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Colloquio immediato fra arrestato e difensore: diritto anche quando vi sono più difensori?

27 settembre 2020, Carlotta Capizzi e Nicola Canestrini

"Il colloquio tra difensore e assistito, specie se colpito da un provvedimento limitativo della libertà personale, è probabilmente il primo e più rilevante momento di estrinsecazione del diritto di difesa" (1). 

Il nostro codice di procedura penale dispone infatti che chi si trovi in detenzione abbia il  diritto di incontrare e di colloquiare immediatamente con il proprio difensore (con limitatissime eccezioni); la norma prevede anche il diritto all'assistenza gratuita di un interprete (2) (3).

Il diritto di difesa, "inviolabile in ogni stato e grado del procedimento" secondo quanto stabilito dall'art. 24 della Costituzione italiana, non ha infatti alcun contenuto senza un previo scambio di informazioni: saranno informazioni tecniche che il difensore fornisce (per dovere deontologico!) all'assistito, ma naturalmente anche informazioni di merito che l'assistito fornisce al difensore. 

Perchè solo il flusso reciproco di informazioni conferisce contenuto e pienezza al diritto di difesa, che altrimenti rischierebbe di diventare un simulacro, la parvenza di un diritto; proprio per tutelare lo scambio di informazioni, la giurisprudenza ha ammesso che il difensore porti con sé gli strumenti informatici necessari per consultare gli atti, salvo la motivazione congrua sulla reale necessità.

Le corti dei diritti richiedono infatti che i diritti siano tutelati nella loro effettività, quindi nel loro dispiegarsi pratico all'interno dei singoli casi, dovendosi evitare che la il diritto fondamentale  resti lettera morta: il diritto di difesa, in particolare, deve considerarsi "valore preminente, essendo inserito nel quadro dei diritti inviolabili della persona" e si conseguenza "esso non potrebbe essere sacrificato in vista di altre esigenze" (Corte Costituzionale, sentenza n. 98/1994), che pare opportuno citare per esteso:

"Né può dimenticarsi, comunque, che è l'art. 24 della Costituzione ad assumere nella disciplina processuale valore preminente, essendo il diritto di difesa inserito nel quadro dei diritti inviolabili della persona, talché, anche secondo l'indirizzo costante di questa Corte (in cui la riaffermazione del principio della "parità delle armi" tra accusa e imputato si è modulata non solo e tanto sull'identità delle rispettive posizioni, quanto sul raccordo con l'esigenza di non comprimere poteri e facoltà dell'imputato riconducibili al precetto dell'art. 24 della Costituzione), esso non potrebbe essere sacrificato in vista di altre esigenzenze (..)".

A suffragio del diritto di difesa, che implica il diritto alla partecipazione, sia con la difesa sostanziale che tecnica, soccorre anche il principio del giusto processo come regolato dall'art. 111 Costituzione.

In merito all’effettività della difesa, in una condanna proprio contro l'Italia la corte di Strasburgo ha specificato che "non bisogna dimenticare che la Convenzione ha lo scopo di tutelare dei diritti non teorici o illusori, ma concreti ed effettivi” (Corte EDU, Artico contro Italia, sentenza del 13 maggio 1980); tanto più se ci si trovi nel momento più delicato del procedimento, quello iniziale come un provvedimento limitativo della libertà appena eseguito e la necessitò di fare scelte che si rifletteranno su tutto il procedimento e i tre gradi di giudizio (oltre ad un eventuale ricorso a Strasburgo se si ritieni siano violati diritti fondamentali derivanti da obblighi convenzionali). Detta con la lente proprio del giudice della Convenzione EDU: l'equità del processo penale risultare gravemente e irrimediabilmente viziata da un'iniziale inosservanza della tutela del diritto di difesa (C. EDU, Imbrioscia c. Svizzera, 24.11.93, app. n. 13972/88).

Sempre la Corte EDU più volte ha sottolineato l'importanza del diritto di difesa nella sua derivazione del diritto di un indagato/imputato a poter colloquiare con il proprio difensore. In particolare, la Corte ha ritenuto che la difesa dev'essere "practical and effective" sottolineando che tale non può reputarsi una difesa dove il difensore viene privato della possibilità, tra le altre, anche di colloquiare con il proprio assistito (Goddi v. Italy, 09 aprile 1984).

 Anche, ed infine la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea stabilisce che "il rispetto dei diritti della difesa è garantito ad ogni imputato" (art. 48/2), rilevante in quanto la direttiva 2013/48/UE stabilisce, expressis verbis e forte dello standard già raggiunto dalla Convenzione nella sua interpretazione vivente, che i tempi e le modalità di esercizio del diritto di avvalersi di un difensore nel procedimento penale devono essere tali da rendere la difesa “concreta ed effettiva” e che indagati e imputati devono potersi avvalere di un difensore senza “indebito ritardo” (undue delay) dopo la privazione della libertà personale.

Ciò premesso, si vorrebbe qui fornire qualche spunto di riflessione per l'ipotesi - che non pare infrequente - in cui la persona in vinculis abbia nominato due difensori: entrambi potranno esercitare il diritto / dovere al colloquio, sopratutto se seguirà una udienza? E se, come pare ovvio, si ammettesse entrambi in un unico colloquio, vi è qualche impedimento sul colloquio dei due difensori in momenti diversi (ad es. perché sono sopraggiunti nuovi elementi da chiarire in vista dell'interrogatorio)? E: se il colloquio effettuato dal primo difensore fosse stato di fatto inutile ad esempio perché quel rapporto professionale è stato risolto (per rinuncia del mandato o per revoca)?

Premettendo, naturalmente, che "non spetta al giudice sindacare il merito delle scelte difensive (anche sulla possibilità di nomina di un sostituto processuale), valutando quel che il difensore avrebbe dovuto e potuto fare entro l’ambito di determinazioni ampiamente discrezionali, che a questi spettano in via esclusiva" (Corte di Cassazione,  I Penale, sentenza 20998/20).

E segnalando che ciascun difensore ha per normativa un dovere di fedeltà, dovendo l’avvocato adempiere fedelmente il mandato ricevuto, svolgendo la propria attività a tutela dell’interesse della parte assistita e nel rispetto del rilievo costituzionale e sociale della difesa: il dovere di informazione verso l'assistito è la prima regola che ogni avvocato, anche in caso ci sia una difesa congiunta, deve osservare (art. 27 codice deontologico forense).

Il difensore andato a colloquio viene revocato o rinuncia al mandato

Pare che il diritto di conferire con il difensore valga per quel o quei difensore/i che poi effettivamente che si presenterà/anno all'interrogatorio di garanzia, dato he altrimenti si priverebbe l'arrestato del ha effettiva necessità di dialogare con l'arrestato.

Eventuali difensori precedenti, per quanto nel momento del colloquio avessero interesse a conferire con il detenuto,  con la fine del loro mandato difensivo perdono ogni possibilità di incidere sull'effettività del diritto di difesa.  Il diritto allo scambio di informazioni che costituisce contenuto del diritto inviolabile della difesa, come appare evidente, deve ritenersi ancora più stringente nel caso in cui il colloquio sia in prossimità di un interrogatorio, in quanto è proprio nei momenti antecedenti a quest'ultima che difensore e assistito hanno bisogno di confrontarsi e dialogare, anche in merito alla strategia difensiva da adottare.

Si ribadisce che l'istituto del colloquio tra assistito in vinculis con il proprio difensore previsto dall'art. 104 c.p.p. trova la sua ratio giustificatrice nella tutela del diritto di difesa inteso come riconoscimento dell' inderogabile parità che deve contraddistinguere accusa e difesa. In questo senso, quindi, il diritto di difesa viene garantito solo laddove l'assistenza tecnica non s'intende come mera partecipazione alle attività processuali, sub specie all'interrogatorio, ma come collaborazione effettiva prestata dal difensore durante l'intero procedimento, a partire, quindi, dal momento immediatamente successivo all'arresto.

Peraltro, "l'intervento del difensore costituisce una attività di "partecipazione" e non di mera "assistenza", essendo egli impegnato, al pari del pubblico ministero, nella ricerca, individuazione, proposizione e valutazione di tutti gli elementi probatori e nell'analisi della fattispecie legale. L'effettività della difesa non può essere pertanto ridotta ad una mera formale presenza di un tecnico del diritto che, per mancanza di significativi rapporti con le parti o per il ridotto tempo a disposizione, non sia in grado di padroneggiare adeguatamente il materiale di causa" (Cassazione penale, sentenza 41432/16).

Al difensore andato a colloquio si aggiunge un secondo difensore

La soluzione pare agevole anche nel caso in cui l'assistito privato della libertà nomini due difensori, come consentito dall'art. 96 c.p.p.

L'ordinamento riconosce e tutela il diritto alla doppia difesa, ad es. sancendo la nullità derivante dall’omesso avviso dell’udienza anche solo ad uno dei due difensori di fiducia, dato che la comunicazione ad uno non si "estende" automaticamente (?) all'altro (peraltro secondo Cassazione si tratterebbe di una nullità di ordine generale a regime intermedio ai sensi dell’art. 180 cod. proc. pen. e non già assoluta ex art. 179 cod. proc. pen., cfr. Cass. pen. 51539/18). 

Anzi: proprio al fine di rendere effettivo e agevole l'esercizio di tale diritto, gli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria che eseguono il fermo o l'arresto o che eseguono l'ordinanza di custodia cautelare devono avvertire la persona che vi è sottoposta della facoltà di nominare un difensore di fiducia  (artt. 293/1 e 386/2 c.p.p.), informando immediatamente l'avvocato eventualmente nominato ovvero quello designato d'ufficio (o gli avvocati di fiducia).

Del resto, la Corte costituzionale ha affermato (ad esempio con le sentenze n. 212 del 1997 e n. 143 del 2013) che tutti i detenuti, anche in forza di condanna definitiva, possono conferire con i difensori senza sottostare nè ad autorizzazioni, nè a limiti di ordine "quantitativo" (numero e durata dei colloqui), e ciò non solo con riferimento a procedimenti giudiziari già promossi, ma anche in ordine a qualsiasi procedimento contenzioso suscettibile di essere instaurato, restando affidata all'Autorità penitenziaria, in correlazione con le esigenze organizzative e di sicurezza connesse allo stato di detenzione, solo la determinazione delle modalità pratiche di svolgimento dei colloqui (individuazione degli orari, dei locali, dei modi di identificazione del difensore e simili), senza alcun possibile sindacato in ordine all'effettiva necessità e ai motivi dei colloqui stessi.

Nulla pare impedire peraltro un colloquio dei due difensori contemporaneamente con l'assistito, sopratutto in casi complessi per numero o gravità delle imputazioni, o quando vi sia la necessità di un apporto altamente specialistico nella difesa. 

Apparentemente già complesso pare il caso nel quale uno solo dei due difensori abbia esercitato diritto / dovere al colloquio, cioè nel caso di un colloquio dei due difensori in tempi diversi con l'assistito, quando una nomina intervenga dopo l'altra o per esigenze contingenti (es. nuove informazioni reperite dal difensore che non ha ancora effettuato il colloquio).

Anche in questo caso, peraltro, la negazione del colloquio ex art. 104 c.p.p. meramente alla luce del fatto che un colloquio era intervenuto con un difensore diverso e in un momento precedente, deve ritenersi illegittimo in quanto, evidentemente, in contrasto con i principi sommariamente enunciatio supra.

Infatti, “il diritto di difesa può variamente atteggiarsi in funzione delle peculiari caratteristiche dei singoli procedimenti e dei superiori interessi di giustizia cui le stesse sono rispettivamente preordinate” (Cassazione penale, sez. IV, 01.03.2006, n. 15113).

Deducibilità della nullità per impedimento illegittimo del diritto al colloquio


Il diniego del colloquio  "costituisce violazione del diritto all'assistenza fuori dei casi di presenza obbligatoria del difensore e, quindi, una nullità di carattere generale rientrante nella previsione dell'art. 178 c.p.p., lett. c) e art. 180 c.p.p., e quindi a regime intermedio, suscettibile di estendersi agli atti che ne dipendono e, in particolare, all'interrogatorio, a norma dell'art. 185 c.p.p., comma 1, qualora non venga eliminata mediante l'effettuazione del colloquio prima che l'atto consecutivo sia compiuto" (Cass., Sez. 1, 24 marzo 2004 n. 16815, ric. Tegas; Sez. 6, 8 gennaio 2009 n. 4960, ric. Motta, Cass. pen. 51539/18).  

Caveat

L'art. 135 del codice inquisitorio, abrogato oltre 30 anni fa, subordinava la possibilità di colloquio tra avvocato e imputato in vinculis al permesso del magistrato procedente e soltanto una volta terminato l'interrogatorio; in altre parole il conferimento con il difensore era rimesso alla "benevolenza" dell'Autorità giudiziaria (Conso, Colloqui con l'imputato detenuto e diritto di difesa, in AP, 1970, I, 242), essendo quindi inimmaginabile un ritorno al passato (tantopjiù se la "benevolenza" alla quale fare appello sia ad es. dell'autorità di polizia).

 

 (1) "COLLOQUI DEL DIFENSORE CON L’IMPUTATO IN VINCULIS: TRA ESIGENZE INVESTIGATIVE ED EFFETTIVITÀ DEL DIRITTO DI DIFESA", di Domenico Vispo, Legislazione penale, 2018.

(2) Chiunque abbia mai tentato di far rispettare tale norma sa quanto essa sia illusoria. 

(3)del diritto in parola è corollario il diritto del difensore ad accedere ai luoghi in cui la persona stessa si trova custodita (art. 36 disp. att. c.p.p.). La L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 18, comma 2, recante norme sull'ordinamento penitenziario, ribadisce che i detenuti hanno diritto di conferire con il difensore, sin dall'inizio dell'inizio dell'esecuzione della misura o della pena, fatto salvo quanto previsto dall'art. 104 c.p.p., in ordine all'eventuale dilazione dei colloqui, applicabile invero in casi del tutto eccezionali. Ancora, il D.P.R. 30 giugno 2000, n. 230, art. 37, comma 3, ("regolamento recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà") stabilisce più specificamente che le persone ammesse al colloquio con i detenuti sono identificate e sottoposte a controllo con le modalità previste dal regolamento interno, al fine di garantire che non siano introdotti nell'istituto strumenti pericolosi o altri oggetti non ammessi.