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Arresti domiciliari anche in Europa (Cass. 37739/21)

20 ottobre 2021, Cassazione penale

Gli arresti domiciliari rientrano tra le misure alternative alla "detenzione cautelare", per come intesa dal diritto nazionale in conformità al diritto dell'Unione: una diversa lettura, che non includa la misura degli arresti domiciliari fra le misure alternative alla "detenzione cautelare" cui si applicano le disposizioni del D.Lgs., invece, imporrebbe di sollevare la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 36 del 2016, artt. 2 e 4 in relazione al disposto degli artt. 3e 11 Cost. e art. 117 Cost., comma 1, per difetto di adeguamento ai vincoli dell'ordinamento sovranazionale, siffatte norme del provvedimento legislativo interno ponendosi in contrasto con la ratio della Decisione 2009/829/GAI in senso discriminatorio fra soggetti residenti nell'Unione Europea.

L'intero impianto del D.Lgs. n. 36 del 2016 consente una lettura conforme sia alla Decisione Quadro e alle sue motivazioni, che al dettato costituzionale.

Spetta sempre al giudice nazionale scegliere la misura secondo i criteri previsti dall'art. 275 c.p.p., facendo riferimento ai principi di proporzionalità e adeguatezza; egli non ha alcun obbligo di applicare una misura non detentiva sulla base della sola normativa Europea al fine di non determinare discriminazioni, qualora ritenga che le esigenze cautelari non possano essere altrimenti soddisfatte se non con quella misura.

Il giudice non può negare una misura alternativa alla detenzione carceraria - ivi compresa, come si è detto, quella degli arresti domiciliari - sul mero presupposto dell'assenza di un indirizzo di esecuzione sul territorio nazionale, perché la disponibilità di un indirizzo presso altro Stato dell'Unione, in cui l'interessato sia radicato, equivale alla disponibilità di un indirizzo in Italia.

Il nucleo fondamentale della cooperazione giudiziaria nell'Unione Europea si basa sul principio del riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie e include misure per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in vari ambiti

La Decisione Quadro 829/2009 utilizza l'espressione "detenzione cautelare" con linguaggio volutamente generico, in quanto esso deve essere adattabile alle legislazioni interne di ciascuno Stato membro, non essendo competenza dell'Unione distinguere fra custodia carceraria e altro tipo di misura limitativa della libertà personale che ne importi la compressione fisica.

Il considerando 5 della DQ 2009/829, "in uno spazio comune Europeo di giustizia senza frontiere è necessario adottare misure idonee affinché una persona sottoposta a procedimento penale non residente nello Stato del processo non riceva un trattamento diverso da quello riservato alla persona sottoposta al procedimento penale ivi residente".

Avuto riguardo al Preambolo, della Decisione Quadro 2009/829/GAI è necessario fare un ragionamento a contrario, chiedendosi se ritenere che la locuzione "detenzione cautelare", ove intesa come comprensiva della misura degli arresti domiciliari - e cioè di tutte le misure custodiali - consenta di ritenere raggiunto l'obiettivo prefissatosi dall'Unione con l'adozione della Decisione Quadro o se, invece, solo la collocazione degli arresti domiciliari fra le misure "alternative alla detenzione cautelare" permetta di conseguirlo.

Non e' dalla valutazione del Pubblico ministero che dipende l'esecuzione all'estero di una misura cautelare, ma dalla decisione del giudice della cautela che impone una misura eseguibile anche in altro Stato membro dell'Unione e dalla volontà dell'interessato di acconsentire a siffatto tipo di esecuzione.

Compito del giudice della cautela è quello di dare applicazione al principio del "minor sacrificio necessario" - come enunciato dalla Corte costituzionale, da ultimo con la sentenza n. 48/2015) - che impone che la compressione della libertà personale sia contenuta nei limiti minimi indispensabili a soddisfare le esigenze cautelari del caso concreto.

Cassazione penale

sez. IV, ud. 15 settembre 2021 (dep. 20 ottobre 2021), n. 37739
Presidente Serrao – Relatore Nardin

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza del 30 aprile 2021 il Tribunale di Roma, Sezione per il riesame ha rigettato l'istanza di riesame proposta da G.E.J. avverso l'ordinanza del G.I.P. del Tribunale di Roma, con cui veniva disposta nei suoi confronti la misura della custodia cautelare in carcere, in relazione all'imputazione provvisoria per il delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1 e 4 ed art. 80, per avere detenuto e trasportato un carico di stupefacente del tipo hashish del peso complessivo di kg. 270,00, per conto di un sodalizio criminale.

2. Il provvedimento del tribunale del riesame, nel respingere la richiesta di revoca o sostituzione della misura, dà atto che i gravi indizi di colpevolezza a carico del ricorrente sono emersi da una complessa attività di indagine sulle attività di un gruppo criminale operante fra l'Italia, la Spagna ed il Marocco, dedito all'importazione di stupefacenti di varia natura. L'associazione - facente capo a I.F., ad R.A. e a P.D., che gestivano gli acquisiti all'estero, nonché a A.C., loro referente sulla piazza romana procuratasi la droga, ne curava il trasporto in Italia, via mare (con l'appoggio di altre organizzazioni) e via terra, utilizzando in particolare Tir viaggianti con merce di copertura, con l'ausilio di terzi e di F.F., deputato alla ricezione e allo stoccaggio dello stupefacente. Dalle intercettazioni e dalle comunicazioni scambiate su messaggerie non intercettabili, ma occasionalmente captate perché lette ad alta voce dai destinatari, emergeva che in data 22 ottobre 2019 era previsto l'arrivo di un carico. Di ciò I. e P. informavano A. e F.. Quest'ultimo, il 23 ottobre, raggiungeva dapprima A. a (omissis) e, quindi, I. e P. a (omissis). In occasione dell'incontro risultava che F. avrebbe dovuto recapitare a I. e P. delle non meglio precisate "buste", previamente preparate da A., mentre F. si diceva pronto, non appena comunicatigli luogo e ora, a trovarsi all'arrivo dell'automezzo su cui era caricato lo stupefacente, annunciato da R.. Il giorno successivo, F. raggiungeva il parcheggio del ristorante (omissis), in (omissis), ove incontrava L.R.D., il quale gli consigliava di nascondere nel giubbotto quanto appena consegnatogli, cioè il denaro. Successivamente F. si portava presso la ditta di calcestruzzi C., all'interno del comprensorio Agrama, dove incontrava A., il quale, dimostrando di essere al corrente dell'incontro avvenuto fra R. e F., chiedeva al medesimo il denaro. L'incontro e lo scambio erano ripresi dal sistema di videosorveglianza. Dopo una decina di minuti le riprese registravano l'arrivo di L.R., mentre F. contattava la moglie di A., per avvertirla di chiamare R.E., annunciandogli che lo avrebbero raggiunto per "mangiare insieme". Messaggio rivolto, secondo quanto successivamente chiarito, ad allertare R. dell'imminente consegna dello stupefacente presso la sua abitazione. Trascorsi pochi minuti giungeva sul luogo un autoarticolato, recante la scritta Iglesias Vela, corrispondente ad una società di trasporti spagnola, condotto da un autista, poi identificato, attraverso la richiesta della Direzione Centrale per i Servizi antidroga al corrispondente organo spagnolo, in G.E.J.. Parcheggiato il mezzo, l'autista apriva i portelloni del semirimorchio, per consentire a C. di scaricare tre pedane, di cui una, che aveva la parte inferiore avvolta in un cellophane nero, veniva spostata al centro del piazzale, mentre le altre due erano nuovamente riposte all'interno del semirimorchio. A quel punto A. e F. scartavano la pedana e si adoperavano per separare i sacchi contenenti materiali per l'edilizia dagli altri involucri di colore beige, di cui due venivano consegnati a L.R.. Garda, invece, richiusi i portelloni, si allontanava. L'intera operazione veniva ripresa dalla videosorveglianza. Risultava, altresì, dall'intercettazione (prg. 396) all'interno del furgone in uso a F., un dialogo in lingua spagnola, concernente somme di denaro. Terminate le operazioni di scarico e la consegna dello stupefacente a L.R., F. ed A. provvedevano a caricare su un'auto sette involucri su cui era segnata la cifra (omissis), stessa sigla poi reperita su quelli caricati da L.R.. Questi, inseguito dalla Polizia giudiziaria, veniva sottoposto a controllo e arrestato in flagranza. Nel frattempo F. ed A. si dirigevano, con l'auto caricata con gli altri imballaggi, presso l'abitazione di R., cui la droga veniva affidata, con le raccomandazioni per gli ulteriori recapiti. Nel pomeriggio F. raggiungeva I. e P., i quali - come risultava dalla captazione ambientale - erano già a conoscenza dell'arresto di L.R. e ne informavano F.. Successivamente, nel corso di un ulteriore colloquio, I. e P. sottolineavano come, in precedenza, non fosse mai accaduto nulla e si lamentavano del fatto che L.R. non avesse imballato bene la merce. Su queste basi, il Tribunale per il riesame rinviene la sussistenza dei gravi indizi di reità, a carico del ricorrente, nell'essere il medesimo presente alla selezione della merce trasportata, all'atto dello scarico dall'autoarticolato; nella particolare modalità di confezionamento dei pacchi "evidentemente" nota sia al trasportatore, che ai destinatari; nella circostanza che un simile "prezioso" carico non sarebbe mai stato affidato ad una persona ignara; nel non avere il ricorrente fornito, né al G.I.P., né alla Guardia Civil spagnola alcuna documentazione circa l'attività di trasporto e l'anomala procedura di scarico, selettivo e frazionato; nell'avere G., in sede di interrogatorio, fornito giustificazioni generiche e non idonee a scardinare il quadro indiziario, limitandosi a riferire quanto segue: di avere compiuto tre viaggi commissionatigli da tale "Franco", il cui contatto telefonico gli era stato fornito da due camionisti spagnoli ( D.G.M.A. e G.B.F.), di cui uno quattro anni prima, l'altro a Milano e il terzo, sfociato nel procedimento, a Roma; di essere stato sempre pagato in contanti dai destinatari; di avere ricevuto per il trasporto contestato solo duemila Euro, a dispetto dei tremila pattuiti; di non conoscere i destinatari, essendogli stato indicato il mero indirizzo di scarico da parte di "Franco"; che il carico era costituito da materiali di costruzione e strumenti agricoli. A fronte di ciò, il giudice del riesame giudica irrilevante la diretta conoscenza di R., da parte di G., ben potendo egli essere stato contattato da intermediari, allo scopo di mettere a disposizione le proprie capacità professionali, finalizzandole al trasporto dell'ingente partita di stupefacenti recapitata. Sotto il profilo del pericolo di fuga, il Collegio della cautela afferma che il pericolo di reiterazione del reato sia desumibile dal ruolo fiduciario rivestito dall'interessato, confermando il giudizio di adeguatezza della sola misura intramuraria. Infine, esclude l'applicabilità di misure diverse dalla custodia in carcere, con esecuzione presso lo stato estera), ai sensi del D.Lgs. 15 febbraio 2016, n. 36, con cui si è recepita la Decisione Quadro 2009/829/GAI, posto che essa presuppone che sia stata disposta una misura cautelare non detentiva dall'autorità giudiziaria italiana e che, su iniziativa del Pubblico ministero e con l'intervento del Ministero della Giustizia, altro Stato dell'Unione Europea operi il suo riconoscimento ai fini dell'esecuzione sul proprio territorio nazionale.

3. Avverso l'ordinanza propone ricorso per cassazione l'indagato, a mezzo del suo difensore, affidandolo a tre distinti motivi.

3.1. Con il primo lamenta l'errata applicazione della legge processuale in relazione all'art. 273 c.p.p., nonché H vizio di motivazione. Assume che sia l'ordinanza genetica, che quella del riesame incentrano il giudizio di gravità indiziaria su argomenti meramente suggestivi, quali l'essere il trasporto di un ingente quantitativo di stupefacenti incarico tanto delicato da non consentirne l'affidamento a persona ignara e l'avere il ricorrente presenziato allo scarico della merce. Ricorda che, secondo gli enunciati della Suprema Corte in materia cautelare, deve ritenersi che per l'emissione del provvedimento cautelare sia necessario che gli indizi, per essere ritenuti gravi, resistano ad interpretazioni alternative e conducano a ritenere altamente probabile - pur senza che ciò implichi il raggiungimento della certezza propria del giudizio di cognizione - che il reato sia attribuibile all'imputato. Siffatto principio deve, in primo luogo, condurre ad escludere che la rappresentazione della colpevolezza dell'indagato possa ricondursi alla presunzione secondo la quale un simile carico - per il suo intrinseco valore - non avrebbe potuto che affidarsi ad una persona di fiducia, da questo ricavando la consapevolezza sulla natura della merce trasportata. Rileva che una simile ricostruzione è smentita dalle risultanze investigative che dimostrano l'assenza di interazioni con gli altri indagati, nonostante la fitta rete di intercettazioni disposta nel corso delle indagini. Osserva che il dialogo in lingua spagnola, captato all'interno del furgone in USO a F., in occasione dello scarico, nel corso del quale si fa riferimento alla consegna di somme di denaro, non è mai stato riportato dall'ordinanza genetica, né da quella del riesame, né ancor prima nella C.N. R. conclusiva della Guardia di Finanza (che allega). In quest'ultima, infatti, si legge che l'intercettazione all'interno del furgone (prg. 396) registrava le successive attività di F. ed A., a partire dalle fasi di carico sul mezzo della parte di stupefacente non consegnata a L.R., ma emerge che la conversazione interviene in una fase in cui l'autista dell'articolato si era ormai allontanato. In ogni caso, seppure è certo che l'indagato ricevette un compenso per il viaggio, certamente accreditare quella conversazione e le dichiarazioni dell'indagato come prova del dolo di quest'ultimo appare incompatibile con l'impianto dell'ordinanza, avuto riguardo alla modestia della somma corrisposta per un viaggio così lungo, tanto più se svolto per recapitare kg. 270,00 di stupefacenti per una fiorente organizzazione criminale. D'altro canto, proprio G., nel corso dell'interrogatorio ha indicato i nominativi di coloro che lo misero in contatto con " F.", soggetto che lo incaricò del trasporto, circostanza questa che non solo dimostra la distanza fra il sodalizio dedito al narcotraffico e l'indagato, ma che si pone come difesa autolesionistica laddove il medesimo fosse stato consapevole di portare un carico di stupefacenti per un soggetto conosciuto. Sottolinea che neppure dalla videoripresa delle operazioni di scarico può trarsi il coinvolgimento di G.. Egli, infatti, non partecipò alla selezione del carico, né le ordinanze indicano che abbia partecipato allo scarto degli imballaggi. Sicché la circostanza della sua presenza allo scarico della merce è del tutto aspecifica, altrimenti dovendo ritenersi che elementi a carico siano desumibili dal fatto che egli sia sceso dal mezzo, dopo un lungo viaggio, nonostante non conoscesse chi si trovava in loco. Dunque, il compendio probatorio risulta composto da elementi che non conducono in modo non equivoco alla dimostrazione dell'elemento soggettivo del reato.

3.2. Con il secondo motivo lamenta la falsa applicazione degli artt. 272e 274 c.p.p.. Deduce che l'ordinanza gravata nega l'applicabilità di una misura non intramuraria, oltre che in relazione ad un supposto pericolo di reiterazione del reato fondato unicamente sulla "notoria" disponibilità del ricorrente nel mondo del narcotraffico, sulla base della sola considerazione del mancato radicamento del ricorrente sul territorio nazionale italiano, senza, tuttavia, formulare alcuna considerazione circa la presenza di elementi da cui desumere il pericolo di sottrarsi all'applicazione di una diversa misura. Richiama la giurisprudenza di legittimità secondo la quale il radicamento in un paese straniero non è da solo sufficiente a sostanziare il pericolo di fuga, ove non accompagnato da elementi di concretezza.

3.3. Con il terzo motivo lamenta la falsa applicazione dell'art. 275, comma 3 e del D.Lgs. n. 36 del 2016, art. 5. Richiama i principi enunciati dalle Sezioni Unite Lovisi (n. 20769 del 28/04/2016), ripresi dalle pronunce successive di questa Corte, e rileva l'incompiutezza della motivazione dell'ordinanza impugnata in ordine all'adeguatezza della sola misura della custodia in carcere, in quanto priva di collegamento con le emergenze risultanti dalle indagini, quali l'assenza di contatti con gli altri indagati, e l'assenza di elementi rappresentativi dell'utilizzabilità criminale di G. in attività diverse da quella dell'autotrasportatore. Rileva, altresì, che l'ordinanza è priva di giustificazioni sulla permanenza di commistioni con soggetti di diversa nazionalità implicanti la possibilità di reiterazione del reato. Sottolinea che il difetto di motivazione involge anche il giudizio sul pericolo di fuga, non essendo stato tenuto in considerazione che G. vive stabilmente con una compagna nella città di (omissis), e che nel corso della procedura di MAE è stato riconosciuto che il medesimo dovrà scontare l'eventuale condanna nel proprio paese. Dunque, la non arginabilità del pericolo di fuga, in ragione della mancanza di legami con l'Italia, si pone in contrasto con il disposto del D.Lgs. n. 36 del 2016, art. 5, comma 1, che prevede la trasmissione delle decisioni cautelari all'autorità competente dello Stato membro in cui l'interessato ha residenza legale ed abituale, quando egli abbia manifestato la volontà di fare rientro nello Stato. Denuncia la fallacia del ragionamento del giudice del riesame, che esclude la possibilità di sostituire la misura carceraria con una gradata, senza tener conto che l'adeguatezza e la proporzionalità debbono essere valutate nelle potenzialità applicative delle misure in ordinamenti statuali diversi, tenuti a prestare assistenza alla loro esecuzione, non essendo ammissibile che, a parità di condizioni, vi sia disparità di trattamento fra chi risiede nello Stato in cui si celebra il processo e chi risiede in altro Stato membro dell'Unione. Conclude per l'annullamento del provvedimento impugnato.

Considerato in diritto

1. Il ricorso va accolto nei limiti che seguono.

2. Prima di affrontare la prima doglianza è opportuno ricordare quanto ripetutamente affermato da questa Corte, in ordine ai limiti del giudizio di legittimità in tema di misure cautelari personali, ovverosia che quando è denunciato, con ricorso per cassazione il vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte suprema spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l'hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell'indagato e di controllare la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie. (Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, Tiana, Rv. 255460; Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, Terranova, Rv. 237012). Restano fuori dal vaglio del giudice di legittimità, dunque, le censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero che si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 6, n. 11194 del 08/03/2012, Lupo, Rv. 25217801; Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, Di Iasi Rv. 269884; Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, Paviglianiti, Rv. 270628).

3. In questo caso, le critiche all'ordinanza riguardano sostanzialmente l'insussistenza di un quadro indiziario inequivoco, risultando l'ambiguità degli elementi che lo compongono dalla stessa lettura dell'ordinanza impugnata, il cui apparato argomentativo non supererebbe il controllo di adeguatezza motivazionale.

4. Ora, il Collegio del riesame fonda il giudizio di gravità indiziaria sostanzialmente sulle seguenti circostanze: la non plausibilità dell'affidamento del carico di stupefacente ad un soggetto non consapevole della sua natura; l'attenta pianificazione delle operazioni; la presenza di G. nel momento dello scarico della merce e della selezione della merce trasportata, la cui modalità di confezionamento era evidentemente nota ai destinatari, ma anche al trasportatore; l'assenza di documentazione "circa l'attività di trasporto e l'anomala procedura di scarico selettivo e frazionato", non presentata al G.I.P. e alla Guardia Civil; la genericità delle dichiarazioni rese da G. in sede di interrogatorio di garanzia; il dialogo in lingua spagnola concernente somme di denaro, intercettato all'interno del furgone di F. che, pur non richiamato nella valutazione finale del compendio indiziario, viene comunque riportato nel corpo della motivazione.

5. Nell'esaminare la tenuta del ragionamento dei giudici della cautela conviene partire da quest'ultimo elemento, rispetto al quale la difesa fa valere un vero e proprio travisamento della prova, non essendo la captazione né esposta per esteso, al fine di dar conto del suo contenuto, né risultante dalla C.N. R. della Guardia di Finanza, che riproduce un dialogo fra F. ed A. e non fra F. e G..

5.1. La contestazione del ricorrente è obiettivamente fondata. E ciò, perché l'intercettazione all'interno del furgone di cui al prog. 396- R.I.T. 4677/19 - alla quale l'ordinanza fa riferimento, nella parte in cui descrive le varie fasi dello scarico, e alla quale attribuisce il contenuto del dialogo in lingua spagnola fra F. e un soggetto che ritiene essere l'autista - risulta dalla C.N. R. allegata al ricorso riguardare un dialogo intercorso fra F. e A., relativo alle attività successive al carico di una parte di stupefacente sull'auto di L.R.. Sicché, in assenza dell'esplicitazione del dialogo - che si assume essere intervenuto fra F. e G. - non è possibile ritenere che esso confluisca nel quadro probatorio a suo carico, non essendo chiarito se e in che modo quella conversazione supporti l'affermazione del coinvolgimento dell'indagato nel traffico e la sua consapevolezza circa la natura della merce trasportata.

5.2. Nondimeno, si tratta non solo di un elemento che, in definitiva, il Tribunale del riesame non reputa particolarmente rilevante, tanto da non farne cenno laddove commenta l'insieme degli indizi sulla base dei quali ritiene di fondare la decisione, ma che lo stesso ricorrente stenta a considerare dirimente nel ragionamento del provvedimento di riesame, posto che non nega che G. abbia ricevuto un compenso per il viaggio, ciò peraltro essendo confermato dal medesimo ricorrente in sede di interrogatorio.

6. Resta, dunque, da comprendere se la valutazione degli altri elementi indiziari, ritenuti fondanti il giudizio di gravità, consenta di ritenere adeguato e non manifestamente contraddittorio l'apparato argornentativo.

7. Diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, seppure l'ordinanza formuli la premessa secondo cui un'organizzazione criminale così articolata non affida ad un soggetto non consapevole un carico illecito di rilevante valore economico, non è solo su questa considerazione che il provvedimento fonda l'affidabilità degli elementi a carico dell'indagato. A ciò, infatti, aggiunge, in primo luogo, l'assenza di documenti di trasporto che dimostrino la buona fede di G. in ordine al contenuto della merce trasportata e, in secondo luogo, le affermazioni dal medesimo rese, nel corso dell'interrogatorio di garanzia, in ordine ai plurimi viaggi effettuati su incarico di tale " F.", indicatogli da due colleghi camionisti spagnoli. Seppure il ragionamento non sia completamente svolto, la complessiva lettura del provvedimento consente di comprendere che l'essersi prestato ad eseguire un compito conferito da un soggetto sostanzialmente ‘sconosciutò, o meglio conosciuto solo per nome, che si limita ad indicare il luogo di carico e l'indirizzo di scarico, viene considerato elemento corroborante la consapevolezza della non liceità del contenuto della merce trasportata, e rappresenta grave indizio della disponibilità alla realizzazione di un progetto che non implica il rapporto diretto con gli organizzatori - il che giustifica l'assenza di contatti con gli appartenenti al sodalizio - ma solo quello con il soggetto che affida l'incarico. Ecco che allora la premessa sull'affidabilità del trasportatore si palesa in tutta la sua rilevanza, essendo chiaro che accettare di assumere un mandato dai contorni indefiniti, per conto di un soggetto il cui ruolo non è quello tipico dello spedizioniere, in assenza di documenti di trasporto, non può che riflettere l'assoluta fiducia dell'affidante sulla capacità dell'affidatario di portarlo a termine senza intoppi.

8. A fronte di queste osservazioni, perdono importanza anche le considerazioni formulate dal ricorrente sulla mancata partecipazione di G. alle operazioni di scarico - effettivamente non descritta dall'ordinanza che riferisce solo della sua presenza - e alla selezione della merce, o quelle sulla conoscenza delle modalità di confezionamento, ritenute note anche dall'autista, posto che si tratta di attività esecutive successive, alle quali chi si è prestato al trasporto di un carico illegale può anche non partecipare, senza che da ciò possa desumersi alcunché in un senso o nell'altro.

9. Deve, dunque, ritenersi che la motivazione non soffra il vizio di inadeguatezza e incongruenza contestato. Il motivo deve, pertanto, essere rigettato.

10. Occorre, a questo punto, affrontare la doglianza introdotta con il secondo ed il terzo motivo di ricorso - che, nella prospettazione del ricorrente, riguarda aspetti preliminari alla scelta della misura applicabile - trattandosi di censure strettamente connesse fra di loro.

10.1. Il Tribunale per il riesame, infatti, che opta per la misura più afflittiva, da un lato, sottolinea, valutando il pericolo di fuga, che G. non ha legami stabili (abitativi, familiari o lavorativi) in Italia, dall'altro, afferma la sussistenza del pericolo di reiterazione del reato, in quanto il ruolo fiduciario svolto dall'indagato, rimanda "ad una notoria disponibilità del ricorrente nel mondo del narcotraffico". Esclude, inoltre, che possa farsi ricorso alle procedure previste dal D.Lgs. n. 36 del 2016, che introduce una disciplina esclusivamente riguardante l'esecuzione delle misure non detentive, una volta disposte dal giudice nazionale.

10.2. Il ricorrente oppone che la scelta della misura non può, in forza del disposto del D.Lgs. n. 36 del 2016, art. 5, essere limitata alla verifica della mancanza di un domicilio in Italia, dovendo il giudice della cautela confrontarsi con la possibilità dell'esecuzione del provvedimento cautelare nello Stato dell'Unione Europea di appartenenza dell'indagato, nel caso in cui egli manifesti la volontà di farvi rientro. Tanto più quando non vengano esplicitati elementi da cui ricavare l'intenzione di sottrarsi alla cautela.

11. Si tratta di una questione complessa per trattare la quale, nondimeno, sono necessarie due premesse.

11.1. La prima inerisce al secondo (..) della motivazione, relativo alla sussistenza dei presupposti di adeguatezza della sola misura cautelare della custodia in carcere applicata dal G.I.P. e confermata dal Tribunale per il riesame sulla base di una non meglio motivata "notoria disponibilità del ricorrente nel mondo del narcotraffico", di cui dalla lettura dell'ordinanza non emergono i contorni, non delineandosi da quali episodi possa trarsi un simile assunto.

A meno di non voler ritenere - ma non vi sono elementi non meramente ipotetici richiamati dal provvedimento che lo consentano - che i precedenti viaggi svolti per tale " F." concernessero il traffico di stupefacenti. Sicché, in assenza di ulteriori elementi di conoscenza sul passato dell'indagato - peraltro incensurato l'affermazione dei giudici della cautela si risolve in una mera congettura sfornita di qualsivoglia indice probatorio, per ciò solo censurabile.

11.2. D'altro canto, come ben evidenzia il ricorrente, non emergendo contatti diretti con l'organizzazione dedita al narcotraffico manca, o quantomeno non è in alcun modo argomentata, la giustificazione del perché il pericolo di reiterazione del reato, una volta impedito al ricorrente di svolgere l'attività di autotrasportatore, non possa eventualmente essere salvaguardato con una soluzione alternativa e meno afflittiva, avuto riguardo al ventaglio di misure a gravità crescente tipizzate dall'ordimento (artt. 281 e 285 c.p.p.). Compito del giudice della cautela, infatti, è quello di dare applicazione al principio del "minor sacrificio necessario" - come enunciato dalla Corte costituzionale, da ultimo con la sentenza n. 48/2015) - che impone che la compressione della libertà personale sia contenuta nei limiti minimi indispensabili a soddisfare le esigenze cautelari del caso concreto (Sez. U, n. 20769 del 28/04/2016, Lovisi, in motivazione).

11.3. La seconda premessa, che forma il presupposto del ragionamento che si va a svolgere, è che il ricorrente ha effettivamente indicato nell'istanza di riesame presso quale domicilio può essere posta in esecuzione una misura cautelare non carceraria in altro Stato dell'Unione Europea, allegando il contratto di locazione dell'abitazione presso cui vive con la compagna nella città di (omissis).

12. A questo punto per meglio comprendere gli obiettivi perseguiti dal D.Lgs. 15 febbraio 2016 n. 36, contenente "Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2009/829/GAI del Consiglio, del 23 ottobre 2009, sull'applicazione tra gli Stati membri dell'Unione Europea del principio del reciproco riconoscimento alle decisioni sulle misure alternative alla detenzione cautelare" occorre fare un passo indietro.

12.1. Il nucleo fondamentale della cooperazione giudiziaria nell'Unione Europea si basa sul principio del riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie e include misure per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in vari ambiti. La regola, enunciata sin dalle Conclusioni del Consiglio Europeo di Tampere del 15-16 ottobre 1999, vera e propria pietra d'angolo della cooperazione giudiziaria nell'Unione, è oggi espressa per la materia penale - a seguito della sostituzione delle disposizioni del titolo VI del Trattato UE, con le disposizioni dei capi 1, 4 e 5 del titolo V del TFUE - (cfr. tavole di corrispondenza G.U. dell'Unione Europea 12 ottobre 2012) - dall'art. 82, par. 1 TFUE, secondo cui "La cooperazione giudiziaria in materia penale nell'Unione è fondata sul principio di riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie e include il ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri nei settori di cui al paragrafo 2 e all'art. 83".

12.2. Si tratta di un meccanismo operaltivo fondante, che trova la sua precondizione - ma anche il suo rafforzamento - nella reciproca fiducia fra gli Stati membri, e che è revocabile solo previa modifica dei Trattati, posto che in essi trova la sua enunciazione.

12.3. Il superamento del c.d. terzo pilastro (cooperazione nei settori della giustizia e degli Affari interni GAI) dei Trattati di Maastrich, Amsterdam (e Nizza) attraverso lo strumento normativo delle direttive, previsto proprio dall'art. 83, par. 2 del TFUE, è stato regolato dal Protocollo 36 del Trattato di Lisbona, con cui si è stabilito all'art. 9 che: "Gli effetti giuridici degli atti delle istituzioni, degli organi e degli organismi dell'Unione adottati in base al trattato sull'Unione Europea prima dell'entrata in vigore del Trattato di Lisbona sono mantenuti finché tali atti non saranno stati abrogati, annullati o modificati in applicazione dei trattati". L'art. 10 del medesimo Protocollo chiarisce, invece, che per il periodo transitorio, decorrente sin al termine del quinquennio successivo all'entrata in vigore del Trattato (2009-2014), si applicano le limitazioni ai poteri di controllo della Corte di Giustizia dell'Unione e della Commissione (in relazione alla procedura di infrazione), di cui alla versione del Trattato previgente a quella di Lisbona.

12.4. Dunque, sinché l'atto del c.d. terzo pilastro - che resta del tipo intergovernativo, tipico del diritto internazionale - non venga innovato, esso rimane valido e costituisce una parte della trama delle fonti di diritto Europeo, nei limiti della loro rispettiva efficacia nei confronti degli Stati membri dell'Unione.

13. Va ricordato, altresì, che prima della sigla del Trattato di Lisbona, il testo del TUE, nella sua versione consolidata del 2002, successiva all'approvazione del Trattato di Nizza, al Titolo VI, relativo alle Disposizioni sulla Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, stabiliva il contenuto dell'azione comune, prevedendo all'art. 31 che essa comprendesse, fra l'altro, "la facilitazione e l'accelerazione tra i ministeri competenti e le autorità giudiziarie o autorità omologhe fra gli Stati membri (...) in relazione a procedimenti e all'esecuzione delle decisioni" (lett. a)), nonché "la garanzia della compatibilità delle normative applicabili agli Sati membri, nella misura necessaria per migliorare la suddetta cooperazione" (lett. b)). Mentre all'art. 34, si chiarivano le misure che il Consiglio Europeo può adottare - su iniziativa della Commissione o di uno Stato membro al fine di promuovere e realizzare la cooperazione in materia penale, prevedendo fra queste l'adozione di decisioni quadro per "il riavvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri" la cui efficacia è vincolante "quanto al risultato da ottenere, salva restando la competenza delle autorità nazionali in merito alla forma ed ai mezzi".

Il Trattato, tuttavia, ne esclude l'efficacia diretta, benché esse siano vincolanti per gli Stati membri, che debbono adempiervi.

13.1. Sul punto, com'e' noto, sono intervenute plurime sentenze della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, a partire dalla Sentenza Pupino (C-105/03) sino alle più recenti Poplawski (C-579/15 e C-573/17), in cui si è affermato dapprima l'obbligo di "interpretazione conforme" della legislazione nazionale all'atto del terzo pilastro, ancorché privo di efficacia diretta e a prescindere dal suo recepimento, per giungere ad affermare che essa deve sempre prevalere sull'eventuale difforme interpretazione accolta dal giudice nazionale di ultima istanza, laddove questa si basi su un'interpretazione del diritto incompatibile con gli scopi della Decisione Quadro e con il diritto dell'Unione.

13.2. Siffatte brevi precisazioni, pur scontate, appaiono utili per inquadrare la questione in esame.

14. Il D.Lgs. n. 36 del 2016, come si è visto, assolve - pur tardivamente rispetto al termine previsto dal Trattato di Lisbona, che aveva imposto la trasposizione degli atti dell'acquis del terzo pilastro entro il quinquennio successivo all'entrata in vigore del Trattato - il compito di dare attuazione nell'ordinamento italiano alla Decisione Quadro 2009/829/GAI del Consiglio dell'Unione Europea del 23 ottobre 2009, inerente al reciproco riconoscimento delle decisioni sulle misure alternative alla "detenzione cautelare".

14.1. L'obiettivo della Decisione Quadro 2009/829/GAI è espresso dai Considerando, che ne formano la premessa e che ne indicano la motivazione, secondo quanto stabilito dalla Guida pratica comune del Parlamento Europeo, del Consiglio e della Commissione per la redazione dei testi legislativi dell'Unione Europea (10.5.1).

14.2. Ivi si legge, innanzitutto, che la Decisione Quadro viene adottata in conformità con le conclusioni del Consiglio Europeo riunitosi a Tampere il 15 e 16 ottobre 1999, con particolare riferimento al punto 36, per il quale il principio del reciproco riconoscimento dovrebbe applicarsi alle ordinanze preliminari; inoltre, che il programma di misure intese ad attuare il principio del reciproco riconoscimento in materia penale prende in considerazione il reciproco riconoscimento delle misure cautelari (Considerando 2). Le misure assunte dalla Decisione Quadro sono rivolte a rafforzare la protezione dei cittadini in generale, consentendo a una persona residente in uno Stato membro ma sottoposta a procedimento penale in un secondo Stato membro di essere sorvegliata dalle autorità dello Stato in cui risiede in attesa del processo. Pertanto, la Decisione Quadro "si prefigge l'obiettivo della sorveglianza dei movimenti di un imputato alla luce del preminente obiettivo della protezione dei cittadini in generale nonché del rischio rappresentato per essi dal regime esistente, che prevede due sole alternative: detenzione cautelare o circolazione non sottoposta a controllo. Le misure rinforzeranno pertanto il diritto dei cittadini rispettosi della legge di vivere in sicurezza." (Considerando 3). Le misure previste nella Decisione Quadro, dunque "dovrebbero mirare inoltre a rafforzare il diritto alla libertà e la presunzione di innocenza nell'Unione Europea nel suo complesso e assicurare la cooperazione tra gli Stati membri allorché una persona sia soggetta a obblighi o a misure cautelari durante un procedimento giudiziario". Di conseguenza, l'obiettivo (...) della decisione quadro "e' la promozione, ove opportuno, del ricorso a misure non detentive come alternativa alla detenzione cautelare, anche quando, a norma della legislazione dello Stato membro interessato, la detenzione cautelare non potrebbe essere disposta ab initio" (Considerando 4).

14.3. Ma soprattutto, ed è questo il nucleo fondamentale della motivazione della Decisione Quadro, si chiarisce che: "Per quanto concerne la detenzione di persone sottoposte a procedimento penale, esiste il rischio di una disparità di trattamento tra coloro che risiedono e coloro che non risiedono nello Stato del processo: la persona non residente nello Stato del processo corre il rischio di essere posta in custodia cautelare in attesa di processo, laddove un residente non lo sarebbe. In uno spazio comune Europeo di giustizia senza frontiere interne è necessario adottare idonee misure affinché una persona sottoposta a procedimento penale non residente nello Stato del processo non riceva un trattamento diverso da quello riservato alla persona sottoposta a procedimento penale ivi residente" (Considerando 5).

14.4. E', quindi, in questa prospettiva che occorre affrontare le previsioni di cui al D.Lgs. n. 36 del 2016, tenendo conto che le decisioni quadro vincolano al risultato, lasciando agli Stati, nel rispetto del principio di sussidiarietà, la forma e i mezzi per ottenerlo.

15. La legenda contenuta nel D.Lgs. n. 36 del 2016, art. 2, che ripete in sostanza quella dell'art. 4 della Decisione Quadro, stabilisce alla lett. b) che per "decisione sulle misure cautelari" si intende "un provvedimento emesso nel corso del procedimento penale dall'autorità giudiziaria con cui si impongono a una persona fisica, in alternativa alla detenzione cautelare, uno o più obblighi e prescrizioni". Mentre, l'art. 4, che riprende il disposto dell'art. 8 della Decisione Quadro, prevede che le disposizioni introdotte con il D.Lgs. si applichino alle seguenti misure cautelari: a) obbligo di comunicare ogni cambiamento di residenza, in particolare al fine di assicurare la ricezione della citazione a comparire a un'audizione o in giudizio nel corso del procedimento penale; b) divieto di frequentare determinati luoghi, posti o zone del territorio dello Stato di emissione o dello Stato di esecuzione; c) obbligo di rimanere in un luogo determinato, eventualmente in ore stabilite; d) restrizioni del diritto di lasciare il territorio dello Stato; e) obbligo di presentarsi nelle ore fissate alla autorità indicata nel provvedimento impositivo; f) obbligo di evitare contatti con determinate persone che possono essere a qualunque titolo coinvolte nel reato per il quale si procede; g) divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali.

15.1. Ora, ciò che è necessario comprendere è che cosa si debba intendere, alla luce degli obiettivi perseguiti dalla Decisione Quadro 2009/829/GAI, per "detenzione cautelare", ovvero se essa corrisponda ad ogni forma di misura cautelare che importi una coercizione fisica della libertà, ovverosia custodia cautelare in carcere o arresti domiciliari, oppure se essa riguardi solo la massima misura restrittiva, vale a dire la detenzione carceraria. La Decisione Quadro, infatti, utilizza l'espressione "detenzione cautelare" con linguaggio volutamente generico, in quanto esso deve essere adattabile alle legislazioni interne di ciascuno Stato membro, non essendo competenza dell'Unione distinguere fra custodia carceraria e altro tipo di misura limitativa della libertà personale che ne importi la compressione fisica.

15.2. Avuto riguardo al Preambolo della Decisione Quadro 2009/829/GAI, ampiamente riportato, è necessario, a questo punto, fare un ragionamento a contrario, chiedendosi se ritenere che la locuzione "detenzione cautelare", ove intesa come comprensiva della misura degli arresti domiciliari - e cioè di tutte le misure custodiali - consenta di ritenere raggiunto l'obiettivo prefissatosi dall'Unione con l'adozione della Decisione Quadro o se, invece, solo la collocazione degli arresti domiciliari fra le misure "alternative alla detenzione cautelare" permetta di conseguirlo.

15.3. Ebbene, deve osservarsi che la prima opzione implica il tradimento dello scopo della Decisione Quadro, come chiarito al Considerando 5) del Preambolo, che ne informa la motivazione. Ed invero, ove si reputasse che la misura degli arresti domiciliari sia da ritenersi secondo il diritto dell'Unione una forma di "detenzione cautelare", cioè una misura non disciplinata dalle norme attuative della Decisione Quadro, non essendo ad essa alternativa, dovrebbe ritenersi che disporre la misura della custodia in carcere per un cittadino Europeo non residente nello Stato, privo di un domicilio sul territorio nazionale dove eseguire la misura degli arresti domiciliari, non costituisca discriminazione fondata sulla residenza in un altro Stato membro, allorquando per un residente quella degli arresti domiciliari sarebbe decisione "adeguata". Una simile soluzione, infatti, conduce a ritenere che mai per il residente in Stato diverso dell'Unione, privo di indirizzo sul territorio italiano, sia possibile disporre la misura degli arresti domiciliari, posto che trattandosi di "detenzione cautelare" ad essa non si applicano le disposizioni attuative della normativa Europea, riservate alle sole misure alternative. Ma ciò è in contrasto con ciò che la Decisione Quadro considera discriminatorio laddove spiega che "in uno spazio comune Europeo di giustizia senza frontiere è necessario adottare misure idonee affinché una persona sottoposta a procedimento penale non residente nello Stato del processo non riceva un trattamento diverso da quello riservato alla persona sottoposta al procedimento penale ivi residente" (Considerando 5) ultima parte).

15.4. Diversamente se si ritiene che per "detenzione cautelare" si intenda solo la misura della custodia in carcere, siffatta discriminazione non si realizza, posto che viene consentito che qualsiasi misura diversa dalla detenzione carceraria - che nelle medesime condizioni risulta "adeguata" per un residente sul territorio nazionale - sia eseguita nello Stato dell'Unione ove l'interessato ha la residenza. E ciò esprime proprio il risultato perseguito dalla Decisione Quadro perché evita la discriminazione fondata sulla residenza, anche nel caso in cui la misura "adeguata" sia quella degli arresti domiciliari.

15.5. Tale è la ragione per la quale, in ossequio ai principi enunciati dalla Corte di Giustizia Europea (CG n. 283/81 del 6 ottobre 1982, Cilfit, integrati da CG n. 561/19 del 6 ottobre 2019, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi pubblicata durante la stesura della presente motivazione), pur essendo la questione rilevante, il Collegio ha ritenuto che non sussistessero i presupposti per formulare alla Corte di Giustizia una questione preliminare interpretativa ai sensi dell'art. 267 par.1 lett.b) TFUE in merito al significato della locuzione "detenzione cautelare", non essendo pregiudicata la corretta e uniforme interpretazione del diritto dell'Unione in presenza di un significato chiaro della disposizione (acte clair), ove si tenga conto dello scopo del diritto dell'Unione espresso in una Decisione Quadro e del rapporto di tale genere di atto con la legislazione degli Stati membri; non ritenendosi sussistente il rischio che in altri Stati membri la locuzione possa avere altro senso; non essendovi decisioni interpretative in senso contrario della Corte di Giustizia sul punto (acte eclaire).

16. Esaminando, d'altro canto, il dettato legislativo, esso permette siffatta interpretazione conforme allo scopo vincolato della Decisione Quadro, posto che all'art. 4, fra le misure alternative alla detenzione cautelare - cioè alle misure regolate con il provvedimento normativo - prevede alla lett. c) "l'obbligo di rimanere in un luogo determinato, eventualmente ad ore stabilite", delineando una situazione certamente sovrapponibile a quella prevista dall'art. 284 c.p.p., con cui si impone il divieto di allontanamento dal luogo di esecuzione degli arresti domiciliari, ma si regola anche (al comma 3) la possibilità di conformare gli obblighi alle indispensabili esigenze di vita, autorizzando l'allontanamento in particolari orari e con particolari modalità.

16.1. Deve, dunque, ritenersi - diversamente da quanto affermato dalla recente pronuncia della Terza Sezione penale di questa Corte (Sez.3 n. 26010 del 29 aprile 2021 Syski), che esclude la giuridica possibilità di concedere gli arresti domiciliari in uno Stato diverso dell'Unione - che gli arresti domiciliari rientrino tra le misure alternative alla "detenzione cautelare", per come intesa dal diritto nazionale in conformità al diritto dell'Unione.

16.2. Ne' potrebbe reputarsi ostativa ad una simile conclusione la considerazione dell'impossibilità di intervenire tempestivamente per il caso di violazione degli obblighi imposti con la misura domiciliare, essendo espressamente previsto dall'art. 19, par. 3 della Decisione Quadro 2009/829/GAI che l'autorità competente dello Stato di esecuzione informi "senza indugio" l'autorità competente dello Stato di emissione di "qualsiasi inosservanza di una misura cautelare e di qualsiasi altro elemento tale da comportare l'adozione di un'ulteriore decisione" e quindi anche di modifica della misura cautelare, ai sensi dell'art. 18, par. 1 della medesima Decisione Quadro, con relativo ritiro del certificato. Essendo sinanco previsto dall'art. 23 che lo Stato di esecuzione solleciti l'adozione di provvedimenti entro un certo termine, potendo svincolarsi dall'obbligo di sorveglianza solo quando ciò non avvenga.

16.3. Traspare, invero, nella trama della Decisione Quadro 2009/829/GAI, al di là del meccanismo operativo fondante il riconoscimento reciproco delle decisioni, il riflesso della reciproca fiducia sulla capacità di ciascuno Stato di assicurare nello spazio comune Europeo di giustizia quella stessa sorveglianza sull'esecuzione di una misura cautelare che sarebbe garantita dallo Stato che la impone.

16.4. Accedendo all'ultima opzione interpretativa e', dunque, possibile leggere il disposto normativo in modo conforme all'obiettivo espresso nel Preambolo della Decisione Quadro 2009/829/GAI. Una diversa lettura, che non includa la misura degli arresti domiciliari fra le misure alternative alla "detenzione cautelare" cui si applicano le disposizioni del D.Lgs., invece, imporrebbe a questa Corte di legittimità di sollevare la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 36 del 2016, artt. 2 e 4 in relazione al disposto degli artt. 3e 11 Cost. e art. 117 Cost., comma 1, per difetto di adeguamento ai vincoli dell'ordinamento sovranazionale, siffatte norme del provvedimento legislativo interno ponendosi in contrasto con la ratio della Decisione 2009/829/GAI in senso discriminatorio fra soggetti residenti nell'Unione Europea.

Nondimeno, come si è visto, l'intero impianto del D.Lgs. n. 36 del 2016 consente una lettura conforme sia alla Decisione Quadro e alle sue motivazioni, che al dettato costituzionale.

17. Esaminando il provvedimento impugnato alla luce delle ragioni espresse, il Tribunale per il riesame, da un lato, lega la decisione di applicare la misura più afflittiva al pericolo di fuga - desunto dall'assenza di legami stabili in Italia dall'altro, afferma di non poter disporre "misure alternative con esecuzione nello Stato estero ove risiederebbe il ricorrente" atteso che le disposizioni del D.Lgs. n. 36 del 2016 concernono "la diversa situazione in cui, una volta disposta una misura non detentiva dall'autorità giudiziaria italiana e in corso di esecuzione sul nostro territorio, ne possa essere operato, su iniziativa del Pubblico ministero, con l'intervento del Ministero della Giustizia, il riconoscimento da parte di altro Stato dell'Unione ai fini della prosecuzione sul relativo territorio".

17.1. Si tratta di un'impostazione che si fonda essenzialmente sul presupposto, qui contraddetto, secondo cui gli arresti domiciliari non rientrano fra le misure alternative alla detenzione cautelare ai sensi del D.Lgs. n. 36 del 2016, art. 4, come riproducente il disposto dell'art. 8 della Decisione Quadro 2009/829/GAI, e, pertanto, non possono essere eseguiti all'estero. Sicché, l'assenza di un valido domicilio in Italia non consentirebbe di arginare le esigenze cautelari con la misura gradata, il che impone l'applicazione della misura della custodia in carcere, unica idonea a tutelare il pericolo di fuga.

17.2. Ma si tratta anche di un'impostazione che implica l'erroneo assunto secondo il quale, nella scelta della misura cautelare da ritenere adeguata e proporzionale, non incide la possibilità di eseguirla in altro Stato dell'Unione, restando la sua individuazione limitata alle sole cautele eseguibili nel territorio nazionale, che, solo per l'intervento del Pubblico ministero nella fase esecutiva possono "proseguire" nel territorio di uno Stato diverso dell'Unione.

17.3. Ora, va rilevato che una simile impostazione collide, innanzitutto, con la disposizione di cui al D.Lgs. n. 36 del 2016, art. 5. Ivi, infatti, si prevede che il Pubblico ministero "provvede, osservate le condizioni di cui all'art. 6, alla trasmissione della decisione sulle misure cautelari all'autorità competente dello Stato membro in cui l'interessato ha residenza legale ed abituale, quando l'interessato abbia manifestato la volontà di fare rientro in quello Stato". Non e', dunque, affatto necessario che la misura cautelare applicata "sia in corso di esecuzione nel nostro territorio", come ritenuto dal giudice del riesame. Tanto è vero che, secondo il D.Lgs. n. 36 del 2016, art. 6, comma 1, "la trasmissione all'estero è disposta immediatamente dopo la decisione delle misure cautelari, con l'indicazione del periodo di applicazione".

17.4. Quella del Pubblico ministero, invero, non va intesa come una facoltà, diversamente da quanto affermato da altra pronuncia di questa Corte secondo cui "L'attivazione della procedura per l'esecuzione di una misura cautelare non detentiva in altro Paese dell'Unione - possibilità introdotta dal D.Lgs. n. 36 del 2016, che ha conformato il diritto interno alla Decisione Quadro 2009/829/GAI del Consiglio, del 23 ottobre 2009, sull'applicazione tra gli Stati membri dell'Unione Europea del principio del reciproco riconoscimento alle decisioni sulle misure alternative alla detenzione cautelare - è provvedimento di natura esecutiva rimesso alla valutazione discrezionale del pubblico ministero, il cui controllo di legittimità è effettuabile attraverso l'attivazione dell'incidente di esecuzione" (In motivazione, la S.C. ha altresì precisato che i parametri che devono guidare il pubblico ministero nell'esercizio di tale potere attengono al bilanciamento tra l'interesse della persona sottoposta a cautela a rientrare presso lo Stato di residenza (o altro indicato) e l'interesse collettivo alla tutela della sicurezza, che informa l'intero sistema cautelare, in coerenza con le indicazioni contenute negli artt. 3 e 5 della decisione quadro 2009/829/GAI) (Sez. 2, n. 26526 del 09/03/2017, Dombrovski, Rv. 270357). Il suo intervento, ai sensi dell'art. 5 cit. va, invece, inteso come un obbligo di dare attuazione alla decisione assunta dal giudice della cautela, tanto è vero che la lettera della disposizione non prevede alcuna discrezionalità. Egli infatti "provvede" alla trasmissione, senza che gli venga conferita altra alternativa.

17.5. Ne' vale ad autorizzare una lettura differente la considerazione, pur formulata dalla pronuncia appena richiamata, secondo cui l'esecuzione all'estero costituirebbe un "esito eventuale" non obbligatorio, perché la Decisione Quadro all'art. 9, parr. 1 e 3, stabilisce che la decisione "può" e non "deve" essere trasmessa allo Stato membro in cui l'interessato risiede. Siffatta facoltatività, infatti, non solo non è rinvenibile nel testo del D.Lgs. n. 36 del 2016, art. 5, che stabilisce che il Pubblico ministero "provvede" e non che "può provvedere", ma neppure è desumibile dal testo della Decisione Quadro, laddove stabilisce che "La decisione sulle misure cautelari può essere trasmessa all'autorità competente dello Stato membro in cui l'interessato risiede (...) nei casi in cui l'interessato, informato delle misure in questione, acconsente a ritornare in detto Stato". Non e', dunque, dalla valutazione del Pubblico ministero che dipende l'esecuzione all'estero di una misura cautelare, ma dalla decisione del giudice della cautela che impone una misura eseguibile anche in altro Stato membro dell'Unione e dalla volontà dell'interessato di acconsentire a siffatto tipo di esecuzione.

18. L'impostazione del giudice del riesame collide, non ultimo, con i criteri di scelta delle misure cautelari imposti dall'art. 275 c.p.p., in quanto supera l'obbligo di gradare la misura con "il minor sacrificio necessario", finendo per porre sullo stesso piano due misure di gravità crescente, sotto il profilo della compressione della libertà, quali sono gli arresti domiciliari e la custodia cautelare in carcere, non sul presupposto della valutazione dei contenuti minimi indispensabili a soddisfare le esigenze del caso concreto, ma sulla base dell'errato presupposto che l'assenza di un domicilio sul territorio nazionale realizzi la condizione di cui all'art. 275 c.p.p., comma 2 bis, u.p.. E ciò, mentre la Decisione Quadro indica una diversa e opposta direzione, che invita a considerare lo "spazio comune Europeo" come uno "spazio di giustizia comune" in cui il reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie in materia cautelare trova la sua attuazione nell'esecuzione del provvedimento da parte di uno Stato dell'Unione - ove sia radicato l'interessato - diverso da quello che lo ha assunto, sulla base del presupposto che informa tutto il sistema, ovverosia che vi sia il medesimo interesse di tutti gli Stati appartenenti all'Unione a mantenere "uno spazio di sicurezza comune" e ad assicurare "la non discriminazione" fra i residenti nell'Unione.

19. Conclusivamente, va affermato il seguente principio di diritto: "Spetta sempre al giudice nazionale scegliere la misura secondo i criteri previsti dall'art. 275 c.p.p., facendo riferimento ai principi di proporzionalità e adeguatezza; egli non ha alcun obbligo di applicare una misura non detentiva sulla base della sola normativa Europea al fine di non determinare discriminazioni, qualora ritenga che le esigenze cautelari non possano essere altrimenti soddisfatte se non con quella misura. E tuttavia, il giudice non può negare una misura alternativa alla detenzione carceraria - ivi compresa, come si è detto, quella degli arresti domiciliari - sul mero presupposto dell'assenza di un indirizzo di esecuzione sul territorio nazionale, perché la disponibilità di un indirizzo presso altro Stato dell'Unione, in cui l'interessato sia radicato, equivale alla disponibilità di un indirizzo in Italia".

E ciò perché ogni Stato dell'Unione assicura la sorveglianza sull'esecuzione della misura, salvo che non rifiuti di farlo per uno di motivi di cui all'art. 15 della Decisione Quadro 2009/829/GAI. In questo caso, e solo in questo caso, il giudice italiano potrà ritenere l'interessato privo di indirizzo per l'esecuzione di una misura alternativa alla detenzione, disponendo di conseguenza.

Avendo l'ordinanza impugnata ritenuto elemento fondante l'adozione della massima misura cautelare proprio il pericolo di fuga, ritenuto tale solo perché nessun domicilio era disponibile in Italia, ove il cittadino spagnolo non ha legami stabili, ed essendo, invece, necessario compiere detta valutazione anche con riferimento alla disponibilità dell'indirizzo di esecuzione in altro Stato dell'Unione, l'ordinanza deve essere annullata per un nuovo vaglio sia sul profilo di cui supra (par. 11), che in relazione a quello qui in esame.

P.Q.M.

Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Roma per nuovo giudizio.