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Danni da videoriprese di spazi pertinenziali aperti (Trib Catania 31.1.2018)

30 gennaio 2018, Tribunale di Catania

Videoripresa di spazi pertinenziali aperti non costituiscono reato ma possono dar luogo a un risarcimento del danno da valutarsi - salvo diversa prova - in via equitativa per violazione al diritto alla riservatezza in ambito domestico.

Sono penalmente lecite le videoriprese aventi ad oggetto comportamenti tenuti in spazi di pertinenza della abitazione di taluno ma di fatto non protetti dalla vista degli estranei.

Ove singolo condomino installi impianto di videosorveglianza a tutela della sua proprietà esclusiva, l'angolo visuale delle riprese deve però essere limitato ai soli spazi di propria esclusiva pertinenza, ad esempio quelli antistanti l'accesso alla propria abitazione, escludendosi ogni forma di ripresa, anche senza registrazione, di immagini relative ad aree comuni (cortili, pianerottoli, scale, garage comuni) o antistanti l'abitazione di altri condomini.

L'installazione di impianti di videosorveglianza che riprendano spazi altrui è però ammissibile in relazione all'esigenza di preservare la sicurezza di persone e la tutela di beni da concrete situazioni di pericolo: tale valutazione di proporzionalità va effettuata anche nei casi di utilizzazione di sistemi di videosorveglianza che non prevedano la registrazione dei dati.

L'art. 14 Cost. tutela il domicilio sotto due distinti aspetti: come diritto di ammettere o escludere altre persone da determinati luoghi, in cui si svolge la vita intima di ciascun individuo; e come diritto alla riservatezza su quanto si compie nei medesimi luoghi.

Nel caso di video registrazioni, il limite costituzionale del rispetto dell'inviolabilità del domicilio viene in rilievo precipuamente sotto il secondo aspetto: ossia non tanto - o non solo - come difesa rispetto ad una intrusione di tipo fisico; quanto piuttosto come presidio di un'intangibile sfera di riservatezza, che può essere lesa - attraverso l'uso di strumenti tecnici - anche senza la necessità di un'intrusione fisica.

L'assoluzione da accuse non calunniose non giustifica alcun risarcimento.

 

 

TRIBUNALE DI CATANIA

TERZA SEZIONE CIVILE, 31/01/2018

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Nicolò Crascì, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. r.g. 9247/2014 promossa da:

L.G. (C.F. (...)), domiciliato in VIA E. 353, C.;

rappresentato e difeso dall'avv. INSERRA LUCA giusta procura in atti,

ATTORE

contro

P.C. (C.F. (...)), domiciliato in VIA P. M. 110, C.; rappresentato e difeso dall'avv. MARCHESE ROSARIO giusta procura in atti,

CONVENUTO

OGGETTO: risarcimento danni.

Svolgimento del processo - Motivi della decisione


L.G. esponeva nella sua citazione introduttiva del giudizio del 10.6.2014 con cui conveniva in giudizio P.C. - dopo aver premesso di abitare con moglie e figli in villetta a schiera in via U. I n. 366/D di S. P. C., e che il P. fosse suo vicino di casa - che la coniuge anzidetta (a nome B.G.), stanca di subire le molestie del cane di detto convenuto che, in assenza di alcun controllo, sporcava in ogni dove con i propri escrementi e latrava ad ogni ora del giorno e della notte, aveva infine denunciato il P. per richiederne la condanna alle pene di legge; e che questi, a tal punto, aveva controdenunciato esso attore accusandolo immotivatamente di aver maltrattato l'animale e di aver pure tentato di ucciderlo con una polpetta avvelenata. Allegava di essere stato per questo tratto a giudizio penale quale imputato del delitto p. e p. dagli artt. 81 cpv., 56 e 544ter c.p., e che solo allorché si giungeva in dibattimento il P. aveva dichiarato di voler rimettere la querela già presentata in odio ad esso medesimo attore.

Ciò posto, deduceva di aver patito ingiusti danni per essersi, in seguito alla querela del P., "dovuto difendere nell'ambito di un procedimento penale (in cui veniva sottoposto ad interrogatorio da parte dei carabinieri) durato tre lunghissimi anni, con le immaginabili conseguenze sul piano psicologico e morale e con l'enorme stress che era costretto a patire e che ha generato anche ripercussioni fisiche": essendo, infatti, il patito turbamento della sua sfera emotiva tralignato in vero e proprio danno psichico.

Allegava, inoltre, che al fine di provare le proprie accuse il P. avesse versato agli atti di detto procedimento penale un DVD le cui registrazioni provenivano dall'impianto di videosorveglianza che lo stesso convenuto aveva bensì installato a casa sua ma che con le sue telecamere era tuttavia in grado di riprendere - come le stesse registrazioni stavano a documentare - "non solo la scivola del garage di proprietà del convenuto ma anche l'ingresso e le finestre del bagno e della cucina di proprietà dell'attore situate ed affaccianti il muro perimetrale della suddetta scivola": in palmare violazione - deduceva - della disciplina dettata dal Garante della Privacy (con Delib. dell'8 aprile 2010) in materia di installazione di impianti di videosorveglianza in ambito condominiale da parte di singolo condomino.

In forza dell'accaduto così riassunto esso L. chiedeva dunque all'adito Tribunale che fosse il P. ritenuto, "per tutte le superiori considerazioni in fatto ed in diritto, in conseguenza della condotta tenuta nei confronti dell'attore, anche in dipendenza della remissione della querela, tenuto a risarcire al signor L.G. tutti i danni subiti dall'essere stato costretto a subire ed a doversi difendere quale imputato nell'ambito di un procedimento penale, e segnatamente il danno morale, inteso in tutte le sue accezioni ovverosia anche il danno esistenziale ed all'immagine, il danno da violazione della privacy ed il danno biologico, ammontanti ciascuno a non meno di Euro. 25.000,00, ovvero a quelle altre somme maggiori o minori che verranno ritenute di giustizia, oltre agli interessi al tasso legale sulle somme progressivamente rivalutate dal dovuto al soddisfo".

Costituitosi in contraddittorio, P.C. contestava la fondatezza delle domande risarcitorie avanzate dal L., tenendo anzitutto a rimarcare che la sua remissione di querela aveva implicato l'estinzione del reato già ascritto all'odierno attore - e, conseguentemente, la definizione di detto procedimento penale con formula in rito - solo in conseguenza dell'accettazione del L. medesimo.

Quanto alla violazione, di cui il L. ulteriormente si doleva, della sua privacy domestica, deduceva detto convenuto - con il conforto della giurisprudenza che invocava - che a dover essere salvaguardato da interferenze attuate con l'uso di strumentazione audiovisiva sia soltanto ciò che si compie in luoghi di privata dimora in condizioni tali da renderlo tendenzialmente non visibile ad estranei: condizioni che nella specie non era dato di individuare.

Concludeva, pertanto, esso P. chiedendo che le domande risarcitorie avanzate dall'attore fossero rigettate, ed anche che per la loro manifesta infondatezza fossero sanzionate con la condanna, oltre che al pagamento delle spese di giudizio, anche al pagamento di somma equitativamente determinata ex art. 96, comma terzo, c.p.c.

Assegnati i termini ex art. 183, comma sesto, c.p.c., ritenuta l'ultroneità sia della c.t.u. medico-legale richiesta dall'attore sia della prova testimoniale richiesta dal convenuto l'odierno decidente, con ordinanza dell'8.4.2015, fissava prontamente udienza di precisazione delle conclusioni, raccolte le quali la causa era posta in decisione.

Come non a torto rimarcato dal convenuto, non si giustifica che il L. richieda oggi di essere ristorato del suddetto enorme stress che le accuse del P. gli avrebbero provocato dopo che lo stesso odierno attore, accettando la remissione da parte dell'odierno convenuto della querela già sporta da questi medesimo (posto che - è appena il caso di rammentare - ai sensi dell'art. 155 c.p. "la remissione non produce effetto se il querelato l'ha espressamente o tacitamente ricusata"), non consentiva che la presunta calunniosità delle stesse accuse emergesse dal dibattimento cui, diversamente, si sarebbe dato luogo.

Né - va a questo punto aggiunto - della presunta calunniosità di tali accuse il L. chiedeva di dar prova nella presente sede di giudizio: ciò che - ben potendolo fare, a mente invero dell'esegesi delle Sezioni Unite secondo cui "il giudice civile non può procedere alla liquidazione del danno non patrimoniale finché il reato non sia stato accertato - e la competenza funzionale al riguardo è del giudice penale - o non si sia verificata una di quelle cause qual è pure l'estinzione del reato in seguito a remissione di querela e sua accettazione, n.d.r. che, impedendo definitivamente l'accertamento in quella sede, consentano al giudice civile di esaminare se nel fatto ricorrano, o no, gli estremi di un reato" (Cass.SS.UU. 29/11/1996 n. 10677) - avrebbe allora dovuto fare.

E' evidente - si annota conclusivamente sull'argomento - che lo stress che l'odierno attore possa aver patito in conseguenza, piuttosto, di accuse non calunniose non si presta a giustificare alcun risarcimento: perchè quis ex culpa sua damnum sentit non intelligitur damnum sentire.

Per quanto riguarda - si passa a considerare - la domanda risarcitoria formulata dal L. sul presupposto di una violazione del suo diritto alla riservatezza in ambito domestico, in punto di fatto va precisato anzitutto che (come già si riconosceva nella suddetta ordinanza dell'8.4.2015) è rimasto incontestato (per gli effetti di cui all'art. 115 c.p.c., ciò per cui si è ritenuta ultronea anche l'ispezione dei luoghi che l'attore aveva altresì richiesto) che le telecamere di videosorveglianza piazzate dal P. sui muri perimetrali della sua villetta inquadrassero pure spazi di esclusiva pertinenza dell'immobile attoreo.

Ciò posto, in punto di diritto mette tuttavia conto di osservare:

- che in quanto è rimasto accertato non è dato di individuare fattispecie penalmente rilevante ex art. 615bis c.p.: come non a torto perorato dal convenuto, nell'esegesi di tale norma penalistica appare infatti consolidata l'affermazione secondo cui non sono punibili (e non possono, pertanto, dar luogo ad alcun correlativo risarcimento) "le videoriprese aventi ad oggetto comportamenti tenuti in spazi di pertinenza della abitazione di taluno ma di fatto non protetti dalla vista degli estranei, giacchè per questa ragione tali spazi sono assimilabili a luoghi esposti al pubblico, la percettibilità all'esterno dei comportamenti in essi tenuti facendo venir meno le ragioni della tutela domiciliare" (Cass. Pen. 21.10.2008 n. 44156),

- che sussista, nondimeno, un illecito civile che ben si lascia apprezzare se si considera che la possibilità di riprendere "l'ingresso e le finestre del bagno e della cucina di proprietà dell'attore" (ingresso e finestre anch'essi da ascrivere alla lata nozione di luoghi di privata dimora, ciò che - si noti - in ragione di quanto riassunto in narrativa parte convenuta non ha bensì contestato) si rivela in palese contrasto con la disciplina dettata dalla citata Delibera del Garante della Privacy dell'8.4.2010, che sancisce altresì ed in particolare (al punto 6.2.5) che, ove singolo condomino installi impianto di videosorveglianza a tutela della sua proprietà esclusiva, "l'angolo visuale delle riprese deve essere limitato ai soli spazi di propria esclusiva pertinenza, ad esempio quelli antistanti l'accesso alla propria abitazione, escludendosi ogni forma di ripresa, anche senza registrazione, di immagini relative ad aree comuni (cortili, pianerottoli, scale, garage comuni) o antistanti l'abitazione di altri condomini",

- che (come già si accennava nella suddetta ordinanza dell'8.4.2015), onde giustificare che l'angolo visuale delle telecamere del suo impianto di videosorveglianza si estenda alla ripresa anche di luoghi di privata dimora dell'attore il P., invero, neppure ha ritenuto di dar conto di alcun balancing (ovvero - per meglio dire, volendo rifuggire da inutili anglicismi - di alcuna valutazione di proporzionalità) tra i diritti in gioco: né infatti ha provato né tampoco ha, in particolare, allegato di essersi indotto all'installazione sui luoghi di impianto di video sorveglianza facendo leva su quanto pure sancito dalla ridetta Delibera del Garante della Privacy, secondo cui "L'installazione di questi impianti è ammissibile esclusivamente in relazione all'esigenza di preservare la sicurezza di persone e la tutela di beni da concrete situazioni di pericolo, di regola costituite da illeciti già verificatisi, oppure nel caso di attività che comportano, ad esempio, la custodia di denaro, valori o altri beni (recupero crediti, commercio di preziosi o di monete aventi valore numismatico). La valutazione di proporzionalità va effettuata anche nei casi di utilizzazione di sistemi di videosorveglianza che non prevedano la registrazione dei dati, in rapporto ad altre misure già adottate o da adottare (es. sistemi comuni di allarme, blindatura o protezione rinforzata di porte e portoni, cancelli automatici, abilitazione degli accessi)".

Nei fatti rimasti accertati è dato, pertanto, di individuare un illecito civile (pur se non correlato ad alcun illecito penale) foriero di danno non patrimoniale: foriero perché - una volta rammentato che la rilevanza costituzionale dei diritti presidiati dalla tutela minima risarcitoria "deve riguardare l'interesse leso e non il pregiudizio conseguentemente sofferto" (Cass.SS.UU. 18356/2009) -non appare bensì revocabile in dubbio che "l'art. 14 Cost. tutela il domicilio sotto due distinti aspetti: come diritto di ammettere o escludere altre persone da determinati luoghi, in cui si svolge la vita intima di ciascun individuo; e come diritto alla riservatezza su quanto si compie nei medesimi luoghi. Nel caso delle riprese visive, il limite costituzionale del rispetto dell'inviolabilità del domicilio viene in rilievo precipuamente sotto il secondo aspetto: ossia non tanto - o non solo - come difesa rispetto ad una intrusione di tipo fisico; quanto piuttosto come presidio di un'intangibile sfera di riservatezza, che può essere lesa - attraverso l'uso di strumenti tecnici - anche senza la necessità di un'intrusione fisica" (Corte cost. 149/2008).

Tanto sancito in punto di an debeatur, in punto di quantum debeatur occorre tuttavia fare i conti con lo jus receptum secondo cui, per un verso, "il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza, che deve essere allegato e provato. Va disattesa, infatti, la tesi che identifica il danno con l'evento dannoso, parlando di "danno evento". E del pari da respingere è la variante costituita dall'affermazione che nel caso di lesione di valori della persona il danno sarebbe "in re ipsa", perché la tesi snatura la funzione del risarcimento, che verrebbe concesso non in conseguenza dell'effettivo accertamento di un danno, ma quale pena privata per un comportamento lesivo" (Cass.SS.UU. 26972/2008) e, per altro verso, la possibilità data dall'art. 1226 c.c. (così per come richiamato nel campo della responsabilità aquiliana dall'art. 2056 c.c.) di procedere a liquidazione equitativa del danno da risarcirsi allorché sia impossibile, od estremamente difficile, fornire precisa prova del suo ammontare e della sua entità non esonera, comunque, "l'interessato dall'obbligo di offrire gli elementi probatori sulla sussistenza del medesimo - la quale costituisce il presupposto indispensabile per una valutazione equitativa - per consentire che l'apprezzamento equitativo sia, per quanto possibile, limitato alla funzione di colmare solo le inevitabili lacune al fine della precisa liquidazione del danno" (ex ceteris Cass. 27/02/2013 n. 4948).

Tutto ciò induce a concludere che nei casi di specie un danno ingiusto si individui bensì in re ipsa, ma che - in difetto di alcuna prova di una concreta alterazione delle consuetudini domestiche del L., e dei suoi familiari, in conseguenza del timore di essere ripresi dalle telecamere del P. - la quantificazione equitativa di detto danno ingiusto non possa che essere tuttavia contenuta entro termini minimi: tali da assicurare quella che si è giunti bensì a riconoscere che sia la valenza punitiva pure propria del risarcimento del danno non patrimoniale da lesione dei diritti fondamentali (infatti, "nel vigente ordinamento alla responsabilità civile non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, poiché sono interne al sistema la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria del responsabile civile. Non è quindi logicamente incompatibile con l'ordinamento italiano l'istituto di origine statunitense dei risarcimenti punitivi", così Cass.SS.UU. 16601/2017), ma senza che vi sia però luogo per un risarcimento vero e proprio di concreti pregiudizi di cui, nel loro storico accadere, non è avuta infine alcuna contezza.

Equo appare pertanto ristorare il danno non patrimoniale nel caso a mani ravvisabile quantificandone il controvalore pecuniario nella contenuta somma di Euro 2.000,00, al cui pagamento in favore dell'attore il P. deve essere dunque condannato. Somma che integra credito di valore, e che non deve per questo essere tuttavia assoggettata ad alcuna rivalutazione perché liquidata equitativamente in moneta attuale; né va incrementata, sempre perché frutto di liquidazione equitativa, di alcun interesse compensativo, onde sulla stessa sono soltanto dovuti gli interessi corrispettivi (al tasso legale tempo per tempo in vigore) dal dì della presente sentenza al soddisfo.

Le spese vanno fatte seguire alla soccombenza, e si liquidano come in dispositivo sulla base dei nuovi parametri ex D.M. n. 55 del 2014.

P.Q.M.

Il Giudice Unico, disattesa ogni contraria istanza eccezione e difesa - definitivamente pronunciando sulle domande proposte con citazione del 10.6.2014 da L.G. nei confronti di P.C. - così provvede:

- condanna per le causali di cui in motivazione P.C. al pagamento in favore di L.G. della somma di Euro 2.000,00, oltre interessi corrispettivi dal dì della sentenza al soddisfo,

- condanna P.C. al pagamento delle spese di giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 1.450,00 per compensi professionali, oltre spese vive esposte nonché rimborso forfettario per spese generali, c.p.a. ed IVA come per legge.

Così deciso in Catania, il 31 gennaio 2018.

Depositata in Cancelleria il 31 gennaio 2018.