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Amministratore pubblico offre cena a commensali: è peculato? (Cass. 16529/17)

3 aprile 2017, Cassazione penale

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Il dolo del reato di peculato è caratterizzato dalla mera coscienza e volontà di appropriarsi del denaro o della cosa mobile altrui, atteggiandosi quindi sotto la specie del dolo generico che richiede la certa consapevolezza della altruità del denaro e, in questo specifico, caso della natura pubblica dello stesso; è noto inoltre che in tema di peculato, l'errore del pubblico ufficiale circa la propria facoltà di disposizione di un bene pubblico per fini diversi da quelli istituzionali non configura un errore di fatto su legge diversa da quella penale, atto ad escludere il dolo, ma costituisce errore o ignoranza della legge penale il cui contenuto è integrato dalla norma amministrativa che disciplina la destinazione del bene pubblico.

In tema di reato di peculato, sono legittimamente e propriamente qualificabili come "spese di rappresentanza" solo quelle che soddisfino un duplice ordine di requisiti, uno strutturale, l'altro funzionale, rappresentati, da un lato, dal fatto di corrispondere esse ad un fine istituzionale proprio dell'Ente che le sostiene e, dall'altro, di essere perciò funzionali all'immagine esterna e pubblica dell'Ente stesso in termini maggiore prestigio, di maggiore immagine e di maggiore diffusione delle relative attività istituzionali nell'ambito territoriale di operatività.

Commette il delitto di peculato il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, eroghi denaro pubblico di cui possa disporre materialmente attraverso l'adozione di atti di sua competenza sottoposti da terzi a controlli meramente formali, tali da non consentire un esame approfondito del titolo di pagamento.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

 (ud. 23/02/2017) 03-04-2017, n. 16529

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROTUNDO Vincenzo - Presidente -

Dott. GIANESINI Maurizio - rel. Consigliere -

Dott. MOGINI Stefano - Consigliere -

Dott. RICCIARELLI Massimo - Consigliere -

Dott. CAPOZZI Angelo - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

A.D. nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 14/04/2016 della CORTE APPELLO di BRESCIA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 23/02/2017, la relazione svolta dal Consigliere MAURIZIO GIANESINI;

Udito il Procuratore Generale in persona del ROBERTO ANIELLO che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;

Avv. AA che ha insisto per l'accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo


1. Il Difensore di A.D. ha proposto ricorso per Cassazione contro la sentenza con la quale la Corte di Appello di BRESCIA aveva assolto l'imputato per alcune ipotesi di peculato, aveva riconosciuto le circostanze attenuanti generiche e aveva sostituito l'interdizione perpetua dai Pubblici uffici con quella temporanea, confermando per il resto la sentenza di primo grado.

1.1 L' A. è imputato di una pluralità di ipotesi di peculato per avere illecitamente autorizzato, in quanto Sindaco del Comune di (OMISSIS) e Responsabile del Servizio, il pagamento in suo favore di ricevute e fatture relative a spese di rappresentanza che non rivestivano in realtà tale finalità.

2. Il ricorrente ha dedotto quattro motivi di ricorso, tutti riferiti ad affermata inosservanza ed erronea applicazione di legge penale o a vizi di motivazione.

2.1 Con il primo motivo, il ricorrente ha sottolineato che la Corte aveva sostanzialmente omesso di rendere adeguata motivazione in ordine ai profili di esclusione dell'elemento soggettivo del reato sollevati con i motivi di appello e aveva sostenuto la sussistenza, da parte del Pubblico ufficiale, di un obbligo di preventiva, completa informazione circa la normativa e la giurisprudenza relative alle spese di rappresentanza la cui violazione si sostanziava in realtà in un atteggiamento meramente colposo, tanto più che la legge del settembre 2011 che aveva per la prima volta definito il concetto e la natura delle spese di rappresentanza era successiva ai fatti.

2.2 Con il secondo motivo, il ricorrente ha sviluppato le considerazioni critiche svolte in tema di affermata sussistenza dell'elemento soggettivo del reato osservando ancora che la Corte non aveva dato il giusto rilievo al fatto che l'imputazione della spesa si collocava nell'ambito di un procedimento amministrativo articolato in più fasi al quale partecipavano più soggetti distinti, in particolare il Responsabile finanziario che, con un visto di copertura sulle determine di pagamento, autorizzava definitivamente il pagamento del servizio e aveva comunque la facoltà di bloccarlo se ritenuto non regolare.

Il Responsabile finanziario non aveva mai mosso nessun rilievo in merito alla regolarità dei pagamenti, così che, in difetto assoluto di qualsiasi indicazione circa accordi illeciti tra l'imputato e il suddetto responsabile per l'autorizzazione alla liquidazione di spese che non potevano essere liquidate, restava dimostrata l'assoluta convinzione dell'imputato che quelle autorizzate fossero in realtà ed effettivamente qualificabili come spese di rappresentanza.

Del resto, ha proseguito il ricorrente, la dubbia e altalenante interpretazione delle norme e delle prassi vigenti sul punto specifico della qualificazione delle spese di rappresentanza aveva determinato un errore scusabile tale da escludere l'elemento soggettivo del reato.

2.3 Con il terzo motivo, il ricorrente ha censurato la tesi della Corte di Appello secondo la quale le spese indicate nella imputazione non potevano essere qualificate come spese di rappresentanza quando in realtà si trattava di saldi di incontri conviviali nel corso dei quali l'imputato si era intrattenuto o con il Presidente della Banca di Credito Cooperativo del Garda o con altri Sindaci del territorio per fini direttamente riferibili a quelli pur previsti dalla successiva normativa del 2011, nell'intento di ottenere finanziamenti per il proprio Comune o di concordare con altri Sindaci delle linee guida uniformi nei rapporti con la Comunità Montana.

2.4 Con il quarto motivo, il ricorrente ha lamentato che la Corte avesse confuso il momento del perfezionamento della obbligazione di pagamento con quello della effettuazione reale della spesa che necessitava invece di un previo impegno contabile registrato e, ha sottolineato ancora, più in generale, che la procedura seguita dall'imputato per la liquidazione delle spese suddette era pienamente rispettosa della disciplina vigente nel corso della quale erano intervenuti poi più soggetti, così che in realtà non sussisteva alcuna disponibilità anche mediata del denaro e alcuna appropriazione penalmente rilevante in termini di peculato dato che la determina di impegno di spesa assunta dall'imputato, non integrava di per sè l'assunzione di spesa in capo all'Ente; in ogni caso, poi, a tutto voler concedere, non di appropriazione si potrebbe trattare ma di distrazione delle somme non più punibile a titolo di peculato dopo la riforma del 1990.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato, nei limiti di cui sotto si dirà, e la sentenza impugnata va annullata senza rinvio perchè il fatto non costituisce reato.

2. L'ordine delle questioni da esaminare, parzialmente diverso da quello proposto nel ricorso che individua come logicamente prioritario il tema dell'elemento soggettivo del reato e poi quello della disponibilità e appropriazione delle somme in contestazione, va in realtà invertito dal momento che si tratta qui di accertare, prima di tutto, se le somme stesse siano effettivamente corrispondenti a spese di rappresentanza, poi se le stesse siano state oggetto di effettiva disponibilità e poi di appropriazione e, infine, se l'imputato avesse la certa consapevolezza di appropriarsi di somme che non gli spettavano in quanto non qualificabili come appunto come spese di rappresentanza.

3. Sotto il primo profilo, quello della qualificazione delle spese in questione, va ancora brevemente ricordato, in fatto, che l'imputato ha disposto la liquidazione in suo favore di somme di denaro per pranzi presso ristoranti ed esercizi pubblici cui egli aveva partecipato quale Sindaco del Comune di (OMISSIS) con amministratori locali e altri Sindaci della zona per discutere della possibilità di costituire una nuova unione di Comuni in contrapposizione alla Comunità Montana la cui linea politica non era condivisa dai Comuni stessi; tre di queste liquidazioni, poi, si riferivano a pranzi cui aveva partecipato l'imputato con Funzionari della Banca di Credito Cooperativo del Garda, finalizzati ad ottenere sovvenzioni e prestiti per attività istituzionali del Comune stesso.

3.1 La sentenza di secondo grado ha ricordato lo stato della legislazione e della giurisprudenza, penale e contabile, sul punto specifico della delimitazione della nozione di "spese di rappresentanza"; così, sintetizzando le conclusioni della Corte di Appello di BRESCIA che non sono state in sè e per sè contestate dal ricorrente, si è ricordato che ai fini della configurabilità del reato di peculato, possono considerarsi "spese di rappresentanza" soltanto quelle destinate a soddisfare la funzione rappresentativa esterna dell'ente pubblico al fine di accrescere il prestigio della sua immagine e darvi lustro nel contesto sociale in cui si colloca (Cass. Sez. 6 del 6/11/2012 n. 10135, Raimondi, Rv 254763, confermativa di Cass. Sez. 6 del 1/2/2006 n. 10908, Caffaro, Rv 234105).

3.2 In definitiva, quindi, si può sicuramente ribadire il principio secondo il quale, in tema di reato di peculato, sono legittimamente e propriamente qualificabili come "spese di rappresentanza" solo quelle che soddisfino un duplice ordine di requisiti, uno strutturale, l'altro funzionale, rappresentati, da un lato, dal fatto di corrispondere esse ad un fine istituzionale proprio dell'Ente che le sostiene e, dall'altro, di essere perciò funzionali all'immagine esterna e pubblica dell'Ente stesso in termini maggiore prestigio, di maggiore immagine e di maggiore diffusione delle relative attività istituzionali nell'ambito territoriale di operatività.

3.3 Sulla base della definizione sopra accennata, definizione, lo si ripete, non contestata nemmeno in sede di ricorso, va riconosciuto che, oggettivamente, le spese enunciate nel capo di imputazione non potevano rientrare nella nozione di "spese di rappresentanza" come sopra individuata; i Giudici di merito hanno affermato, con motivazione sostanzialmente persuasiva, che le spese in questione erano prive di entrambi i requisiti sopra individuati, di quello strutturale in quanto le occasioni conviviali a seguito delle quali le stesse erano state sostenute non rivestivano alcuna importanza pubblica locale trattandosi sostanzialmente di riunioni politiche estranee ai fini istituzionali dell'Ente comunale, di quello funzionale dato che, conseguentemente, le spese stesse non erano relative ad eventi che avessero in qualche modo rappresentato un incremento, in termini di maggiore risonanza anche mediatica, del prestigio e della complessiva immagine del Comune di (OMISSIS).

4. Sul tema specifico della disponibilità del denaro pubblico in capo all'imputato e della materiale appropriazione dello stesso, vanno condivise le persuasive considerazioni svolte dalla Corte di Appello di BRESCIA. 4.1 Le sentenza di merito, infatti, hanno dettagliatamente ricostruito le modalità di fatto con le quali le somme in questione, prima tramite impegni di spesa, poi con le relative determine, poi ancora con la liquidazione e infine con l'ordine di pagamento, sono state materialmente liquidate dall'imputato, in veste di Responsabile del Servizio, a se stesso e anche su questo specifico aspetto non vi sono particolari considerazioni critiche nel ricorso.

4.2 Quello che il ricorrente afferma, invece, è che l'imputazione della spesa si collocava nell'ambito di un procedimento amministrativo non solo articolato in più fasi ma anche caratterizzato dalla partecipazione di più soggetti distinti e, in particolare, da un Responsabile finanziario, persona fisica diversa dall' A., che autorizzava definitivamente, con un visto di copertura sulle determine di pagamento, la liquidazione delle spese; da questi dati di fatto, di per sè non confutabili, il ricorrente ha tratto la conclusione che l'imputato non disponesse in realtà dei denari pubblici del Comune dai quali sono state tratte le spese più volte citate.

4.3 La tesi di cui sopra non è persuasiva; si tratta qui di accertare se la Corte di BRESCIA abbia fatto buon governo dei principi di diritto stabiliti dalla Corte di Cassazione in tema di disponibilità per ragioni di ufficio, da parte del soggetto attivo del reato di peculato, del denaro e la verifica è senza dubbio positiva posto che la Corte di Cassazione, in più occasioni, ha avuto modo di chiarire che commette il delitto di peculato il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, eroghi denaro pubblico di cui possa disporre materialmente attraverso l'adozione di atti di sua competenza sottoposti da terzi a controlli meramente formali, tali da non consentire un esame approfondito del titolo di pagamento (si veda, da ultimo, Cass. Sez. 6 del 8/4/2016 n. 20666, De Sena, Rv 268030); tanto più convincente si presenta l'argomentazione della Corte bresciana una volta che si consideri, per un verso, che non vi è alcuna indicazione certa in atti della affermata facoltà del Responsabile finanziario di esaminare approfonditamente i titoli di pagamento e di bloccarne effettivamente l'esecutività se ritenuti in qualche modo illegittimi (come riconosciuto espressamente nella motivazione della sentenza impugnata) e, dall'altro, che le determine di spesa, con le quali le somme venivano destinate a determinati scopi, e la relativa liquidazione erano stati adottati con una unico atto, con ciò rendendo il possibile controllo di un terzo praticamente impossibile.

4.4 Quanto poi alla materiale appropriazione delle somme, non si comprendono le osservazioni critiche del ricorrente, che sollecita una riqualificazione del fatto in termini di abuso di ufficio ex art. 323 c.p., dato che le somme stesse sarebbero state in realtà oggetto di distrazione, dal momento che non vi sono dubbi di alcun genere (e lo stesso ricorrente concorda in fatto sul punto) sulla circostanza che i denari in questione, attraverso le procedure deliberative e liquidatorie descritte nelle sentenze di merito e più sopra brevemente riassunte, siano stati incamerati dall' A. appunto a titolo di spese di rappresentanza.

5. Rimane da affrontare, da ultimo, il tema della sussistenza dell'elemento soggettivo del reato ed è in riferimento a questo profilo che il ricorso appare fondato e meritevole di accoglimento.

5.1 Va chiarito brevemente, per quanto di diretta rilevanza, che il dolo del reato di peculato resta caratterizzato dalla mera coscienza e volontà di appropriarsi del denaro o della cosa mobile altrui, atteggiandosi quindi sotto la specie del dolo generico che richiede la certa consapevolezza della altruità del denaro e, in questo specifico, caso della natura pubblica dello stesso; è noto inoltre che in tema di peculato, l'errore del pubblico ufficiale circa la propria facoltà di disposizione di un bene pubblico per fini diversi da quelli istituzionali non configura un errore di fatto su legge diversa da quella penale, atto ad escludere il dolo, ma costituisce errore o ignoranza della legge penale il cui contenuto è integrato dalla norma amministrativa che disciplina la destinazione del bene pubblico (Cass. Sez. 6 del 10/3/2016 n. 13038, Bertin, Rv 266192).

5.2 In sostanziale svolgimento della linea argomentativa sopra accennata, il Tribunale prima e la Corte di Appello poi hanno affermato che l' A., nella sua veste di responsabile del servizio in possesso delle necessarie competenze professionali tecnico amministrative, era tenuto alla piena conoscenza della legislazione e della giurisprudenza vigenti in tema di individuazione della nozione di spesa di rappresentanza, il tutto in adempimento di un obbligo di diligenza e di completa informazione, così che la violazione della normativa di settore sopra richiamata lo costituiva direttamente e necessariamente in dolo.

5.3 L'argomentazione svolta dai Giudici di merito non può però essere condivisa; essa, infatti, non sembra considerare con la dovuta attenzione che l'essenza della tesi difensiva dell'imputato, svolta fino al ricorso in Cassazione, non è costituita dalla affermazione di non aver sufficientemente conosciuto o negligentemente trascurato o in qualche modo frainteso la normativa e la giurisprudenza in tema di natura ed estensione della nozione di spese di rappresentanza, (ipotesi, quest'ultima, in cui in effetti l'errore del pubblico ufficiale si atteggia ad inescusabile errore di diritto come sopra accennato e in riferimento alla quale ha senso il rimprovero di incompetenza e di scarsa informazione mosso dalla Corte) quanto piuttosto di avere ritenuto, per le concrete circostanze in cui le spese sono state sostenute e per i fini che le avevano caratterizzate, che si trattasse in effetti di spese di rappresentanza anche alla luce della normativa richiamata, di cui non è affatto affermata, lo si ripete, nè l'ignoranza nè la imprecisa conoscenza nè un errore di interpretazione.

5.4 E' evidente, allora, che la prospettazione difensiva si risolve non nell'affermazione di un errore di diritto, come ritenuto dai Giudici di merito sulla scia della giurisprudenza di legittimità sopra accennata, quanto piuttosto nella difettosa percezione della realtà effettuale e nella conseguente pretesa di esclusione di una certa e sicura consapevolezza, da parte dell' A., della natura pubblica del denaro oggetto di appropriazione e quindi, direttamente, nella protesta di una sostanziale assenza di dolo, individuato, quest'ultimo, nei termini di cui al n. 5.1 che precede.

5.5 Alla luce delle specificazioni e delle considerazione svolte più sopra, sembra allora che la tesi della mancata, piena percezione della natura pubblica del denaro oggetto di appropriazione possa effettivamente trovare ingresso in quanto adeguatamente dimostratata nel caso in esame; ed infatti, ricordato l'ambito strutturale e funzionale della nozione di "spesa di rappresentanza" che si è tratteggiato ai numeri che precedono, non si può non sottolineare ora che le spese per i pranzi e le altre occasioni conviviali liquidate dall' A. a se stesso ed oggetto di appropriazione, anche se oggettivamente esulano dalla nozione di cui si è più volte detto per le ragioni sopra indicate, erano comunque riconducibili ad eventi e situazioni in qualche modo e in senso lato istituzionali e a finalità in qualche modo e in senso lato pubbliche, dato che si trattava di incontri conviviali destinati, per un verso, a concordare, con gli altri Comuni del circondario, una linea operativa comune nei confronti della Comunità Montana, e, dall'altro, ad ottenere dal una Banca locale un qualche prestito o una qualche agevolazione finanziaria a beneficio sempre del Comune di (OMISSIS), con possibile e tutt'altro che imprevedibile incremento nella popolazione, in termini di prestigio e di conoscenza della attività dell'Ente, della complessiva immagine pubblica e politica del Comune.

5.5 Gli elementi di cui sopra, in uno con l'assenza totale di indicazioni circa un qualche ulteriore "approfittamento" esclusivamente personale da parte dell' A. nella vicenda un argomento, sembrano univoci nel delineare una sorta di errore di fatto ex art. 47 c.p., comma 1, scusabile nei termini indicati dalla norma citata, capace di escludere, a livello di elemento soggettivo del reato, il momento rappresentativo del dolo e cioè la certa consapevolezza, per un verso, della natura delle spese sostenute dal Sindaco come sicuramente non "di rappresentanza" e, per l'altro e conseguentemente, della appartenenza del denaro oggetto di appropriazione alla pubblica amministrazione; sulla conclusione ora raggiunta non incide poi evidentemente il fatto che in analoghe situazioni altri Sindaci avessero sostenuto le spese in prima persona, dato che la circostanza è emersa in dibattimento per la prima volta e non era allora nota all' A. nel momento in cui egli si era liquidato i relativi importi.

6. L'esclusione del dolo, come sopra argomentata, conduce quindi all'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perchè il fatto non costituisce reato.

P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non costituisce reato.

Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 3 aprile 2017