Home
Lo studio
Risorse
Contatti
Lo studio

Decisioni

Cognome del figlio, quali criteri? (Cass. 18161/19)

5 luglio 2019, Cassazione civile

In tema di attribuzione giudiziale del cognome al figlio nato fuori dal matrimonio e riconosciuto non contestualmente dai genitori, i criteri di individuazione del cognome del minore si pongono in funzione del suo interesse, che è quello di evitare un danno alla sua identità personale.

Il giudice è investito dalla legge del potere-dovere di decidere su ognuna delle possibilità previste da detta disposizione avendo riguardo, quale criterio di riferimento, unicamente all’interesse del minore e con esclusione di qualsiasi automaticità, che non riguarda né la prima attribuzione, essendo inconfigurabile una regola di prevalenza del criterio di chi "arriva prima" né il patronimico, per il quale non sussiste alcun "favor" in sé nel nostro ordinamento.

Corte di Cassazione

sez. I Civile, ordinanza 28 gennaio – 5 luglio 2019, n. 18161
Presidente Giancola – Relatore Bisogni

Rilevato in fatto che:

1. Il Tribunale di Tivoli, con decreto del 16 dicembre 2014, accogliendo il ricorso del sig. F.L. nei confronti della sig.ra T.L. ha disposto la sostituzione del cognome della minore T.S. nata a (omissis) in F.T.S. .
2. La Corte di appello di Roma, con decreto n. 1548/2017, pronunciando sul reclamo proposto dalla sig.ra T.L. e dato atto dell’intervenuto riconoscimento effettuato da F.L. ha affidato la figlia minore S. ad entrambi i genitori con collocamento presso la madre, ha determinato il contributo paterno al mantenimento in Euro 150 mensili, con aggiornamento annuale secondo gli indici ISTAT, a decorrere dalla domanda, oltre al 50% delle spese straordinarie mediche, scolastiche, ricreative previamente concordate. Ha confermato il cognome della minore come F. T. .
3. Ricorre per cassazione T.L. deducendo: a) violazione o falsa applicazione dell’art. 262 c.c., commi 2 e 4, anche in combinato disposto con l’art. 12 disp. gen. e con l’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; b) violazione o falsa applicazione dell’art. 262 c.c., commi 2 e 4, e dell’art. 132 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
4. Con il primo motivo la ricorrente contesta l’affermazione della Corte di Appello secondo cui "la minore ha ancora un’età nella quale l’identità è percepita soprattutto con riferimento al nome piuttosto che al cognome e non può ravvisarsi alcuna preclusione nell’attribuzione prioritaria del cognome paterno, come solitamente avviene, allorché il riconoscimento viene effettuato insieme al momento della nascita da entrambi i genitori". Secondo la ricorrente tale affermazione è in contrasto con l’interpretazione letterale dell’art. 262 c.c., ("Il figlio assume il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto. Se il riconoscimento è effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori il figlio assume il cognome del padre") che non consente di equiparare l’ipotesi del riconoscimento contemporaneo con quello avvenuto successivamente per cause non imputabili al padre. Peraltro secondo la ricorrente l’ammissione delle prove testimoniali da lei dedotte nel giudizio di merito avrebbe consentito di accertare la responsabilità del padre per il tardivo riconoscimento della figlia.
5. Con il secondo motivo la ricorrente censura la motivazione come apparente e incomprensibile quanto alla affermazione secondo cui l’anteposizione del patronimico corrisponderebbe all’interesse superiore della minore in quanto quest’ultima "vive presso la famiglia di origine della madre, e vi è un forte rischio di marginalità della figura paterna, con necessità per la bambina di costruirsi un’autonoma identità, con paritario rilievo di entrambe le figure genitoriali nel processo di costruzione della sua identità personale". La ricorrente ritiene che tale motivazione sia del tutto esorbitante rispetto al criterio del superiore interesse del minore e in contrasto con la realtà dell’inserimento della bambina nel contesto della famiglia materna.

Ritenuto in diritto che:

6. I due motivi di ricorso da esaminare congiuntamente sono infondati. La decisione impugnata si muove nel perimetro segnato in questa materia dalla costante giurisprudenza di legittimità, in tema di attribuzione giudiziale del cognome al figlio nato fuori dal matrimonio e riconosciuto non contestualmente dai genitori, secondo cui i criteri di individuazione del cognome del minore si pongono in funzione del suo interesse, che è quello di evitare un danno alla sua identità personale, intesa anche come proiezione della sua personalità sociale, avente copertura costituzionale assoluta, la scelta, anche officiosa, del giudice è ampiamente discrezionale e deve avere riguardo al modo più conveniente di individuare il minore in relazione all’ambiente in cui è cresciuto fino al momento del successivo riconoscimento, non potendo essere condizionata dall’esigenza di equiparare il risultato a quello derivante dalle diverse regole, non richiamate dall’art. 262 c.c., che presiedono all’attribuzione del cognome al figlio nato nel matrimonio (Cass. civ. sez. I n. 12640 del 18 giugno 2015). Il giudice è investito dall’art. 262 c.c., comma 2 (e 3), del potere-dovere di decidere su ognuna delle possibilità previste da detta disposizione avendo riguardo, quale criterio di riferimento, unicamente all’interesse del minore e con esclusione di qualsiasi automaticità, che non riguarda né la prima attribuzione, essendo inconfigurabile una regola di prevalenza del criterio del "prior in tempore", né il patronimico, per il quale non sussiste alcun "favor" in sé nel nostro ordinamento (Cass. civ. sez. I n. 2644 del 3 febbraio 2011).

7. Esclusa quindi la rilevanza della anteriorità del riconoscimento e quindi delle prove relative alle ragioni di un mancato riconoscimento contemporaneo il giudice del merito ha optato, fra le possibilità previste dall’art. 262 c.c., comma 2, per la anteposizione del cognome paterno e ha chiarito le ragioni di tale scelta intesa a non attribuire un rilievo identitario al collocamento della minore presso la madre e alla importanza del contesto familiare materno. Con tale scelta il giudice ha voluto salvaguardare, anche sotto il profilo identitario che comporta l’attribuzione del cognome, il valore della bigenitorialità e negare invece un rilievo al collocamento del minore affidato congiuntamente ad entrambi i genitori. Si tratta di una scelta, chiaramente motivata, che consente al minore di rendere percepibile all’esterno la filiazione da entrambi i genitori e che nell’anteporre anziché aggiungere il cognome paterno ha voluto preservare il minore da una raffigurazione, interiore ed esteriore, non paritaria del ruolo dei due genitori. Una opzione quest’ultima che non può evidentemente ritenersi soggetta al sindacato giurisdizionale di legittimità.

8. Il ricorso va pertanto respinto senza statuizioni sulle spese del giudizio e con esenzione dall’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.
Dispone omettersi qualsiasi riferimento alle generalità e agli altri elementi identificativi delle parti nella pubblicazione della presente sentenza.
Nulla sulle spese del giudizio, che risulta altresì esente dall’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.