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Critica richiede solida base di verità (Cass. 54501/16)

22 dicembre 2016, Cassazione penale

Ai fini del riconoscimento dell'esimente del diritto di critica, è indispensabile verificare l'esistenza di una solida base di collegamento tra affermazioni valutative offensive e fatti veri.

In tema di reati contro l'onore, la critica, siccome espressione di valutazioni puramente soggettive dell'agente, può anche essere pretestuosa ed ingiustificata, oltre che caratterizzata da connotazioni di forte asprezza, ma l'offesa non si deve tradurre in una gratuita ed immotivata aggressione alla sfera personale del soggetto preso di mira, dovendo rimanere contenuta nell'ambito della tematica attinente al fatto dal quale la critica ha tratto spunto.

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

(ud. 21/09/2016) 22-12-2016, n. 54501

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PALLA Stefano - Presidente -

Dott. ZAZA Carlo - Consigliere -

Dott. DE GREGORIO Eduardo - Consigliere -

Dott. SETTEMBRE Antonio - Consigliere -

Dott. DE MARZO Giuseppe - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

G.G., nato il (OMISSIS);

M.E., nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 17/09/2015 della CORTE APPELLO di MILANO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/09/2016, la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE DE MARZO;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. LOY Maria Francesca che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi;

Udito l'Avv. DP per la parte civile, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Uditi i difensori Avv. FR per G. e FF i quali hanno concluso per l'accoglimento dei ricorsi.

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 17/09/2015 la Corte d'appello di Milano ha confermato la decisione di primo grado, che aveva condannato alla pena di giustizia e al risarcimento dei danni M.E. e G.G., avendoli ritenuti responsabili del reato di cui all'art. 110 c.p., art. 595 c.p., comma 1 e comma 3, L. n. 47 del 1948, art. 13, per avere, in concorso tra loro, quali coautori del libro "(OMISSIS)", offeso la reputazione di R.A.C.S., accusandolo di avere svolto le proprie funzioni di coordinatore del gruppo che si occupava presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Roma di criminalità informatica, con modalità scorrette ed illecite ai danni del G. e a tutela di interessi propri.

La Corte territoriale, dopo avere fatto rinvio alle argomentazioni svolte dal Tribunale e avere escluso la necessità di acquisizione di ulteriore materiale istruttorio, ha rilevato: a) che entrambi gli imputati dovevano essere ritenuti coautori del volume, dal momento che il M. aveva materialmente redatto il libro recependo le affermazioni del G., il quale, oltre ad essere il diretto ispiratore dell'opera, aveva consapevolmente e materialmente partecipato, attraverso un carteggio continuo, alla realizzazione del libro; b) che esorbitava dal legittimo esercizio del diritto di critica la gratuita attribuzione di malafede e scorrettezza nello svolgimento di funzioni giurisdizionali; c) che il libro, quantomeno per ciò che concerneva l'operato della persona offesa, non andava oltre l'esposizione di mere congetture e, traendo spunto da sparuti dati privi di significato e ammantati di contenuto, con il generoso ricorso a connessioni di pura fantasia, raggiungeva per sommatoria il risultato voluto, ossia la descrizione della persona offesa come inquirente asservito al potere e compartecipe di altrui malefatte; d) che il radicamento presso l'autorità giudiziaria romana dei procedimenti a carico del G. scaturiva dall'iniziativa di una diversa Procura della Repubblica, che aveva trasmesso gli atti a Roma; e) che, peraltro, siffatta questione era stata risolta dalla Procura generale della Corte di Cassazione a favore della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma; f) che inesistente e frutto di fantasia era il coinvolgimento della persona offesa nella vicenda descritta nel libro, in quanto era stato fondato dagli autori su due contatti telefonici avuti dal R. nel luglio del 2007, quando ricopriva un'importante carica associativa, con il ministro Mastella e con il dirigente ministeriale M. e il cui contenuto, ignoto, non poteva essere inventato; g) che da tali due contatti era stata desunta sia l'attribuibilità al R. della revoca del proclamato ed imminente sciopero dei magistrati sia la correlazione di tale evento con il coinvolgimento della persona offesa in una lobby di potere che era intervenuta in relazione alle inchieste condotte dal dott. D.M.; h) che, del resto, i contatti erano del 2007, mentre la trasmissione del fascicolo presso la Procura della Repubblica di Roma era avvenuta nel 2009; i) che gratuito era l'accostamento del R. alle vicende che avevano interessato il suo collega T.A., l'attribuzione di un "idea giusta per ogni Governo in carica" e, ancora, l'esistenza nel materiale sequestrato al G. di una cartellina con il suo nominativo e di ignoto contenuto; l) che le critiche rivolte al R., quanto alla resistenza opposta alla restituzione del materiale informatico sequestrato, dopo l'annullamento del provvedimento genetico disposto dal Tribunale del riesame, pur inserendosi in una vicenda che, in linea teorica, era meritevole di una garbata critica di accanimento giudiziario, si erano tradotte in affermazioni diffamatorie, dal momento che avevano falsamente attribuito al magistrato la finalità di venire a conoscenza degli affari dei quali si era occupato il G., ossia, in definitiva, una condotta di abuso posta in essere da un uomo asservito al potere e partecipe del complotto ordito ai danni del medesimo G..

La Corte d'appello ha aggiunto che il risarcimento era stato correttamente determinato, tenendo conto dell'ampia diffusione del volume e della risonanza dell'evento editoriale.

2. Nell'interesse degli imputati sono stati proposti distinti ricorsi per cassazione.

3. Il ricorso proposto nell'interesse del G., dopo avere ribadito la necessità di rispettare l'art. 21 Cost., anche alla luce degli approdi della giurisprudenza della Corte Europea di Strasburgo, in relazione all'art. 10 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, e dopo avere precisato di essere stato assolto dalla Corte d'appello di Roma, si affida ai seguenti motivi.

3.1. Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, per avere la Corte territoriale disatteso le richieste di parziale rinnovazione dell'istruttoria, ritenendo non necessaria l'acquisizione di ulteriore materiale, laddove, venendo in questione mezzi di prova sopravvenuti alla sentenza di primo grado, il parametro di decisione era rappresentato dal comma 2 e non dal comma 1 dell'art. 603 c.p..

3.2. Con il secondo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, per essersi la sentenza impugnata sottratta al rilievo, formulato nell'atto di appello, per cui le valutazioni critiche contenute nel libro, muovendo da fatti ritenuti veri dallo stesso Tribunale, non si erano indirizzate verso la persona del dott. R., ma nei confronti delle sue condotte, con la conseguenza che solo attraverso una personale interpretazione del contenuto, che ne aveva tradito la lettera e il senso, era stato possibile ricostruire la portata diffamatoria delle affermazioni.

Aggiunge il ricorrente: a) che la Corte territoriale era giunta alla conferma della sentenza di primo grado, sostenendo, per un verso, la falsità o l'irrilevanza di alcuni fatti e, per altro verso, ammettendo, che almeno in un caso i comportamenti del dott. R. meritassero una critica; b) che, tuttavia, la Corte d'appello non era stata in grado di argomentare la falsità dei fatti posti a fondamento delle valutazioni critiche e aveva attribuito al volume la descrizione della persona offesa come "inquirente asservito al potere e compartecipe di altrui malefatte", in realtà sconosciuta al libro; c) che, in ogni caso, la ingiustificatamente ritenuta offensività delle affermazioni rappresentava il presupposto della distinta questione posta, ossia l'esercizio del diritto di cronaca e di critica.

3.3. Con il terzo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, per avere la Corte d'appello completamente omesso di esaminare la questione della sussistenza putativa della scriminante invocata, alla cui dimostrazione erano anche finalizzate le richieste istruttorie indicate nel primo motivo.

3.4. Con il quarto motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione all'attribuzione al ricorrente del ruolo di coautore del libro, smentito dallo stesso contratto di edizione - a proposito del quale la Corte d'appello non aveva speso argomentazioni - e non confermato dalla mancata dissociazione o dall'utilizzo, in altre sedi, di espressioni simili, come pure dalla consapevolezza del contenuto complessivo del libro.

Aggiunge sul punto il ricorrente: a) che difettava la prova di una specifica compartecipazione del G. alla redazione e pubblicazione dei brani riportati nel capo di imputazione; b) che la motivazione della sentenza impugnata, ruotante attorno alla deposizione della teste Z., anche a tacer dei dubbi sulla attendibilità della testimone, si fondava su un travisamento del contenuto delle dichiarazioni di quest'ultima; c) che la Corte d'appello aveva contraddittoriamente affermato, da un lato, che il ricorrente era ispiratore e fonte del libro e, dall'altro, che aveva svolto il ruolo di concorrente materiale.

3.5. Con il quinto motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, per avere la Corte territoriale operato una quantificazione arbitraria del risarcimento del danno, esibendo una motivazione "plasticamente inesistente".

3.6. E' stata depositata memoria nell'interesse del G., nella quale, richiamato il contenuto del ricorso, si rileva, con riferimento al quarto motivo, che la Corte d'appello di Milano, con sentenza del 17/02/2016, divenuta irrevocabile agli effetti penali, ha assolto il ricorrente e il M. dall'imputazione di diffamazione nei confronti di altro magistrato, contestata come commessa con la pubblicazione del medesimo libro del quale si discute. La sentenza ha ritenuto che le modalità di collaborazione nella stesura del libro non apparivano univocamente rivelatrici di una "scrittura a quattro mani".

Secondo il ricorrente, il fatto che sia stata escluso il ruolo di coautore del G. comporta una ricostruzione in fatto incompatibile con quella recepita dalla sentenza impugnata, con la conseguenza che la conferma di quest'ultima produrrebbe le condizioni di cui all'art. 630 c.p.p., comma 1, lett. a).

4. Il ricorso proposto nell'interesse del M. ribadisce che l'imputato aveva riscontrato documentalmente quanto riportato nel libro, mentre la Corte territoriale, pur individuando il contenuto delle critiche, aveva omesso di affrontarle, peraltro discostandosi sia dalla sentenza di primo grado che dalla giurisprudenza di legittimità, quanto ai criteri che devono governare l'attività di diffusione di interviste. Esso, quindi, si affida ai seguenti motivi.

4.1. Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, rilevando: a) che la Corte d'appello si era sottratta, a fronte delle argomentazioni sviluppate nell'atto di appello e nelle memorie depositate, al dovere di motivazione, ripiegando su un acritico accoglimento delle considerazioni svolte dalla decisione di primo grado; b) che, in particolare, non era stato affrontato il tema della causa di giustificazione fondata sull'art. 21 Cost., quantomeno sotto il profilo della putatività; c) che, in realtà, era stato lo stesso Tribunale a riconoscere che i fatti riportati nel libro erano veri e che, del resto, essi erano stati riscontrati dal ricorrente; d) che, comunque, la denuncia da parte del G. dei dott. R. e T. costituiva notizia meritevole di essere pubblicata e commentata; e) che, peraltro, anche la sentenza impugnata aveva ammesso che si era trattato di una vicenda processuale molto dibattuta", "meritevole di una garbata critica all'accanimento giudiziario...".

4.2. Con il secondo motivo, oltre a sviluppare considerazioni già formulate nel primo motivo, si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, ribadendo che la Corte d'appello non aveva considerato come, nel quadro del giornalismo d'inchiesta, del quale il libro in questione era espressione, i fatti erano stati accertati e si inserivano in una vicenda di interesse pubblico della quale anche altri organi di stampa avevano riferito e che comunque era meritevole di essere divulgata.

Aggiunge il ricorrente: a) che non il libro ma i fatti avevano accostato il dott. R. al dott. T., dal momento che il primo non si era discostato dal secondo, quando, nei confronti di quest'ultimo, era stata proposta richiesta di astensione; b) che, del pari, era documentato il plurimo cambio di opinione del dott. R. a proposito della inappellabilità delle sentenze di assoluzione.

4.3. Con il terzo motivo, si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, con riferimento alla quantificazione del risarcimento dei danni.

4.4. E' stata depositata memoria nell'interesse del M., nella quale si sviluppano le considerazioni contenute nel ricorso e si richiama la medesima sentenza emessa il 17/02/2016 dalla Corte d'appello di Milano, menzionata nella memoria depositata nell'interesse del G..

5. E' stata depositata memoria nell'interesse della parte civile.

Motivi della decisione


1. L'esame dei motivi dei due ricorsi va preceduto, per ragioni di economia espositiva, da un'analisi delle questioni legate all'individuazione dei limiti del diritto di critica, nella prospettiva del diritto interno e del diritto internazionale. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di diffamazione a mezzo stampa, presupposto imprescindibile per l'applicazione dell'esimente dell'esercizio del diritto di critica è la verità del fatto storico posto a fondamento della elaborazione valutativa (Sez. 5, n. 7715 del 04/11/2014 - dep. 19/02/2015, Caldarola, Rv. 264064; Sez. 1, n. 40930 del 27/09/2013, Travaglio, Rv. 257794).

In senso contrario, non possono essere valorizzate alcune massime nella quali si legge che, in relazione all'esercizio del diritto di critica politica, il rispetto della verità del fatto assume un limitato rilievo, necessariamente affievolito rispetto alla diversa incidenza sul versante del diritto di cronaca, in quanto la critica, quale espressione di opinione meramente soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale, che non può, per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica (v., ad es., Sez. 5, n. 4938 del 28/10/2010 - dep. 10/02/2011, Simeone, Rv. 249239; Sez. 5, n. 49570 del 23/09/2014, Natuzzi, Rv. 261340).

Il significato di tali decisioni va colto, infatti, nell'intento di sottolineare il profilo valutativo essenzialmente insito nel diritto di critica, ma non anche in quello di escludere il rilievo della veridicità dei fatti dai quali trae spunto il giudizio espresso.

Nella prima delle due sentenze citate, infatti, questa Corte, ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice dell'udienza preliminare aveva dichiarato non doversi procedere perchè il fatto non costituisce reato nei confronti di un uomo politico, il quale aveva rilasciato dichiarazioni su un corteo organizzato da (OMISSIS), stigmatizzando il fatto "che spazi politici e di espressione siano lasciati a disposizione di organizzazioni chiaramente fasciste e che sono portatori di valori quali la xenofobia, il razzismo, la violenza e l'antisemitismo".

Nella motivazione, questa Corte ha avuto modo di precisare che il giudicante aveva ritenuto irrilevante, proprio in quanto la fattispecie non debordava dai limiti della critica politica, la verifica della verità della presenza dei connotati di xenofobia, razzismo, violenza ed antisemitismo nel modo di essere e di porsi dell'associazione (OMISSIS), "attestandosi così, sul piano concettuale e giuridico, su una linea di valutazione anche meno incisiva rispetto all'assunto di questa Corte regolatrice, che ha riconosciuto l'esimente del diritto di critica storica e politica nell'attribuzione - agli appartenenti a quella stessa associazione di espressioni quali nazifascismi e neonazisti, sul riflesso che, alla luce dei dati storici e dell'assetto normativo vigente durante il ventennio fascista, segnatamente delle leggi razziali - R.D. n. 1728 del 1938 e relative leggi di attuazione - la qualità di fascista non può essere depurata dalla qualità di razzista e ritenersi incontaminata dall'accostamento al nazismo, il che fornisce base di verità alle espressioni di critica in quella sede esaminate".

La seconda sentenza, esaminando la decisione intervenuta con riferimento ad un confronto dialettico sulla stampa tra un assessore e il responsabile di un consorzio interessato ad un progetto di interesse pubblico, si è concentrata sui profili valutativi della vicenda, ma ha ricordato la sentenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo, 27/11/2012, Mengi c. Turchia, che distingue tra "giudizi di fatto" e di "valore", precisando che l'esistenza del fatto, a differenza del giudizio di valore, può essere soggetta a prova, poichè la richiesta di dimostrare la verità di un giudizio di valore determina un evidente effetto dissuasivo sulla libertà di informare. Inoltre, ancora Sez. 5, n. 49570 del 23/09/2014, Natuzzi, cit., ha chiarito che, nel caso di specie, "la critica è stata formulata con modalità che sono proprie di espressione della libertà di manifestazione del pensiero, che con la sua ironia e la veridicità finalizzata alla critica del destinatario in una vicenda di interesse pubblico - rientra nella scriminante dell'esercizio del diritto tutelato dall'art. 21 Cost. e art. 51 c.p.".

La giurisprudenza della Corte Europea di Strasburgo, formatasi attorno alla verifica del rispetto della libertà di espressione, garantita dall'art. 10 della Convenzione, giunge a conclusioni speculari.

Nella recente decisione della quarta sezione del 30/06/2015, Peruzzi c. Italia, la Corte, infatti, puntualizza, riassumendo la propria elaborazione interpretativa, che è necessario operare una distinzione tra le dichiarazioni fattuali e i giudizi di valore, aggiungendo (p. 48): "Se la materialità dei fatti si può provare, i giudizi di valore non si prestano ad alcuna dimostrazione per quanto riguarda la loro esattezza (Oberschlick c. Austria (n. 2), 1 luglio 1997, p. 33, Recueil 1997-IV) e in questo caso l'obbligo di prova, impossibile da soddisfare, viola la stessa libertà di opinione, elemento fondamentale del diritto sancito dall'art. 10 (Morice c. Francia (GC), n. 29369/10, p. 155, 23 aprile 2015). La classificazione di una dichiarazione come fatto o come giudizio di valore dipende in primo luogo dal margine di apprezzamento delle autorità nazionali, in particolare dei giudici interni (Prager e Oberschlick c. Austria, 26 aprile 1995, p. 36, serie A n. 313). Tuttavia, anche quando equivale a un giudizio di valore, una dichiarazione deve fondarsi su una base fattuale sufficiente, senza la quale sarebbe eccessiva (Jerusalem c. Austria, n. 26958/95, p. 43, CEDU 2001-11, e Ormanni, sopra citata, p. 64)".

Nel prosieguo, la motivazione della Corte è ancora più esplicita. Sia pure occupandosi della posizione di un avvocato - ma è agevole osservare che le garanzie di libertà che devono assistere lo svolgimento della funzione difensiva non sono affatto secondarie rispetto a quelle che circondano l'attività giornalistica -, la sentenza Peruzzi c. Italia cit. chiarisce che "le affermazioni degli avvocati devono essere valutate nel loro contesto generale, in particolare per sapere se possano essere considerate come ingannevoli o come un attacco gratuito e per assicurarsi che le espressioni utilizzate nella fattispecie presentino un legame sufficientemente stretto con i fatti della causa" (p. 51).

Del resto, ben s'intende come il necessario riferimento alla veridicità dei fatti perderebbe ogni significato se non fosse correlato alle opinioni espresse. E ciò a tacere dell'ipotesi, che viene in questione nel caso di specie, in cui, attraverso l'accostamento di dati fattuali privi di qualunque razionale correlazione, si giunge a ricostruire anche fatti assolutamente carenti di ogni base oggettiva.

Peraltro, per sgombrare il campo dal dubbio che i canoni di valutazione della diffamazione, nella presente vicenda, riguardante un magistrato, possano rivelarsi diversi e maggiormente penalizzanti di quanto avvenga negli altri casi, deve rilevarsi che anche la Corte di Strasburgo (sentenza Peruzzi c. Italia cit., p. 52) sottolinea come i "funzionari devono, per adempiere alle loro funzioni, beneficiare della fiducia del pubblico senza essere indebitamente infastiditi e può dunque risultare necessario tutelarli da attacchi verbali offensivi quando sono in servizio (Janowski, sopra citata, p. 33, e Nikula, sopra citata, p. 48)".

In tale contesto, va colto il significato delle affermazioni di Sez. 5, n. 3047 del 13/12/2010 - dep. 27/01/2011, Belotti, Rv. 24970801, secondo cui "la critica, siccome espressione di valutazioni puramente soggettive dell'agente, può anche essere pretestuosa ed ingiustificata, oltre che caratterizzata da connotazioni di forte asprezza". La sentenza, infatti, comunque, conferma che l'offesa non si deve tradurre "(come questa Corte ha più volte puntualizzato) in una gratuita ed immotivata aggressione alla sfera personale del soggetto preso di mira", ma deve rimanere contenuta nell'ambito della tematica attinente al fatto dal quale la critica ha tratto spunto.

Il carattere pretestuoso, in altre parole, comunque non rende irrilevante la verifica dell'esistenza di una solida base di collegamento con fatti veri, altrimenti finendo per divenire, appunto, gratuita.

2. Ciò posto, il primo motivo del ricorso proposto nell'interesse del G. è infondato.

Sebbene, infatti, la Corte territoriale abbia disatteso le richieste istruttorie osservando che, alla luce dell'istruttoria svolta, non si rendeva "necessaria l'acquisizione di ulteriore materiale", appare evidente, dal contesto della motivazione, che il canone valutativo adoperato sia proprio quello, invocato dal ricorrente, del comma 2 dell'art. 603 c.p.p..

Si legge, infatti, nella sentenza impugnata che tale conclusione discende dalla previa individuazione dell'ambito del giudizio, circoscritto alla verifica del contestato contenuto diffamatorio delle frasi riportate nel libro, "evitando digressioni su argomenti, che al più possono ritenersi di cornice e che come tali sono stati affrontati, al solo fine della comprensione del contesto storico in cui si è svolta la vicenda".

In tal modo ricostruito il percorso argomentativo della sentenza impugnata, deve escludersi che essa abbia erroneamente fatto riferimento, secondo quanto lamentato dal ricorrente, al parametro della assoluta necessità.

Va aggiunto, per completezza, che la natura documentale delle prove non sposta i termini del problema, giacchè la loro acquisizione nel giudizio di appello, pur non implicando la necessità di una formale ordinanza di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, postula comunque che esse siano rilevanti e decisive rispetto al quadro probatorio in atti (Sez. 3, n. 37879 del 23/06/2015, Pisaniello, Rv. 265022).

3. Infondato è anche il secondo motivo del medesimo ricorso.

Innanzi tutto, è del tutto inesatto che la sentenza di primo grado abbia ritenuto rispondenti a verità i fatti sui quali era stato articolato il giudizio critico nei confronti della parte civile.

In un primo brano, il Tribunale si limita ad osservare come, una volta appurato che la divulgazione ha ad oggetto notizie vere e di interesse sociale, occorre valutare il rispetto del limite della continenza non solo formale, o espressiva, ma anche sostanziale. Ed è evidente, sia sul piano letterale, che su quello del complessivo contesto argomentativo, che il passo della motivazione, lungi dal rappresentare una valutazione dei fatti dei quali si discute, intende dar conto dei presupposti e dei limiti del diritto di critica.

In altro brano, il Tribunale afferma che sono veri e incontestati i provvedimenti adottati dalla parte civile, subito sottolineando, però, che essi sono rappresentati in modo fuorviante ed offensivo. Del resto, non va trascurato di considerare che la medesima sentenza, nelle pagine precedenti, precisa che alcuni fatti sono falsamente rappresentati e che false e fuorvianti sono le considerazioni dedicate alle ragioni sottese all'emissione dei provvedimenti giurisdizionali.

Va escluso, pertanto, che sia ravvisabile una contraddittorietà nella motivazione della sentenza impugnata, laddove, per un verso, dichiara di aderire alla ricostruzione del Tribunale e, per altro verso, conclude per la falsità di alcuni fatti.

Per il resto, la ripetitiva esposizione del ricorso continua a sottrarsi al cuore argomentativo delle decisioni di merito, che, in linea con le coordinate interpretative esaminate supra sub 1, coglie la diffamatorietà delle espressioni adoperate nell'accostamento, privo di qualunque base logica, tra fatti di ignoto contenuto (quali i contatti telefonici del R. con terzi) o del tutto neutri e provvedimenti giurisdizionali - peraltro anche cronologicamente distanti nel tempo - finalizzato a rappresentare la parte civile come persona partecipe di un sistema di potere (al punto da suggerire oscure vicinanze con un collega interessato da indagini che l'avrebbero condotto alle dimissioni) e interessata a colpire, per finalità di autoconservazione di quest'ultimo, chi ne stava disvelando le trame.

L'atomistica esposizione di singole circostanze vere è, pertanto, del tutto inidonea a dimostrare l'erroneità delle conclusioni giuridiche e l'irrazionalità delle ricostruzioni in fatto che sorreggono le conclusioni della sentenza impugnata.

Ne discende che anche il riferimento di quest'ultima alla "garbata" critica che poteva essere indirizzata alle iniziative del R. nella vicenda legata alla restituzione dell'archivio informatico del G., sebbene sia inesatto, in quanto la critica ben può essere aspra, non incrina la tenuta argomentativa della decisione, dal momento che si colloca in una lettura unitaria delle affermazioni contestate, tutte convergenti nell'attribuire alla parte civile finalità estranee all'accertamento della verità e all'adempimento delle funzioni istituzionali del pubblico ministero.

4. Il terzo motivo del ricorso è infondato.

La Corte territoriale, nel momento in cui ha colto nell'operato degli imputati "la prova tangibile dell'avvenuta distorsione della verità e dunque del correlato esercizio di critica a fini diffamatori" ha evidentemente escluso - in termini impliciti ma assolutamente non equivoci - la sussistenza della scriminante putativa del diritto di critica.

Quest'ultima presuppone, infatti, che l'errore sulla verità dello stesso non sia frutto di negligenza, imperizia o colpa non scusabile (Sez. 1, n. 40930 del 27/09/2013, Travaglio, Rv. 25779501), ossia, in altri termini, è del tutto incompatibile con l'accertata volontà di alterare i fatti al fine di colpire gratuitamente il destinatario.

Del tutto generica è, infine, la critica che correla alla richiesta di rinnovazione istruttoria l'acquisizione di elementi rilevanti in vista dell'accertamento della invocata scriminante.

5. Nell'esaminare il quarto motivo, approfondito anche nella memoria depositata, va premesso che la sentenza emessa il 17/02/2016 dalla Corte d'appello di Milano non contiene l'accertamento di fatti incompatibili con quelli posti a fondamento della decisione impugnata, dal momento che ha escluso che potessero essere attribuite ad entrambi gli imputati le sole dichiarazioni concernenti altri magistrati, rilevando che ricorrevano "proprio nei passi incriminati oggetto del presente giudizio indicatori di un pur modesto distacco tra il referente ( G.) ed il narrante ( M.)".

Le conclusioni, pertanto, concernono esplicitamente i brani contestati in quel giudizio, in quanto, in un caso, il M. aveva aggiunto la puntualizzazione "a detta di G." e, in altro caso, aveva ripreso il contenuto di un blog del quale era autore un terzo.

Escluso, pertanto, che si ponga un eventuale problema di inconciliabilità di giudicati, si osserva, per il resto, che le considerazioni sviluppate dalla Corte territoriale, in relazione alla intensa e continuativa collaborazione tra i due odierni ricorrenti, non palesano alcuna manifesta illogicità.

In relazione alle critiche contenute nel ricorso va solo aggiunto: a) che il concorso del G. e del M. trae fondamento, secondo l'accertamento dei giudici di merito, da basi fattuali di condotte di collaborazione ed è, pertanto, insensibile a profili formali, quali la tecnica editoriale di confezionamento del materiale e ancor meno la titolarità del contratto di edizione, che assume rilievo a fini diversi (come emerge dalla sentenza di primo grado, le cui conclusioni sono espressamente richiamate dalla decisione impugnata); b) che la circostanza che il G. abbia manifestato, in sede di dichiarazioni spontanee, opinioni comuni a quelle del M. non rappresenta, nella motivazione della Corte territoriale, la dimostrazione della corresponsabilità, ma, testualmente, un elemento di mero conforto della comunanza di intenti dei due autori; c) che, infine, a parte la genericità delle critiche alla attendibilità del teste Z., le censure alla lettura che della sua deposizione ha fornito la Corte territoriale, traendo la prova della attribuzione delle dichiarazioni ad entrambi gli imputati, lungi dal dimostrare un travisamento della prova, aspirano ad una sua rivalutazione. In senso contrario, deve, però, ribadirsi che gli aspetti del giudizio che consistono nella valutazione e nell'apprezzamento del significato degli elementi acquisiti attengono interamente al merito e non sono rilevanti nel giudizio di legittimità, se non quando risulti viziato il discorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa, con la conseguenza che sono inammissibili in sede di legittimità le censure che siano nella sostanza rivolte a sollecitare soltanto una rivalutazione del materiale probatorio (v., ad es., Sez. 5, n 18542 del 21/01/2011, Carone, Rv. 250168 e, in motivazione, Sez. 5, n. 49362 del 07/12/2012, Consorte, Rv. 254063).

6. Inammissibile per assoluta genericità e il quinto motivo.

La liquidazione del danno morale è affidata ad apprezzamenti discrezionali del giudice di merito, il quale ha, tuttavia, il dovere di dare conto delle circostanze di fatto considerate in sede di valutazione equitativa e del percorso logico posto a base della decisione, senza che sia necessario indicare analiticamente i calcoli in base ai quali ha determinato il quantum del risarcimento (Sez. 4, n. 18099 del 01/04/2015, Lucchelli, Rv. 26345001).

Nel caso di specie, la sentenza impugnata, oltre a ricordare l'ampia diffusione del libro e la risonanza dell'evento editoriale, richiama la motivazione del giudice di primo grado, che si è soffermato anche sulla gravità dell'offesa e sul rischio di conseguenze negative per la reputazione professionale del R..

Rispetto a tali indicazioni, le critiche del ricorrente sono prive di ogni specificità, trincerandosi dietro la deduzione dell'inesistenza di una motivazione, invece articolata e idonea a giustificare le conclusioni raggiunte.

7. Il primo motivo del ricorso proposto nell'interesse del M. è infondato, per le ragioni indicate supra sub 1 e 3, alle quali deve solo aggiungersi che l'accertamento della stretta collaborazione tra i due imputati resiste alle critiche sollevate per quanto osservato supra sub 5, che consentono di disattendere le censure cui è dedicata la memoria depositata nell'interesse del M..

8. Identiche considerazioni valgono per le doglianze di cui al secondo motivo, con le seguenti puntualizzazioni: a) la invocata Sez. 5 n. 14513 del 02/03/2011, Mauro, non massimata, nell'affrontare la questione del giornalismo di inchiesta, non si allontana dagli ordinari parametri valutativi della giurisprudenza di questa Corte; b) non è in discussione l'interesse alla diffusione di fatti o la veridicità dei provvedimenti, ma, come s'è detto, l'accostamento, privo di base razionale di quanto esposto, finalizzato a tratteggiare l'immagine della persona offesa, come pubblico ministero compartecipe di un sistema di potere illecito; c) in tale contesto, del tutto fuori fuoco è invocare l'interesse pubblico alla diffusione delle opinioni del G..

9. Inammissibile è il terzo motivo del medesimo ricorso.

Richiamato quanto rilevato supra sub 6, osserva la Corte che il fatto che il R. non sia tra i protagonisti del libro e che sia menzionato poche volte nulla toglie alla gravità delle offese e all'entità del pregiudizio morale conseguentemente ritenuto sussistente.

10. Alla pronuncia di rigetto consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna di ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonchè, in solido tra loro, alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel giudizio di legittimità, che, in relazione all'attività svolta, vengono liquidate in Euro 3.200,00, oltre accessori di legge.

P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali; condanna, inoltre, i ricorrenti, in solido tra loro, alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.200,00, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 21 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2016