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Condomino ingoia verbale assembleare: condanna per violenza privata (Cass. 34800/19)

30 luglio 2019, Cassazione penale

La condotta del reato di violenza privata  è a forma vincolata e consiste nelle violenze o nelle minacce che hanno l’effetto di costringere altri a fare, tollerare o omettere una determinata cosa: quando nello stesso contesto, siano poste in essere condotte violente o minacciose, entrambe finalizzate ad imporre alla vittima un “facere” o un “pati”, il reato è da considerarsi integrato se l’agente raggiunge il suo scopo, altrimenti è configurabile il tentativo.

L’elemento della violenza viene identificato in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di azione, potendo anche consistere in una violenza ‘impropria’ che si attua attraverso l’uso di mezzi anomali diretti ad esercitare pressioni sulla volontà altrui, impedendone la libera determinazione; quanto alla minaccia, la stessa consiste in un qualsiasi comportamento o atteggiamento, ancorché non esplicito, idoneo ad incutere timore ed a suscitare la preoccupazione di un danno ingiusto al fine di ottenere che, mediante detta intimidazione, il soggetto passivo sia indotto a fare, tollerare o ad omettere qualcosa”.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

(ud. 24/04/2019) 30-07-2019, n. 34800

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VESSICHELLI Maria - Presidente -

Dott. MORELLI Francesca - Consigliere -

Dott. CALASELICE Barbara - Consigliere -

Dott. TUDINO Alessandrina - Consigliere -

Dott. RICCARDI Giuseppe - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

R.M., nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 04/10/2017 della Corte di Appello di Roma;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE RICCARDI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. PICARDI Antonietta, che ha concluso chiedendo l'inammissibilità del ricorso;

udito il difensore delle parti civili, Avv. NM (quale difensore di C.M., nonchè sostituto del difensore di P.F. e S.R.), che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

udito il difensore, Avv. SP, che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Con sentenza emessa il 04.10.2017 la Corte di Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del Tribunale capitolino, ha confermato l'affermazione di responsabilità nei confronti di R.M. per il reato di violenza privata, in esso ritenuto assorbito il reato di minaccia, per avere costretto i condomini dello stabile di (OMISSIS) a sospendere i lavori dell'assemblea condominiale ed a chiamare la polizia, minacciando l'Avv. C.M., delegato di altro condomino, e S.R., e strappando una pagina del verbale dell'assemblea, che ingoiava, rendendola inservibile.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di R.M., Avv. Sebastiano Pennisi, deducendo tre motivi di ricorso.

Con i primi due motivi denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al reato di cui all'art. 610 c.p.: sostiene che la violenza o la minaccia attribuite all'imputato non avrebbero esercitato alcuna influenza limitativa o ostativa della libertà dei condomini, in quanto l'assemblea aveva già approvato i lavori che l'imputato non voleva; la sua condotta era una mera ritorsione alla deliberazione non gradita.

Inoltre, la Corte non avrebbe considerato che C. e S., dopo la condotta aggressiva dell'imputato, reagirono afferrandolo per il braccio, e cagionandogli lesioni personali refertate; sicchè non è configurabile un non facere, un omettere o un tollerare.

Con un secondo motivo denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine al diniego dell'art. 131 bis c.p..

In data 29.3.2019 il difensore del ricorrente ha depositato copia della sentenza del Tribunale di Roma del 15.3.2018 che ha assolto R.M. dal reato di calunnia ai danni di S. e C.M..

Motivi della decisione

1. Il primo ed il secondo motivo sono inammissibili, perchè sono manifestamente infondati, e perchè propongono doglianze eminentemente di fatto, che sollecitano, in realtà, una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimità, sulla base di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944); infatti, pur essendo formalmente riferite a vizi riconducibili alle categorie del vizio di motivazione e della violazione di legge, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., sono in realtà dirette a richiedere a questa Corte un inammissibile sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dalla Corte territoriale (Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, Fachini, Rv. 203767; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794).

In particolare, con le censure proposte il ricorrente non lamenta una motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica - unici vizi della motivazione proponibili ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e), ma una decisione erronea, in quanto fondata su una valutazione asseritamente sbagliata del significato della condotta dell'imputato.

Inoltre, la deduzione del ricorrente, secondo cui il reato di violenza privata non sarebbe stato integrato, perchè l'assemblea condominiale aveva già approvato i lavori che l'imputato non condivideva, è manifestamente infondata, in quanto il R. risulta avere minacciato l'Avv. C. e gli altri partecipanti all'assemblea, avere spintonato il condomino S., facendolo cadere a terra, ed avere strappato la pagina del verbale che, pertanto, dopo la ripresa dei lavori che erano stati sospesi, dovette essere nuovamente redatto.

Tali condotte, integranti minaccia e violenza, hanno costretto i partecipanti dell'assemblea condominiale a tollerare quantomeno la sospensione dei lavori, ed a chiamare la polizia e poi redigere nuovamente il verbale strappato dal R.; a nulla rileva che la delibera fosse stata già approvata (nel senso che si era già formata la volontà assembleare), in quanto la costrizione concerne il pati (la sospensione dell'assemblea condominiale) ed il facere (la richiesta dell'intervento della polizia e la nuova redazione del verbale strappato ed ingoiato dall'imputato).

Nè la condotta minacciosa e violenta e l'effetto costrittivo sono suscettibili di essere obliterati, ai fini dell'integrazione della tipicità del reato di cui all'art. 610 c.p., dall'asserita reazione di C. e S., che avrebbero provocato lesioni personali all'imputato, trattandosi di comportamento che, a prescindere dalle valutazioni eventualmente rilevanti ai sensi dell'art. 52 c.p., è successiva alla condotta dell'imputato, e non ne elide la tipicità.

Analogo discorso va reiterato con riferimento alla dedotta assoluzione dal reato di calunnia ai danni di C. e S., oggetto della memoria depositata il 29.3.2019.

2. Il terzo motivo concernente l'art. 131 bis c.p., è inammissibile.

Premesso che, ai fini dell'applicabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall'art. 131 bis c.p., il giudizio sulla tenuità dell'offesa dev'essere effettuato con riferimento ai criteri di cui all'art. 133 c.p., comma 1, ma non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l'indicazione di quelli ritenuti rilevanti (Sez. 6, n. 55107 del 08/11/2018, Milone, Rv. 274647), la sentenza impugnata ha negato il riconoscimento della particolare tenuità del fatto ritenendo che le modalità della condotta minacciosa e violenta, rivolta nei confronti di diverse persone, impedissero, unitamente al comportamento tenuto successivamente, con la tardiva denuncia nei confronti delle persone offese, di affermare la particolare tenuità dell'offesa.

Sicchè le doglianze del ricorrente si limitano ad una contestazione della valutazione giurisdizionale, ed alla sollecitazione di una non consentita rivalutazione del merito.

3. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e la corresponsione di una somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende, che si ritiene equo determinare in Euro 3.000,00, nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili, liquidate in Euro 2.500,00, oltre accessori di legge, per C.M., e in complessivi Euro 3.000,00, oltre accessori di legge, per P.F. e S.R., con distrazione in favore dell'Avv. C. antistatario.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, e al versamento della somma di Euro 3.000,00 alla Cassa delle ammende, nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili, liquidate in Euro 2.500,00, oltre accessori di legge, per C.M., e in complessivi Euro 3.000,00, oltre accessori di legge, per P.F. e S.R., con distrazione in favore dell'Avv. Chinappi antistatario.

Così deciso in Roma, il 24 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2019