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Bullo risarcito per reazione della vittima? (Cass. 22541/19)

10 settembre 2019, Cassazione civile

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Vittima che cova vendetta non è scriminato in caso di  reazione violenta differita: ma la risposta dell'ordinamento non può ignorare le situazioni di privazione e di svantaggio che ne costituivano il sostrato alla reazione, non solo perché l’ignoranza e la sottovalutazione possono (persino) attivare un circolo negativo di vittimizzazione ulteriore, ma anche perché il bullismo non dà vita ad un conflitto meramente individuale, e richiede un coacervo di interventi coordinati che, oltre a contenere il fenomeno, fungano da diaframma invalicabile che si interponga tra l’autore degli atti di bullismo e le persone offese, anche onde rendere del tutto ingiustificabile la reazione di queste ultime.

I giudice, quando il danno è eziologicamente ascrivile alla condotta colpevole dell’agente, può  servirsi della valutazione equitativa ex art. 2056 c.c.nella fase di determinazione del danno-conseguenza risarcibile, sul piano della determinazione dell’ammontare del quantum risarcitorio dovuto, e determinare, quindi, la compensazione economica ritenuta socialmente adeguata del pregiudizio, cioè quella che, a fronte di un danno certo - la valutazione equitativa non può surrogarsi alla prova della ricorrenza del danno - ne determini l’ammontare tenuto conto della compensazione che la coscienza sociale in un determinato momento storico ritenga equa, tenuto conto di tutte le specificità del caso concreto ed in particolare dei vari fattori incidenti sul verificarsi della lesione e sulla sua gravità.

La prova liberatoria richiesta ai genitori dall’art. 2048 c.c., di non aver potuto impedire il fatto illecito commesso dal figlio minore coincide, normalmente, con la dimostrazione, oltre che di aver impartito al minore un’educazione consona alle proprie condizioni sociali e familiari, anche di aver esercitato sul minore una vigilanza adeguata all’età e finalizzata a correggere comportamenti non corretti e, quindi, meritevoli di un’ulteriore o diversa opera educativa. 

E' del tutto irrilevante ché il fatto illecito si sia svolto lontano da casa, giacché l’obbligo di vigilanza per i genitori del minore capace non si pone come autonomo rispetto all’obbligo di educazione, ma va correlato a quest’ultimo, nel senso che i genitori devono vigilare che l’educazione impartita sia consona ed idonea al carattere ed alle attitudini del minore e che quest’ultimo ne abbia "tratto profitto", ponendola in atto, in modo da avviarsi a vivere autonomamente, ma correttamente

 

Corte di Cassazione

sez. III Civile, ordinanza 20 giugno – 10 settembre 2019, n. 22541
Presidente Travaglino – Relatore Gorgoni

Fatti di causa

R.F. , R.C.D.M. e F.M.G. ricorrono per la cassazione della sentenza n. 1246/2017 della Corte d’Appello di Catanzaro, depositata il 3 luglio 2017, formulando due motivi.
Resiste con controricorso C.G. .
Nel corso di un litigio C.G. riceveva da R.F. un pugno in faccia che gli provocava l’avulsione traumatica dell’incisivo superiore laterale di sinistra, la lussazione dell’incisivo centrale ed escoriazioni al labbro.
Il procedimento penale a carico di R.F. terminava con sentenza di non luogo a procedere emessa dal Tribunale per i minorenni di Catanzaro.
Successivamente, con atto di citazione notificato il 30 settembre 2009, C.G. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Catanzaro, R.F. nonché R.C.D.M. e F.M.G. , rispettivamente, padre e madre del danneggiante, per ottenerne la condanna in solido al risarcimento dei danni subiti quantificati in Euro 18.000,00 o nella diversa somma giudizialmente accertata.
Il Tribunale di Catanzaro, con sentenza n. 2159/2013, dichiarava il difetto di legittimazione passiva dei genitori di R.F. , accertava il concorso di colpa del danneggiato nel verificarsi dell’evento dannoso e, per l’effetto, condannava R.F. a corrispondere a C.G. la somma di Euro 1.765,50, al netto di interessi e rivalutazione, ed alla rifusione della metà delle spese di lite oltre al pagamento in solido con C.G. delle spese di CTU.
La sentenza veniva impugnata, in via principale, da C.G. per avere erroneamente escluso la legittimazione passiva dei genitori di R.F. , per avere accertato il pari concorso di colpa nella causazione dell’evento, per aver posto in solido anche a suo carico le spese di CTU.
Con appello incidentale, R.F. , R.C.D.M. e F.M.G. contestavano il concorso di colpa di R.F. , adducendo che fosse stato vittima di bullismo, e chiedevano che fosse accertato il suo esonero da responsabilità.
La Corte d’Appello, con la sentenza oggetto dell’odierna impugnazione, accoglieva l’appello principale e riformava la decisione di prime cure, condannando R.F. ed i suoi genitori in solido al risarcimento di Euro 14.286,43 a favore di C.G. , al pagamento integrale delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio ed al pagamento della CTU; in particolare, riteneva che i genitori di R.F. fossero responsabili in solido con il figlio dei danni da questi cagionati ai sensi dell’art. 2048 c.c., che la reazione di R.F. fosse causa autonoma del danno e non la consecuzione al fatto della provocazione, che, essendo il comportamento offensivo e persecutorio della vittima collocato in una fase temporale diversa da quella della reazione di R.F. , quest’ultimo non avesse agito per legittima difesa, ma per aggredire fisicamente il proprio rivale.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 2048 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Gli assunti cassatori sono:

a) che il giudice a quo non abbia esaminato le motivazioni della sentenza del Tribunale per i minorenni di Catanzaro, addotta come prova liberatoria ai sensi dell’art. 2048 c.c., per la parte contenente l’analisi sulla persona e sulla personalità del danneggiante, dalla quale emergeva che il minore non aveva precedenti penali, non era dedito a vita irregolare o dissipata, ma orientato allo studio e che l’episodio che lo aveva coinvolto era stato occasionale;

b) che abbia privilegiato, sotto il profilo probatorio, solo il fatto che i genitori avessero giustificato l’azione del figlio che avrebbe reagito fisicamente ad una serie di soprusi e atti di bullismo, omettendo di considerare che la reazione dell’adolescente, a prescindere dalla contestualità od immediatezza rispetto all’offesa ricevuta, non poteva essere evitata dai genitori, tenuto conto dell’età e del contesto (l’episodio si era svolto lontano da casa, nelle adiacenze della scuola, in un paese diverso da quello di residenza, lontano dalla sfera di controllo dei genitori).

Il motivo è inammissibile.

I ricorrenti danno prova di pretendere un inammissibile diverso esito degli accertamenti di fatto demandato al giudice di merito.

In primo luogo, l’omesso esame di elementi istruttori non rileva in sé e per sé, ma solo quale elemento meramente sintomatico e confermativo della inesistenza della motivazione su un fatto decisivo del giudizio, il cui esame, non del tutto omesso, è stato illustrato e soprattutto deciso in maniera talmente incerta e lacunosa da determinare la nullità della sentenza per assenza della motivazione ex art. 132 c.p.c., n. 4.

Non è questo il caso di specie.

La sentenza ha ritenuto che i genitori del minore danneggiante non avessero provato di avere reso il proprio figlio capace di dominare i suoi istinti, di fronteggiare le altrui offese e di rispettare gli altri, sì da andare esenti dalla presunzione di responsabilità di cui all’art. 2048 c.c..

Gli odierni ricorrenti si erano limitati in primo grado ed in appello ad invocare l’esenzione da responsabilità del proprio figlio, giustificandone il comportamento antigiuridico quale reazione agli atti di bullismo ed ai soprusi di cui la vittima lo avrebbe reso oggetto, dimostrando essi stessi, in sostanza, di non aver percepito il disvalore della condotta del figlio e la gravità del fatto imputatogli, fornendo indirettamente la prova del difetto di un adeguato insegnamento educativo non avendo fornito al minore gli strumenti per ritenere non solo illecito, ma anche non giustificabile un comportamento violento quale quello adottato.

Come questa Corte insegna: "L’educazione è fatta non solo di parole, ma anche e soprattutto di comportamenti": Cass. 28/08/2009, n. 18804.

In altri termini, dalla tipologia di fatto illecito, dalle modalità in cui ebbe a verificarsi e dalle giustificazioni difensive dei genitori, la Corte territoriale, in linea con l’orientamento di questa Corte, ha ritenuto che i genitori non avessero vinto la presunzione di responsabilità su di loro gravante.

È vero che non vi è alcun riferimento nella sentenza impugnata alla decisione n. 154/2008 del Tribunale per i minorenni di Catanzaro, pur utilizzabile quale prova atipica soggetta al prudente apprezzamento del giudice, ma tale omissione non assume alcuna rilevanza a fini cassatori, non solo perché il giudice non è tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. 02/08/2016, n. 16056), ma anche perché l’eventuale omesso esame della decisione non ha valenza decisiva, nel senso che non è, di per sé, idonea a giustificare un diverso esito della decisione: e non perché la sentenza penale, escludendo la responsabilità del minore, avesse fatto salva la rilevanza del comportamento illecito ad altri fini, essendo inevitabile il riferimento esclusivo alla condotta del soggetto agente, ma per effetto del principio di autonomia del giudizio civile rispetto a quello penale che consente al giudice civile di procedere ad una valutazione del quadro probatorio con criteri diversi rispetto a quelli utilizzati nel giudizio penale, giustificandosi un approdo diverso rispetto a quello cui perviene la sentenza penale (cfr., da ultimo, Cass. 12/06/2019, n. 25160).

Peraltro, va ricordato che la prova liberatoria richiesta ai genitori dall’art. 2048 c.c., di non aver potuto impedire il fatto illecito commesso dal figlio minore coincide, normalmente, con la dimostrazione, oltre che di aver impartito al minore un’educazione consona alle proprie condizioni sociali e familiari, anche di aver esercitato sul minore una vigilanza adeguata all’età e finalizzata a correggere comportamenti non corretti e, quindi, meritevoli di un’ulteriore o diversa opera educativa.

A tal fine, non essendo necessario che il genitore provi la costante ininterrotta presenza fisica accanto al figlio, pena la coincidenza dell’obbligo di vigilanza con quello di sorveglianza, ma che per l’educazione impartita, per l’età del figlio e per l’ambiente in cui egli viene lasciato libero di muoversi, risultino correttamente impostati i rapporti del minore con l’ambiente extrafamiliare, facendo ragionevolmente presumere che tali rapporti non possano costituire fonte di pericoli per sé e per i terzi, è del tutto irrilevante ché il fatto illecito si sia svolto lontano da casa, giacché l’obbligo di vigilanza per i genitori del minore capace non si pone come autonomo rispetto all’obbligo di educazione, ma va correlato a quest’ultimo, nel senso che i genitori devono vigilare che l’educazione impartita sia consona ed idonea al carattere ed alle attitudini del minore e che quest’ultimo ne abbia "tratto profitto", ponendola in atto, in modo da avviarsi a vivere autonomamente, ma correttamente (Cass. 22/04/2009, n. 9556).

2. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione o falsa applicazione in particolare dell’art. 1227 c.c. e la violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, anche in relazione al n. 5, c.p.c. per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, rappresentato dalla mancata escussione di una testimone.

La tesi sostenuta è che la Corte territoriale abbia errato nel ritenere inapplicabile l’art. 1227 c.c., in ragione del fatto che R.F. si era determinato a tenere la condotta da cui era derivato l’evento in un momento diverso da quello in cui aveva subito l’aggressione, perché, invece avrebbe dovuto tener conto dei fenomeni di bullismo che avevano preceduto la reazione, senza i quali l’evento non si sarebbe determinato.

Il motivo numero due è fondato e, pertanto, merita accoglimento.

La Corte territoriale ha del tutto sbrigativamente negato qualunque rilievo al comportamento ripetutamente provocatorio e offensivo di cui R.A. era stato fatto oggetto da parte della "vittima", limitandosi ad affermare paternalisticamente che R.A. non avrebbe dovuto reagire alle provocazioni ricevute.

La decisione, evidentemente incapace di penetrare il contesto situazionale in cui si erano svolti i fatti, ha, di conseguenza, omesso di adattarvi la regola causale, nel senso che verrà chiarito.

La regola di causalità applicata dal giudice, adeguata all’ipotesi in cui il destinatario di una provocazione anziché reagire istintivamente e contestualmente alla provocazione ricevuta, commisurandone modi e tempi, covi una vendetta che sfoci in un atto di aggressione violenta che, sfilacciando la dipendenza causale con il fatto che l’aveva originata, si pone alla base di una nuova ed autonoma sequenza causale, si rileva inappagante, invece, nel caso di colui che viene reiteratamente provocato e dileggiato e che reagisca alle offese di cui è stato vittima. Viene ritenuta, infatti, una regola di esperienza che colui che è reiteratamente aggredito reagisce come può per far cessare l’altrui condotta lesiva (Cass. 08/11/2012, n. 19294).

Quando l’autore della reazione sia un adolescente, vittima di comportamenti prevaricatori, aggressivi, mortificanti e reiterati nel tempo, occorre, in aggiunta, tener conto che la sua personalità non si è ancora formata in modo saldo e positivo rispetto alla sequela vittimizzante cui è stato supposto; è prevedibile, infatti, che la sua reazione possa risolversi, a seconda dei casi, nell’adozione di comportamenti aggressivi internalizzati che possono trasformarsi, con costi anche particolarmente elevati in termini emotivi, in forme di resilienza passiva e autoconservative, evolvere verso forme di autodistruzione oppure tradursi, come è avvenuto nel caso di specie, nell’assunzione di comportamenti esternalizzati aggressivi.

Pur dovendosi neutralizzare e condannare l’istinto di vendetta del minore bullizzato, è innegabile che la risposta ordinamentale non possa essere solo quella della condanna dell’atto reattivo come comportamento illecito a sé stante, ignorando le situazioni di privazione e di svantaggio che ne costituivano il sostrato, non solo perché l’ignoranza e la sottovalutazione possono (persino) attivare un circolo negativo di vittimizzazione ulteriore, ma anche perché il bullismo non dà vita ad un conflitto meramente individuale, come dimostrano le rilevazioni statistiche, e richiede un coacervo di interventi coordinati che, oltre a contenere il fenomeno, fungano da diaframma invalicabile che si interponga tra l’autore degli atti di bullismo e le persone offese, anche onde rendere del tutto ingiustificabile la reazione di queste ultime.

In assenza di prove circa come le istituzioni, la scuola, in particolare, fossero intervenute per arginare il fenomeno del bullismo e per sostenere l’odierno ricorrente, quindi mancando anche la prova della ricorrenza di espressioni di condanna pubblica e sociale del comportamento adottato dai cosiddetti bulli, non era legittimo attendersi da parte di R.F. , adolescente, una reazione razionale, controllata e non emotiva.

Nel caso di specie, non solo non è fuori luogo, ma è persino doveroso che l’ordinamento si dimostri sensibile verso coloro che sono esposti continuamente a condizioni vittimizzanti idonee a provocare e ad amplificare le reazioni rispetto alle sollecitazioni negative ricevute; soprattutto ove la vittima venga privata del meccanismo repressivo istituzionale dell’illecito e, come sembra sia avvenuto in questo caso, venga lasciata sola nell’affrontare il conflitto. Non una sola parola è stata spesa, infatti, per chiarire se la scuola si fosse fatta carico di predisporre interventi di contrasto della piaga del bullismo attraverso un programma serio e articolato fondato su specifiche direttive psicopedagogiche e su forme di coinvolgimento dei genitori.

Sicché è opinione di questo Collegio che l’accertamento di una responsabilità individuale decontestualizzata non sia in grado di garantire una giustizia riparativa efficace.

Nell’attesa che si diffondano forme di giustizia riparativa specificamente calibrate sul fenomeno del bullismo, ferma la necessaria condanna tanto dei comportamenti prevaricatori e vessatori quanto di quelli reattivi, la risposta giuridica, nel caso di specie, non avrebbe dovuto ignorare le condizioni di umiliazione a cui l’adolescente in questione è provato fosse stato ripetutamente sottoposto.

E senza mortificare le regole causali, nè utilizzarle come giudizi di valore, alla luce del risultato che si intendeva conseguire in termini di responsabilità, tarando le prime sul secondo, il giudice avrebbe dovuto tener conto della loro permeabilità da parte di istanze di giustizia sostanziale, onde pervenire "alla più corretta delle soluzioni possibili" (Cass. 21/7/2011, n. 15991), anche abbandonando il piano naturalistico proprio della causalità materiale per accedere ad un piano di valutazione della dimensione complessiva della convergenza e dell’interazione di tutti i fattori concausali all’interno della più ampia fattispecie di responsabilità civile.

Se il metodo generalizzante, cioè la regola che ha ispirato la decisione impugnata, ha permesso di ricostruisce in astratto l’evento, semplificandolo, ad altro risultato il giudice avrebbe potuto approdare, ove si fosse avvalso del criterio della causalità individuale, la quale avrebbe avuto il pregio di focalizzare l’analisi sull’evento per come verificatosi e che, differendo dalla causalità generale non già per il criterio adoperato, ma solo per la base del giudizio, avrebbe messo il giudicante nella condizione di attribuire il giusto peso, in termini di spiegazione causale, a tutti gli elementi concreti e alle circostanze del caso reputate rilevanti.

Come la dottrina mette in risalto nel giudizio di causalità generale, infatti, la base è idealtipica e, pertanto, depurata di contenuti descrittivi; nel giudizio di causalità individuale, per contro, la base è necessariamente più ricca di elementi, dato che nel modello di spiegazione causale devono essere inseriti tutti gli elementi concreti reputati rilevanti.

Questa sezione della Corte regolatrice ha già avuto occasione di affermare che, pur non spettando al giudice esprimere valutazioni di tipo etico e sociale relativamente al comportamento dei consociati, non deve ritenersi preclusa la possibilità di usare la responsabilità civile allo scopo di offrire risposte, ovviamente rigorosamente incardinate sul piano giuridico, capaci di adattarsi al contesto situazionale di riferimento, sensibili ai mutamenti sociali del tempo, e capace di collocarsi diaframmaticamente nelle dinamiche interpersonali che promanano dai sempre più frequenti processi vittimogeni che coinvolgono soprattutto le giovani generazioni (Cass. 12/04/2018, n. 9059).

Per di più, la giurisprudenza di questa Corte ha in varie occasioni ribadito che

- allo scopo di pervenire ad una soluzione che sia tra le disponibili la migliore e la più aderente alle caratteristiche uniche del caso concreto

- è permesso al giudice, quando non sia più in questione l’accertamento del nesso di derivazione causale, perché il danno è eziologicamente ascrivile alla condotta colpevole dell’agente, nella fase di determinazione del danno-conseguenza risarcibile, sul piano della determinazione dell’ammontare del quantum risarcitorio dovuto, servirsi della valutazione equitativa ex art. 2056 c.c. e determinare, quindi, la compensazione economica ritenuta socialmente adeguata del pregiudizio, cioè quella che, a fronte di un danno certo - la valutazione equitativa non può surrogarsi alla prova della ricorrenza del danno - ne determini l’ammontare tenuto conto della compensazione che la coscienza sociale in un determinato momento storico ritenga equa, tenuto conto di tutte le specificità del caso concreto ed in particolare dei vari fattori incidenti sul verificarsi della lesione e sulla sua gravità (Cass. 29/2/2016, n. 3893; Cass. 21/08/2018 20829; Cass. 18/04/2019, n. 10812).

Ne conseguono: l’accoglimento del secondo motivo di ricorso, la cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e il rinvio della controversia alla Corte d’Appello di Catanzaro in diversa composizione che procederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso e rinvia la controversia alla Corte d’Appello di Catanzaro in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.