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Caduta nel parco giochi: chi paga? (Cass., 18167/14)

25 luglio 2014, Cassazione civile

In caso di infortunio di un bambino in un parco giochi, chi lo accompagna deve avere ben presenti i rischi che ciò comporta, non potendo poi invocare come fonte dell'altrui responsabilità, una volta che la caduta dannosa si è verificata, l'esistenza di una situazione di pericolo che egli era tenuto doverosamente a calcolare.

 

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE

Sentenza 29 maggio - 25 luglio 2014, n. 18167

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMATUCCI Alfonso - Presidente -

Dott. VIVALDI Roberta - Consigliere -

Dott. SESTINI Danilo - Consigliere -

Dott. CIRILLO Francesco Maria - rel. Consigliere -

Dott. ROSSETTI Marco - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 30161-2008 proposto da:

C.A.C. (OMISSIS), S.L. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA PRATI FISCALI 258, presso lo studio dell'avvocato PIERGIORGIO BERARDI, rappresentati e difesi dall'avvocato SISTI NICOLA ANTONIO giusta procura a margine del ricorso;

- ricorrenti -

contro

COMUNE FOSSACESIA (OMISSIS);

- intimati -

Nonchè da:

COMUNE FOSSACESIA (OMISSIS), in persona del Sindaco e legale rappresentante p.t. dott. D.G.E.C., elettivamente domiciliato in ROMA, C.SO VITTORIO EMANUELE II 142, presso lo studio dell'avvocato DAMIANO FORTI, rappresentato è difeso dagli avvocati MINUTOLO EMANUELA, MINUTOLO ANTONINO giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;

- ricorrente incidentale -

e contro

C.A.C. (OMISSIS), S.L. (OMISSIS);

- intimati -

avverso la sentenza n. 969/2007 della CORTE D'APPELLO di L'AQUILA, depositata il 22/11/2007 R.G.N. 1553/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 29/05/2014 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO;

udito l'Avvocato NICOLA ANTONIO SISTI;

udito l'Avvocato FRANCESCO SAMPERI per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS Pierfelice che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.

Svolgimento del processo

1. S.L. e C.A.C., nella qualità di esercenti la potestà sul figlio minore S.G., convennero in giudizio, davanti al Tribunale di Lanciano, il Comune di Fossacesia, affinchè fosse condannato al risarcimento dei danni conseguenti ad una caduta del figlio minore mentre si trovava all'interno dei giardini comunali.

Esposero gli attori che in tale circostanza il bambino, mentre stava giocando su un cavallo a dondolo, sorvegliato dalla mamma, era scivolato battendo il viso sui grossi bulloni metallici esistenti sull'attrezzo, riportando la frattura del pavimento orbitario sinistro, con conseguenze dannose anche di carattere permanente.

Costituitosi il Comune convenuto, il Tribunale rigettò la domanda, compensando le spese.

2. Proposto appello da parte dei genitori soccombenti, la Corte d'appello di L'Aquila, con sentenza del 22 novembre 2007, ha respinto il gravame, confermando la sentenza impugnata e condannando gli appellanti alle spese.

Ha osservato la Corte territoriale che in base all'espletata istruttoria potevano darsi per dimostrati sia il fatto storico che era all'origine del danno - ossia la presenza del piccolo all'interno dei giardini comunali nella data indicata - sia l'attrezzo sul quale l'evento dannoso si era verificato, costituito da un bilancino a dondolo con molla.

Tali elementi, però, non erano sufficienti ad accogliere la domanda.

Pur dovendosi applicare, nella specie, l'art. 2051 cod. civ., la Corte abruzzese ha rilevato che il giardino comunale in questione era di estensione limitata e che le attrezzature site all'interno del medesimo "erano state installate di recente ed erano pienamente conformi alla normativa speciale in tema di sicurezza, di tal che non rappresentavano alcun potenziale pericolo per l'incolumità fisica dei bambini". Tanto premesso, la sentenza ha anche aggiunto che gli appellanti non avevano fornito una prova sufficiente circa l'esistenza del nesso di causalità tra la res ed il danno da loro lamentato, avendo fornito una ricostruzione apodittica dei fatti, non supportata da prove, che erano state tardivamente articolate con l'atto di appello. Era anzi da affermare - in base alle deposizioni testimoniali - che l'incidente era da ricondurre ad insufficiente attenzione da parte della madre, sicchè il danno non poteva essere ascritto a responsabilità del Comune.

3. Contro la sentenza della Corte d'appello di L'Aquila propongono ricorso S.L. e C.A.C., con unico atto affidato a tre motivi.

Resiste il Comune di Fossacesia con controricorso.

Motivi della decisione

1. Con il primo ed il secondo motivo di ricorso si lamentano, in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), insufficiente e contraddittoria motivazione su circostanze decisive della controversia.

Rilevano i ricorrenti (primo motivo) che la motivazione sarebbe contraddittoria in quanto la sentenza, pur partendo da premesse corrette sul fatto storico dell'incidente e sul tipo di attrezzo ludico che lo aveva determinato, non ne avrebbe poi tratto le logiche conseguenze in ordine alla sufficienza della prova circa l'esistenza del nesso di causalità.

Con il secondo motivo, poi, si afferma che la sentenza avrebbe proposto "una serie di illazioni (più che motivazioni) assolutamente carenti ed al limite della omissione". Essa, infatti, non avrebbe tenuto presente che sull'attrezzo in questione vi era un cartellino che segnalava il divieto per i bambini di età inferiore a tre anni e superiore a sette, sicchè il piccolo G., che all'epoca aveva quasi sei anni, ben poteva utilizzarlo senza l'assistenza dei genitori.

2. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione dell'art. 2051 c.c..

Secondo i ricorrenti, la giurisprudenza di questa Corte ha da tempo affermato che la responsabilità per le cose in custodia ha carattere oggettivo ed è sufficiente, perchè venga riconosciuta, la sussistenza di un nesso causale tra la cosa in custodia e il danno.

Nel caso in esame, la Corte d'appello non avrebbe valutato che il Comune di Fossacesia aveva la concreta possibilità di esercitare la vigilanza, sicchè sarebbe stato suo onere dimostrare l'eventuale sussistenza del caso fortuito.

3. I tre motivi, che possono essere trattati congiuntamente per la stretta connessione che li caratterizza, sono tutti privi di fondamento.

3.1. La sentenza impugnata, con motivazione congrua e del tutto priva di vizi logici, ha ricostruito i fatti di causa accertando le seguenti circostanze: 1) che i giochi siti nei giardini pubblici del Comune di Fossacesia - e, in particolare, quello sul quale è avvenuto l'incidente - erano in perfette condizioni di manutenzione;

2) che mancava la prova del nesso di causalità, da porre a carico del danneggiato anche nel caso di cui all'art. 2051 cod. civ.; 3) che la ricostruzione degli attori era apodittica, siccome non supportata da prove adeguate; 4) che la responsabilità del fatto era da ricondurre a probabile disattenzione della madre del piccolo G..

A fronte di simile motivazione, è evidente che i primi due motivi di ricorso - i quali prospettano, entrambi, censure di vizio di motivazione - sono tutti volti ad ottenere un nuovo esame del merito, perchè pretendono che questa Corte pervenga ad una diversa e non consentita ricostruzione del fatto in sede di giudizio di legittimità. Quanto al rilievo riguardante l'esistenza, sul gioco in questione, di un cartellino che ne attestava il divieto di uso ai bambini di età inferiore ai tre anni e maggiori di sette, si tratta di una questione che non risulta essere stata posta al giudice di merito; e, ove anche così non fosse, il rilievo sarebbe inammissibile, sotto questo profilo, per violazione del principio di autosufficienza, non avendo indicato nè dove nè come tale profilo sia stato effettivamente posto nella sede competente.

3.2. Residua il solo terzo motivo, col quale si prospetta la violazione dell'art. 2051 c.c..

Al riguardo, va detto che la più recente giurisprudenza è andata ponendo in evidenza, in ordine all'applicazione delle due diverse ipotesi di cui agli artt. 2043 e 2051 cod. civ., due aspetti di fondamentale importanza: da un lato il concetto di prevedibilità dell'evento dannoso e dall'altro quello del dovere di cautela da parte del soggetto che entra in contatto con la cosa. Questa Corte ha definito il concetto di prevedibilità come concreta possibilità per l'utente danneggiato di percepire o prevedere con l'ordinaria diligenza la situazione di pericolo ed ha evidenziato che, ove tale pericolo sia visibile, si richiede dal soggetto che entra in contatto con la cosa un grado maggiore di attenzione, proprio perchè la situazione di rischio è percepibile con l'ordinaria diligenza (v. le sentenze 22 ottobre 2013, n. 23919, e 20 gennaio 2014, n. 999, le quali si pongono, peraltro, nel solco di un orientamento consolidato).

Ma, anche in una fattispecie nella quale trovava applicazione l'obbligo di custodia di cui all'art. 2051 cod. civ., con diverse e più gravi regole probatorie a carico del danneggiante, questa Corte ha evidenziato che all'obbligo suddetto "fa pur sempre riscontro un dovere di cautela da parte di chi entri in contatto con la cosa"; sicchè, quando "la situazione di possibile pericolo comunque ingeneratasi sarebbe stata superabile mediante l'adozione di un comportamento ordinariamente cauto da parte dello stesso danneggiato, potrà allora escludersi che il danno sia stato cagionato dalla cosa, ridotta al rango di mera occasione dell'evento" (sentenza 17 ottobre 2013, n. 23584; sul concetto di cosa come occasione dell'evento si veda pure la sentenza 5 dicembre 2008, n. 28811).

3.3. La responsabilità civile conseguente ai danni riportati dai bambini all'interno di un parco giochi è venuta in altre circostanze all'esame di questa Corte.

Sono da richiamare, in proposito, la sentenza 6 agosto 1997, n. 7276, che riguardava il caso di un minore caduto da un'altalena in un giardino comunale; la sentenza 21 maggio 2013, n. 12401, relativa alla diversa ipotesi di una caduta dal dondolo di una giostra collocata nel parco giochi all'interno di un ristorante, e la recentissima sentenza 26 maggio 2014, n. 11657, relativa alla caduta da uno scivolo all'interno di un parco comunale in ora notturna.

Nella prima pronuncia la Corte ha escluso la responsabilità del Comune, ai sensi dell'art. 2051 cod. civ., sul semplice rilievo che l'altalena, pur presentando in astratto qualche elemento di pericolosità, era comunque adeguata agli standard dei manufatti del genere destinati ai parchi giochi. La seconda sentenza, invece, ha stabilito che la messa a disposizione di un parco giochi, a perfetta regola d'arte, da parte del titolare di un ristorante non implica, a carico di costui, alcun obbligo di sorveglianza sui minori che usano dette attrezzature. Nell'ultima e più recente pronuncia, questa Corte ha specificato che la caduta di un bambino (in quel caso, di cinque anni di età) da uno scivolo è un evento certamente prevedibile ed evitabile con un grado normale di diligenza.

In tutti i casi richiamati, peraltro, si è affermato che l'utilizzo delle strutture esistenti in un parco giochi - a meno che non risulti provato che le stesse erano difettose e, come tali, in grado di determinare pericoli anche in presenza di un utilizzo assolutamente corretto (il che non è, nella specie, sulla base di quanto detto) - non si connota, di per sè, per una particolare pericolosità, se non quella che normalmente deriva da simili attrezzature, le quali presuppongono, comunque, una qualche vigilanza da parte degli adulti.

In altri termini, un genitore (o, comunque, un adulto) che accompagna un bambino (nella specie, di quasi sei anni di età) in un parco giochi deve avere ben presenti i rischi che ciò comporta, non potendo poi invocare come fonte dell'altrui responsabilità, una volta che la caduta dannosa si è verificata, l'esistenza di una situazione di pericolo che egli era tenuto doverosamente a calcolare.

Nessuna violazione di legge, dunque, sussiste nella sentenza impugnata.

4. Il ricorso, pertanto, è rigettato.

A tale pronuncia segue la condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in conformità ai soli parametri introdotti dal decreto ministeriale 10 marzo 2014, n. 55, sopravvenuto a disciplinare i compensi professionali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 3.200, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 29 maggio 2014.

Depositato in Cancelleria il 25 agosto 2014.