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"Carabinieri di merda" è oltraggio (Cass. 11993/18)

15 marzo 2018, Cassazione penale

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Ingiuriare in una aula giudiziaria anche sottovoce un carabiniere che sta rendendo testimonianza (sfavorevole) è oltraggio.

Ai fini dell'integrazione del resto di oltraggio è sufficiente che le espressioni offensive rivolte al pubblico ufficiale possano essere udite dai presenti, poiché già questa potenzialità costituisce un aggravio psicologico che può compromettere la sua prestazione, disturbandolo mentre compie un atto del suo ufficio, facendogli avvertire condizioni avverse, per lui e per la pubblica amministrazione di cui fa parte, e ulteriori rispetto a quelle ordinarie

CORTE DI CASSAZIONE

SEZ. VI PENALE , SENTENZA 15 marzo 2018, n.11993

Pres. Ippolito – est. Fidelbo
 

Ritenuto in fatto

1. Con la decisione indicata in epigrafe la Corte d'appello di Lecce ha confermato la sentenza con cui il Tribunale aveva ritenuto responsabile E. Sc. del reato di cui all'art. 341-bis cod. pen., per avere offeso l'onore di F. A., carabiniere che aveva proceduto al suo arresto per resistenza a pubblico ufficiale e che stava rendendo testimonianza nel processo per tale reato, pronunciando nei suoi confronti la frase 'ti devo far perdere il posto. Tu e quell'altro tuo collega, falsi, siete falsi. Carabinieri di merda, tanto lo sapete che vi ho denunciato'.

2. Nell'interesse dell'imputato l'avvocato Pi. Lu. Pa. ha proposto un articolato ricorso per cassazione, deducendo i seguenti motivi, che si sintetizzano ai sensi dell'art. 173, comma 1, cod. proc. pen.:

- erronea applicazione dell'art. 341-bis cod. pen., avendo la sentenza ritenuto la sussistenza del reato sebbene l'offesa rivolta al carabiniere non risulti sia stata percepita dalle persone presenti, così attribuendo alla fattispecie astratta un ambito applicativo non consentito, sostenendo che il reato sarebbe integrato anche qualora le espressioni offensive 'possano essere udite dai presenti';

- vizio di motivazione, in quanto la sentenza non ha svolto alcuna argomentazione in ordine alla diffusione della percezione dell'offesa da parte di terzi;

- vizio di motivazione perché la sentenza avrebbe argomentato illogicamente come se si trattasse del reato di minaccia a pubblico ufficiale;

- vizio di motivazione in ordine alla potenzialità offensiva della frase rivolta;

- mancata applicazione dell'art. 341-bis, comma secondo, cod. pen.;

- erronea applicazione dell'art. 341-bis cit. e vizio di motivazione, in quanto non vi sarebbe stata contestualità tra la frase offensiva e l'atto di ufficio compiuto dal carabiniere;

- mancata applicazione dell'art. 131-bis cod. pen.;

- violazione dell'art. 606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., per la mancata assunzione di un testimone chiesto dalla difesa;

- mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche ed eccessività della pena.

Considerato in diritto 

1. motivi dedotti sono tutti infondati.

2. Riguardo alle critiche con cui si assume l'insussistenza del reato e si censura la sentenza impugnata per aver sostenuto la configurabilità dell'oltraggio anche nel caso in cui l'offesa possa essere percepita dai presenti, senza richiedere l'avvenuta, certa percezione, si ritiene del tutto corretta l'interpretazione che del reato ha fatto la Corte d'appello, peraltro in linea con la giurisprudenza di legittimità. Infatti, questa Corte ha avuto già modo di affermare che ai fini della configurabilità del reato di oltraggio di cui all'art. 341-bis cod. pen. è sufficiente che le espressioni offensive rivolte al pubblico ufficiale possano essere udite dai presenti, poiché già questa potenzialità costituisce un aggravio psicologico che può compromettere la sua prestazione, disturbandolo mentre compie un atto del suo ufficio, facendogli avvertire condizioni avverse, per lui e per la pubblica amministrazione di cui fa parte, e ulteriori rispetto a quelle ordinarie (cfr., Sez. 6, n. 19010 del 28/03/2017, Trombetta, Rv. 269828; Sez. 6, n. 15440 del 17/0372016, Saad, Rv. 266546).

Nella specie, i giudici di secondo grado hanno ritenuto che le offese potessero essere percepite dai presenti, valutando il luogo in cui si sono svolti i fatti, cioè in un'aula giudiziaria e nel vicino corridoio, formulando un giudizio circa l'attitudine delle offese ad essere percepite che, attingendo a valutazioni di fatto, non può essere censurato in sede di legittimità se, come nel caso in esame, la motivazione non presenta alcun profilo di illogicità o di incoerenza logica.

2. Quanto precede consente di ritenere del tutto infondato anche il motivo con cui si sostiene che i giudici di merito avrebbero dovuto argomentare sulla percezione dell'offesa.

3. Generico e aspecifico è il motivo con cui si assume che la sentenza avrebbe fatto riferimento al reato di minaccia a pubblico ufficiale. Non si comprende neppure quale sia la critica mossa alla motivazione della sentenza che, invece, ha argomentato in maniera coerente sulla sussistenza dell'oltraggio.

4. Anche la motivazione circa la potenzialità offensiva della condotta non merita censure. Si è già visto come l'offesa sia stata pronunciata in presenza di più persone, in un luogo pubblico e mentre il Carabiniere stava per rendere la sua testimonianza.

5. Generico è anche il motivo con cui il ricorrente insiste sulla mancata applicazione del secondo comma dell'art. 341-bis cod. pen., in quanto, come ha chiarito la sentenza, l'avvenuta assoluzione per il reato di resistenza non equivale a ritenere la falsità di quanto descritto dal Carabiniere nel verbale di arresto dell'imputato, anche perché l'assoluzione è stata determinata da una incertezza probatoria circa l'uso della violenza; d'altra parte, non risulta che l'A. sia stato condannato per il reato di falso in atto pubblico.

6. Infondato è il motivo sulla ritenuta mancanza del nesso funzionale tra offesa e funzioni svolte dal pubblico ufficiale. La Corte territoriale ha bene evidenziato come l'offesa è stata rivolta al carabiniere mentre stava per compiere un atto d'ufficio, che nella specie consisteva nel rendere la testimonianza nel processo per resistenza a carico dello stesso imputato.

7. Corretta e immune da vizi è la motivazione con cui i giudici hanno escluso la possibilità di applicare la causa di non punibilità prevista dall'art. 131-bis cod. pen., ritenendo la condotta dell'imputato non particolarmente tenue, in considerazione che il fatto è stato posto in essere nei confronti di un soggetto che stava svolgendo l'ufficio di testimone, funzione essenziale per lo svolgimento dell'attività giurisdizionale.

8. Inammissibile è il motivo sulla violazione dell'art. 606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., tenuto conto che la Corte d'appello ha motivato il rigetto della rinnovazione per sentire il teste Ca., ritenendo che si trattasse di una istanza 'meramente esplorativa' e motivando sulla completezza dell'istruttoria.

9. Infine, del tutto infondati sono gli ultimi motivi con cui si lamenta della mancata applicazione delle attenuanti generiche e della eccessività della pena: su entrambi i punti la sentenza ha motivato sottolineando, da un lato, la negativa personalità dell'imputato, con a carico numerosi precedenti penali, dall'altro, evidenziando la modestia della pena applicata.

10. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.