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Condanna contumaciale e presentazione istanza restituzione in termini per posta (Cass. 42043/17)

15 settembre 2017, Cassazione Penale

La richiesta di restituzione in termini per impugnare sentenze contumaciali può essere porposta anche a mezzo posta e ai fini della verifica della tempestività della richiesta di restituzione nel termine a norma dell'art. 175 c.p.p., comma 2-bis, il giudice, nel caso in cui la richiesta sia presentata a mezzo del servizio postale, deve fare riferimento alla data di spedizione della richiesta.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE PENALI

Sentenza 18 maggio - 15 settembre 2017, n. 42043

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CANZIO Giovanni - Presidente -

Dott. ROMIS Vincenzo - Consigliere -

Dott. CONTI Giovanni - Consigliere -

Dott. LAPALORCIA Grazia - Consigliere -

Dott. SAVANI Piero - Consigliere -

Dott. DE CRESCIENZO Ugo - Consigliere -

Dott. ZAZA Carlo - Consigliere -

Dott. PICCIALLI Patrizia - Consigliere -

Dott. ROCCHI Giacomo - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

P.C.I., nata in (OMISSIS) il (OMISSIS);

avverso la ordinanza del 02/07/2015 del Tribunale di Monza e avverso la ordinanza del 31/07/2015 della Corte di appello di Milano;

visti gli atti, i provvedimenti impugnati e il ricorso;

sentita la relazione svolta dal Componente Dott. ROCCHI Giacomo;

lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GAETA Piero, che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio dell'ordinanza del Tribunale di Monza.

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 26 marzo 2014, il Tribunale di Monza, nella contumacia dell'imputata, assistita da un difensore d'ufficio, condannava P.C.I. alla pena di giustizia per il reato di cui alla L. 27 dicembre 1956 n. 1423, art. 2. La sentenza diveniva irrevocabile per mancata impugnazione il 30 settembre 2014.

2. Con atto spedito con plico raccomandato il 20 marzo 2015, pervenuto nella cancelleria il 31 marzo 2015, il difensore della P. proponeva ricorso ai sensi dell'art. 670 c.p.p. al Tribunale di Monza, in funzione di giudice dell'esecuzione, chiedendo la declaratoria di non esecutività della sentenza e, comunque, avanzando richiesta di restituzione nel termine per proporre impugnazione ai sensi dell'art. 175 c.p.p..

Con ordinanza del 2 luglio 2015, il Tribunale di Monza, previa emenda di un errore materiale contenuto nel dispositivo della sentenza, rigettava la domanda di declaratoria di non esecutività della sentenza e dichiarava inammissibile l'istanza di restituzione nel termine.

Quanto alla domanda proposta in via principale, il Tribunale rilevava che l'imputata era stata correttamente dichiarata contumace, non essendo comparsa senza addurre impedimento dopo la notifica del decreto di citazione a giudizio. Tale notifica, così come quella dell'estratto contumaciale della sentenza, era stata ritualmente effettuata presso lo studio del difensore ai sensi dell'art. 161 c.p.p., comma 4, in conseguenza della irreperibilità dell'imputata nel domicilio eletto.

Non poteva trovare applicazione la disciplina introdotta dalla L. 28 aprile 2014, n. 67, in ragione della norma transitoria dettata dall'art. 15-bis.

D'altro canto, l'istanza di restituzione nel termine per impugnare la sentenza era tardiva: l'imputata aveva avuto notizia certa del provvedimento il 22 febbraio 2015 (l'ordinanza contiene un errore materiale, indicando il 22 febbraio 2014) a seguito della notifica a mani proprie dell'ordine di esecuzione e contestuale sospensione emesso dal Pubblico Ministero ai sensi dell'art. 656 c.p.p., comma 5; l'istanza era stata depositata nella cancelleria del Tribunale solo il 31 marzo 2015, quindi oltre il termine di trenta giorni fissato dall'art. 175 c.p.p., comma 2-bis (l'ordinanza contiene un ulteriore errore materiale, indicando il 31 marzo 2014).

3. L'imputata presentava alla Corte di appello di Milano "istanza ex art. 175 e 625-ter c.p.p.", chiedendo l'annullamento dell'ordinanza del Tribunale di Monza nonchè la declaratoria di non esecutività della sentenza di condanna e la rinnovazione degli atti e delle notificazioni non validamente eseguiti nel procedimento penale.

Con ordinanza del 31 luglio 2015, la Corte d'appello di Milano dichiarava inammissibile l'istanza, affermando che la decisione del Tribunale poteva essere impugnata solo con il ricorso per cassazione.

4. Il difensore di P.C.I. propone ricorso per cassazione avverso entrambe le ordinanze.

Con un primo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge per la ritenuta tardività dell'istanza di restituzione nel termine per impugnare la sentenza di condanna.

Dopo la notifica dell'ordine di esecuzione, la P. aveva avanzato l'istanza di restituzione nel termine con raccomandata spedita il 20 marzo 2015 alla Corte di appello di Milano, che l'aveva a sua volta trasmessa al Tribunale di Monza, che l'aveva ricevuta il 31 marzo 2015. L'istanza doveva considerarsi proposta nella data di spedizione della raccomandata ai sensi dell'art. 583 c.p.p., comma 2, e pertanto era tempestiva.

Con un secondo motivo il ricorrente deduce violazione di legge per la mancata considerazione da parte del Giudice dell'esecuzione dei vizi della procedura che aveva portato al decreto di irreperibilità dell'imputata.

Inoltre l'ordinanza impugnata, pur dando atto che le notifiche all'imputata erano state effettuate al difensore ai sensi dell'art. 161 c.p.p., comma 4, nulla aveva argomentato circa l'effettiva conoscenza del processo e della sentenza nonchè sull'esistenza di un rapporto professionale tra il legale e l'imputata.

In ragione della data di irrevocabilità della sentenza di condanna (30 settembre 2014), il Tribunale avrebbe dovuto valutare la possibilità di applicazione della disciplina introdotta dalla L. n. 67 del 2014.

Con un terzo motivo il ricorrente deduce la violazione dell'art. 175 c.p.p.: non è il condannato a dover fornire la prova dell'incolpevole ignoranza del procedimento, ma l'autorità giudiziaria a dover dimostrare la conoscenza del procedimento o del provvedimento e la volontaria rinuncia a comparire o a proporre l'impugnazione da parte dell'imputato.

Poichè le notificazioni all'imputata erano state eseguite presso lo studio del difensore d'ufficio, era verosimile che la P. non avesse avuto conoscenza della sentenza prima della notificazione dell'ordine di esecuzione emesso dal P.M..

Con un quarto motivo il ricorrente deduce violazione di legge. La P. non aveva mai ricevuto gli atti relativi alla sentenza del Tribunale di Monza prima della notifica dell'ordine di esecuzione del P.M.; in particolare, l'imputata non aveva mai ricevuto la notifica dell'estratto contumaciale della sentenza di condanna.

Il Giudice dell'esecuzione aveva valutato solo la sua volontaria rinuncia a difendersi, ma non quella ad impugnare la sentenza emessa nei suoi confronti.

Con un quinto motivo, il ricorrente lamenta violazione di legge con riferimento all'ordinanza della Corte di appello di Milano.

L'istanza era stata erroneamente dichiarata inammissibile sul presupposto della ricorribilità per cassazione dell'ordinanza del Tribunale di Monza: al contrario, il provvedimento richiesto rientrava nella competenza della Corte territoriale.

Il ricorrente conclude per l'annullamento, con o senza rinvio, della sentenza di condanna e per l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata.

5. Con ordinanza adottata all'udienza del 15 dicembre 2016, la Prima Sezione penale ha rimesso la decisione del ricorso alle Sezioni Unite.

Il Collegio, in via preliminare, ravvisa l'inammissibilità del ricorso proposto avverso l'ordinanza della Corte di appello di Milano, non essendo stato articolato alcun motivo specifico, nonchè l'infondatezza della tesi dell'applicabilità al caso di specie della disciplina introdotta dalla L. n. 67 del 2014; osserva, inoltre, che, in sede di esecuzione, non possono essere avanzate doglianze relative a vizi verificatisi nel corso del procedimento di cognizione.

Il Collegio rileva che il primo motivo di ricorso sollecita la soluzione di una questione su cui esiste un contrasto nella giurisprudenza di legittimità.

Il Tribunale di Monza ha aderito alla linea interpretativa secondo cui, se l'istanza di restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale è spedita a mezzo del servizio postale, essa deve pervenire entro il termine di trenta giorni stabilito a pena di decadenza, non essendo applicabile la disciplina dettata dall'art. 583 c.p.p. per la spedizione dell'atto di impugnazione.

Esiste, tuttavia, un orientamento opposto che, sulla base di argomentazioni letterali, logiche e sistematiche, afferma che l'istanza di restituzione nel termine per l'impugnazione deve ritenersi presentata tempestivamente nel momento in cui viene affidata, per la spedizione, al servizio postale.

5. Con decreto in data 23 febbraio 2017, il Primo Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissando per la trattazione in camera di consiglio l'odierna udienza.

4. Il Procuratore generale, nella requisitoria scritta, conclude per l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata in accoglimento del primo motivo di ricorso e chiede che le Sezioni Unite affermino il principio di diritto secondo cui la presentazione dell'istanza per la restituzione nel termine ai sensi dell'art. 175 c.p.p., comma 2-bis, per il rapporto di strumentalità con l'impugnazione al cui compimento è diretta, è regolata dai principi generali concernenti la spedizione e la ricezione dell'impugnazione stessa ed è quindi tempestiva, in applicazione dell'art. 583 c.p.p., se spedita con raccomandata entro il termine di trenta giorni.

Motivi della decisione

1. La questione di diritto per la quale il ricorso è stato rimesso alle Sezioni unite è la seguente: "Se, ai fini della verifica della tempestività della richiesta di restituzione nel termine a norma dell'art. 175 c.p.p., comma 2-bis, il giudice, nel caso in cui la richiesta sia presentata a mezzo del servizio postale, debba fare riferimento alla data di spedizione o a quella di ricezione dell'atto".

2. In effetti, la questione della tardività della istanza di restituzione nel termine per l'impugnazione assume rilievo in conseguenza della infondatezza della richiesta di declaratoria di non esecutività della sentenza di condanna, proposta in via principale e rigettata dal Tribunale di Monza.

In base all'art. 670 c.p.p., il giudice dell'esecuzione dinanzi al quale sia stata eccepita la nullità del titolo esecutivo e contestualmente avanzata istanza di restituzione nel termine per impugnare, deve pregiudizialmente verificare la validità del suddetto titolo e, accertata l'esecutività, è tenuto ad esaminare autonomamente l'istanza presentata ai sensi dell'art. 175 c.p.p. (da ultimo, Sez. 1, n. 36357 del 20/05/2016, Kadric, Rv. 268251).

Come già rilevato dalla Sezione rimettente, il secondo motivo di ricorso risulta manifestamente infondato sia quando sostiene l'applicabilità al caso in esame della disciplina introdotta dalla L. n. 67 del 2014, evocando già nell'intestazione l'istituto della rescissione del giudicato di cui all'art. 625-ter c.p.p., sia quando censura il provvedimento impugnato per avere omesso di considerare i vizi che avevano portato all'esecuzione delle notifiche all'imputata mediante consegna al difensore ai sensi dell'art. 161 c.p.p., comma 4.

Le Sezioni Unite hanno già statuito che l'istituto della rescissione del giudicato, di cui all'art. 625-ter c.p.p., si applica solo ai procedimenti nei quali è stata dichiarata l'assenza dell'imputato a norma dell'art. 420-bis c.p.p., come modificato dalla L. 28 aprile 2014, n. 67, mentre, invece, ai procedimenti contumaciali definiti secondo la normativa antecedente alla entrata in vigore della legge indicata continua ad applicarsi la disciplina della restituzione nel termine per proporre impugnazione dettata dall'art. 175 c.p.p., comma 2, nel testo previgente (Sez. U, n. 36848 del 17/07/2014, Burba, Rv. 259992).

Quanto all'esecuzione delle notifiche ai sensi dell'art. 161 c.p.p., comma 4, il ricorrente si limita ad enunciare la illegittimità del verbale di vane ricerche e del decreto di irreperibilità dell'imputata, senza in alcun modo motivarlo; subito dopo, menzionando il tema della effettiva conoscenza del processo da parte della P. e del mantenimento del suo rapporto con il difensore, dimostra che le censure sono strettamente connesse alla tesi - che, appunto, deve essere respinta - dell'applicabilità della nuova disciplina della L. n. 67 del 2014.

In effetti, secondo la disciplina precedente, la effettiva conoscenza da parte dell'imputato contumace del procedimento e della sentenza emessa nei suoi confronti non costituiva condizione per la celebrazione del processo e per il passaggio in giudicato della sentenza, in presenza di rituali notifiche rispettivamente del decreto che disponeva il giudizio e dell'estratto contumaciale ai sensi dell'art. 548 c.p.p., comma 3; il tema era interamente trasferito sull'istituto della restituzione nel termine per impugnare.

In definitiva, la rituale notifica dell'estratto contumaciale della sentenza di condanna e il decorso del termine per proporre impugnazione avevano determinato l'irrevocabilità della sentenza di condanna, con conseguente corretto rigetto da parte del giudice dell'esecuzione della istanza di declaratoria di non esecutività ex art. 670 c.p.p..

3. Come sottolineato dalla Sezione rimettente, sulla questione di diritto sopra enunciata sussiste un contrasto giurisprudenziale risalente nel tempo e reiteratosi.

3.1. L'opinione largamente maggioritaria nella giurisprudenza della Cassazione e che è stata seguita dal Tribunale di Monza con l'ordinanza impugnata afferma che, in conseguenza dell'inapplicabilità alla istanza di restituzione nel termine della disciplina dettata per le impugnazioni, in caso di ricorso all'invio a mezzo posta debba farsi riferimento, per valutarne la tempestività, alla data di ricezione del plico da parte della cancelleria.

In particolare, affermano questo principio Sez. 6, n. 43088 del 27/09/2016, Bodlli, Rv. 268302; Sez. 5, n. 32148 del 15/01/2016, Raviola, Rv. 267493; Sez. 1, n. 18235 del 28/01/2015, Livisianu; Sez. 1, n. 6726 del 20/01/2014, Grembi, Rv. 259416; Sez. 1, n. 25185 del 17/02/2009, Ben Kassi, Rv. 243808; Sez. 2, n. 35339 del 13/06/2007, Bari, Rv. 237759.

3.2. Tale orientamento si basa sull'interpretazione letterale del termine "presentazione", che non permetterebbe di ritenervi compreso l'invio dell'istanza tramite spedizione postale.

A sostegno di questa interpretazione "ontologica" vengono menzionate le norme sulle impugnazioni: gli artt. 582 e 583 c.p.p. distinguono espressamente tra "presentazione dell'impugnazione" e "spedizione dell'atto di impugnazione"; nel primo caso è descritta la contemporanea presenza "fisica" di chi presenta l'impugnazione o di un suo incaricato e del cancelliere e la consegna "materiale" dell'atto di impugnazione al cancelliere, cui consegue la sottoscrizione dell'atto da parte di quest'ultimo prima dell'unione agli atti del procedimento (art. 582 c.p.p., comma 1); nel caso della spedizione, l'impugnazione viene "proposta" e non "presentata" (cfr. art. 583 c.p.p., comma 1) e, ovviamente, non esiste una contemporanea presenza fisica tra chi propone l'impugnazione e il cancelliere.

3.3. Anche la previsione dell'art. 121 c.p.p. ("In ogni stato e grado del procedimento le parti e i difensori possono presentare al giudice memorie o richieste scritte, mediante deposito in cancelleria") viene menzionata come norma generale che, da una parte, conferma che la "presentazione" di un atto si realizza, appunto, "mediante il deposito in cancelleria", dall'altra che, quando la norma particolare non prevede particolari modalità di "presentazione" dell'atto, deve farsi riferimento a quelle dettate dall'art. 121 c.p.p. cit..

Tra le pronunce sopra menzionate, richiama tale norma Sez. 1, n. 25185 del 17/02/2009, Ben Kassi, Rv. 243808, secondo cui la tesi opposta contrasta con il combinato disposto dell'art. 121 c.p.p. e dell'art. 175 c.p.p., comma 2-bis, norme dalle quali si evincerebbe "in maniera inequivocabile" che la richiesta di restituzione nel termine per la proposizione dell'appello deve essere presentata, a pena di decadenza, mediante deposito in cancelleria nel termine di legge; l'assunto secondo cui sarebbe sufficiente la spedizione nel termine tramite posta sarebbe priva di fondamento normativo e dissonante con le predette disposizioni codicistiche. Menziona il combinato disposto dell'art. 121 c.p.p. e art. 175 c.p.p., comma 2-bis anche Sez. 2, n. 35339 del 13/06/2007, Bari, Rv. 237759.

Che l'art. 121 c.p.p. costituisca norma generale vincolante, in mancanza di diversa specificazione normativa, per la forma con cui una parte può rivolgersi ad un giudice per una determinata finalità è stato confermato dalle Sezioni Unite con riferimento all'opposizione proposta avverso le ordinanze adottate de plano dal giudice dell'esecuzione ai sensi dell'art. 667 c.p.p., comma 4, (in questo caso, peraltro, il codice di rito non utilizza il termine "presentazione"). Sez. U, n. 3026 del 28/11/2001, dep. 2002, Caspar Hawke, Rv. 220577, sul presupposto che l'opposizione non ha natura di mezzo di impugnazione, bensì di istanza diretta al medesimo giudice allo scopo di ottenere una decisione in contraddittorio, ha statuito che essa deve essere proposta, a pena di decadenza, nel termine di quindici giorni, mediante deposito da effettuarsi, a norma dell'art. 121 c.p.p., esclusivamente nella cancelleria del giudice che ha deciso. La sentenza osserva che la disposizione dell'art. 121 c.p.p. cit. deve essere interpretata in senso letterale, poichè non esiste alcuna ragione giuridica o logica per riferirla alla mera sede giudiziaria ed a qualsiasi ufficio ivi esistente, compresa la Procura della Repubblica. In particolare l'espressione "cancelleria" da un lato esclude la segreteria della Procura e dall'altro deve essere intesa, in assenza di altra specificazione legislativa, non come qualsiasi cancelleria ma soltanto quella dell'ufficio al quale appartiene il giudice che procede.

3.4. Partendo dal concetto "ontologico" di presentazione e dall'individuazione dell'art. 121 c.p.p. come norma espressione di una regola generale, si osserva che, quando il legislatore vuole ammettere un mezzo di proposizione con trasmissione a distanza lo prevede espressamente.

Le ipotesi normativamente previste di possibile proposizione mediante trasmissione a distanza sono quelle concernenti le impugnazioni e la presentazione della querela.

Ma l'istanza di restituzione nel termine per impugnare non può essere compresa nella categoria degli atti di impugnazione, "trattandosi di rimedio processuale privo della connotazione propria dell'impugnazione, consistente nella richiesta di riforma di un provvedimento giudiziario rivolta ad un giudice diverso da quello che ha emesso il provvedimento impugnato. Ed invero, l'istituto giuridico in esame, pur declinandosi anche quale rimedio contro il provvedimento conclusivo al fine della proposizione della impugnazione, non è solo a ciò funzionale e non costituisce un rimedio impugnatorio essendo pacifica la sua natura di rimedio eccezionale in rapporto a situazioni in cui un impedimento abbia determinato l'estinzione di un potere, essendo decorso il termine perentorio stabilito per il suo esercizio così che le parti siano poste nella condizione di esercitare effettivamente i diritti loro attribuiti ex lege." (Sez. 6, n. 43088 del 27/09/2016, Bodlli, Rv. 268302).

In definitiva, non prevedendo l'art. 175 c.p.p. alcun riferimento a forme di trasmissione a distanza e non potendo l'istanza di restituzione nel termine essere compresa nella categoria delle impugnazioni, alla stessa non si applica il disposto dell'art. 583 c.p.p., comma 2.

3.5. La linea argomentativa fin qui descritta viene, in realtà, "temperata" nel suo esito finale. Essa dovrebbe portare a concludere che l'istanza di restituzione nel termine inviata a mezzo posta sia, di per sè, inammissibile, in quanto non "presentata" mediante deposito in cancelleria del giudice competente; al contrario, come nell'ordinanza del Tribunale di Monza oggetto del ricorso, le pronunce si limitano a stabilire che, in caso di ricorso all'invio a mezzo posta, debba farsi riferimento, per valutarne la tempestività, alla data di ricezione del plico da parte della cancelleria, con la conseguenza, nel caso specifico, che l'inammissibilità dell'istanza è stata dichiarata per la sua tardività.

Ad orientare efficacemente verso questo risultato è il diverso principio della tassatività delle cause di inammissibilità, in base al quale tale causa di invalidità può essere ritenuta solo quando la espressa previsione o comunque la inequivoca formulazione della norma lo consentono.

La rilevanza del principio è stata chiarita da Sez. 4, n. 2103 del 06/10/2011, dep. 2012, Scarlata, Rv. 251735, sia pure con riferimento alla domanda di riparazione per ingiusta detenzione, ammettendosene la trasmissione a mezzo del servizio postale, non essendo tassativamente prevista alcuna ragione di inammissibilità, purchè ne siano certe la provenienza e la tempestività, quest'ultima valutata con riferimento al momento della ricezione del plico postale e non a quello della data della spedizione.

L'applicazione di questo principio, raramente enunciato espressamente, determina il risultato "intermedio" segnalato. Benchè la spedizione a mezzo del servizio postale non integri una "presentazione" dell'istanza, essa è "consentita", in presenza di determinate condizioni, in quanto ottiene il medesimo effetto; non, però, in forza della previsione dell'art. 583 c.p.p., ma per l'impossibilità di dichiarare inammissibile l'atto in ragione dello strumento usato.

Tuttavia, poichè il "risultato" che la presentazione dell'atto in cancelleria ottiene, vale a dire la consegna dell'atto al cancelliere che lo sottoscrive, nel caso di utilizzo del mezzo postale viene raggiunto soltanto nel momento in cui il cancelliere riceve fisicamente il plico, la tempestività dell'atto - se prevista a pena di decadenza - non può che essere verificata con riferimento a quel momento.

La soluzione fin qui riassunta è adottata, peraltro, dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento ad atti di diverso tipo.

4. La tesi opposta è sostenuta da Sez. 5, n. 12529 del 14/01/2016, Vrenozi, Rv. 266316; Sez. 2, n. 2234 del 11/12/2013, dep. 2014, Skoko, Rv. 260046; Sez. 2, n. 19542 del 17/05/2006, Ismalaj, Rv. 234208; Sez. 3, n. 4506 del 13/01/2006, Zenelli, Rv. 234051: pronunce che affermano il principio in base al quale, ai fini della verifica della tempestività della richiesta di restituzione nel termine a norma dell'art. 175 c.p.p., comma 2-bis, il giudice, se l'istanza è presentata a mezzo del servizio postale, deve fare riferimento alla data di invio della stessa e non a quella di ricezione dell'atto.

4.1. Alcune delle pronunce contrastano l'interpretazione letterale del termine "presentazione" che è la base che sostiene l'argomentazione opposta. Sez. 5, Vrenozi nota che tale orientamento non considera la circostanza che l'art. 175 c.p.p., comma 2-bis non specifica che il luogo della presentazione debba essere limitato al solo ufficio giudiziario competente, come, invece, avviene nel caso della previsione dell'art. 582 c.p.p. e richiama la sent. Sez. 5, Angelini, cit., per sottolineare che, anche per la richiesta di rimessione di processo, è ammessa la "presentazione a mezzo posta".

Anche la sent. Sez. 2, Ismalaj, cit., sostiene che l'accezione del termine "presentazione" di cui all'art. 175 c.p.p. non giustifica, nè sotto il profilo logico nè sotto quello letterale, un'interpretazione tale da escludere che l'istanza di rimessione in termini per l'impugnazione possa ritenersi presentata tempestivamente nel momento in cui viene affidata, per la spedizione, al servizio postale, richiamando una precedente pronuncia (Sez. 2, n. 44215 del 27/10/2005, Marone, Rv. 232681) con la quale si interpretava l'art. 582 c.p.p., comma 2, come legittimante la presentazione dell'impugnazione in una cancelleria dell'ufficio di qualsiasi luogo, e non solo in quella del luogo del foro di appartenenza del difensore, non sussistendo alcuna apprezzabile differenza tra la presentazione nella cancelleria dell'ufficio giudiziario del foro di appartenenza del difensore e la presentazione nella cancelleria dell'ufficio di qualsiasi altro luogo, dato che, in ogni caso, l'atto deve essere inoltrato all'ufficio del giudice competente a riceverlo e potendo essere spedito, ai sensi dell'art. 583 c.p.p., da qualsiasi ufficio postale.

4.2. Le sentenze Sez. 2, Skoko e Sez. 3, Zenelli, sottolineano, invece, lo stretto rapporto di strumentalità dell'istanza di restituzione nel termine con l'atto principale al compimento del quale è diretta e ne fanno discendere l'applicazione diretta delle norme sulle impugnazioni, in particolare dell'art. 583 c.p.p., comma 2, in base al quale l'impugnazione si considera proposta nella data di spedizione della raccomandata o del telegramma.

La sent. Zenelli ricorda che, già nella vigenza del codice di rito previgente, la giurisprudenza di legittimità (Sez. 6, n. 1989 del 29/03/1971, Bonaccorsi, Rv. 117900) era pervenuta alla conclusione che le formalità di presentazione e di ricezione dell'istanza di restituzione nel termine erano le stesse stabilite per la dichiarazione di impugnazione proprio per il rapporto di strumentalità con l'atto principale; rapporto che permane nel codice vigente e che ha permesso di applicare le norme sulle impugnazioni per ritenere legittima la decisione de plano sull'istanza ritenuta inammissibile in quanto tardiva, direttamente (Sez. 4, n. 31431 del 04/07/2005, Cancelli, Rv. 231752) o per analogia (Sez. 2, n. 8773 del 28/01/2005, Filice, Rv. 231253).

La sent. Vrenozi evoca, poi, i principi affermati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 477 del 2002 nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 149 c.p.c. e L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 4, comma 3, sulla notificazione di atti a mezzo posta, con la quale la Corte dichiarò l'illegittimità costituzionale del combinato disposto delle due norme nella parte in cui prevedeva che la notificazione si perfezionasse, per il notificante, alla data di ricezione dell'atto da parte del destinatario anzichè a quella, antecedente, di consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario.

4.3. Infine, particolare accento viene posto sulla compressione del termine, già breve, di trenta giorni assegnato a colui che intende chiedere la restituzione nel termine per impugnare, derivante dall'adozione della soluzione opposta: il soggetto che presenta l'istanza, infatti, la deve spedire con anticipo per non correre il rischio di vederla dichiarata inammissibile per tardività.

L'argomentazione è presente nella sent. Sez. 2, Ismalaj, secondo cui, dovendosi ritenere possibile la spedizione a mezzo servizio postale dell'istanza, è evidente che addebitare al richiedente il tempo, spesso imprevedibile, necessario al recapito della stessa comprometterebbe il suo pieno godimento del termine concesso dalla legge e con esso il suo diritto alla difesa, ed è ampiamente sviluppata nella sent. Vrenozi ai fini di un'interpretazione della norma costituzionalmente orientata e rispettosa dei principi stabiliti dalla Corte EDU. La pronuncia ricorda che l'art. 175 c.p.p., comma 2-bis, è stato inserito dal D.L. 21 febbraio 2005, n. 17, convertito, con modificazioni, dalla L. 22 aprile 2005, n. 60, per rispondere alle pronunce della Corte EDU che avevano rilevato una carenza strutturale del sistema processualpenalistico italiano nell'assenza di un meccanismo effettivo, volto a concretizzare il diritto delle persone condannate in contumacia - che non siano state effettivamente informate del procedimento a loro carico e a condizione che non abbiano rinunciato in maniera certa e consapevole a comparire - di ottenere che una giurisdizione esamini nuovamente il caso, dopo averle ascoltate sul merito delle accuse, nel rispetto dei principi di cui all'art. 6 CEDU. Rispetto all'invito della Corte EDU a "garantire, con misure appropriate, la messa in opera di detto diritto", l'orientamento maggioritario, che accolla su colui che spedisce l'istanza a mezzo del servizio postale il tempo necessario al recapito, sarebbe in contrasto con le chiare finalità dell'istituto, come rimodulato in base a quanto indicato dalla Corte europea, ed altresì in contrasto con il principio del giusto processo, determinando un ulteriore, concreto ostacolo alla realizzazione, per il condannato assente e non rinunciante, del diritto alla celebrazione di un nuovo giudizio in sua presenza.

4.4. La Procura generale, nella requisitoria scritta, riprende e sviluppa le argomentazioni appena esposte.

In primo luogo, l'argomento letterale utilizzato dalla tesi maggioritaria, secondo cui la forma verbale "è presentata" equivale a "è depositata presso il giudice competente" non sarebbe giustificata, non solo perchè l'art. 175 c.p.p., comma 2-bis, non specifica affatto che il luogo della presentazione debba essere limitato al solo ufficio giudiziario competente, ma anche perchè si tratta di forma verbale polisemica. Essa può, sì, individuare il risultato finale dell'attività ma, contrariamente a quanto avviene in altre norme, ciò non è esplicito in quella in esame; inoltre, l'espressione può essere interpretata come denotativa del tempo e non del luogo della presentazione.

Il Procuratore generale ritiene ovvia l'affermazione che l'istanza di restituzione nel termine non costituisca impugnazione, in senso proprio e tecnico, ma sottolinea che essa costituisce la precondizione dell'impugnazione, un "incidente di impugnazione": in una visione sistematica appare distonico che lo strumento processuale che permette l'impugnazione sia soggetto ad una disciplina diversa e più rigorosa di quella dettata per le impugnazioni stesse. Il dato testuale della mancanza di riferimenti all'istanza nell'art. 583 c.p.p. non appare decisivo.

Orientano verso la soluzione proposta l'argomento storico, che fa leva sulle circostanze di emanazione del D.L. 21 febbraio 2005, n. 17, convertito dalla L. 22 aprile 2005, n. 60, e quello equitativo, sotto il profilo della ragionevolezza o dell'interpretazione costituzionalmente conforme delle disposizioni di legge.

In effetti, la Corte EDU sollecita interventi nei sistemi interni dei Paesi connotati dal requisito dell'effettività e della massima espansione della garanzia; nè, nel caso in esame, esistono controlimiti costituzionali. Il termine previsto dall'art. 175 c.p.p., comma 2-bis, è breve e sarebbe irragionevole comprimerlo ulteriormente; inoltre sarebbe leso il principio di accessibilità all'esercizio del diritto di difesa dell'imputato.

In definitiva, è possibile un'interpretazione costituzionalmente conforme, resa possibile dal testo dell'art. 175 c.p.p., comma 2-bis, niente affatto univocamente interpretabile nel senso di pretendere il deposito nella cancelleria del giudice.

5. Come emerge dall'esposizione delle due opposte linee argomentative, la questione di diritto enunciata, di per sè assai specifica, possiede una forza espansiva sotto due profili. Quanto all'istanza di restituzione nel termine per impugnare, il tema più ampio è quello dell'applicabilità o meno dell'intera disciplina sulla proposizione delle impugnazioni di cui agli artt. 582 e 583 c.p.p.. La soluzione adottata, poi, può influenzare la disciplina concernente altri atti, anch'essi da "presentare" o, comunque, proporre al giudice.

Le Sezioni Unite ritengono che debba essere adottata la soluzione minoritaria appena esposta, recependone alcune argomentazioni.

5.1. Non sembra potersi dubitare che il termine "presentazione", riferito ad un'istanza scritta, debba essere interpretato nel senso di "deposito nella cancelleria del giudice che deve decidere" così come sostenuto dalla tesi maggioritaria.

Il termine non è "neutro" o "polisemico" perchè richiama la "presenza", vale a dire la contemporanea presenza di colui che avanza l'istanza e di colui che deve deciderla. Quando le istanze o le richieste sono presentate oralmente all'udienza, difensore e giudice sono contestualmente presenti nella stessa aula; quando l'istanza è presentata fuori da un'udienza, la presenza contestuale è quella della persona dell'avvocato o di un suo incaricato e del cancelliere. In latino, la radice prae significa "davanti a, dinanzi a" e si contrappone ad ab (da cui absens, assente) che indica distanza, allontanamento, separazione.

Che l'istanza avanzata al di fuori di un'udienza vada "presentata" mediante deposito in cancelleria, del resto, è indicazione diffusa in tutto il codice: l'art. 121 c.p.p. per le memorie e le richieste delle parti; le norme sulle richieste "presentate" dal p.m. al giudice: di misura cautelare (art. 291 c.p.p., comma 1), di archiviazione (art. 408 c.p.p.: "con la richiesta è trasmesso il fascicolo"), di rinvio a giudizio (art. 416 c.p.p.: "la richiesta di rinvio a giudizio è depositata dal pubblico ministero nella cancelleria del giudice"); la richiesta di misure alternative alla detenzione, che devono essere "presentate" al pubblico ministero, cioè fisicamente depositate nella sua segreteria, in modo che il pubblico ministero possa trasmettere l'istanza e l'ulteriore documentazione al tribunale di sorveglianza (art. 656 c.p.p., comma 6).

Gli artt. 582 e 583 c.p.p. confermano questa interpretazione letterale, perchè riservano il termine "presentazione" al solo deposito nella cancelleria del giudice indicato.

Il legislatore, poi, ha valutato se e come estendere la possibilità di invio efficace dell'atto al giudice da parte dell'interessato: ampliando, per le impugnazioni, il numero delle cancellerie al quale l'atto deve essere "presentato", cioè presso le quali deve essere depositato, e permettendo la "presentazione", cioè il deposito, anche presso gli agenti consolari all'estero (art. 582 c.p.p., comma 2) ovvero, per i detenuti e internati e con riferimento ad ogni impugnazione, dichiarazione e richiesta, permettendo che la "presentazione" avvenga davanti al direttore del carcere (art. 123 c.p.p.).

Per lo stesso favor impugnationis il legislatore prevede, inoltre, che l'atto di impugnazione venga "spedito", e non "presentato", con il meccanismo disegnato dall'art. 583 c.p.p..

Anche il richiamo ai principi affermati dalla Corte Costituzionale in tema di notificazione a mezzo posta (Corte cost., sent. n. 477 del 2002) non sembra utilizzabile a sostegno dell'orientamento minoritario.

La pronuncia stabilisce che "gli effetti della notificazione a mezzo posta devono essere ricollegati - per quanto riguarda il notificante - al solo compimento delle formalità a lui direttamente imposte dalla legge, ossia alla consegna dell'atto da notificare all'ufficiale giudiziario, essendo la successiva attività di quest'ultimo e dei suoi ausiliari (quale appunto l'agente postale) sottratta in toto al controllo ed alla sfera di disponibilità del notificante medesimo".

Il principio, pertanto, può essere richiamato con riferimento alle formalità "imposte" alla parte dalla legge. Ebbene, per l'istanza di restituzione nel termine l'art. 175 c.p.p. prescrive chiaramente la formalità della "presentazione". Quando, invece, il codice prevede forme diverse (ad esempio: invio mediante raccomandata o telegramma, oppure mediante dichiarazione resa dal detenuto all'ufficio matricola del carcere), stabilisce che l'atto deve ritenersi proposto o presentato alla data di spedizione o della data di dichiarazione all'ufficio matricola (art. 123 c.p.p., comma 1).

In sostanza, il codice di procedura penale non presenta la problematica che sorgeva dal combinato disposto dell'art. 149 c.p.c. e L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 4, perchè, se onera la parte di formalità differenti dal materiale deposito in cancelleria, prevede contestualmente che l'effetto per la parte si produca al momento dell'adempimento, a prescindere dalla data in cui l'atto è stato ricevuto dalla cancelleria del giudice.

Come si è visto, l'invio a mezzo posta dell'istanza di restituzione nel termine per impugnare non è "imposto dalla legge", ma è "consentito" e, quindi, è frutto di una scelta discrezionale della parte, cosicchè non emerge l'irragionevolezza della disciplina che aveva portato alla pronuncia di illegittimità costituzionale.

5.2. Sono, invece, le ulteriori argomentazioni sopra esposte a convincere della soluzione adottata.

L'affermazione delle sentenze facenti parte della tesi maggioritaria della impossibilità di comprendere l'istanza di restituzione nel termine nella categoria delle impugnazioni non è, in realtà, contestata dall'orientamento opposto e non pare poter essere messa in discussione.

Non vi è dubbio, invece, sulla natura strumentale dell'istanza di restituzione nel termine rispetto alla successiva impugnazione. Come efficacemente rileva la requisitoria del Procuratore Generale, si tratta della "pre-condizione" di una impugnazione, che crea un "incidente di impugnazione" di diretta ed immediata afferenza al sistema delle impugnazioni; un rapporto che giustifica, perciò, dal punto di vista logico, l'applicazione della relativa disciplina.

Proprio l'illogicità della soluzione opposta è sottolineata da Sez. 3, Zenelli, cit., che osserva che "apparirebbe del tutto illogico riservare il necessario controllo sulla provenienza dalla parte al solo atto di impugnazione e non anche alla richiesta di restituzione in termine che, come detto, ne rappresenta il necessario presupposto". In effetti, seguendo la tesi maggioritaria - che consente l'invio dell'istanza a mezzo posta, ma nega l'applicabilità dell'art. 583 c.p.p., comma 3 - si pone legittimamente la questione dell'efficacia di un'istanza con sottoscrizione non autenticata, al contrario della successiva impugnazione.

Nè il mancato rinvio espresso alla disciplina delle impugnazioni può essere interpretato come volontà del legislatore di non applicarla: si tratta, piuttosto, di un dato neutro.

Appare, del resto, significativa la circostanza che, nella vigenza del codice di rito del 1930, la soluzione che qui si adotta era stata raggiunta proprio alla luce del rapporto di strumentalità tra l'istanza e l'atto principale al compimento del quale essa è diretta.

5.3. Se, quindi, la natura particolare dell'istanza di restituzione nel termine per impugnare giustifica di per sè l'applicazione delle forme previste per le impugnazioni - non impedita da alcun divieto, espresso o tacito, del legislatore - la soluzione è resa necessaria dall'effetto di compressione del termine di trenta giorni di cui all'art. 175 c.p.p., comma 2-bis, prodotto dall'adozione della soluzione opposta. In effetti, stabilire che l'invio a mezzo posta dell'istanza comporta il rischio della tardiva ricezione da parte della cancelleria del giudice significa non soltanto ridurre il termine, ma soprattutto cadere nell'incertezza assoluta in ordine alla possibilità che esso venga rispettato, in quanto il tempo di consegna di un plico postale può variare in relazione a cause imprevedibili.

Si noti, per di più, che viene impedito anche il ricorso alla presentazione presso un agente consolare all'estero, limitazione che, per i condannati per i quali non è stata richiesta l'estradizione, può rendere sostanzialmente impossibile la presentazione tempestiva dell'istanza.

La questione è resa ancora più urgente alla luce della genesi dell'introduzione dell'art. 175 c.p.p., comma 2-bis, sopra ricordata (ampiamente esposta nella recente sentenza Sez. U, n. 52274 del 29/09/2016, Rrushi, Rv. 268107) e dal principio costituzionale del giusto processo. La necessità che i rimedi approntati dal legislatore nazionale per sopperire alle carenze strutturali del sistema, che determinavano un difetto di garanzie per il processo contumaciale, siano efficaci orienta decisamente verso una soluzione che permette all'interessato di usufruire per intero del breve termine previsto a pena di decadenza.

5.4. La soluzione adottata, d'altro canto, non determina una arbitraria estensione del concetto di "presentazione" presente nel codice di rito e non incide, di conseguenza, sulle valutazioni espresse con riferimento alla proposizione di numerose altre istanze o richieste. Per ciascuna di esse verrà quindi valutata, di volta in volta, l'esistenza di un'autonoma ragione di applicazione della disciplina delle impugnazioni, come è avvenuto, ad esempio, per l'opposizione a decreto penale, la cui natura di impugnazione ha fatto ritenere adottabili, per la sua presentazione, tutte le forme previste dagli artt. 582 e 583 c.p.p., e, quindi, anche il ricorso al servizio postale, con l'ulteriore conseguenza dell'individuazione della data di invio per valutarne la tempestività (Sez. 4, n. 9603 del 18/02/2016, Filice, Rv. 266302; Sez. 5, n. 35361 del 06/07/2010, Cheng, Rv. 248876).

6. Può quindi formularsi il seguente principio di diritto:

"Ai fini della verifica della tempestività della richiesta di restituzione nel termine a norma dell'art. 175 c.p.p., comma 2-bis, il giudice, nel caso in cui la richiesta sia presentata a mezzo del servizio postale, deve fare riferimento alla data di spedizione della richiesta"
.

7. In applicazione del suddetto principio, l'ordinanza del Tribunale di Monza del 2 luglio 2015 deve essere annullata senza rinvio relativamente alla statuizione di inammissibilità della richiesta di restituzione nel termine.

Nel resto, l'ordinanza va confermata: sia quanto all'emenda dell'errore materiale presente nella sentenza di condanna, sia quanto al rigetto della richiesta avanzata in via principale di declaratoria di non esecutività della sentenza di condanna.

Gli atti devono essere trasmessi al Tribunale di Monza perchè provveda nel merito sulla richiesta di restituzione nel termine per l'impugnazione della sentenza. In relazione a tale decisione, il terzo e il quarto motivo di ricorso risultano assorbiti, avendo ad oggetto appunto la decisione sull'istanza cui il Tribunale non aveva provveduto in conseguenza della declaratoria di inammissibilità della stessa.

Infine, il ricorso avverso l'ordinanza della Corte di appello di Milano del 31 luglio 2015 deve essere dichiarato inammissibile. In effetti, non solo l'impugnazione risulta sostanzialmente priva di motivi, ma esattamente la Corte territoriale aveva negato la propria competenza a provvedere, atteso che avverso l'ordinanza del giudice dell'esecuzione è ammesso solo il ricorso per cassazione.

P.Q.M.


Annulla senza rinvio l'ordinanza del Tribunale di Monza in data 2/7/2015 relativamente alla statuizione di inammissibilità della richiesta di restituzione nel termine, confermandola nel resto. Dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Monza per l'ulteriore corso in ordine alla richiesta di restituzione nel termine.

Dichiara inammissibile il ricorso avverso l'ordinanza della Corte di appello di Milano del 31/7/2015.

Così deciso in Roma, il 18 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2017.