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Coordinamento EPPO impedisce rifiuto MAE per pendenza di procedimento nazionale (Cass. 16561/229

28 aprile 2022, Cassazione penale

Il rifiuto facoltativo di esecuzione di un MAE per la pendenza di un  procedimento penale per gli stessi fatti non può essere validamente opposto quando il titolo cautelare emesso nell'ambito di un procedimento avente ad oggetto reati di competenza della Procura Europea (EPPO): in tal caso, infatti, i problemi di coordinamento intergiurisdizionale relativi alla pendenza di procedimenti penali per gli stessi fatti presso diverse Autorità giudiziarie di più Stati membri dell'Unione europea, hanno già trovato una soluzione, seppure provvisoria, per effetto dell'assunzione del coordinamento delle indagini da parte dell'EPPO.

Con il coordinamento delle indagini da parte dell'EPPO, si verifica la conseguente ripartizione, al suo interno, delle competenze fra gli Stati membri e l'eventuale esercizio del diritto di avocazione a norma dell'art. 27 del Regolamento, previa consultazione, se del caso, con le Autorità competenti dello Stato membro, o degli Stati membri, interessati: avocazione dal cui esercizio discende l'ulteriore effetto che le Autorità giudiziarie competenti degli altri Stati membri hanno l'obbligo di trasferire il fascicolo all'EPPO e di astenersi da ulteriori atti d'indagine in relazione allo stesso reato: circostanza che, esclude di per sé, che si possa incorrere nel divieto del ne bis in idem.

Deve ritenersi che le esigenze di coordinamento sottese alle disposizioni relative al meccanismo di consultazione predisposto dalla richiamata decisione quadro 2009/948/GAI del 30 novembre 2009 sulla prevenzione e la risoluzione dei conflitti relativi all'esercizio della giurisdizione nei procedimenti penali abbiano già trovato, o siano destinate ad incontrare, un temporaneo punto di equilibrio ai fini della conduzione delle indagini e delle successive determinazioni già all'interno dell'organo d'accusa istituito a livello europeo.

Solo nell'ipotesi in cui sorga un contrasto fra l'EPPO e la Procura nazionale in merito all'eventuale attrazione della condotta criminosa oggetto del M.A.E. nella sfera di applicazione della competenza propria della Procura europea e del suo esercizio a norma degli artt. 22, 23 e 25, parr. 2 e 3, la soluzione del conflitto potrebbe essere rimessa ex art. 16 d.lgs. 2 febbraio 2021, n. 9, alle determinazioni del Procuratore generale presso la Corte di cassazione, quale Autorità giudiziaria individuata come quella competente a decidere, a livello nazionale, sul contrasto eventualmente creatosi tra la Procura europea ed una o più Procure della Repubblica, in attuazione di quanto previsto dall'art. 25, par. 6, del Regolamento UE 2017/1939.

La normativa europea istitutiva del MAE mira non solo a sollecitare, ma a realizzare una più stretta cooperazione fra le competenti Autorità giudiziarie degli Stati membri, sì da "prevenire situazioni in cui la stessa persona sia oggetto, in relazione agli stessi fatti, di procedimenti penali paralleli in Stati membri diversi, che potrebbero dar luogo a una decisione definitiva in due o più Stati membri e costituire in tal modo una violazione del principio ne bis in idern" [art. 1, comma 2, lett. a), della decisione quadro 2009/948/GAI].

A sua volta, la nozione di "procedimenti paralleli" è scolpita nell'ordinamento interno dall'art. 2, comma 1, lett. a), d.lgs. cit., che li definisce come "procedimenti penali, sia in fase di indagini preliminari che nelle fasi successive all'esercizio dell'azione penale, pendenti in due o più Stati membri per gli stessi fatti nei confronti della medesima persona".

 

Corte di Cassazione

Sent. Sez. 2 penale

Num. 16561 Anno 2022

Presidente: RAGO GEPPINO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA
Data Udienza: 27/04/2022 - deposito 28/04/2022
SENTENZA

sul ricorso proposto da
SP, nato a ** il **/1990
rappresentato ed assistito dall'avv. FSF e dall'avv. AG, di fiducia
avverso l'ordinanza n. 11/2021 in data 15/03/2022 della Corte di appello di Reggio Calabria;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
preso atto della richiesta difensiva di trattazione orale in presenza ex art. 23, comma 8, D.L. n. 137/2020;
letta la memoria difensiva in data 10/04/2022 contenente motivo nuovo con questione di legittimità costituzionale;
udita la relazione svolta dal consigliere Andrea Pellegrino;
sentita la requisitoria con la quale il Sostituto procuratore generale, Simone Perelli, ha chiesto il rigetto del ricorso e la declaratoria di manifesta infondatezza della dedotta questione di legittimità costituzionale;
sentita la discussione con la quale la difesa avv.ti FSF e AG, ha chiesto l'accoglimento del ricorso riportandosi ai motivi proposti.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 15/03/2022, la Corte di appello di Reggio Calabria, decidendo in sede di annullamento con rinvio dalla Suprema Corte di Cassazione (sent. n. 46642/21 del 17/12/2021 della sesta sezione penale), in esecuzione del M.A.E. emesso il 13/10/2021 dalla Procura Europea — Centro Monaco di Baviera, correlato al mandato di arresto di cattura nazionale emesso dall'Amtsgericht di Monaco di Baviera il 29/09/2021 per i reati di evasione fiscale e associazione a delinquere commessi a Eichstat dal 2017 al 2021, in relazione all'emissione di un'ordinanza cautelare con cui è stata ordinata la custodia in carcere, disponeva la consegna di SB all'autorità giudiziaria della Germania, con la condizione che lo stesso fosse ammesso a scontare in Italia l'eventuale condanna inflitta in esito al processo penale nello Stato richiedente.

2. Avverso la predetta ordinanza, nell'interesse di SP, è stato proposto ricorso per cassazione, i cui motivi vengono di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Lamenta il ricorrente:
-Violazione ex art. 606, comma 1, lett. b) e c) cod. proc. pen. con riferimento alla L. n. 69/2005 in relazione all'art. 18 bis lett. a) e b) della stessa legge, per aver disposto la consegna di Sebastiano Pelle all'autorità giudiziaria tedesca, in esecuzione di mandato di arresto europeo pur riguardando reati commessi in parte nel territorio dello Stato italiano (primo motivo).
Nonostante in sede di annullamento i giudici di legittimità avessero ritenuto necessario porre al giudice del rinvio il problema della cooperazione giudiziaria, per assicurare non solo l'interesse alla repressione dei reati che coinvolgono i territori di più Stati ma anche l'interesse ad assicurare il principio del "ne bis in idem", la Corte di appello di Reggio Calabria non ha fatto buon governo delle indicazioni fornite. Invero, con l'ordinanza emessa in data 27/10/2021 dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino si sono concretizzati tutti i presupposti richiesti per integrare la fattispecie di rifiuto facoltativo, ovvero l'esistenza di un procedimento penale in corso di svolgimento in Italia sul fatto oggetto del M.A.E. ed a carico dello stesso soggetto. Il mandato in parola risulta essere stato emesso dall'autorità giudiziaria tedesca per un'indagine avente ad oggetto un'associazione a delinquere, capeggiata dal P, finalizzata alla realizzazione di reati tributari nel settore del commercio delle autovetture e molteplici reati tributari. L'organizzazione criminale avrebbe costituito una serie di società in Italia, delle quali si giovava per vendere i veicoli in evasione IVA in Italia; in più, le società italiane sarebbero servite come destinatarie delle fatture fittizie emesse dalle compagini tedesche. Di conseguenza, il P, in concorso con altri soggetti, avrebbe evaso l'IVA in Italia per un importo complessivo di euro 7.156.743,18 e, in Germania, attraverso le stesse condotte, per un totale di euro 5.631.619,03. Il denunciato conflitto non può essere risolto come indicato dalla Corte territoriale facendo esclusivo riferimento alla scelta operata dalla Procura Europea di incardinare la giurisdizione nell'uno o nell'altro Stato dell'Unione, ma deve trovare la propria soluzione secondo le forme e le modalità proprie del meccanismo disegnato dalla decisione quadro 2009/948/GAI del 30 novembre 2009 sulla prevenzione e la risoluzione dei conflitti relativi all'esercizio della giurisdizione nei procedimenti penali e dal d.lgs. n. 29 del 2016, anche al fine di evitare l'avvio di procedimenti paralleli superflui, che potrebbero determinare unaviolazione del principio del ne bis in idem, sancito dall'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, quale garanzia fondamentale direttamente applicabile nello spazio giuridico europeo.

-Violazione ex art. 606, comma 1, lett. b) e c) cod. proc. pen. con riferimento alla L. n. 69/2005 in relazione all'art. 24 della stessa legge, per aver disposto la consegna di PS all'autorità giudiziaria tedesca, in esecuzione di mandato di arresto europeo omettendo di valutare la richiesta di sospensione del provvedimento (secondo motivo).

Si censura la decisione della Corte reggina che ha disatteso la richiesta difensiva di sospensione dell'esecuzione del provvedimento ex art. 24 L. 69/2005 in attesa della definizione del procedimento italiano, omettendo di valutare la gravità dei reati addebitati e della loro data di consumazione, ma anche dello stato del procedimento, della condizione di restrizione della libertà, della complessità delle accuse e dei procedimenti, dalla fase o grado di pendenza, dell'eventuale definizione con sentenza passata in giudicato e dell'entità della pena da scontare.

2.2. Con la successiva memoria del 10/04/2022, la difesa del ricorrente ha proposto come motivo aggiunto questione di legittimità costituzionale della disciplina dettata con l'art. 18 bis L. 69/2005, che ha trasposto nell'ordinamento italiano l'art. 4 punto 6 della decisione quadro 2002/584/GAI in tema di non esecuzione facoltativa del mandato di arresto europeo per violazione degli artt. 3, 117, comma 1, 26 Cost., 14, comma 7 del patto internazionale dei diritto umani reso esecutivo con la I. 881 del 1977, 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, nella parte in cui non è previsto che la richiesta di consegna, quando sono pendenti procedimenti paralleli per gli stessi fatti nello Stato di emissione e in quello di esecuzione, resti sospesa fino alla composizione del conflitto risultante dalla cognizione congiunta dell'autorità giudiziaria di più Stati membri.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e, come tale, immeritevole di accoglimento.

2. La Corte di cassazione, in sede di annullamento, preso atto dell'elemento di novità costituito dall'esistenza di un procedimento penale in Italia pendente presso la Procura della Repubblica di Torino ove il P, pur non destinatario di alcuna misura cautelare, risulta indagato per il reato di truffa aggravata continuata in concorso, ha chiesto al giudice di rinvio di valutare - nella propria libera discrezionalità se opporre o meno il motivo facoltativo di rifiuto - se le condotte ascritte al ricorrente coincidano con quelle per cui si procede in Germania, trattandosi di frodi fiscali nel commercio di autovetture realizzate dalle stesse società operanti in Italia e in Germania.

3. La Corte territoriale, in sede di rinvio, riconoscendo la non completa sovrapponibilità delle imputazioni, specie quelle riguardanti l'evasione dell'IVA che non trovano riscontro nel procedimento italiano ed evidenziando che si è in presenza di reati transnazionali rispetto ai quali la Procura Europea ha emesso il M.A.E. su ordinanza cautelare dell'Autorità giudiziaria di Monaco, evenienza che presuppone risolto il coordinamento tra le autorità giudiziarie degli Stati membri e l'attribuzione della competenza all'autorità giudiziaria richiedente, senza considerare che i reati in materia di evasione IVA sembrano poter essere meglio considerati e valutati unitariamente agli altri reati per i quali è stata chiesta la consegna, ha disposto la consegna di SP all'autorità giudiziaria tedesca, con la condizione che lo stesso sia ammesso a scontare in Italia la eventuale condanna inflitta in esito al processo penale nello Stato richiedente.

4. Le doglianze del ricorrente mosse in ordine all'apprezzamento del motivo di rifiuto di cui all'art. 18-bis lett. a) I. n. 69 del 2005 non sono fondate.

Va osservato in premessa che, in tema di mandato di arresto europeo, il motivo di rifiuto facoltativo della consegna, previsto dalla evocata disposizione normativa per i fatti di reato commessi in tutto o in parte nel territorio dello Stato, richiede quantomeno la sussistenza di elementi sintomatici dell'effettiva volontà della Stato di affermare la propria giurisdizione sul fatto oggetto del M.A.E.

La commissione del reato, in tutto o in parte, nel territorio dello Stato richiesto della consegna costituisce attualmente un motivo facoltativo e non più obbligatorio di rifiuto ai sensi dell'art. 18-bis, comma 1, lett. a), della legge 22 aprile 2005, n. 69, così come interpolato dall'art. 15 d.lgs. 2 febbraio 2021, n. 10, che vi ha riversato l'originario motivo di rifiuto (obbligatorio) di cui all'art. 18, lett. p), poi modificato dall'art. 18-bis, lett. b), legge cit., a seguito dell'intervento normativo operato con la legge 4 ottobre 2019, n. 117: modifica, questa, intervenuta per favorire un più stretto coordinamento nell'azione di repressione dei crimini a livello europeo e, al tempo stesso, al fine di prevenire e risolvere conflitti di giurisdizione penale tra gli Stati membri della Unione europea, alla luce del considerando 9 della decisione quadro 2009/948/GAI del Consiglio del 30 novembre 2009, recepita nell'ordinamento interno con il d. Igs. 15 febbraio 2016, n. 29.

4.1. I presupposti di configurabilità di tale motivo di rifiuto sono individuati dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte, che, al riguardo, ha stabilito il principio secondo cui siffatta condizione ostativa deve emergere con certezza dagli atti (Sez. 6, n. 27825 del 30/06/2015, Ignat„ Rv. 264055) ed è ravvisabile quando una parte della condotta, anche minima, purchè preordinata al raggiungimento dell'obiettivo criminoso, si sia verificata nel territorio italiano (cfr., Sez. 6, n. 40831 del 18/09/2018, P., Rv. 274121; Sez. 6, n. 5548 del 01/02/2018, Manco, Rv. 272198; Sez. 6, n. 13455 del 18/03/2014, Maligi, Rv. 261097).

La realizzazione del reato nel territorio italiano deve risultare con certezza in ragione di un quadro fattuale desumibile in modo non controvertibile dagli stessi elementi offerti dall'Autorità di emissione o da quelli forniti in sede di integrazione ai sensi dell'art. 16 della legge n. 69 del 2005 (Sez. 6, n. 45669 del 29/12/2010, Llanaj, Rv. 248973), non essendo a tal fine sufficiente la mera ipotesi che il reato si sia in tutto o in parte realizzato nel territorio dello Stato (Sez. 6, n. 17704 del 18/04/2014, Araujo Gomez, Rv. 259345).

Occorre, in altri termini, che il vaglio delibativo al riguardo svolto dai giudici di merito consenta di verificare la sussistenza di un "medesimo comportamento criminoso" realizzato dal "medesimo soggetto", sia pure solo in parte, nel territorio dello Stato (Sez. 6, n. 2959 del 22/01/2020, Maravela, Rv. 278197). Il segmento della condotta criminosa per il quale può essere validamente opposto il rifiuto alla consegna, deve essere inteso in senso "naturalistico", ben potendo rilevare in tal senso anche una semplice porzione di comportamento priva dei requisiti di idoneità ed inequivocità richiesti per la configurabilità del tentativo (Sez. F, n. 34572 del 20/08/2008, Kaimovsy Saso, non mass.).

4.2. La condizione ostativa basata sulla clausola di territorialità presuppone un elemento soggettivo di collegamento in grado di fondare l'interesse alla opponibilità di un motivo di rifiuto caratterizzato, sul suo versante oggettivo, dalla realizzazione, anche solo in un suo frammento, della condotta nel territorio dello Stato, quindi di un qualsiasi atto dell'iter criminoso, purchè lo stesso sia apprezzabile in modo tale da collegare la parte della condotta realizzata in Italia a quella commessa nel territorio estero (Sez. 6, n. 56953 del 21/09/2017, Guerini, Rv. 272220).

Si è certamente al di fuori della condizione ostativa nelle ipotesi in cui:

-nel territorio italiano siano stati commessi altri reati, estranei all'oggetto dell'euromandato, anche se ascrivibili alla medesima tipologia delittuosa (Sez. 6, n. 48946 del 04/12/2015, Certan Petru, non mass.);
-le condotte, complessivamente considerate (ossia quelle commesse in territorio italiano e quelle in territorio straniero), risultino in concreto, sotto il profilo naturalistico ed ontologico, distinte ed autonome, al di là della loro parziale sovrapponibilità per tipologia, causale o modalità realizzative;
-le condotte siano state consumate esclusivamente all'estero.

4.3. Fermo quanto precede, evidenzia il Collegio come la richiamata normativa europea miri non solo a sollecitare, ma a realizzare una più stretta cooperazione fra le competenti Autorità giudiziarie degli Stati membri, sì da "prevenire situazioni in cui la stessa persona sia oggetto, in relazione agli stessi fatti, di procedimenti penali paralleli in Stati membri diversi, che potrebbero dar luogo a una decisione definitiva in due o più Stati membri e costituire in tal modo una violazione del principio ne bis in idern" [art. 1, comma 2, lett. a), della decisione quadro 2009/948/GAI].

A sua volta, la nozione di "procedimenti paralleli" è scolpita nell'ordinamento interno dall'art. 2, comma 1, lett. a), d.lgs. cit., che li definisce come "procedimenti penali, sia in fase di indagini preliminari che nelle fasi successive all'esercizio dell'azione penale, pendenti in due o più Stati membri per gli stessi fatti nei confronti della medesima persona".

Entro tale prospettiva assiologica deve rilevarsi come la Corte territoriale abbia correttamente svolto il discrezionale apprezzamento di merito richiestole, avendo ritenuto non sovrapponibili le condotte di reato contestate (avanti all'autorità giudiziaria torinese, il P risulta indagato solo per artt. 110, 81 cpv., 640, commi 1 e 2, 62 bis cod. pen.): si tratta, pertanto, di fatti, anche astrattamente non coincidenti, né altrimenti collegabili tra loro e, comunque, appare del tutto indimostrato il presupposto della commissione in territorio nazionale anche di un semplice "frammento" ricompreso - sotto il profilo naturalistico e nell'ambito del medesimo iter criminoso - nelle condotte di reato commesse su suolo tedesco (si è già detto dell'irrilevanza del mero "dato ipotetico").

4.4. Peraltro, quand'anche si dovesse riconoscere che nella fattispecie, nel territorio italiano, si sia verificata quanto meno una parte della condotta per cui specificamente si sta procedendo all'estero, secondo la descrizione che del relativo sostrato fattuale dell'ipotesi di reato oggetto della richiesta di consegna venisse ritenuta offerta nell'eurordinanza proveniente dallo Stato di emissione, nondimeno ritiene il Collegio come il rifiuto non possa essere validamente opposto essendo stato il titolo cautelare emesso nell'ambito di un procedimento avente ad oggetto reati di competenza della Procura Europea (EPPO): in tal caso, infatti, i problemi di coordinamento intergiurisdizionale relativi alla pendenza di procedimenti penali per gli stessi fatti presso diverse Autorità giudiziarie di più Stati membri dell'Unione europea, hanno già trovato una soluzione, seppure provvisoria, per effetto dell'assunzione del coordinamento delle indagini da parte dell'EPPO (Sez. 6, n. 46641 del 17/12/2021, Parrinello, Rv. 282393).

5. Infondato è anche il secondo motivo.

Pur volendo prescindere dalla tardività della censura, non essendo stata dedotta in occasione del precedente giudizio rescindente, con conseguente estraneità al perimetro cognitivo e deliberativo del giudice del rinvio, evidenzia il Collegio come, con il coordinamento delle indagini da parte dell'EPPO, si verifica la conseguente ripartizione, al suo interno, delle competenze fra gli Stati membri e l'eventuale esercizio del diritto di avocazione a norma dell'art. 27 del Regolamento, previa consultazione, se del caso, con le Autorità competenti dello Stato membro, o degli Stati membri, interessati: avocazione dal cui esercizio discende l'ulteriore effetto che le Autorità giudiziarie competenti degli altri Stati membri hanno l'obbligo di trasferire il fascicolo all'EPPO e di astenersi da ulteriori atti d'indagine in relazione allo stesso reato: circostanza che, esclude di per sé, che si possa incorrere nel divieto del ne bis in idem ovvero che si debbano delibare istanze sospensive dell'inesistente provvedimento cautelare italiano nei confronti del P (il P, si è visto - v. pag. 6 della sentenza di annullamento - non risulta destinatario di alcuna misura cautelare da parte dell'Autorità giudiziaria torinese).

Nel ricorrere di tale evenienza, infatti, deve ritenersi che le esigenze di coordinamento sottese alle disposizioni relative al meccanismo di consultazione predisposto dalla richiamata decisione quadro 2009/948/GAI del 30 novembre 2009 sulla prevenzione e la risoluzione dei conflitti relativi all'esercizio della giurisdizione nei procedimenti penali abbiano già trovato, o siano destinate ad incontrare, un temporaneo punto di equilibrio ai fini della conduzione delle indagini e delle successive determinazioni già all'interno dell'organo d'accusa istituito a livello europeo.

Occorre altresì considerare che la competenza esercitata nel caso in esame dalla Procura Europea si basa sugli artt. 22, parr. 1 e 2, 23, 120, par. 2, del citato Regolamento, in combinato disposto con gli artt. 2 e 3 della Direttiva (UE) 2017/1371 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2017, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione mediante il diritto penale: competenza, questa, la cui determinazione non è stata oggetto di specifiche censure da parte del ricorrente, risultando, allo stato, coerente con il riferimento ai reati di frode in materia di IVA ed alla loro realizzazione in forma transnazionale, ad opera di un gruppo organizzato e con il superamento della soglia minima prevista di un danno complessivo superiore a dieci milioni di euro (si è visto come l'evasione dell'IVA in Italia sarebbe pari ad un importo complessivo di euro 7.156.743,18 e, in Germania, di euro 5.631.619,03).

Solo nell'ipotesi in cui sorga un contrasto fra l'EPPO e la Procura nazionale in merito all'eventuale attrazione della condotta criminosa oggetto del M.A.E. nella sfera di applicazione della competenza propria della Procura europea e del suo esercizio a norma degli artt. 22, 23 e 25, parr. 2 e 3, la soluzione del conflitto potrebbe essere rimessa ex art. 16 d.lgs. 2 febbraio 2021, n. 9, alle determinazioni del Procuratore generale presso la Corte di cassazione, quale Autorità giudiziaria individuata come quella competente a decidere, a livello nazionale, sul contrasto eventualmente creatosi tra la Procura europea ed una o più Procure della Repubblica, in attuazione di quanto previsto dall'art. 25, par. 6, del Regolamento UE 2017/1939.

6. Le argomentazioni che precedono rendono irrilevante la proposta questione di legittimità costituzionale.

7. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda la Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 22, comma 5, della L. n. 69 del 2005.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda la Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 22, comma 5, della L. n. 69 del 2005.
Così deciso in Roma il 27/04/2022.