, condannato al pagamento. in favore dell'attrice, della somma complessiva di E 10.000.00, oltre interessi compensativi da calcolarsi al tasso legale dalla data dei singoli interventi al giorno di pronuncia della presente sentenza sulla somma capitale devalutata all'epoca delle operazioni e, successivamente, rivalutata anno per anno. Per il periodo successivo, gli interessi vanno calcolati al tasso legale. Del fatto illecito del prof Sc. rispondono anche le strutture coinvolte (sia pure obbligate al risarcimento dei danni liquidabili in relazione al singolo intervento) in virtù della conclusione del contratto atipico c.d. di spedalità con la struttura sanitaria e avente a oggetto sia la prestazione di attività di assistenza medica, sia le prestazioni accessorie (quali, ad esempio, quelle inerenti all'organizzazione dei servizi, olla manutenzione dei macchinari, nonchè alle prestazioni di vitto e alloggio derivanti dalla degenza in ospedale).

Occorre, in proposito, sottolineare che con riferimento ai due interventi svoltesi presso l'Università degli Studi di Roma La Sapienza, risulta legittimata passivamente soltanto quest'ultima, essendo estraneo al rapporto di causa il Ministero dell'economia e delle finanze, non tenuto a rispondere delle obbligazioni della prima ma essendo esclusivamente, come previsto dall'articolo 2 del DI 341-1999, il soggetto pubblico che aveva il compito di fornire i mezzi necessari per lo predisposizione del piano di estinzione dei debiti dell'Università di Roma.

Conseguentemente, la Casa di Cura V.M. S.p.A. va condannata al pagamento, in solido con lo Sc., del minor importo di E 2500,00, laddove l'Università degli Studi di Roma, Lo Sapienza, va condannata al pagamento, sempre in solido con lo Sc., dell'importo di E 5000,00.

Dette somme vanno maggiorate degli interessi compensativi da calcolarsi secondo i criteri in precedenza indicati.

Le due strutture in precedenza indicate hanno avanzato domanda di manleva nei riguardi delle convenute A. S.p.A. e I.A. S.p.A.

I rapporti assicurativi non sono in contestazione e non sussistono ragioni per non procedere all'accoglimento della domanda come proposta dalla Casa di Cura V.M. S.p.A. nei confronti della A. S.p.A., risultando peraltro la cifra liquidata nettamente inferiore al massimale di polizza indicato dalla assicurazione.

Conseguentemente, la A. S.p.A. va condannata al rimborso delle somme che saranno versate dalla propria assicurata all'attrice in virtù della presente sentenza.

Con riferimento, invece, alla domanda proposta dall'Università degli Studi di Roma, La Sapienza, nei confronti della I.A. S.p.A., quest'ultima ha sollevato eccezione di prescrizione ai sensi dell'articolo 2952 c.c.

In proposito, l'Università degli Studi di Roma, La Sapienza, si è difesa assumendo di aver tempestivamente comunicato la richiesta di risarcimento danni formulato dalla con lettera del 21/7/2003, non avendo ricevuto la pregressa richiesta di risarcimento danni risalente al 1511211998 in quanto inoltrata non presso la sede di piazzale Aldo Moro 5.

La tesi, tuttavia, non convince.

Sia la lettera di messo in moro del 15/11/1998 che quella del 21/7/2003 sono state indirizzate presso la sede di viole Regina Elena 336, e vi è prova che la seconda è stata ritualmente ricevuta dall'Università degli Studi di Roma, Lo Sapienza, ragion per cui si deve presumere che anche la prima richiesta di risarcimento sia stata ricevuta dalla destinataria.

Conseguentemente, non vi sono ragioni per ritenere che non sia maturato a prescrizione, all'epoca dei fatti annuale, tempestivamente eccepita dal I.A. S.p.A..

La domando proposto nei riguardi di quest'ultima va quindi rigettata.

Le domande ricanvenzionali proposte dal prof Sc. sono infondate e vanno rigettate.

Ed invero, sia pure limitatamente rispetto alla pretesa originariamente avanzata, la domando proposta dalla attrice è risultata fondata.

D'altronde, non vi è prova che la .. non si è limitato ad una critica, nelle sedi opportune (anche processuali), dell'attività professionale svolto dal prof. Sc., lasciandosi andare ad attività di denigrazione dell'immagine professionale del sanitario. Quanto alla domanda di rivalsa proposta nei confronti dell'Università degli Studi di Roma, La Sapienza, va osservato che fatto generatore della responsabilità gravante anche sulla struttura è stato lo specifico comportamento tenuto dallo Sc., il quale pertanto non può pretendere di essere manlevato dal proprio datore di lavoro.

Quanto alle spese processuali, la domanda di porte attrice risulta accolta in minima parte, tenuto conto che di entità ben più elevata sarebbe stato il risarcimento accordato alla se fosse stata accolta la pretesa di risarcimento dei danni anche alla salute invocati in giudizio.

Peraltro, il notevole lasso di tempo trascorso tra gli interventi operatori e l'inizio della presente controversia ho reso molto più complessa la ricostruzione delle vicende concernenti fatti di lite.

Tutto ciò conduce questo Tribunale a ritenere sussistenti i presupposti per disporre l'integrale compensazione delle spese processuali tra tutte le parti in lite.

P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, così provvede:

a) accoglie per quanto di ragione della domanda avanzata da G. nei confronti di Sc. Ni., della Università degli Studi di Roma "La Sapienza", della Cosa di Cura "V.M. S.p.A.", e, per l'effetto, condanna Sc. Nicolò al pagamento, in favore dell'attrice, della somma complessiva di E 10.000,00, e, altresì, condanna l'Università degli Studi di Roma "La Sapienza" nonché la Casa di Cura "V.M. S.p.A.", al pagamento rispettivamente delle minori somme di E 5000,00 e di E 2500,00 in solido con lo Sc. per il medesimo titolo, il tutto oltre interessi secondo i tassi e le decorrenze indicata in motivazione:

b) rigetta la domanda avanzata da G. nei confronti del Ministero dell'Economia e delle Finanze;

c) accoglie la domanda di manleva proposta dalla Casa di Cura "V.M. S,p,A." nei confronti della A. S.p.A. e, per l'effetto, condanna quest'ultima al rimborso, in favore della controparte, delle somme erogate all'attrice in virtù di quanto statuito al capo b) del presente dispositivo;

d) rigetta la domanda di manleva proposta dall'Università degli Studi di Roma "La Sapienza" nei confronti della I.A. S.p.A.;

e) rigetta le domande riconvenzionali proposte da Sc. Ni. nei confronti di G. e dell'Università degli Studi di Roma "La Sapienza";

f) dichiara interamente compensate le spese processuali tra le parti.

Così deciso in Napoli, il 24 settembre 2018.

Depositata in Cancelleria il 24 settembre 2018.