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Avvocato imbroglia e non promuove causa: truffa ma non patrocino infedele (Cass. 47026/18)

16 ottobre 2018, Cassazione penale

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Il reato di infedele patrocino può essere commesso solo in un procedimento giudiziario iniziato. 

Per la sussistenza del delitto di patrocinio infedele è strutturalmente necessaria l’instaurazione di un procedimento dinanzi l’autorità giudiziaria quale elemento costitutivo del reato per cui ritenere comprese nella previsione legislativa anche le attività prodromi che alla causa poi instaurata tra le parti, integra una violazione del principio di tipicità del precetto penale.

Non sussiste il reato di patrocino infedele quando la condotta infedele si riferisca a procedure non pendenti davanti all’autorità giudiziaria, perchè poste in essere prima dell’instaurazione del procedimento e pur se ad esso prodromiche, ferme restando le eventuali responsabilità civilistiche per inadempimento del contratto di prestazione d’opera.

I nuovi parametri, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti in luogo delle abrogate tariffe professionali, sono da applicare ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto.

Nella determinazione degli onorari e delle spese per la predetta difesa il giudice gode di un potere di valutazione discrezionale, sindacabile in sede di legittimità solo nel caso che siano stati violati i limiti previsti dalla tariffa professionale, sempre che vi sia specifica indicazione delle voci applicate, dato che solo questa specificazione consente il controllo della osservanza dei limiti predetti.

 

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 18 aprile – 16 ottobre 2018, n. 47026
Presidente Rotundo – Relatore Agliastro

Ritenuto in fatto

1. La Corte di appello di Napoli con sentenza del 6/3/2017 in riforma della sentenza emessa il 16/11/2015 dal Tribunale di Napoli, assolveva V.R. dai reati di cui all’art. 380 cod. pen. (nel procedimento n. 28916/10 R.G.) perché il fatto non sussiste; rideterminava la pena per i restanti reati in anni due e mesi tre di reclusione; revocava le statuizioni disposte in favore della parte civile B.S. , confermandole nei confronti della parte civile T.F. ; confermava nel resto la sentenza impugnata.
Il Tribunale di Napoli in composizione monocratica aveva condannato alla pena di anni due e mesi sei di reclusione V.R. avendo accertato, che l’imputata, di professione avvocato, aveva in diverse occasioni, accettato incarichi professionali per l’instaurazione di cause di lavoro senza in realtà poi avviare il relativo procedimento giurisdizionale. L’imputata era stata riconosciuta responsabile dei reati di cui agli artt. 476 e 482 cod. pen..
La Corte di appello aveva escluso la sussistenza di gravi patologie di ordine psichiatrico in capo all’imputata la quale, previo espletamento di perizia, era risultata affetta semplicemente da disturbo depressivo di grado lieve. Aveva escluso la concessione delle invocate attenuanti generiche ed operato l’aumento per continuazione per ciascuno dei sei reati satellite, ad esclusione di un’ipotesi di reato relativo al procedimento n. 28916/10 R.G. per insussistenza del fatto.
2. Ricorre per cassazione la parte civile B.S. , per il tramite del difensore di fiducia, per i seguenti motivi:
1) violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen. e dell’art. 380 cod. pen.; 2) questione di legittimità costituzionale dell’art. 380 cod. pen. per violazione degli artt. 3 e 24 Cost. nella parte in cui non prevede la punibilità nella più grave ipotesi dell’infedele patrocinio estrinsecantesi nell’accettazione del mandato ai fini processuali e successiva omissione di difesa accompagnata da simulazione della stessa.
3. Ricorre per cassazione la parte civile T.F. , per il tramite del difensore di fiducia, per i seguenti motivi:
1) violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen. e dell’art. 380 cod. pen.; 2) violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen. in relazione al D.M. n.55 del 10/03/2014 (tariffe forensi) in relazione agli artt. 538, 541 cod. proc. pen. e art.106 d.P.R. n. 115/2002.

Considerato in diritto

1. I ricorsi sono infondati e vanno disattesi. Il primo motivo è comune a tutti e due i ricorrenti e riguarda l’interpretazione della fattispecie di cui all’art. 380 cod. pen. nel giudizio della Corte di legittimità.
2. Il Tribunale di Napoli aveva condannato l’imputata V.R. per tutti i reati alla stessa ascritti, alla pena di anni due e mesi sei di reclusione ritenendo più gravi i reati di falso commessi in danno di T.F. per un maggior danno economico cagionato alla vittima, pena aumentata ai sensi dell’art. 81 cod. pen..
La Corte d’appello aveva assolto l’imputata dal reato di cui all’art. 380 cod. pen., essendo stato accertato che la stessa di professione avvocato, aveva in varie occasioni accettato incarichi professionali per l’instaurazione di cause di lavoro e previdenza senza avviare il procedimento innanzi al giudice competente ed in quattro occasioni aveva spinto la sua finzione fino al punto da consegnare al cliente anche la sentenza apparentemente favorevole ai ricorrenti, sentenze che si sono rivelate completamente false per tutti e quattro i casi.
La Corte territoriale, accogliendo l’apposito motivo della difesa, riteneva che in nessun caso oggetto di cont. zione, l’imputata aveva instaurato il relativo procedimento pur fornendo al cliente ampie assicurazioni di averlo fatto.
All’assoluzione dell’imputata conseguiva la revoca delle statuizioni disposte in favore della parte civile B.S. , mentre per quanto riguarda la parte civile T.F. , costei risultava persona offesa anche per gli altri reati di falso. Rimangono ferme le eventuali responsabilità civilistiche per inadempimento del contratto di prestazione d’opera professionale.
3. Si sono avvicendati in giurisprudenza due orientamenti in ordine al reato di patrocinio infedele: il primo indirizzo più risalente, riteneva configurabile il delitto, in relazione a tutti i doveri connessi all’accettazione dell’incarico professionale, indipendentemente dalla pendenza della lite (Sez. 6, n. 1410 del 19/11/1998, Rv. 212636; Sez. 6, n. 7384 del 21/10/2004, Rv. 231034; Sez. 6, n. 856 del 14/12/2004, Rv. 230877; Sez. 2, n. 13489 del 16/03/2005, Rv. 231159). Entrambe le difese delle parti civili si richiamano a tale orientamento più risalente. Secondo un più recente indirizzo, per la configurazione del delitto di cui all’art. 380 cod. pen., è necessaria la pendenza di un procedimento innanzi l’autorità giudiziaria, assecondando un’interpretazione più corretta della fattispecie in esame che così prevede: "il patrocinatore che, rendendosi infedele ai suoi doveri professionali arreca nocumento agli interessi della parte da lui difesa, assistita o rappresentata innanzi l’autorità giudiziaria...".
Di conseguenza è necessaria l’attività di "difesa, assistenza e rappresentanza" dinanzi all’A.G. da parte del patrocinatore, potendosi ricavare dal tenore testuale della norma che la condotta materiale punibile emerge quando "pende un procedimento" nel corso del quale si deve realizzare la violazione degli obblighi assunti con il mandato.
Esprimono tale indirizzo le sentenze della Sez. 2, n.17106 del 22/03/2011 Rv. 250251 e della Sez. 6, n.39229 del 12/06/2013 Rv. 257034. Secondo quest’ultima pronuncia, per la sussistenza del delitto di patrocinio infedele è strutturalmente necessaria l’instaurazione di un procedimento dinanzi l’autorità giudiziaria quale elemento costitutivo del reato per cui ritenere comprese nella previsione legislativa anche le attività prodromi che alla causa poi instaurata tra le parti, integra una violazione del principio di tipicità del precetto penale.
Contrariamente a quanto sostenuto dalle parti civili, quest’ultimo orientamento non è stato per niente smentito dalla pronuncia di questa Sezione n. 29653 del 26/05/2011, Rv. 250551, che riguarda un fatto diverso e, più esattamente, il nocumento agli interessi della parte come conseguenza del comportamento infedele: si tratta quindi di questione che non ha attinenza con il procedimento instaurato.
La Corte d’appello di Napoli ha dunque aderito all’orientamento più recente della Corte di cassazione perché maggiormente attinente al dettato normativo.

Per la sussistenza del reato di patrocinio infedele è infatti necessaria, quale elemento costitutivo del reato, la pendenza di un procedimento dinanzi all’autorità giudiziaria nell’ambito del quale deve realizzarsi la violazione degli obblighi assunti con il mandato, anche se la condotta non deve necessariamente estrinsecarsi in atti o comportamenti processuali (tra le tante, Sez. 6, n. 28309 del 17/06/2016, Rv. 267096). Il che ha portato ad escludere l’applicazione dell’art. 380 cod. pen. nel caso in cui la condotta infedele si riferisca a procedure non pendenti davanti all’autorità giudiziaria, ancorché poste in essere prima dell’instaurazione del procedimento e ad esso prodromiche (Sez. 2, n. 13489 del 16/03/2005, Rv. 231159; Sez. 6, n. 29783 del 30/03/2017, Rv. 270638), ferme restando le eventuali responsabilità civilistiche per inadempimento del contratto di prestazione d’opera.

4. Con il secondo motivo, la parte civile T.F. lamenta che la sentenza aveva liquidato gli onorari di essa parte civile non attenendosi ai minimi tariffari, liquidando somme inferiori rispetto alla concreta attività svolta e documentata, chiede l’annullamento della liquidazione delle spese, ai sensi del D.M. n.55 del 10/03/2014 in relazione agli artt. 538, 541 cod. proc. pen. e art.106 d.P.R. n. 115/2002.
In tema di spese processuali, effettivamente i nuovi parametri, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti in luogo delle abrogate tariffe professionali, sono da applicare ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto.
Ma nella determinazione degli onorari e delle spese per la predetta difesa il giudice gode di un potere di valutazione discrezionale, sindacabile in sede di legittimità solo nel caso che siano stati violati i limiti previsti dalla tariffa professionale. Ma ciò implica l’esigenza di una specifica indicazione delle voci applicate, dato che solo questa specificazione consente il controllo della osservanza dei limiti predetti (Sez. 2, n. 39626 del 11/05/2004, Rv. 230052; Sez. 4, n. 10920 del 29/11/2006, Rv. 236186). Nel caso di specie, genericamente la parte civile ha lamentato una liquidazione di somme inferiori rispetto al dovuto, ma non ha corredato la doglianza delle specifiche voci necessarie per effettuare un confronto e verificare la violazione denunciata. Ne consegue che il motivo deve essere rigettato.
5. Con il secondo motivo proposto dalla parte civile B.S. , si solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 380 cod. pen. per violazione degli artt. 3 e 24 Cost. nella parte in cui non prevede la punibilità nella più grave ipotesi dell’infedele patrocinio nel segmento costituto dall’accettazione del mandato ai fini processuali e successiva omissione di difesa accompagnata da simulazione della stessa.
La parte civile ricorrente ritiene che vi sia una lacuna nella fattispecie riguardante l’infedele patrocinio che si realizza nell’accettazione del mandato e successiva omissione della difesa, auspicando un’anticipazione della soglia del "penalmente rilevante al momento del conferimento ed accettazione del mandato, non ancora instaurato il procedimento ed il proprio conferente non abbia ancora assunto la veste di indagato o imputato, con anticipazione della soglia di punibilità per il professionista. La questione risulta superata - e pertanto non può essere accolta - proprio dall’interpretazione più evolutiva che ne ha dato la Corte di Cassazione con riferimento al principio di tipicità della condotta. Non si tratta quindi di una auspicata modifica normativa che spetta al legislatore, quanto di una interpretazione giurisprudenziale più aderente al testo della norma, conformemente alle linee tracciate dalla Suprema Corte.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.