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Coppia omosessuale e testimonianza falsa (Cass. 50993/19)

17 dicembre 2019, Cassazione penale

L'obbligo di dare avviso della facoltà di astensione come testimone si applica a tutte le forme di unioni familiari quali le convivenze di fatto, o altre unioni o comunità a prescindere dai rapporti di coniugio e non legate da vincolo giuridico, con tale intendendosi qualunque relazione stabile che, per la consuetudine e la qualità dei rapporti creati all'interno di un gruppo di persone, implichi l'insorgenza, per un apprezzabile periodo di tempo, di vincoli affettivi, solidarietà, protezione reciproca e aspettative di mutua assistenza, assimilabili a quelli tradizionalmente propri del gruppo familiare, oggetto della tutela penale.

La norma di garanzia a favore dei dichiaranti (rectius l'avviso della facoltà di non rispndere ) nel caso di persone conviventi o che abbiano convissuto si applica, peraltro, limitatamente ai fatti verificatisi ovvero appresi durante la convivenza.

Non integra il reato di falsa testimonianza la dichiarazione non veritiera resa da persona che non possa essere sentita come testimone o abbia facoltà di astenersi dal testimoniare, ma non ne sia stata avvertita, a nulla rilevando le finalità e i motivi che l'abbiano indotta a dichiarare il falso.

La legge sulle unioni civili ha normativizzato il riconoscimento delle cd. nuove famiglie garantendo nel solco della giurisprudenza costituzionale ed Europea il diritto alla vita familiare (art. 8 CEDU) ed a vivere liberamente la loro condizione di vita di coppia (art. 2 Cost.) nell'ottica di valorizzazione dei diritti dei singoli di organizzarsi liberamente a livello familiare, fornendo rilievo costituzionale e quindi necessità di tutela, a "forme di convivenza" diverse da quelle tradizionali.

 

Corte di Cassazione

sez. VI Penale, sentenza 14 marzo – 17 dicembre 2019, n. 50993
Presidente Fidelbo – Relatore Agliastro

Ritenuto in fatto

1. Ricorre per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Imperia avverso la sentenza del giudice monocratico del medesimo Tribunale, in data 19/02/2018 con la quale Po. Fr. e Ce. Gi. erano stati assolti perché il fatto non sussiste dai reati loro rispettivamente ascritti relativi alla fattispecie di cui all'art. 372 cod. pen.

Ciascuno degli imputati, secondo l'editto imputativo, sentiti quali testimoni nel dibattimento aperto nei confronti di tale Ci. Ro. per il delitto di violenza sessuale per induzione nei confronti del minore Em. Cr., dichiaravano il falso negando il vero in ordine a talune circostanze riguardanti la vittima indicata, per alleggerire la posizione dell'imputato.

I prevenuti erano accusati in particolare di avere dichiarato che Ci. Ro. era incapace di avere rapporti sessuali di tipo attivo - circostanza sufficiente a far cadere l'accusa di violenza sessuale - mentre nel corso del processo era emerso che il Ci. predetto aveva consumato con la vittima anche rapporti sessuali di tipo attivo.

2. Il giudice aveva applicato la fattispecie di cui all'art. 199 cod. proc. pen., con riferimento alla situazione di «convivenza di fatto tra persone anche dello stesso sesso» e aveva dato atto che Ce. Gi. aveva dichiarato di essere stato il compagno di Ci. Ro. per circa 17-18 anni, dal 1983 al 2000. Il Po. a sua volta aveva dichiarato di essere stato compagno di Ci. dal 5 luglio 2001 al 15/10/2011 e di avere continuato a coabitare con lui anche dopo la cessazione del rapporto affettivo; erano stati prodotti dalla difesa del Po. certificazione attestante che Ci. e Po. hanno avuto la residenza nel medesimo luogo, nella cittadina di (omissis...) dal 04/03/2010 fino al maggio 2016.

II giudice monocratico evidenziava che nel dibattimento a carico di Ci. non avevano ricevuto, ai sensi dell'art. 199 cod. proc. pen., l'avviso della facoltà di non deporre pur essendo acclarato che gli odierni imputati, allora testi, erano stati o erano all'epoca della deposizione, conviventi more uxorio dell'imputato Ci. Ro.. Secondo il giudice anche prima della novella del 2017, esecutiva della legge cd. Cirinnà n. 76/16 sulle unioni civili, i conviventi anche omosessuali avrebbero goduto de facto della facoltà di astensione ai sensi dell'art. 199 cod. proc. pen., previo diritto di avviso. Da tale violazione deriverebbe la non configurabilità del delitto di cui all'art. 372 cod. pen. a carico degli imputati.

3. Osserva il Pubblico Ministero che la norma applicata dal giudice monocratico per addivenire ad una pronuncia assolutoria, ossia l'art. 199 cod. proc. pen. è disposizione "processuale" e non penale sostanziale per la quale trova applicazione il principio "tempus regit actum"; di conseguenza le disposizioni di cui al D.Lgs. n. 6/2017 (che hanno esteso l'applicabilità dei commi 1 e 2 dell'art. 199 cod. proc. pen. citato anche alle situazioni di convivenza derivante da unione civile tra persone dello stesso sesso), non potevano trovare applicazione negli anni 2011/2013, allorché la legge sulle unioni civili n. 76/2016 non era vigente.

Nella fattispecie concreta, non vi sarebbe prova evidente - in forza della sentenza di primo grado del Tribunale di Imperia in cui hanno deposto i due attuali imputati - del "regime di convivenza di fatto" tra ciascuno di essi con l'imputato Ci. Ro. in tempi diversi.

La norma di cui all'art. 199 cod. proc. pen. è disposizione a contenuto processuale e quindi essa non può assumere alcuna valenza retroattiva. Tale conclusione non viola gli artt. 6 e 7 CEDU in quanto la norma non concerne alcuna disposizione di diritto penale sostanziale, mentre la normativa sovranazionale della CEDU fa riferimento alle disposizioni che definiscono i reati e le pene da infliggere ma non quelle che disciplinano le regole del processo penale.

Sottolinea infine il Pubblico Ministero ricorrente che il vecchio testo dell'art. 199 cod. proc. pen. parificava già il convivente al coniuge, ma nel rapporto tradizionale di conviventi di sesso diverso.

4. In data 21/02/2019 è stata presentata memoria nell'interesse di Po. Fr..

Nel caso di specie, il giudice avrebbe accertato lo stato di convivenza del Po. con il Ci. per circa un decennio dal 05/07/2001 al 15/10/2011; in sede di deposizione testimoniale, sebbene a conoscenza del Collegio il rapporto affettivo e di convivenza che aveva legato i due, il Po. non era stato destinatario dell'avviso di cui all'art. 199 cod. proc. pen. e, pertanto, egli non può essere ritenuto responsabile della falsità delle dichiarazioni rese nel corso del processo, essendo l'applicabile "l'esimente" di cui all'art. 384 comma 2 cod. pen.

5. In data 26/02/2019 è stata presentata memoria nell'interesse di Ce. Gi.. Si deduce l'infondatezza del ricorso, poiché il Pubblico Ministero ha dedotto che erroneamente il giudice di primo grado abbia esteso al testimone Ce. Gi. già convivente more uxorio per diversi anni con Ci. imputato in altro processo in cui il Ce. aveva reso testimonianza falsa, la garanzia dell'avviso della possibilità di astenersi dal deporre; di conseguenza una volta ritenuto teste falso, lo stesso poteva beneficiare della causa di esclusione della punibilità ai sensi dell'art. 384 cod. pen.

Considerato in diritto

1. Il ricorso del Pubblico Ministero di Imperia deve essere rigettato, relativamente alla posizione di Po. Fr.. Deve essere invece accolto per le ragioni di seguito precisate, in relazione alla posizione di Ce. Gi..

2. E' pacifico in punto di fatto, che il reato di falsa testimonianza ascritto ai ricorrenti è stato commesso in data 22/01/2013, allorquando, sentiti come testimoni nel processo a carico di Ci. Ro. per il reato di cui all'art. 609 bis cod. pen., non ricevevano l'avviso di cui all'art. 199 comma 3 cod. proc. pen. della facoltà di astenersi dal deporre.

3. Il giudice monocratico ha assolto gli imputati applicando la causa di non punibilità di cui all'art. 384 comma 2 cod. pen. facendo applicazione del principio fissato dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui "non integra il reato di falsa testimonianza la dichiarazione non veritiera resa da persona che non possa essere sentita come testimone o abbia facoltà di astenersi dal testimoniare, ma non ne sia stata avvertita, a nulla rilevando le finalità e i motivi che l'abbiano indotta a dichiarare il falso" (Sez. U, 29/11/2007, n. 7208, P.M. in proc. Genovese, Rv. 238383).

4. Sostiene il Pubblico Ministero ricorrente che l'estensione dell'obbligo di informare il teste convivente more uxorio sarebbe intervenuta soltanto a seguito della riforma introdotta dalla cd. "legge Cirinnà" e dal regolamento attuativo della medesima, mentre all'epoca dei fatti contestati, l'originaria formulazione ne escludeva l'applicazione estensiva alle coppie omosessuali non rientranti nella categoria giuridica della "famiglia" come riconosciuta dall'art. 29 Cost. (famiglia quale società naturale fondata sul matrimonio), né della famiglia di fatto composta da due persone dello stesso sesso.

Invero, già il legislatore, nel prevedere la facoltà del coniuge di astenersi dal deporre "limitatamente ai fatti verificatisi o appresi dall'imputato durante la convivenza coniugale", aveva ritenuto di equiparare la convivenza "more uxorio" al vero e proprio rapporto di coniugio (art. 199 comma 3 lett. A e B cod. proc. pen.). Il riconoscimento normativo della situazione di convivenza tra persone dello stesso sesso è avvenuto con la legge sulle unioni civili n. 76/2016.

5. Cionondimeno, va osservato che un consolidato orientamento giurisprudenziale aveva apprestato in via interpretativa tutela anche ad altre forme di unioni familiari quali le convivenze di fatto, o altre unioni o comunità a prescindere dai rapporti di coniugio e non legate da vincolo giuridico, con tale intendendosi qualunque relazione stabile che, per la consuetudine e la qualità dei rapporti creati all'interno di un gruppo di persone, implichi l'insorgenza, per un apprezzabile periodo di tempo, di vincoli affettivi, solidarietà, protezione reciproca e aspettative di mutua assistenza, assimilabili a quelli tradizionalmente propri del gruppo familiare, oggetto della tutela penale.

La convivenza di fatto può riguardare quelle persone, omosessuali o eterosessuali, che hanno deciso di non contrarre matrimonio, né di sancire il loro legame attraverso l'unione civile, che sono meritevoli di tutela rispetto a determinati aspetti della vita.

6. L'istituto delle unioni civili è stato concepito per la tutela delle coppie omosessuali che a lungo sono state destinatarie di un trattamento diverso rispetto alle coppie eterosessuali, non essendo prevista in precedenza nessuna tutela specifica, ma in favore delle quali veniva riconosciuto che sono libere di vivere liberamente una "condizione di coppia" (sent. n. 138/2010 Corte Cost.) nel novero delle formazioni sociali protette dall'art. 2 Cost.

Con la sent. n. 170 del 2014 la Corte Costituzionale invitava il legislatore a individuare forme di riconoscimento e garanzia per le coppe omosessuali di vivere liberamente la loro condizione di coppia.

La legge sulle unioni civili ha normativizzato il riconoscimento delle cd. nuove famiglie garantendo nel solco della giurisprudenza costituzionale ed Europea il diritto alla vita familiare (art. 8 CEDU) ed a vivere liberamente la loro condizione di vita di coppia (art. 2 Cost.) nell'ottica di valorizzazione dei diritti dei singoli di organizzarsi liberamente a livello familiare, fornendo rilievo costituzionale e quindi necessità di tutela, a "forme di convivenza" diverse da quelle tradizionali.

7. Alla luce delle riflessioni fin qui svolte, i dichiaranti, che siano persone conviventi o che hanno convissuto con l'imputato, devono essere destinatari dell'avviso di cui all'art. 199 cod. proc. pen., tenuto conto che la causa di non punibilità di cui all'art. 384 comma 2 cod. pen. costituisce norma di carattere penale ovvero sostanziale che ha trovato nelle previsioni recate dall'art. 2 comma 1 lett. a) D.Lgs. 6/2017 e, dunque, per i conviventi in forza di unione civile tra persone dello stesso sesso, una mera esplicazione.

La norma di garanzia a favore dei dichiaranti (rectius l'avviso) nel caso di persone conviventi o che abbiano convissuto si applica, peraltro, limitatamente ai fatti verificatisi ovvero appresi durante la convivenza.

Questa Corte ha già avuto modo di precisare che il relativo accertamento si risolve in una questione di fatto, sottratta al sindacato di legittimità, se motivata secondo logici criteri (Sez. 1, n. 36608 del 13/06/2016, Rv. 267602).

8. Ritiene il Collegio, con riguardo a Po. Fr. che la sentenza impugnata ha argomentato correttamente sulla ricorrenza del rapporto di convivenza con il Ci., temporalmente collocato nel periodo che va dal 2001 al 2016 e sulla conoscenza, derivante dal rapporto di convivenza dei fatti sui quali il Po. era chiamato a deporre. Ne consegue che il ricorso del P.M. deve essere rigettato.

9. Viceversa, con riguardo al Ce., la sentenza impugnata si appalesa carente. Infatti, ha ritenuto accertato, solo sulla base delle dichiarazioni del deponente, il rapporto di convivenza con Ci. Ro. nel periodo dal 1983 al 2000.

10. La sentenza deve essere, pertanto, annullata con rinvio alla Corte di appello di Genova che dovrà accertare la esistenza del rapporto di convivenza tra il dichiarante Ce. ed il Ci., traendone le conclusioni alla stregua dei principi sopra esposti.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Ce. Gi. con rinvio alla Corte d'appello di Genova per il giudizio. Rigetta nel resto il ricorso.