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Concorso di persone e responsabilità personale (Cass., 2566/13)

17 gennaio 2013, Cassazione penale

Responsabilità penale personale: il caso di scuola. Se non è possibile individuare il responsabile fra due unici sospettati, vanno assolti (e non condannati) entrambi.

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Presidente -
Dott. FOTI Giacomo - Consigliere -
Dott. MARINELLI Felicetta - Consigliere -
Dott. GRASSO Giuseppe - Consigliere -
Dott. DELL'UTRI Marco - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1) T.S. N. IL (OMISSIS);
2) E.S. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 264/2010 CORTE APPELLO di TRENTO, del
18/01/2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 29/11/2012 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARCO DELL'UTRI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. SCARDACCIONE
Eduardo V. che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

1. - Con sentenza resa in data 18.1.2012, la Corte di appello di Trento ha integralmente confermato la sentenza del Tribunale di Rovereto in data 2.2.2010, con la quale T.S. e E.S. sono stati riconosciuti colpevoli del reato di furto aggravato di 24 flaconcini di metadone, sottratti alla struttura del Servizio per le tossicodipendenze di Rovereto in data 24.7.2008.

Con la sentenza di primo grado, il Tribunale di Rovereto ha inflitto a T.S. e a E.S. la pena di otto mesi di reclusione e di Euro 300,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.
Avverso la sentenza della Corte d'appello di Trento, ha proposto ricorso per cassazione il difensore degli imputati, Avv. Nicola Canestrini, affidato a tre motivi di impugnazione.

2.1. - Con il primo motivo, il ricorrente si duole della contraddittorietà e della manifesta illogicità della motivazione, nonchè del difetto di motivazione e violazione di legge, in relazione all'art. 192, comma 2, art. 533 c.p.p., comma 1.
Al riguardo, il ricorrente, sul presupposto che la responsabilità degli imputati è stata riconosciuta in forza di una prova d'indole critica, lamenta che gli elementi di natura indiziaria evidenziati a fondamento della condanna, dal giudice del merito, siano del tutto privi dei requisiti della gravità, precisione e concordanza, richiesti dall'art. 192 c.p.p..
In particolare, il difensore degli imputati sottolinea come nessuna certezza era possibile affermare in ordine alla presenza dei soli imputati sul luogo della sottrazione della refurtiva e nel breve periodo di tempo in cui sarebbe stata commessa detta sottrazione, in ragione della presumibile presenza di molte altre persone in loco, come reso evidente dalle deposizioni rese dal medico e dall'infermiera caposala nel corso del giudizio e dalla stessa documentazione allegata al ricorso.
Lo stesso ricorrente evidenzia come il tempo di latenza del controllo del personale sanitario, utile per la commissione del furto, secondo le risultanze delle deposizione acquisite, doveva considerarsi ragionevolmente troppo breve per il completamento dell'esecuzione della condotta furtiva ascritta alla responsabilità degli imputati.
Sotto altro profilo, la sentenza impugnata appare, al giudizio del ricorrente, totalmente illogica nella motivazione del presunto movente della condotta delittuosa attribuita agli imputati, avuto riguardo al significato della condotta osservata dalla T. nei giorni successivi all'ammanco di metadone presso la struttura sanitaria trentina, di per sè incompatibile con il ricorso del movente dell'impossessamento in concreto attribuito agli imputati.
La stessa disponibilità di uno zainetto da parte degli imputati, indicato quale strumento di occultamento e di successivo trasporto della refurtiva al di fuori dei locali della struttura sanitaria, non risulterebbe comprovata, ad avviso del ricorrente, da alcun elemento di riscontro istruttorio dotato di adeguata certezza.

2.2. - Con il secondo motivo di impugnazione, il ricorrente si duole della contraddittorietà e della manifesta illogicità della motivazione, nonchè difetto di motivazione e violazione di legge, in relazione all'art. 192, comma 2, art. 583 c.p.p., comma 1, e art. 110 c.p..
Sul punto, il difensore degli imputati denuncia l'intrinseca contraddittorietà e l'illogicità della sentenza, nella parte in cui ritiene attestata la sussistenza del concorso nella commissione del reato, in ragione delle condizioni ambientali in cui si è consumato l'illecito nel breve lasso temporale possibile. Al riguardo, la motivazione della sentenza impugnata sembra fondare la responsabilità a titolo di concorso in capo a uno dei due partecipi nel reato, sulla base di una mera ipotesi logica, del tutto priva di suffragio istruttorio, siccome sfornita del benchè minimo elemento probatorio di riscontro.

2.3. - Con il terzo e ultimo motivo di ricorso, l'impugnante lamenta il difetto di motivazione e la violazione di legge in cui è incorsa la sentenza d'appello, in relazione all'art. 625 c.p., comma 1, n. 4.
In particolare lamenta il ricorrente come la sentenza impugnata abbia ritenuto il ricorso dell'aggravante del furto con destrezza in relazione alle modalità di esecuzione del reato in questa sede contestato agli imputati, senza che dette modalità esprimessero alcune particolari abilità degli autori dell'illecito, o il ricorso di una particolare condizione di attenuata difesa da parte della persona offesa, nella specie del tutto insussistente.

CONSIDERATO IN DIRITTO


3.1. - Il primo motivo di ricorso è infondato.
La sentenza d'appello ha attestato la circostanza della sicura presenza dei soli imputati sul luogo della sottrazione della refurtiva, e nel breve periodo di tempo in cui sarebbe stata commessa detta sottrazione, sulla base di un complesso di elementi indiziari nel loro insieme dotati dei requisiti della gravità, precisione e concordanza (cfr. art. 192 c.p.p.).

In particolare, secondo il lineare ragionamento seguito nella sentenza della corte territoriale, dette circostanze sono rimaste confermate con ragionevole certezza, tanto in forza della deposizione testimoniale resa dal medico ch'ebbe a ricevere gli imputati durante la mattina del furto, quanto da quella dell'infermiera caposala presente in loco nel medesimo lasso di tempo: deposizioni dalle quali è emerso come, nel momento in cui gli imputati sono rimasti all'interno dello studio medico, nessun'altra presenza di pubblico era stata notata all'interno della struttura sanitaria, mentre gli stessi imputati sono rimasti da soli nella stanza del medico attigua a quella dell'infermiera caposala (in cui era custodito il metadone all'interno di una cassaforte), avendo questi ultimi due soggetti attestato di essersi, sia pure per breve tempo, assentati contemporaneamente dalle loro stanze nel medesimo momento.

Allo stesso modo, sulla base di quanto riferito dai testi, del tutto ragionevolmente la corte distrettuale ha ritenuto sufficiente, ai fini della commissione del furto, il pur breve intervallo di tempo lasciato nella disponibilità degli imputati, siccome del tutto compatibile con l'esecuzione integrale della condotta furtiva, per come concretamente descritta nell'atto di accusa sollevato nei confronti degli imputati.

Del tutto logica e congruente deve inoltre ritenersi la motivazione indicata dal giudice d'appello a sostegno del movente del furto, poichè la condotta della T. successiva al furto (consistito nella successiva quotidiana frequentazione della struttura sanitaria al fine di ottenere la dose terapeutica di metadone) è pienamente compatibile con l'attuazione di un'ipotetica strategia di mascheramento della sottrazione già perpetrata, dettata dall'esigenza di non destare sospetti.

Quanto infine alla disponibilità, da parte degli imputati, dello zainetto verosimilmente utilizzato per l'occultamento dei flaconcini di metadone, il giudice d'appello ne ha logicamente ritenuto la sussistenza, evidenziando come detta circostanza fosse rimasta confermata dalle deposizioni testimoniali acquisite, senza che il difetto di assoluta certezza nella descrizione del fatto, da parte del dichiarante, possa ritenersi tale da minarne l'attendibilità, avuto riguardo all'intuibile banalità del dettaglio, ex ante, agli occhi dell'osservatore ingenuo.

3.2. - Perimenti infondato deve ritenersi anche il terzo motivo di ricorso, relativo al ricorso della contestata circostanza aggravante del furto con destrezza, dovendo ritenersi che l'abilità degli imputati nello sfruttare il brevissimo lasso di tempo utile per la commissione del fatto sia in modo logico e ragionevole intrinsecamente confermata dalla ricostruzione del fatto concreto per come logicamente operata in sentenza sulla base degli elementi istruttori con certezza acquisiti.

3.3. - Deve viceversa ritenersi fondato il secondo motivo d'impugnazione relativo alla dedotta attribuzione della commissione del furto oggetto d'esame in concorso tra i due imputati.
Al riguardo, la corte d'appello, nell'assoluta mancanza di elementi idonei a consentire una possibile ricostruzione delle concrete modalità con le quali il furto è avvenuto nel momento in cui i due imputati sono rimasti soli a contatto con la refurtiva, ha ritenuto di ascrivere il fatto a uno (o all'altro) dei due imputati (quantomeno) secondo le forme del concorso morale, sottolineando l'impossibilità di "escludere che, quantomeno a titolo di concorso morale, entrambi gli imputati siano coinvolti nella commissione del reato", atteso che, pur "ipotizzando che uno solo dei due sia l'autore materiale del furto, egli abbia potuto agire solo nella consapevolezza dell'appoggio dell'altro date le condizioni ambientali in cui si è consumato l'illecito nel breve lasso temporale disponibile".
Ritiene questa corte suprema che il generico ed equivoco richiamo al dato delle "condizioni ambientali in cui si è consumato l'illecito", a loro volta qualificate dal "breve lasso temporale disponibile", appare totalmente insufficiente a sostenere una plausibile ricostruzione crìtica del comportamento in concreto ascrivibile all'uno o all'altro dei due imputati nel breve lasso di tempo in cui sono rimasti soli.
E' appena il caso di sottolineare, al riguardo, come, nè le richiamate condizioni ambientali in cui si è consumato l'illecito, nè la circostanza del breve lasso temporale rimasto disponibile ai due imputati, valgono a esprimere significati tali da condurre all'unica conseguenza logica che la corte d'appello intende trarne, e cioè che certamente uno dei due imputati abbia necessariamente fornito un contributo di partecipazione, anche solo morale, alla materiale commissione del furto da parte dell'altro; e non abbia invece tenuto un comportamento, se non oppositivo, quantomeno del tutto passivo e penalmente irrilevante ai fini della contestazione del concorso nel reato.
Vale sul punto richiamare il pacifico insegnamento impartito dalla giurisprudenza di legittimità, in forza del quale occorre ritenere che "la sola presenza fisica di un soggetto allo svolgimento dei fatti non assume univoca rilevanza, allorquando si mantenga in termini di mera passività o connivenza, risolvendosi, invece, informa di cooperazione delittuosa allorquando la medesima si attui in modo da realizzare un rafforzamento del proposito dell'autore materiale del reato e da agevolare la sua opera, sempre che il concorrente morale si sia rappresentato l'evento del reato ed abbia partecipato ad esso esprimendo una volontà criminosa uguale a quella dell'autore materiale" (Cass., Sez. 1, n. 12089/2000, Rv. 217347); con la conseguenza che "la semplice condotta omissiva e connivente non è sufficiente a fondare un'affermazione di responsabilità a titolo di concorso nel reato, occorrendo, a tal fine, che sussista un contributo materiale o psicologico che abbia consentito una più agevole commissione del delitto, stimolando o rafforzando il proposito criminoso del concorrente" (cfr. Cass., Sez. 6, n. 61/2002, Rv. 222976).

L'assoluta impossibilità di operare, sulla base degli elementi istruttori acquisiti nel corso del processo, una plausibile ricostruzione del concreto comportamento tenuto dai due imputati nel breve lasso di tempo in cui è stato consumato il furto oggetto dell'odierno esame (e, segnatamente, l'impossibilità di escludere che l'uno o l'altro dei due imputati abbia mantenuto un atteggiamento di assoluta passività, come tale penalmente irrilevante, rispetto all'ipotetica materiale condotta furtiva dell'altro), impone di ritenere non superata la soglia del ragionevole dubbio in ordine alla commissione del reato di furto in concorso a carico di entrambi gli imputati.

Da tanto deriva l'inevitabile conseguenza dell'annullamento senza rinvio della sentenza di condanna qui impugnata, in assenza di elementi tali da giustificare l'affermazione della commissione del fatto ad opera dei due imputati.

P.Q.M.

la Corte Suprema di Cassazione, annulla senza rinvio la sentenza impugnata, per non avere, gli imputati, commesso il fatto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 29 novembre 2012.
Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2013