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Atto terapeutico non tradizionale e violenza sessuale: osteopata condannato (Cass. 15219/20)

15 maggio 2020, Cassazione penale

In caso di terapia medica non convenzionale e dunque ordinariamente non conosciuta, il paziente deve essere previamente informato nel caso in cui il trattamento praticato sia invasivo della sua sfera sessuale al fine di prestarvi consenso, mancando il quale è ravvisabile il delitto di violenza sessuale.

Peraltro anche il medico, nell'esercizio di attività diagnostica o terapeutica, può lecitamente compiere atti incidenti sulla sfera della libertà sessuale di un paziente solo se abbia acquisito il suo consenso, esplicito e informato, o se sussistono i presupposti dello stato di necessità e deve, inoltre, immediatamente fermarsi in caso di dissenso del predetto.

 

Corte di Cassazione

sez. III Penale, sentenza 13 dicembre 2019 – 15 maggio 2020, n. 15219
Presidente Izzo – Relatore Corbetta

Ritenuto in fatto

1. Con l'impugnata sentenza, la Corte di appello di Firenze confermava la pronuncia emessa dal g.u.p. del Tribunale di Firenze all'esito del giudizio abbreviato e appellata dall'imputato, la quale aveva condannato Mi. Di. alla pena di giustizia per il delitto di cui all'art. 609-bis, comma 3, cod. pen., a lui ascritto perché, abusando dell'autorità derivante dal rapporto fiduciario medico-paziente, costringeva Sh. Co., che a lui si era rivolta per risolvere problemi alla cervicale, a subire atti sessuali consistiti in ripetuti palpeggiamenti del seno e del pube.

2. Avverso l'indicata sentenza, l'imputato, per mezzo dei difensori di fiducia, propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.

2.1. Con i primi tre motivi, dedotti congiuntamente, si lamenta il vizio di motivazione in ordine all'accertamento della responsabilità dell'imputato, la violazione degli artt. 192 e 546 cod. proc. pen. in relazione alla richiesta perizia sulla correttezza delle manipolazioni adottate dal terapeuta e il correlato vizio di motivazione, l'erronea applicazione della legge penale in relazione alla sussistenza del consenso informato e dell'elemento soggettivo del reato.
Ad avviso del ricorrente, la Corte territoriale avrebbe errato nel valutare quale confessione le dichiarazioni dell'imputato, che ha ammesso di aver manipolato la paziente in zone erogene, trattandosi di atto terapeutico, che, per definizione, non può avere finalità di carattere sessuale, ed essendo dette manovre state correttamente praticate, come risulta dalla documentazione scientifica in atti. Sotto altro profilo, si evidenzia come il ricorrente avesse informato, come sua abitudine, la paziente circa il tipo di terapia da praticare, di talché la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere insussistente il consenso della donna, le cui dichiarazioni - per stralcio riportate nel ricorso - sarebbero state, sul punto, travisate. In ogni caso, il ricorrente ribadisce la correttezza delle manovre "a manico di secchio" e "a braccio di pompa", come risulta dalla documentazione scientifica in atti, correttezza che non sarebbe smentita delle affermazione dell'osteopata Sc., cui la donna si rivolse avendo dei dubbi in ordine alla correttezza delle manovre praticate Di.; in ogni caso, la Corte territoriale avrebbe dovuto disporre perizia al fine di accertare l'appropriatezza delle terapia in questione, trattandosi di una prova decisiva ai fini del decidere.

2.2. Con il quarto motivo si eccepisce la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. in relazione all'art. 609-bis cod. pen. Ad avviso del ricorrente, la Corte territoriale avrebbe omesso di valutare le contraddizioni presenti nel racconto della persona offesa, la quale in querela ha affermato di avere intuito che si trattava di palpeggiamenti che non avevano nulla a che fare con la cura, di essere scesa dal lettino e di essere stata invita a restare e le venivano praticate delle manovre al collo; nel verbale di s.i.t, invece, ha riferito di essere rialzata, di sua iniziativa, dal lettino e di essersi rivestita. Evidenzia inoltre il ricorrente come la persona offesa non abbia riferito alle persone più intime ciò che le era occorso, e anche le frase che avrebbe pronunciato l'imputato mentre le massaggiava i piedi ("stai zitta altrimenti lo tiro fuori"), non era stata riferita in querela: circostanze, queste, che minerebbero la credibilità della donna.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è inammissibile.

2. In primo luogo va evidenziata un'intima contraddittorietà tra motivi dedotti, perché, mentre con il secondo e con il quarto si insinuano dubbi sul narrato della persona offesa in ordine ai palpeggiamenti subiti, con il primo si dà invece per assodato che il ricorrente, come da costui ammesso, praticò sulla persona offesa dei massaggi in corrispondenza del seno e del pube.

3. Ciò premesso, tutti i motivi - esaminabili congiuntamente stante la stretta concatenazione tra le questioni dedotte- sono manifestamente infondati.

4. Invero, la sentenza della Corte territoriale si fonda su una duplice ratio decidendi.

5. In primo luogo, la Corte d'appello, confrontandosi con le risultanze emergenti dalla documentazione scientifica allegata dal ricorrente, con motivazione esente da illogicità manifeste ha osservato che le tecniche di massaggio richiamate dall'imputato (ossia quelle denominate "manico di secchio" e "braccio di pompa") in ogni caso non spiegherebbero né i contatti con i capezzoli della pazienza e nemmeno il palpeggiamento della zona pubica.
E tanto basta per ravvisare la sussistenza del reato, trattandosi di manovre che esulano dalla pratica dell'osteopatia e che sono chiaramente invasive dell'altrui sfera sessuale.
6. In ogni caso, anche a voler ammettere, come ritenuto dal ricorrente, la correttezza delle manovre praticate dall'imputato (il che rende del tutto superflua la richiesta di perizia), la Corte territoriale ha correttamente dato risalto a un elemento decisivo, ossia che la persona offesa non era stata preventivamente informata che i massaggi avrebbero interessato il seno e il pube e, conseguentemente, la stessa non aveva espresso il consenso a subire trattamenti invasivi della propria sfera sessuale.
7. A dispetto di quanto asserito dal ricorrente, in nessun punto delle dichiarazioni riportate - peraltro per stralcio - nel ricorso la persona offesa afferma che l'imputato l'avesse informata che le manipolazioni avrebbero attinto il seno e il pube, di talché è da escludersi che i giudici di merito siano incorsi in un travisamento della prova: vizio formalmente denunciato dal ricorrente (cfr. p. 6), ma che, tuttavia, a ben vedere, mira a una diversa lettura dei dati probatori, non consentita in sede di legittimità.
Nel caso in esame, infatti, la Corte territoriale ha escluso che la donna fosse stata preventivamente informata che le manipolazioni avrebbero attinto zone erogene, non solo perché detta circostanza non è mai stata riferita dall'interessata, ma anche perché è logicamente riscontrata dalla condotta successivamente posta in essere dalla donna, che, avendo dei dubbi in ordine all'appropriatezza del trattamento che le era stato praticato, si rivolse a un altro osteopata per verificare se le manipolazioni tattili subite fossero terapeuticamente corrette: condotta che non si spiegherebbe nel caso in cui, appunto, la donna fosse stata previamente informata dal ricorrente. Prova ne è che, quando ebbe conferma dall'osteopata a cui aveva chiesto consiglio dell'inappropriatezza delle manovre che aveva subito, la donna immediatamente diede disdetta dalle altre sedute già programmate con il ricorrente.
8. La Corte territoriale ha perciò fatto corretta applicazione del principio secondo cui il medico, nell'esercizio di attività diagnostica o terapeutica, può lecitamente compiere atti incidenti sulla sfera della libertà sessuale di un paziente solo se abbia acquisito il suo consenso, esplicito e informato, o se sussistono i presupposti dello stato di necessità e deve, inoltre, immediatamente fermarsi in caso di dissenso del predetto (Sez. 3, n. 18864 del 22/02/2019 -dep. 06/05/2019, P, Rv. 275743). Ciò vale, a fortiori, nell'ambito dell'attività di osteopata, trattandosi di terapia medica alternativa e dunque ordinariamente non conosciuta.
9. Può dunque affermarsi il seguente principio di diritto: con riferimento all'attività di osteopata, trattandosi di terapia medica non convenzionale e dunque ordinariamente non conosciuta, il paziente deve essere previamente informato nel caso in cui il trattamento praticato sia invasivo della sfera sessuale al fine di prestarvi consenso, mancando il quale è ravvisabile il delitto di violenza sessuale.
9. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.