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Condanna senza testi della difesa? Nulla se .. (Cass. 51522/13)

20 dicembre 2013, Cassazione penale

Nulla la sentenza che si basa su una istruttoria dibattimentale senza aver sentito  i testi della difesa, purché la difesa abbia immediatamente eccepito la nullità dell'ordinanza di esclusione.

E’ nulla l’ordinzanza con la quale il Giudice decida di revocare l’ordinanza ammissiva dei testi della difesa, senza motivare in ordine al requisito della superfluità, in quanto il diritto stabilito dall’art. 495, comma 2, c.p.p., corrisponde e ben può essere oggetto di una interpretazione conforme al principio della “parità delle armi” che è sancito dall’art. 6, comma 3, lett. d) della CEDU, a sua volta ripreso anche dall’art. 111 Cost., comma 2 in tema di contraddittorio tra le parti, e che consiste, come è scritto nel precetto sovranazionale, nel diritto dell’accusato ad ottenere non solo la citazione ma anche l’interrogatorio dei testimoni a discarico, a pari condizioni dei testimoni a carico.


 

 CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE

sentenza 30 settemnre – 20 dicembre 2013, n. 51522

 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAVANI Piero – Presidente –
Dott. FUMO Maurizio – Consigliere –
Dott. VESSICHELLI Maria – rel. Consigliere –
Dott. MICHELI Paolo – Consigliere –
Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:

Sentenza

sul ricorso proposto da:
OMISSIS;
OMISSIS;
avverso la sentenza n. 1880/2011 CORTE APPELLO di ANCONA, del 04/10/2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 30/09/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARIA VESSICHELLI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. CESQUI Elisabetta che ha concluso per il rigetto.

Propongono ricorso per cassazione OMISSIS e OMISSIS, avverso la sentenza della Corte d’appello d’Ancona in data 4 ottobre 2012, con la quale è stata confermata quella di primo grado (del 13 ottobre 2010), di condanna del primo, in ordine al concorso, con la seconda, nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, e, della seconda, in ordine a tale reato nonchè al reato di bancarotta semplice documentale.

I reati sono stati rispettivamente addebitati, al primo, nella qualità di socio e amministratore di fatto della OMISSIS S.r.l., dichiarata fallita il 12 giugno 2006, e, alla seconda, nella qualità di rappresentante legale della stessa società.

Deducono:
1) la nullità della sentenza di primo grado, per violazione dei diritti della difesa e, altresì la mancata assunzione di prova decisiva nonchè il vizio di motivazione.
Il Tribunale aveva infatti revocato, per superfluità, tutte le prove proposte dalla difesa e precedentemente ammesse.

Con tale decisione, il giudice di primo grado aveva eroso i principi del giusto processo e del contraddittorio fra le parti, da intendersi come diritto degli imputati di difendersi provando, sancito in primo luogo dall’art. 111 Cost., comma 3 ed anche dall’art. 495 c.p.p., comma 2.

In particolare era stata del tutto omessa la motivazione per la quale le prove della difesa sarebbero state superflue o irrilevanti.

La nullità era stata tempestivamente eccepita nei motivi d’appello ai sensi dell’art. 182 c.p.p.;
2) la nullità della sentenza di primo grado ai sensi dell’art. 522 c.p.p., relativamente alla condanna della OMISSIS in ordine alla distrazione dell’autovettura: la condanna infatti era stata pronunciata in relazione alla distrazione del prezzo di Euro 55.000 mentre l’imputazione faceva riferimento alla distrazione della vettura.
La motivazione della Corte d’appello, incentrata sulla concreta possibilità, per l’imputata, di difendersi anche sull’ulteriore tema, è contraddetta dalla obiettiva scelta del Tribunale, convalidata in appello, di impedire alla difesa di difendersi provando;
3) la violazione dell’art. 522 c.p.p. con riferimento alla circostanza aggravante di cui all’art. 219 legge fallimentare, non contestata ma addebitata;
4) la violazione dell’art. 522 c.p.p. nei confronti di OMISSIS, condannato quale concorrente, extraneus, nella condotta tipica, materialmente posta in essere dall’amministratrice legale, nonostante che fosse stato tratto a giudizio per rispondere, al di fuori dell’ipotesi del concorso, in ragione della responsabilità diretta gravante sull’ amministratore di fatto;
5) l’erronea applicazione dell’art. 216 legge fallimentare in relazione all’ipotesi di bancarotta per distrazione dell’immobile.
La vendita dell’immobile, per quanto simulata – come dichiarato dall’ OMISSIS – era stata un’operazione finalizzata non alla distrazione ma consigliata dal Dott. OMISSIS per ottenere, in favore della società fallita, i fondi necessari ripianare i debiti.
Tale scelta, peraltro compiuta nel 2004 e quindi a distanza di due anni dal fallimento, avrebbe potuto essere provata dalla difesa, con conseguenze sulla configurabilità dell’elemento soggettivo del reato, se non le fosse stato precluso di escutere i testi indicati nella lista. E la accreditabilità di tale tesi doveva esser fatta discendere anche da rilievo che il bene non era mai uscito dalla sfera di disponibilità della società e, successivamente, del fallimento;
6) la insussistenza del reato di bancarotta per distrazione, posto che, con riferimento ad una società a responsabilità limitata, non è ipotizzabile fallimento in proprio, dell’amministratore.

I ricorsi sono fondati nei termini che si indicheranno.

Il primo ed assorbente motivo di ricorso è fondato.

E’ pacifico, essendo desumibile dallo stesso testo della sentenza impugnata, che con ordinanza del 13 ottobre 2010, oggetto di appello e poi dei motivi di ricorso, era stata disposta la revoca della ammissione di tutti i testi indicati nella lista testimoniale della difesa, in base al disposto dell’art. 495 c.p.p., comma 4 che attribuisce, al giudice, il potere di revocare la ammissione di prove che risultino superflue, all’esito dell’istruttoria dibattimentale.

Emerge altresì, dalla sentenza, che la pronuncia di colpevolezza è stata emessa sulla base delle osservazioni del curatore fallimentare, di un operante della Guardia di Finanza, della documentazione della procedura fallimentare e delle dichiarazioni di OMISSIS.

Orbene, può convenirsi con la prospettazione difensiva secondo cui viola i diritti difensivi ed è da ritenersi nulla, la decisione del giudice di revocare il provvedimento di ammissione dei testi della difesa, in assenza del requisito, debitamente argomentato, della loro superfluità, secondo il disposto dell’art. 495 c.p.p., comma 4.

Ed invero, il potere officioso di escludere le prove già ammesse ma successivamente rivelatesi superflue, previsto dall’art. 495 c.p.p., comma 4, è dipendente e costituisce null’altro che un limite del principale diritto della parte di difendersi provando, sancito dal precedente comma 2 anche come riflesso processuale del diritto-dovere che le parti del processo hanno a provare i fatti che si riferiscono alla imputazione, alla punibilità e alla determinazione della pena oltre a quelli dai quali dipende la applicazione delle norme processuali (art. 187 c.p.p.).

E il diritto stabilito dall’art. 495 c.p.p., comma 2 corrisponde e ben può essere oggetto di una interpretazione conforme al principio della “parità delle armi” che è sancito dall’art. 6, comma 3, lett. d) della CEDU, a sua volta ripreso anche dall’art. 111 Cost., comma 2 in tema di contraddittorio tra le parti, e che consiste, come è scritto nel precetto sovranazionale, nel diritto dell’accusato ad ottenere non solo la citazione ma anche l’interrogatorio dei testimoni a discarico, a pari condizioni dei testimoni a carico.

Ne consegue che l’ulteriore principio del contraddittorio sul terreno della prova, affermato dall’art. 111 Cost., comma 4, sebbene compatibile anche con limitazioni legislative – come quella sul potere di revoca della prova divenuta superflua – che integrano la riserva costituzionale in tema di ragionevole durata, non è per questa via sostanzialmente sopprimibile, pena la implicita abrogazione del diritto stesso.

Anche la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (C. Eur., sent. 22 Febbraio 1996, Bulut c. Austria) pone in evidenza che il principio della parità della armi implica che a ciascuna delle parti debba essere consentita una ragionevole opportunità di presentare la sua posizione, incluse le prove, in condizione tale da non risultare collocata in sostanziale svantaggio rispetto al suo contraddittore.

In altri termini, la “superfluità” della prova è l’effetto di un giudizio comparativo che il giudice è ammesso ad esercitare – perchè il contraddittorio con parità delle armi sia assicurato – in relazione ad una istruttoria già espletata quale espressione del diritto di entrambe le parti di concorrere alla formazione della prova anche mediante mezzi autonomi, volti anche soltanto a migliorare la qualità della decisione e comunque ad agevolare la accettazione del risultato decisionale da parte dell’imputato che non è soltanto oggetto del processo ma suo protagonista.

Non può essere, viceversa, quel giudizio, reso in relazione alla istruttoria che deriva dall’esaurimento delle prove indotte dalla sola controparte.

Perchè, in tale ultimo caso, a meno che i mezzi di prova indotti dalla accusa e dalla difesa coincidano, non potrebbe dirsi superflua e revocarsi la prova indotta da una parte non ancora posta nelle condizioni di esercitare il proprio diritto difensivo.

Certamente non potrebbe, per principio, dirsi esaurita – e quindi superflua la prova ulteriore – la istruttoria condotta sulla base delle sole prove indotte dalla accusa, dovendosi considerare che queste, anche se tendenzialmente esaustive, non coprono necessariamente tutti gli elementi rilevanti ai fini del decidere e, in particolare, le cause di giustificazione, quelle di non punibilità, le circostanze attenuanti e, con specifico riferimento alla materia fallimentare, le situazioni di fatto che la costante giurisprudenza, condiscendente con la prova per presunzione, relega nell’ambito dell’onere probatorio o comunque di allegazione della parte.

Tanto più in un caso come quello in esame nel quale la condanna dell’imputato per un profilo di fatto non esattamente coincidente con il fatto contestato nella imputazione (responsabilità dell’extraneus concorrente con l’imprenditore – responsabilità dell’amministratore di fatto) è stata ritenuta consentita alla luce della effettività dei poteri difensivi, invece indebitamente compressi. Si è dunque prodotta la nullità denunciata dalla parte.

E’ peraltro innegabile, secondo la costante giurisprudenza di legittimità (vedi, fra le molte, Sez. 5, Sentenza n. 18351 del 17/02/2012 Ud. (dep. 14/05/2012) Rv. 252680), che detta nullità deve essere immediatamente dedotta dalla parte presente, ai sensi dell’art. 182 c.p.p., comma 2, con la conseguenza che in caso contrario essa è sanata.

Infatti, il disposto dell’art. 180 c.p.p., secondo cui la nullità di ordine generale verificatasi nel corso del giudizio è deducibile dalla parte, dopo la deliberazione della sentenza del grado successivo, trova un limite nel disposto dell’art. 182 c.p.p., comma 2, il quale prevede una eccezione alla regola della deducibilità appena illustrata, con riferimento al caso in cui la parte assista al compimento dell’atto nullo.

Per tale ipotesi è sancito che la parte, se non può essere eccepire la nullità prima del compimento dell’atto stesso, deve farlo immediatamente dopo.

Nel caso di specie, il difensore che partecipò alla discussione aveva proprio tale spazio processuale per formulare l’eccezione di nullità, e deve ritenersi che lo abbia utilmente valorizzato nei limiti in cui gli era consentita la interlocuzione, con la conseguenza che non è decaduto dalla possibilità di ulteriore deduzione.
Egli infatti, come si evince a pag. 24 del fascicolo contenente il verbale di udienza del 13 ottobre, “insistette” per la escussione dei testi indotti nella lista e successivamente, con i motivi di appello, reiterò la doglianza, sollecitando la rinnovazione della istruttoria dibattimentale.

Ne consegue che la lesione dei diritti difensivi concretizzatasi nel giudizio di primo grado, pur non idonea a determinare la nullità della sentenza di primo grado per la mancata dimostrazione che la decisione del giudice abbia prodotto effetti decisivi sulla correttezza di quella, avrebbe dovuto indurre il giudice dell’appello ad accogliere la istanza di rinnovazione della istruttoria dibattimentale per la escussione dei testi indicati dalla difesa a completamento del necessario contraddittorio o comunque a provvedere in tal senso di ufficio ai sensi dell’art. 603 c.p.p., comma 3.

E per consentire tale incombente la decisione impugnata deve essere annullata.

Gli ulteriori motivi restano assorbiti.

P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Perugia per nuovo esame.