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Danneggiamento di auto con antifurto o video è reato? (Cass. 51622/17)

13 novembre 2017, Cassazione penale

Nel caso di veicoli lasciati incustoditi non basta ad escludere la aggravante dell'esposizione alla pubblica fede un qualsiasi ostacolo frapposto alla sottrazione, ma occorre che l'ostacolo sia tale da affermare la non omissione della custodia e la difficoltà dell'intervento di terzi, per modo che il ladro non possa superare l'ostacolo senza dare l'allarme; onde ricorre l'aggravante nel caso di furto di automobile lasciata incustodita nella pubblica via, non avendo rilievo l'uso di congegni antifurto, sia perche le esigenze del traffico attuale hanno fatto sorgere la consuetudine di lasciare incustodito in luoghi pubblici il predetto mezzo di locomozione, sia perche l'ingegnosità dei delinquenti ha sempre trovato modo di superare tali ostacoli.

Anche dopo la depenalizzazione del reato di danneggiamento semplice, apportata dal D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, l'art. 635 c.p., comma 2, n. 1, ultima parte, sanziona tuttora penalmente il danneggiamento di beni esposti alla pubblica fede ai sensi dell'art. 625 c.p., comma 1, n. 7.

 

La presenza di sistemi di allarme e videoregistrazione, se può facilitare una reazione contro il furto o il danneggiamento del bene esposto alla pubblica fede o l'individuazione del colpevole, non elimina quell'affidamento alla protezione assicurata dal senso di rispetto per l'altrui bene da parte di ciascun consociato, che è a fondamento della previsione normativa, sì da giustificare l'aggravamento della pena e nella fattispecie la persistente rilevanza penale della condotta; un sistema di videosorveglianza, ancorchè consenta la conoscenza postuma delle immagini registrate dalla telecamera, non costituisce di per sè una difesa idonea a impedire la consumazione dell'illecito attraverso un immediato intervento ostativo.

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

(ud. 19/10/2017) 13-11-2017, n. 51622

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PALLA Stefano - Presidente -

Dott. GORJAN Sergio - Consigliere -

Dott. SCOTTI Umberto Luigi - Consigliere -

Dott. DE GREGORIO Eduardo - Consigliere -

Dott. PISTORELLI Luca - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

R.G., (ANCHE PCN) nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 07/06/2016 della CORTE APPELLO SEZIONE DISTACCATA di TARANTO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere UMBERTO LUIGI SCOTTI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. DI LEO Giovanni, che ha concluso per il rigetto;

udito il difensore, avv. MR, del Foro di Taranto, che si è riportato ai motivi e ha insistito per l'accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 7/6/2016 la Corte di appello di Lecce, Sezione Distaccata di Taranto, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Taranto del 24/10/2014, appellata dagli imputati Ri.Gi. e R.G., ha assolto Ri.Gi. dal reato di danneggiamento semplice, non più previsto dalla legge come reato, eliminando il relativo aumento di pena e le corrispondenti statuizioni civili, e così riducendo la pena inflitta nei suoi confronti a mesi 3 di reclusione, e ha rigettato nel resto l'appello, condannando reciprocamente entrambi gli appellanti alla rifusione delle spese processuali del grado della parte civile.

Per quanto qui ancora rileva, R.G. era accusato (capo d) del reato di danneggiamento ex art. 635 c.p., comma 3, per aver colpito con un martello l'autovettura del Ri. parcheggiata sulla pubblica via.

Il Giudice di primo grado aveva bilanciato le circostanze attenuanti generiche riconosciute a suo favore con l'aggravante contestata e lo aveva condannato alla pena di mesi 2 di reclusione, nonchè al risarcimento dei danni patiti dal Ri., da liquidarsi in separato giudizio, e alla rifusione delle spese di costituzione della parte civile.

2. Ha proposto ricorso nell'interesse dell'imputato il difensore di fiducia, avv.MR., svolgendo unico motivo, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), per denunciare violazione della legge penale, in riferimento all'art. 635 c.p., art. 635 c.p., comma 3, e D.Lgs. n. 7 del 2016, art. 2, lett. l).

Secondo il ricorrente, la motivazione adottata dalla Corte era contraddittoria, laddove aveva ritenuto che il reato di danneggiamento fosse tuttora sussistente perchè aggravato dall'esposizione della vettura del Ri. alla pubblica fede, in quanto parcheggiata sulla pubblica strada, nonostante che il Ri. avesse installato un allarme sonoro sul proprio veicolo e soprattutto un impianto di videoripresa all'esterno della propria abitazione, sì da poter controllare costantemente, direttamente e continuamente il veicolo.

Il ricorrente ravvisa poi una contraddizione anche con la diversa statuizione di abolitio criminis disposta per il danneggiamento a sua volta provocato dal Ri. perchè il R., a bordo dell'auto, esercitava sulla stessa un controllo diretto, sicchè il veicolo non poteva ritenersi esposto alla pubblica fede.

Non era legittima neppure l'eliminazione delle statuizioni civili relative al danneggiamento subito dal R., disposta dalla Corte in conseguenza dell' abolitio criminis, persistendo il diritto quesito al risarcimento del danno alla sopravvenuta abrogazione della disposizione incriminatrice.

Motivi della decisione

1. Con la prima parte del motivo il ricorrente sostiene la contraddittorietà della motivazione adottata dalla Corte territoriale, che aveva ritenuto che il reato di danneggiamento commesso dal R. fosse tuttora sussistente perchè aggravato dall'esposizione della vettura del Ri. alla pubblica fede, in quanto parcheggiata sulla pubblica strada.

Tale valutazione non sarebbe corretta perchè il Ri. aveva installato un allarme sonoro sul proprio veicolo e soprattutto un impianto di videoripresa all'esterno della propria abitazione, sì da poter controllare costantemente, direttamente e continuamente il veicolo.

La censura è manifestamente infondata.

Anche dopo la depenalizzazione del reato di danneggiamento semplice, apportata dal D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, l'art. 635 c.p., comma 2, n. 1, ultima parte, sanziona tuttora penalmente il danneggiamento di beni esposti alla pubblica fede ai sensi dell'art. 625 c.p., comma 1, n. 7.

Infatti l'abolitio criminis non è stata integrale poichè il nuovo testo dell'art. 635 c.p., comma 1, continua a reprimere penalmente il danneggiamento di beni altrui commessi con violenza alla persona o con minaccia, ovvero in occasione di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico del delitto di cui all'art. 331 c.p.; del pari, il comma 2 del novellato art. 635 ha mantenuto la sanzione penale dei fatti di danneggiamento commessi nei confronti di beni di particolari tipologie.

Questa Corte ha quindi avuto modo di precisare che "In tema di danneggiamento, il fatto già previsto come reato dall'art. 635 c.p., comma 2, n. 3, in quanto commesso sulle cose indicate dall'art. 625, n. 7, conserva rilevanza penale anche nella vigenza del nuovo testo, introdotto dal D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, art. 2, comma 1, lett. i), in quanto tra il nuovo ed il previgente testo della norma sussiste un nesso di continuità e di omogeneità, non avendo il D.Lgs. n. 7 del 2016 prodotto una generalizzata abolitio criminis della fattispecie, bensì solo la successione di una norma incriminatrice che ha escluso la rilevanza penale di alcune ipotesi, conservandola rispetto ad altre." (Sez. 7, n. 20635 del 16/02/2016, Habou, Rv. 267750).

La ratio dell'aggravamento della pena, previsto dall'art. 625, n. 7, terza ipotesi, codice penale, non è correlata alla natura - pubblica o privata - del luogo ove si trova la cosa, ma alla condizione di esposizione di essa alla pubblica fede, trovando così protezione solo nel senso di rispetto per l'altrui bene da parte di ciascun consociato (Sez. 2, n. 11977 del 04/07/1989, Panbianchi, Rv. 182026).

Questa Corte ha quindi ripetutamente affermato che nel caso di veicoli lasciati incustoditi non basta ad escludere la aggravante dell'esposizione alla pubblica fede un qualsiasi ostacolo frapposto alla sottrazione, ma occorre che l'ostacolo sia tale da affermare la non omissione della custodia e la difficoltà dell'intervento di terzi, per modo che il ladro non possa superare l'ostacolo senza dare l'allarme; onde ricorre l'aggravante nel caso di furto di automobile lasciata incustodita nella pubblica via, non avendo rilievo l'uso di congegni antifurto, sia perche le esigenze del traffico attuale hanno fatto sorgere la consuetudine di lasciare incustodito in luoghi pubblici il predetto mezzo di locomozione, sia perche l'ingegnosità dei delinquenti ha sempre trovato modo di superare tali ostacoli. (Sez. 2, n. 4557 del 07/01/1976, Basanisi, Rv. 133203). Il montaggio di un congegno antifurto non elimina quindi il pubblico affidamento della res (Sez. 2, n. 8504 del 16/05/1985, Stimoli, Rv. 170556).

Parimenti è stata ritenuta sussistere l'aggravante di cui all'art. 625 c.p., comma 1, n. 7 - sub specie di esposizione della cosa per necessità o per destinazione alla pubblica fede - nel caso in cui il soggetto attivo si impossessi di un'autovettura dotata di antifurto satellitare, che, pur attuando la costante percepibilità della localizzazione del veicolo, non ne impedisce la sottrazione ed il conseguente impossessamento, consentendo solo di porre rimedio all'azione delittuosa con il successivo recupero del bene (Sez. 5, n. 10584 del 30/01/2014, Catarinozzi, Rv. 260204; Sez. 5, n. 9394 del 20/01/2014, Tiritiello, Rv. 259537).

Con l'evolversi della tecnologia, le stesse considerazioni sono state estese all'ipotesi della presenza di un sistema di videosorveglianza, che, ancorchè consenta la conoscenza postuma delle immagini registrate dalla telecamera, non costituisce di per sè una difesa idonea a impedire la consumazione dell'illecito attraverso un immediato intervento ostativo (Sez. 5, n. 6682 del 08/11/2007 - dep. 2008, Manno, Rv. 239095).

Pertanto, la presenza di sistemi di allarme e videoregistrazione, se può facilitare una reazione contro il furto o il danneggiamento del bene esposto alla pubblica fede o l'individuazione del colpevole, non elimina quell'affidamento alla protezione assicurata dal senso di rispetto per l'altrui bene da parte di ciascun consociato, che è a fondamento della previsione normativa, sì da giustificare l'aggravamento della pena e nella fattispecie la persistente rilevanza penale della condotta.

2. Il ricorrente ravvisa altresì contraddizione con la diversa statuizione di abolitio criminis disposta per il danneggiamento provocato a sua volta dal Ri. perchè il R., a bordo dell'auto, esercitava sulla stessa un controllo diretto, sicchè il veicolo non poteva ritenersi esposto alla pubblica fede.

Non sussiste alcuna contraddizione, perchè nel caso del danneggiamento specularmente ascritto al Ri. il R. si trovava a bordo dell'autovettura danneggiata, sicchè non poteva neppur concettualmente ipotizzarsi la situazione di affidamento alla pubblica fede che costituisce il presupposto dell'aggravante di cui all'art. 625 c.p., comma 1, n. 7 e, conseguentemente della persistente rilevanza penale del danneggiamento.

3. Secondo il ricorrente non era legittima neppure l'eliminazione delle statuizioni civili relative al danneggiamento subito dal R., disposta dalla Corte in conseguenza dell'abolitio criminis, persistendo il diritto quesito al risarcimento del danno alla sopravvenuta abrogazione della disposizione incriminatrice.

La censura è manifestamente infondata alla luce della giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte nella sua massima espressione nomofilattica. L'abolitio criminis sopravvenuta alla sentenza impugnata deve essere rilevata d'ufficio a norma dell'art. 129 c.p.p. e dell'art. 2 c.p., comma 2. Ciò anche nel caso di ricorso inammissibile ed indipendentemente dall'oggetto dell'impugnazione, atteso il principio della ragionevole durata del processo, che impone di evitare una pronunzia di inammissibilità che avrebbe quale unico effetto un rinvio della soluzione alla fase esecutiva. (Sez. 5, n. 44088 del 02/05/2016, Pettinaro e altri, Rv. 267751).

Il necessario annullamento della sentenza di condanna per un fatto che la legge non prevede più come reato travolge anche le statuizioni civili, alla luce sia della regola generale del collegamento necessario tra condanna e statuizioni civili da parte del giudice penale, sia della tassatività della preclusione di deroga contenuta nell'art. 578 c.p.p., sia della diversa disciplina espressamente sancita dal D.Lgs. n. 8 del 2016, art. 9 per gli illeciti oggetto di depenalizzazione, non prevista per le ipotesi di abolitio criminis dal D.Lgs. n. 7 del 2016, nè ad esso applicabile in via analogica.

In tal senso si è ormai consolidata la giurisprudenza di legittimità secondo cui l'annullamento senza rinvio della sentenza di condanna per una delle fattispecie criminose abrogate dal D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, determina la revoca delle statuizioni civili, cui potrà seguire, per effetto della eventuale azione risarcitoria davanti al giudice civile competente per valore, il giudizio civile per l'accertamento dell'illecito depenalizzato, l'irrogazione della sanzione pecuniaria e il risarcimento del danno (Sez. U, n. 46688 del 29/09/2016, Schirru e altro, Rv. 267884; Sez. 2, n. 26091 del 10/06/2016, Tesi, Rv. 267004; Sez. 5, n. 32198 del 10/05/2016, Marini, Rv. 267002).

4. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, così equitativamente determinata in relazione ai motivi di ricorso che inducono a ritenere la parte ricorrente in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. 13/6/2000 n.186).

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000.00 a favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 19 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2017