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Amministratore di società fallita non ha diritto all'oblio (Cass. 19761/17)

9 agosto 2017, Cassazione civile

L'ordinamento italiano non contempla il diritto di ottenere la cancellazione dei dati iscritti nel registro delle imprese, in particolare del nome dell'amministratore o liquidatore di società fallita e cancellata dal registro delle imprese.

Alla stregua del quadro normativo e dei compiti istituzionalmente perseguiti dalle Camere di commercio con la tenuta del registro delle imprese, è legittima, rispondendo ad un obbligo legale, l'iscrizione e la conservazione nel registro stesso delle informazioni relative alla carica di amministratore e di liquidatore, ricoperta da un soggetto in una società, ove pure in seguito questa sia stata dapprima dichiarata fallita e, poi, cancellata dal registro delle imprese, prevalendo le esigenze della pubblicità commerciale sull'interesse del privato ad impedirla, in funzione delle ragioni di certezza nelle relazioni commerciali che l'istituzione del registro delle imprese soddisfa.

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CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

(ud. 14/06/2017) 09-08-2017, n. 19761

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina - Presidente -

Dott. DE CHIARA Carlo - Consigliere -

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro - Consigliere -

Dott. NAZZICONE Loredana - rel. Consigliere -

Dott. FALABELLA Massimo - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10042/2012 proposto da:

Camera di Commercio Industria Artigianato Agricoltura di Lecce, in persona del Segretario Generale pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Largo di Torre Argentina n. 11, presso l'avvocato Lazzaretti Andrea, rappresentata e difesa dall'avvocato Caprioli Lucio, giusta procura a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro

M.S.;

- intimato -

avverso la sentenza n. 1118/2011 del TRIBUNALE di LECCE, depositata il 01/08/2011;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 14/06/2017 dal Cons. Dott. NAZZICONE LOREDANA;

lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale CERONI Francesca, che chiede alla Corte di Cassazione, riunita in camera di consiglio, disporre la prosecuzione della trattazione del ricorso in pubblica udienza nella quale si riserva di rassegnare motivate conclusioni orali. In subordine, rimettere gli atti al Primo Presidente perchè assegni eventualmente il ricorso alle Sezioni Unite, affinchè individuino il criterio da utilizzare per la scelta del rito cui destinare la controversia, nonchè indichino la doverosità del suo mutamento in determinate condizioni.

Svolgimento del processo

M.S. ha convenuto innanzi al Tribunale la Camera di Commercio di Lecce, deducendo di essere l'amministratore unico della Italiana Costruzioni s.r.l., società edile che ha ricevuto l'appalto per la costruzione di un complesso turistico a (OMISSIS), affermando che le unità immobiliari, allo stato di rustico, non trovavano acquirenti, in quanto risultava dal registro delle imprese come il M. fosse stato in passato l'amministratore unico e il liquidatore della (OMISSIS) s.r.l., il cui fallimento era stato dichiarato nel 1992 e si era chiuso il 10 marzo 1995, con cancellazione, all'esito della liquidazione, della società dal registro delle imprese in data 7 luglio 2005.

Ha dedotto che tali dati, risultanti dal registro stesso, venivano trattati da società di informazione professionale, come la Cerved Business Information s.p.a., e che, nonostante la propria richiesta in data 10 aprile 2006, la Camera di Commercio non aveva provveduto alla loro cancellazione.

Ha concluso chiedendo la condanna della Camera di Commercio di Lecce alla cancellazione o alla trasformazione in forma anonima o al blocco dei dati che ricollegano il nome dell'attore al fallimento della (OMISSIS) s.r.l., oltre alla condanna al risarcimento del "danno all'immagine" cagionatogli.

Il Tribunale con sentenza del 1 agosto 2011 ha accolto le domande, ordinando alla Camera di Commercio, Industria e Artigianato di Lecce la trasformazione in forma anonima dei dati che collegano M.S. al fallimento della (OMISSIS) s.r.l. e condannando la convenuta al risarcimento del danno, liquidato in Euro 2.000,00, oltre interessi e spese.

Ha affermato il giudice del merito che: a) sussiste la legittimazione passiva della Camera di Commercio, perchè l'ufficio del registro delle imprese non ha personalità autonoma, nè è responsabile della diffusione dei dati la Cerved Business Information s.p.a., che si limita ad acquisire le informazioni dal registro delle imprese; b) l'indicazione del nominativo dell'amministratore unico della (OMISSIS) s.r.l. al tempo del fallimento, M.S., risultante dalla visura storica della società, dopo il decorso di dieci anni dal fallimento e di due anni dalla cancellazione dal registro delle imprese della società stessa, è privo di giustificazione, in quanto le iscrizioni che collegano il nome di una persona alla carica ricoperta in una società poi fallita non possono essere perenni, in mancanza di uno specifico interesse generale alla loro conservazione e divulgazione; e, non prevedendo il codice civile un tempo massimo d'iscrizione, deve ritenersi che, trascorso un lasso di tempo congruo dalla definizione del fallimento e cancellata l'impresa dal registro, siano difficilmente sostenibili la necessità e l'utilità, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 3 e 11, dell'indicazione nominativa dell'ex amministratore unico al tempo del fallimento, potendo l'interesse pubblico essere soddisfatto dalla indicazione delle vicissitudini della società con dati anonimi quanto alla persona fisica sua rappresentante; c) sussiste un "danno all'immagine", in quanto l'istante ha provato, mediante la prova testimoniale resa dall'amministratore unico della Chiusurelle s.r.l., committente i lavori alla Italiana Costruzioni s.r.l., amministrata dal M., che la prima ha interrotto varie trattative con potenziali acquirenti in ragione delle informazioni assunte, oltre ad avere preannunziato l'interruzione di rapporti di lavoro ove non si fossero cancellate dette informazioni dal registro delle imprese; mentre il M. non ha provato l'impossibilità, o almeno la difficoltà, di ottenere finanziamenti da banche o intraprendere rapporti con fornitori ed imprese; in definitiva, il tribunale ha liquidato tale danno nella somma equitativa di Euro 2.000,00.

Contro la sentenza la soccombente ha proposto ricorso per cassazione D.Lgs. n. 196 del 2003, ex art. 152, comma 13, affidato a sette motivi.

Non ha svolto difese l'intimato.

Con ordinanza interlocutoria del 17 luglio 2015, n. 15096, questa Corte, avendo individuato una questione di rilievo, che richiede il coordinamento di principi sottesi a distinte direttive europee, ha sospeso il procedimento, sottoponendo alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, ai sensi dell'art. 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea (TFUE), le seguenti questioni pregiudiziali:

"1) Se il principio di conservazione dei dati personali in modo da consentire l'identificazione delle persone interessate per un arco di tempo non superiore a quello necessario al conseguimento delle finalità per le quali sono rilevati o sono successivamente trattati, previsto dall'art. 6, lett. e), della direttiva 46/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 ottobre 1995, attuata D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, debba prevalere e, quindi, osti al sistema di pubblicità attuato con il registro delle imprese, previsto dalla Prima direttiva 68/151/CE del Consiglio del 9 marzo 1968 nonchè dal diritto nazionale all'art. 2188 c.c. e L. 29 dicembre 1993, n. 580, art. 8, laddove esso esige che chiunque, senza limiti di tempo, possa conoscere i dati relativi alle persone fisiche ivi risultanti.

2) Se, quindi, l'art. 3 della Prima direttiva 68/151/CE del Consiglio del 9 marzo 1968 consenta che, in deroga alla durata temporale illimitata e ai destinatari indeterminati dei dati pubblicati sul registro delle imprese, i dati stessi non siano più soggetti a "pubblicità", in tale duplice significato, ma siano invece disponibili solo per un tempo limitato o nei confronti di destinatari determinati, in base ad una valutazione casistica affidata al gestore del dato".

In data 8 settembre 2016 l'Avvocato generale presso la Corte UE ha presentato le sue conclusioni ed il 9 marzo 2017 la Corte UE ha pronunciato la sua decisione.

La causa, quindi, è stata rimessa sul ruolo per la decisione.

Il Procuratore generale ha depositato le sue conclusioni.

La ricorrente ha depositato la memoria di cui all'art. 380-bis c.p.c., n. 1.

Motivi della decisione
1. - L'istanza di rimessione alla pubblica udienza, avanzata dal Procuratore generale, va disattesa, posta la lettura estensiva del D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 2, convertito con modificazioni dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197, secondo cui tali disposizioni "si applicano ai ricorsi depositati successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, nonchè a quelli già depositati alla medesima data per i quali non è stata fissata udienza o adunanza in Camera di consiglio".

Onde, nella specie, la ragione di ammissibilità della fissazione dell'adunanza, nonostante che l'udienza pubblica si fosse già tenuta con il vecchio rito, risiede nella considerazione dirimente secondo cui, attesa la rifissazione dell'udienza a seguito del rinvio a nuovo ruolo, può dirsi che, al momento dell'entrata in vigore della riforma, non fosse stata ancora fissata l'udienza o l'adunanza di trattazione del ricorso.

In tale evenienza, il rinvio della causa a nuovo ruolo restituisce al Primo Presidente, o al suo delegato, il potere di scelta fra tale udienza e l'adunanza della Camera di consiglio (come ritenuto sin da Cass., ord., sez. un., 29 gennaio 1993, n. 101).

Giova, inoltre, ribadire che la trattazione camerale non viola il diritto costituzionale di difesa (art. 24 Cost.), sia perchè l'oralità non è di questo diritto connotato indefettibile, sia perchè le esigenze difensive sono garantite dall'osservanza di adeguato contraddittorio mediante le memorie delle parti e le conclusioni scritte del P.G..

Pertanto, anche quando il Presidente della sezione abbia errato nella individuazione del rito (camerale, laddove sussistevano i presupposti della trattazione in pubblica udienza in virtù della rilevanza e novità della questione), il collegio non è obbligato a rimettere la causa in pubblica udienza, anche per ragioni di economia processuale, ma può procedere alla decisione.

2. - I motivi del ricorso.

Con il primo motivo, la ricorrente censura la violazione del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 18 e art. 19, comma 3, oltre al vizio di insufficiente motivazione, perchè la sentenza impugnata ha finito per negare la funzione istituzionale di pubblicità legale del registro delle imprese, che costituisce una banca dati pubblica: i tre registri previsti dal codice civile (persone, beni e imprese) svolgono l'essenziale funzione di soddisfare l'interesse pubblico alla conoscenza dei dati rilevanti e rispettano i valori costituzionali, nell'equilibrio tra le libertà del singolo e delle formazioni sociali e la tutela delle stesse affidata al consesso sociale.

Con il secondo motivo, censura la motivazione erronea su fatto decisivo, avendo la sentenza impugnata affermato che la Cerved Business Information s.p.a. si è limitata ad acquisire le informazioni dal registro delle imprese, laddove invece si è verificata la rielaborazione e la diffusione dei dati da parte di questa, con conseguente difetto di legittimazione passiva della Camera di Commercio di Lecce, solo la prima avendo posto in collegamento il nome del ricorrente con il fallimento della società dal medesimo in precedenza amministrata, come del resto lo stesso M. ha dedotto nel ricorso introduttivo.

Con il terzo motivo, lamenta l'insufficiente o omessa motivazione circa il non rilevato difetto di legittimazione passiva della Camera di Commercio di Lecce, sebbene lo stesso M. avesse rivolto le proprie domande avverso l'Ufficio del Registro delle imprese, soggetto giuridico diverso.

Con il quarto motivo, deduce la nullità del procedimento, con violazione degli artt. 2188 c.c. e segg., art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c., dal momento che il M. aveva già esperito inutilmente ricorso, ai sensi dell'art. 2191 c.c., al giudice del registro delle imprese per ottenere la cancellazione della iscrizione del fallimento della società predetta, onde la successiva domanda costituiva un bis in idem.

Con il quinto motivo, lamenta l'omessa motivazione sul medesimo punto ora esposto.

Con il sesto motivo, censura la violazione dell'art. 2043 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., in quanto non è dato rinvenire in alcun modo gli estremi della imperizia o negligenza in capo alla Camera di Commercio, posto che l'ufficio del registro si è semplicemente attenuto alla rigorosa applicazione della disciplina, avendo pubblicato per legge dati reali, come confermato pure dal detto provvedimento di rigetto del giudice del registro della istanza di cancellazione delle dovute iscrizioni.

Con il settimo motivo, lamenta la falsa applicazione degli artt. 2043, 2059 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., per avere riconosciuto un danno all'immagine del M. in assoluta carenza di prova, avendo invero tenuto conto di un danno che sarebbe derivato alla Chiusurelle s.r.l. per il recesso dalle trattative di potenziali clienti, come dichiarato dall'unico testimone, che era poi proprio l'amministratore di questa società.

3. - Legittimazione passiva della Camera di commercio.

Vanno preliminarmente e congiuntamente trattati, per ragioni di priorità logico-giuridica, il secondo ed il terzo motivo, i quali pongono questioni intimamente connesse.

Essi sono infondati.

La legittimazione passiva si individua sulla base della prospettazione dell'attore, in quanto imputi al convenuto una condotta idonea ad integrare la fattispecie sostanziale invocata.

Questa Corte (ad es., Cass. 10 gennaio 2008, n. 355) ha precisato che la legitimatio ad causam, attiva e passiva, consiste appunto nella titolarità del potere e del dovere di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa, mediante la deduzione di fatti in astratto idonei a fondare il diritto azionato, secondo la prospettazione dell'attore; essa resta dunque ferma anche quando poi, in ipotesi, il diritto vantato contro quel convenuto non sussista per avere quello agito nel rispetto della legge.

Nella specie, il ricorrente in primo grado ha convenuto in giudizio la Camera di Commercio di Lecce, imputando proprio ad essa la pubblicazione ed il mantenimento sul registro delle imprese dei dati riferiti al M.: dunque, da un lato, è stata censurata una condotta propria della resistente e non della società privata che aveva in seguito provveduto alla elaborazione dei dati raccolti; dall'altro lato, va condivisa la motivazione della sentenza impugnata, secondo cui l'ufficio del registro delle imprese costituisce una mera organizzazione interna di un servizio, giuridicamente facente capo al soggetto Camera di Commercio di Lecce, in qualità di ente conservatore del registro delle imprese.

Tale conclusione deriva dal combinato disposto dell'art. 2188 c.c., comma 2, secondo cui "il registro è tenuto dall'ufficio del registro delle imprese", ed della L. n. 580 del 1993, art. 8, il quale sancisce che è "istituito presso la camera di commercio l'ufficio del registro delle imprese di cui all'art. 2188 c.c.", il quale "provvede alla tenuta del registro delle imprese in conformità agli artt. 2188 c.c. e segg., nonchè alle disposizioni della presente legge e al regolamento di cui al comma 6 del presente articolo, sotto la vigilanza di un giudice delegato dal presidente del tribunale del capoluogo di provincia".

4. - Irrilevanza del precedente diniego di cancellazione d'ufficio.

Carattere preliminare rivestono pure il quarto e il quinto motivo, che prospettano, con riguardo l'uno al vizio di violazione di legge e l'altro al vizio di motivazione, la medesima questione, onde possono essere congiuntamente esaminati.

I motivi sono parimenti infondati.

L'art. 2191 c.c., prevede la cancellazione d'ufficio delle iscrizioni eseguite fuori dalle condizioni previste dalla legge, da ritenere esperibile pure ad istanza di parte (quale mera sollecitazione, in ragione dell'interesse pubblico sotteso, all'uso del relativo potere): quando, dunque, un'iscrizione sia avvenuta in mancanza dei presupposti previsti dalla legge, il giudice del registro, ad iniziativa d'ufficio - anche su segnalazione del conservatore, del soggetto cui appartiene l'atto iscritto o di terzi - può ordinarne con decreto la cancellazione.

Si tratta di un procedimento speciale condotto nelle forme camerali, il quale prevede l'iniziativa d'ufficio, che può essere sollecitato dunque da una parte: con una prima fase, che si svolge innanzi al giudice del registro, il quale in ogni caso provvede "sentito l'interessato", ed un'eventuale fase di reclamo al tribunale, in composizione collegiale. Tali organi operano, in entrambe le fasi, in sede di volontaria giurisdizione, nella propria attività di controllo sul pubblico registro.

Pertanto, non si verifica alcuna preclusione da giudicato in ipotesi di esperimento del procedimento di cancellazione della iscrizione presso l'ufficio, cui sia seguita, come nella specie, un'azione di condanna della CCIAA ad oscurare dati e di risarcimento del danno.

5. - Registro delle imprese e dati personali.

5.1. - La questione.

Occorre dunque esaminare il primo motivo del ricorso, che verte sulla questione centrale della controversia: lo stabilire se il diritto alla protezione dei dati personali imponga, a richiesta di parte, la cancellazione di iscrizioni o la negazione della pubblicità, al di fuori delle ipotesi tassative di tali evenienze previste dalla legge, ove l'interessato invochi un proprio interesse a non rendere più conoscibili dopo un dato tempo alcuni dati che lo riguardano.

Il motivo chiede, nella sostanza, se anche i dati conservati nel registro delle imprese dalle Camere di commercio, in adempimento della funzione ad esse demandata dalla legge, possano essere resi non più disponibili a chiunque in forza di un "diritto all'oblio", disponendosene la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco, allorquando sia decorso un tempo che (allo stato attuale della disciplina) non è determinato o determinabile a priori in modo netto, ma è da individuare in quello necessario allo scopo per cui il dato è stato raccolto, secondo la normativa di riferimento.

5.2. - La pronuncia della Corte di giustizia 9 marzo 2017, C398/15.

In seguito al rinvio pregiudiziale disposto, ai sensi dell'art. 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea, con ordinanza interlocutoria n. 15096 del 2015, la Corte di giustizia dell'Unione Europea ha così statuito: "L'art. 6, par. 1, lett. e), l'art. 12, lett. era b), e l'art. 14, comma 1, lett. a), della direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonchè alla libera circolazione di tali dati, in combinato disposto con l'art. 3 della prima direttiva 68/151/CEE del Consiglio, del 9 marzo 1968, intesa a coordinare, per renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle società a mente dell'art. 58, comma 2, del Trattato per proteggere gli interessi dei soci e dei terzi, come modificata dalla direttiva 2003/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 luglio 2003, devono essere interpretati nel senso che, allo stato attuale del diritto dell'Unione, spetta agli Stati membri determinare se le persone fisiche di cui all'art. 2, par. 1, lett. d) e j), della direttiva da ultimo citata possano chiedere all'autorità incaricata della tenuta, rispettivamente, del registro centrale, del registro di commercio o del registro delle imprese di verificare, in base ad una valutazione da compiersi caso per caso, se sia eccezionalmente giustificato, per ragioni preminenti e legittime connesse alla loro situazione particolare, decorso un periodo di tempo sufficientemente lungo dopo lo scioglimento della società interessata, limitare l'accesso ai dati personali che le riguardano, iscritti in detto registro, ai terzi che dimostrino un interesse specifico alla loro consultazione".

In particolare, la Corte UE, poste a raffronto la prima direttiva societaria 68/151/CEE del Consiglio, del 9 marzo 1968, come modificata dalla direttiva 2003/58/CE, e la direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 ottobre 1995, ha osservato in motivazione che:

- direttiva 68/151: tenuto conto dell'epoca dei fatti, la vicenda continua ad essere disciplinata dalla direttiva menzionata, sebbene essa in seguito sia stata abrogata e sostituita dalla direttiva 2009/101/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009, intesa a coordinare, per renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle società a mente dell'art. 48, comma 2, del trattato per proteggere gli interessi dei soci e dei terzi, ancora modificata dalla direttiva 2012/17/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 giugno 2012;

- legittimità del trattamento: il trattamento dei dati personali, effettuato dall'autorità incaricata della tenuta del registro delle imprese, rientra nella legittimazione di cui all'art. 7, lett. c), e) ed f) della direttiva 95/46, ossia l'"adempimento di un obbligo legale", l'"esercizio di pubblici poteri o l'esecuzione di un compito di interesse pubblico" ed il "perseguimento di un interesse legittimo del responsabile del trattamento oppure dei terzi cui vengono comunicati i dati" (punto 42);

- finalità del registro delle imprese: la finalità della iscrizione dei dati nel registro delle imprese è la certezza del diritto nelle relazioni tra le società ed i terzi, mediante la tutela dell'interesse di questi ultimi a conoscere gli atti essenziali della società interessata e le indicazioni che la concernono, e ciò senza dover dimostrare alcun diritto o interesse meritevole di tutela (punti 48-51);

- esigenza di conoscenza dei dati pur dopo lo scioglimento della società: la direttiva 68/151 non dispone espressamente con riguardo all'obbligo di iscrizione dei dati personali delle persone fisiche anche dopo la cessazione dell'attività e lo scioglimento della società interessata: ma - rileva la Corte - è pacifico che, anche dopo lo scioglimento di una società, possano residuare diritti e rapporti giuridici ad essa relativi, onde quei dati possono risultare necessari ad esempio "per verificare la legittimità di un atto compiuto a nome di detta società nel periodo in cui essa era attiva o affinchè i terzi possano avviare un'azione contro membri degli organi della società o contro i suoi liquidatori" (punti 52-53);

- impossibilità di fissare un termine univoco di inutilità della iscrizione del dato dopo lo scioglimento della società: nè, tenuto conto dei diversi termini di prescrizione dei diritti nei vari Stati membri nei distinti settori del diritto, è possibile identificare un termine univoco, a far data dallo scioglimento di una società, allo spirare del quale non sarebbe più necessaria l'iscrizione nel registro e la pubblicità dei dati citati (punti 54-55);

- conclusione: gli Stati membri non sono tenuti a garantire alle persone fisiche il diritto di ottenere, in ogni caso, decorso un certo periodo di tempo dallo scioglimento della società, la cancellazione dei dati personali o il congelamento degli stessi nei confronti del pubblico: ciò non costituisce ingerenza sproporzionata nei diritti fondamentali delle persone interessate, atteso che la pubblicità riguarda un numero limitato di dati personali e che le società per azioni e le società a responsabilità limitata offrono come unica garanzia per i terzi il proprio patrimonio sociale, mentre le persone fisiche che scelgono di prender parte agli scambi economici attraverso una simile società sono consapevoli di detto obbligo nel momento in cui decidono di impegnarsi in un'attività del genere (punti 56-58);

- facoltà dei legislatori nazionali di introdurre una norma eccezionale limitativa della pubblicità: infine, spetta ai legislatori nazionali la decisione circa l'introduzione, nel proprio ordinamento, di una norma di eccezione che permetta - decorso un periodo di tempo, da valutare caso per caso, sufficientemente lungo dopo lo scioglimento della società - l'ostensione dei dati risultanti dal registro delle imprese soltanto in favore di terzi che dimostrino un interesse specifico alla loro consultazione, in presenza di situazioni particolari e di ragioni preminenti e legittime (punti 60-61);

- compito del giudice nazionale di verificare l'esistenza di detta norma di eccezione: spetta al giudice del rinvio verificare lo stato del proprio diritto nazionale su questo punto: fermo restando, peraltro, che "il solo presumere che gli immobili di un complesso turistico costruito dalla Italiana Costruzioni, di cui il sig. M. è attualmente amministratore unico, non si vendano perchè i potenziali acquirenti di tali immobili hanno accesso ai dati in questione nel registro delle imprese, non può essere sufficiente a costituire una simile ragione, tenuto conto, in particolare, del legittimo interesse di questi ultimi a disporre di tali informazioni" (punti 61-63).

Nello stesso senso, giova precisare, sono state, in quel procedimento pregiudiziale, le unanimi osservazioni presentate dai governi italiano, ceco, tedesco, irlandese, polacco, portoghese, nonchè della Commissione europea e le conclusioni dell'Avvocato generale.

5.3. - Insussistenza di una norma di eccezione.

La ricostruzione del sistema, come operata dalla Corte di giustizia, non lascia pertanto dubbi circa la risposta negativa al quesito posto e, dunque, sulla fondatezza del primo motivo di ricorso: l'ordinamento italiano non contempla il diritto di ottenere la limitazione temporale o soggettiva dell'ostensione a terzi dei dati iscritti nel registro delle imprese, in particolare del nome dell'amministratore o liquidatore di società fallita e cancellata dal registro delle imprese.

Come ha rilevato la Corte di giustizia UE, sarebbe all'uopo indispensabile una specifica norma, che autorizzasse la diffusione dei dati sul registro delle imprese solo per un tempo determinato: non potendo la scelta in ordine alla pubblicazione essere rimessa nè al Conservatore del registro delle imprese, dopo avere valutato l'esistenza di un diritto all'accesso al dato (pena una disfunzione grave alla gestione del servizio, considerando la quantità di richieste di visura quotidiane), nè ad una decisione giudiziale (anche per l'alta disparità di soluzioni) (v., al riguardo, pure le conclusioni dell'avvocato generale presso la Corte UE, punto 96, che parla al riguardo di "un onere amministrativo smisurato, in termini di tempi e costi, che metterebbe in discussione, in definitiva, la capacità del registro ad assolvere le sue funzioni").

Le argomentazioni a suo tempo svolte nell'ordinanza interlocutoria n. 15096 del 2015, con i capisaldi del sistema ivi enumerati, esimono dalla necessità di riproporle integralmente nella presente sede.

5.3.1. - Ci si può, dunque, limitare a ricordare come la pubblicità giuridica, caratteristica del contemporaneo stato di diritto e fondamento di civiltà, risponda all'interesse generale della conoscibilità a chiunque di determinati fatti giuridici, mediante registri, albi, elenchi, pubblicazioni periodiche ufficiali: che, accessibili a chiunque, e tenuti da un ufficio pubblico, producono "sicurezza giuridica", in quanto danno certezza di fatti giuridicamente rilevanti, favorendo i rapporti economici e sociali.

E' forse necessario evidenziare che la certezza del diritto non è un bene come gli altri, in quanto portato della stessa statualità: la prima come proiezione in termini giuridici della sicurezza fisica garantita dalla seconda.

Nell'ambito di tali strumenti spicca - in ragione della obbligatorietà e non facoltatività (salvo rare eccezioni) delle iscrizioni, presidiata dal meccanismo delle iscrizioni d'ufficio ex art. 2190 c.c., in perfetta analogia con l'anagrafe delle persone nei registri dello stato civile - il registro delle imprese, che mira a predisporre un organico regime di pubblicità degli imprenditori individuali e collettivi, a base soggettiva, contenendo un elenco di imprenditori e delle loro vicende.

Istituito nel 1942, nell'ambito (come si osservò all'epoca) di un sistema economico che si avviava al ricorso sistematico al credito, già nei progetti (OMISSIS) si pensò di affidarne la tenuta alle camere di commercio, allo scopo "di rendere quanto più è possibile il registro accessibile, quasi familiare ai commercianti, collocandolo in una sede, come la camera di commercio, con la quale i commercianti hanno quotidiani rapporti". Le regole previste nella L. 29 dicembre 1993, n. 580, art. 8, comma 6 - che ha attuato il registro miravano ad assicurare la tempestiva informazione su tutto il territorio nazionale, mediante gli stessi mezzi realizzati già da tempo dalle camere di commercio e che avevano propiziato la particolare funzionalità del registro delle ditte.

Eventi essenziali nella vita dell'imprenditore individuale (come l'inizio e la cessazione dell'impresa, la ditta, le procure institorie, le autorizzazioni per il minore) e della società (la costituzione, le modificazioni dell'atto costitutivo, la fusione, lo scioglimento, la cancellazione) vengono dunque obbligatoriamente iscritti nel registro delle imprese nei termini di legge, decorrendo dall'iscrizione particolari effetti. In sostanza, non vi è evento significativo della vita dell'imprenditore individuale e collettivo (si pensi pure ai consorzi), dal suo esordio alla sua liquidazione e cessazione, che non sia soggetto a deposito od iscrizione nel registro delle imprese.

Il registro delle imprese - come, in precedenza, il registro tenuto presso le cancellerie dei tribunali ai sensi dell'art. 101 disp. att. c.c. e L. Fall., art. 262 - svolge un ruolo essenziale nella regolamentazione dei rapporti d'impresa, rientrando l'attuazione della pubblicità commerciale nei compiti primari della pubblica amministrazione e fra i doveri inderogabili dello stesso imprenditore.

I profili strutturali e funzionali del registro delle imprese sono delineati dall'art. 2188 c.c. e della L. n. 580 del 1993, art. 8, in una con il regolamento di cui al D.P.R. 7 dicembre 1995, n. 581. Sono previsti, in particolare, i procedimenti d'iscrizione e di cancellazione d'ufficio (artt. 2190-2191 c.c., D.P.R. n. 581 del 1995, artt. 16-17): quest'ultima (da non confondere con la cd. cancellazione della società, che, invece, è una nuova iscrizione) è legittima ed, anzi, doverosa, per i soli casi in cui siano avvenute senza il concorso delle "condizioni richieste dalla legge per l'iscrizione" (art. 2189 c.c., comma 2 e art. 2191 c.c.).

La "dichiarazione d'intenti" del legislatore italiano al riguardo potrebbe trarsi della Legge Istitutiva n. 580 del 1993, art. 8, comma 6, secondo cui la tenuta del registro ed il funzionamento dell'ufficio "sono realizzati in modo da assicurare completezza ed organicità di pubblicità per tutte le imprese soggette ad iscrizione, garantendo la tempestività dell'informazione su tutto il territorio nazionale".

Tanto essenziale è il sistema, che il legislatore ha corredato l'adempimento della sanzione prevista all'art. 2630 c.c., a presidio dell'interesse della collettività a conoscere gli atti essenziali d'impresa afferenti l'esistenza di essa, quale centro d'imputazione di attività economica organizzata ed autonomia patrimoniale, come ricorda la stessa Corte UE. L'importanza del ruolo del registro delle imprese non ha bisogno, in definitiva, di essere oltre sottolineata.

5.3.2. - A fronte del sistema per sommi capi così ricordato, il diritto alla protezione dei dati personali - di cui al D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, artt. 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (cd. Carta di Nizza) del 7 dicembre 2000 e art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali - alla stregua dell'interpretazione resa, nella sua pronuncia pregiudiziale, dalla Corte di giustizia UE, non implica di per sè, in mancanza di un'apposita norma che lo preveda, anche quello di ottenere cancellazioni di iscrizioni o negazione della pubblicità commerciale, ove l'interessato invochi un proprio interesse a non rendere più conoscibili i dati che lo riguardano.

Del D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 18 e 19, prevedono che gli enti pubblici siano abilitati al trattamento di dati personali per lo svolgimento delle funzioni istituzionali, essendo il trattamento di dati diversi da quelli sensibili e giudiziari sia loro consentito anche in mancanza di una norma di legge o di regolamento che lo preveda espressamente.

Nè l'art. 11, lett. e), del citato D.Lgs. - il quale deriva dall'art. 6 della direttiva 95/46/Ce e secondo cui "i dati personali vengono conservati in una forma che consenta l'identificazione dell'interessato per un periodo di tempo non superiore a quello necessario agli scopi per i quali essi sono stati raccolti o successivamente trattati" - può fondare una diversa conclusione, come definitivamente chiarito dalla Corte di giustizia UE con la sentenza del 9 marzo 2017.

La stessa sentenza della Corte di giustizia UE del 13 maggio 2014, n. 131/12, Google Spain, ha puntualizzato che la cancellazione del dato risalente nel tempo (nella specie, un annuncio immobiliare di vendita all'asta pubblicato nelle pagine di un quotidiano) riguarda il motore di ricerca ed i link al sito che contiene il dato, e non certo la pagina del sito web: non, dunque, il sito cd. sorgente.

Quanto esposto rientra, del resto, perfettamente nella previsione dell'art. 8, comma 2, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, che contempla come legittima l'ingerenza di una autorità pubblica nell'esercizio di tale diritto, ove "prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell'ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui".

I requisiti individuati dalla disposizione e puntualizzati dalla giurisprudenza della Corte europea - principio di legalità, tassatività dei fini, proporzionalità della restrizione in quanto necessaria in una società democratica - sono tutti presenti nella specie: posto che la legge impone l'iscrizione (cfr., in particolare, gli artt. 2383, 2475, 2487-bis c.c.), che ricorre lo scopo della tutela, nella società democratica, dei beni del benessere economico, della prevenzione dei reati e della protezione dei diritti e libertà altrui ed, infine, che le iscrizioni obbligatorie nel registro, peraltro limitate a taluni aspetti del soggetto collettivo, sono proporzionali certamente allo scopo.

5.3.3. - Si ricorda inoltre, per completezza, come il nuovo Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, concernente la protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali e la libera circolazione di tali dati, e che abroga la direttiva 95/46/CE, si occupa del "diritto all'oblio" nei considerando n. 65-67 e nell'art. 17, intitolato al "Diritto alla cancellazione ("diritto all'oblio")".

Da tale disciplina risulta che la tendenza, anche a livello eurounitario, è nel senso (cfr. art. 17, comma 1, lett. a) di prescrivere la cancellazione se i "dati personali non sono più necessari rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o altrimenti trattati": e, tuttavia, non si dà luogo a cancellazione, se la conservazione dei dati personali sia necessaria (accanto alle ipotesi dell'esercizio del diritto alla libertà di espressione ed ai motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica o finalità storiche, statistiche e di ricerca scientifica o per la difesa di un diritto in sede giudiziaria) "b) per l'adempimento di un obbligo legale che richieda il trattamento previsto dal diritto dell'Unione o dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento o per l'esecuzione di un compito svolto nel pubblico interesse oppure nell'esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento", o anche "d) a fini di archiviazione nel pubblico interesse (...), nella misura in cui il diritto di cui al par. 1 rischi di rendere impossibile o di pregiudicare gravemente il conseguimento degli obiettivi di tale trattamento".

Il considerando n. 73 chiarisce espressamente tale principio: il diritto dell'Unione o di uno Stato membro può imporre limitazioni al diritto di cancellazione dei propri dati "ove ciò sia necessario e proporzionato in una società democratica per la salvaguardia della sicurezza pubblica" e "per la tutela di altri importanti obiettivi di interesse pubblico generale dell'Unione o di uno Stato membro, tra cui un interesse economico o finanziario rilevante dell'Unione o di uno Stato membro, per la tenuta di registri pubblici per ragioni di interesse pubblico generale...".

Il nuovo regolamento, dunque, sancisce la limitazione per tali fini, cui concorre pure il registro delle imprese.

Il diritto degli interessati "all'oblio", ossia di impedire che le informazioni possano continuare a circolare (in particolare nel mondo online) dopo un determinato periodo di tempo, fa dunque sempre salve specifiche esigenze: fra cui quella di rispettare obblighi di legge a tutela di interessi generali e di ordine e sicurezza pubblica.

5.3.4. - Come ha osservato l'avvocato generale innanzi alla Corte di giustizia UE nel procedimento pregiudiziale, la circostanza che una società sia stata assoggettata a procedura concorsuale non rappresenta di per sè un dato lesivo della reputazione o dell'onorabilità dell'amministratore che l'ha rappresentata.

Infatti, il fallimento di una società può essere stato determinato da circostanze esterne, non direttamente riferibili ad una cattiva gestione di tale società, ad esempio a causa di una crisi economica o di un calo della domanda nel settore di cui trattasi (punto 86).

Mentre le riforme del diritto fallimentare dell'ultimo decennio valgono ad evidenziare che, anche nell'opinione comune, non necessariamente a tale evenienza si ricollega il discredito personale, ben potendo questo dipendere da situazioni oggettive di mercato o evenienze esterne, che niente abbiano a vedere non solo con la mala gestio, ma neppure con la capacità imprenditoriale dell'amministratore, quale diligente gestore della cosa altrui.

5.3.5. - L'assenza di una norma di eccezione di natura generale, la quale a richiesta possa escludere dopo un tempo dato la pubblicità dei dati sul registro delle imprese, è confermata da specifiche disposizioni al riguardo: quali l'art. 2496 c.c. (prima della riforma di cui al D.Lgs. n. 5 del 2003, l'art. 2457 c.c.), secondo cui, anche dopo la cessazione di ogni attività, i libri sociali (libro dei verbali delle deliberazioni assembleari o consiliari, libro dei soci) vanno depositati e conservati per dieci anni presso l'ufficio del registro delle imprese e chiunque può esaminarli, anticipando le spese. Si tratta di informazioni aggiuntive, perchè i libri sociali sono normalmente interni alla società (e regolati dall'art. 2422 c.c., quanto alla visione, riservata ai soci, al rappresentante degli obbligazionisti e dei titolari di strumenti finanziari) e la norma, di natura eccezionale, prevede che in aggiunta essi siano resi ostensibili per tale periodo di tempo; e il D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 31, convertito dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221, recante Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese, il quale per le start-up innovative, prevede che, dopo dodici mesi dall'iscrizione nel registro delle imprese del decreto di apertura della liquidazione della società, l'accesso ai dati relativi ai soci è consentito esclusivamente all'autorità giudiziaria e alle autorità di vigilanza.

5.3.6. - In conclusione, se lo Stato è l'organizzazione della societas - è la società, in quanto necessariamente organizzata l'esigenza di assicurare la trasparenza al fine della sicurezza degli scambi economici dà ragione della funzione storica del registro delle imprese, nonchè del prezzo che a tal riguardo richiede a coloro che, desiderando partecipare a quegli scambi mediante una società commerciale, devono rendere pubbliche determinate e circoscritte informazioni (le conclusioni dell'avvocato generale presso la corte UE parlano, al riguardo, di "contropartita").

In epoche in cui l'accento, pur in sè corretto, posto sui "diritti" ha gradualmente indotto a guardare ai doveri come ad un puro e fastidioso accidente, l'eccesso d'individualismo (riscontrabile allorchè qualsiasi desiderio venga in modo automatico tradotto in pretesa) finisce per soffocare l'interesse comune della generalità, nella ricerca confusa ed esclusiva di una gratificazione personale che tuttavia nega, a lungo andare, la premessa: la tutela di ogni diritto fondamentale non può ignorare la dimensione collettiva del bene comune e l'esistenza di un correlativo obbligo.

Ciò si ricollega a quanto da questa Corte già è stato evidenziato circa la necessità di risalire al principio di solidarietà, di cui all'art. 2 Cost., anche in tema di danno non patrimoniale da violazione del diritto alla protezione dei dati personali (principio che richiede pur sempre la verifica della gravità della lesione e della serietà del danno: cfr. Cass. 15 luglio 2014, n. 16133; Corte europea dei diritti dell'uomo 1 luglio 2010, ricorso n. 25551/05, Korolev c. Russia).

Il principio di solidarietà, invero, opera "quel necessario contemperamento tra posizioni idiosincratiche e socialità, attraverso doveri che si impongono per la tutela e protezione di beni e valori della comunità nel suo complesso. Il principio di solidarietà costituisce allora il punto di mediazione che consente al sistema ordinamentale di salvaguardare il diritto del singolo nell'ambito della collettività" (così Cass. 15 luglio 2014, n. 16133).

E già la Corte costituzionale aveva discorso della "primigenia vocazione sociale dell'uomo, derivante dall'originaria identificazione del singolo con le formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità e dal conseguente vincolo di appartenenza attiva che lega l'individuo alla comunità degli uomini" (Corte cost., 28 febbraio 1992, n. 75 e 17 dicembre 2013, n. 309; v. pure Cass., sez. un., ord. 1 ottobre 2014, n. 20661).

In sostanza, con l'istituzione del registro delle imprese e l'esclusione di una norma di eccezione, del tipo di quella richiesta dalla Corte UE, il legislatore italiano ha già operato - sulla base del menzionato principio - un bilanciamento tra le esigenze individuali e quelle della collettività, cosicchè la volontà del singolo di impedire la reperibilità dei dati afferenti la sua pregressa attività gestoria non finisca per contraddire gli interessi espressi dalla intera comunità di persone.

Va, dunque, affermato il seguente principio di diritto: "Alla stregua del quadro normativo e dei compiti istituzionalmente perseguiti dalle Camere di commercio con la tenuta del registro delle imprese, è legittima, rispondendo ad un obbligo legale, l'iscrizione e la conservazione nel registro stesso delle informazioni relative alla carica di amministratore e di liquidatore, ricoperta da un soggetto in una società, ove pure in seguito questa sia stata dapprima dichiarata fallita e, poi, cancellata dal registro delle imprese, prevalendo le esigenze della pubblicità commerciale sull'interesse del privato ad impedirla, in funzione delle ragioni di certezza nelle relazioni commerciali che l'istituzione del registro delle imprese soddisfa".

5.3.7. - Caso di specie.

Il ricorrente lamenta che il proprio nome venga ricollegato al dato della qualità di amministratore unico e liquidatore di una società fallita.

Tuttavia - a parte la considerazione secondo cui ciò è avvenuto non attraverso la consultazione del registro delle imprese, fondato sul criterio soggettivo relativo agli imprenditori ed alle loro vicende, ma perchè l'elaborazione e collegamento dei dati sono stati operati in un dossier dalla Cerved Business Information s.p.a. - per quanto sopra esposto l'iscrizione degli eventi nel registro delle imprese era dovuta, nè sussistevano i presupposti per la loro cancellazione, non essendo stata essa illegittimamente eseguita in violazione delle condizioni previste dalla legge; mentre il dato in questione corrisponde, incontestatamente, a verità e rappresenta l'adempimento di uno specifico dovere d'ufficio del Conservatore del registro.

6. - Ulteriori motivi.

Il sesto e settimo motivo sono assorbiti.

7. - Statuizione.

La sentenza impugnata va dunque cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., con il rigetto delle domande proposte contro la Camera di Commercio di Lecce.

8. - Spese.

La novità della questione induce alla compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, respinti i motivi secondo, terzo, quarto e quinto, assorbiti i motivi sesto e settimo;

cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta le domande proposte da M.S. contro la Camera di Commercio di Lecce; compensa tra le parti le spese di lite.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2017