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Cortile è pertinenza della privata dimora, furto aggravato (Cass. 4355/23)

2 febbraio 2023, Cassazione penale

Per potersi configurare furto in abitazione, è sufficiente che il delitto di furto sia commesso in un luogo costituente pertinenza di una privata dimora in cui si svolgano non occasionalmente atti della vita privata, anche se la pertinenza, di per se stessa considerata, non venendovi compiute attività della vita privata destinate a rimanere riservate, non integri una privata dimora.

 

 

Cassazione penale

sez. V, ud. 10 novembre 2022 (dep. 2 febbraio 2023), n. 4535
Presidente Vessichelli – Relatore Romano

Ritenuto in fatto e considerato in diritto

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Torino ha confermato la sentenza del 30 marzo 2021 del Tribunale di Torino che, all'esito del giudizio abbreviato, aveva affermato la penale responsabilità di K.M. per il delitto di tentato furto in abitazione e lo aveva condannato, con le circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti alla recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale, alla pena di giustizia.

All'imputato si contesta di avere tentato, in data 28 marzo 2021, di impossessarsi di una bicicletta sottraendola all'interno di un cortile adibito a parcheggio e costituente pertinenza di due diversi condominii.

2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso K.M., a mezzo del suo difensore, chiedendone l'annullamento ed articolando due motivi.

2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la errata qualificazione del fatto come tentato furto in abitazione, sostenendo che il fatto andrebbe riqualificato ai sensi degli artt. 56 e 624 c.p..

A tal fine evidenzia che nel cortile adibito a parcheggio posto al servizio degli appartamenti di due distinti edifici si trovavano anche i bidoni condominiali della spazzatura e vi potevano entrare anche eventuali visitatori dei condomini senza sottoporsi a particolari sistemi di controllo; doveva, quindi, escludersi che si trattasse di luogo di cui i singoli condomini potessero disporre individualmente per svolgere in modo riservato atti della vita privata, essendo esso visibile a chiunque si affacciasse dai balconi prospicienti su di esso. In applicazione dei principi affermati dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 31345 del 23/03/2017, D'Amico, Rv. 270076), il fatto andava qualificato come tentato furto semplice.

La Corte di appello, nel rigettare il motivo di gravame, aveva asserito che l'accesso del pubblico al cortile era impedito da un cancello munito di sistema di apertura e chiusura azionabile esclusivamente dai soggetti legittimati, ma, sostiene il ricorrente, doveva invece valutarsi se tale cortile fosse un luogo connotato da riservatezza.

2.2. Con il secondo motivo il ricorrente si duole dell'erronea applicazione dell'art. 99 c.p., comma 4 e della manifesta illogicità della motivazione con la quale è stato rigettato il motivo di gravame volto all'esclusione della recidiva.

A tal fine deduce che i precedenti penali sulla base dei quali è stata applicata la recidiva erano risalenti a molti anni prima, cosicché appare illogica l'affermazione che il nuovo delitto, il tentato furto di una bicicletta, costituisca manifestazione di un'accresciuta capacità criminale, in quanto esso è stato commesso con modalità che al contrario dimostrano la sprovvedutezza dell'imputato.

3. Il primo motivo del ricorso è manifestamente infondato, in quanto la Corte di Appello ha ritenuto accertato che il cortile all'interno del quale il tentato furto è stato attuato era destinato, anche in ragione degli oggetti che ivi venivano custoditi e riposti, a servizio, quale pertinenza, delle abitazioni in cui le persone offese abitavano o comunque ove i proprietari svolgevano manifestazioni di vita domestica; al contempo l'accesso al cortile era precluso agli estranei, avvenendo attraverso un cancello azionabile unicamente dai soggetti legittimati.

La sentenza delle Sezioni Unite invocata dal ricorrente (Sez. U, n. 31345 del 23/03/2017, D'Amico, Rv. 270076) ha precisato che per luogo di privata dimora deve intendersi qualsiasi area, anche destinata ad attività lavorativa e professionale, in cui si compiono, in maniera non occasionale, atti di vita privata e che non siano aperti al pubblico, nè accessibili ai terzi senza il consenso del titolare.

Per giurisprudenza pacifica, anche successiva alla suddetta sentenza delle Sezioni Unite, è stato affermato che commette il reato previsto dall'art. 624-bis c.p. chi si impossessa di un ciclomotore introducendosi in un locale adibito al suo deposito, in quanto detto luogo, benché disabitato, costituisce pertinenza di privata dimora (Sez. 4, n. 5789 del 04/12/2019, dep. 2020, Gemottine, Rv. 278446; Sez. 5, n. 35764 del 27/3/2018, C., Rv.273597; Sez. 5, n. 1278 del 31/10/2018, dep. 2019, Sini, Rv. 274389; Sez. 2, n. 22937 del 29/05/2012, Muffatti, Rv. 253193).

È sufficiente che il delitto di furto sia commesso in un luogo costituente pertinenza di una privata dimora in cui si svolgano non occasionalmente atti della vita privata, anche se la pertinenza, di per se stessa considerata, non venendovi compiute attività della vita privata destinate a rimanere riservate, non integri una privata dimora.

Il motivo di ricorso risulta, quindi, inammissibile per manifesta infondatezza poiché volto a sostenere una interpretazione dell'art. 624-bis c.p. in contrasto con il dato normativo e con la costante giurisprudenza di questa Corte di cassazione.

4. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile, atteso che non emerge alcuna contraddizione o manifesta illogicità della motivazione ed il ricorrente, sostenendo che dai suoi precedenti penali non è possibile desumere una accresciuta capacità criminale perché risalenti nel tempo e che il nuovo reato neppure è sintomatico di una particolare inclinazione al delitto, invoca a questa Corte di legittimità una inammissibile valutazione di merito.

5. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., comma 1, al pagamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si reputa equo fissare in Euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Motivazione semplificata