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Alunno bullo, genitore condannato (Cass. 4152/19)

13 febbraio 2019, Cassazione civile

Il genitore deve risarcire i danni causati dal figlio minorenne quando risulti che non lo ha sufficientemente educato al rispetto del prossimo. 

La sentenza penale di non luogo a procedere per concessione del perdono giudiziale nei confronti di imputato minorenne non ha efficacia di giudicato nel giudizio civile risarcitorio: ne consegue che il giudizio civile deve interamente ed autonomamente rivalutare il fatto in contestazione, sebbene, nel rispetto del contraddittorio, possa tener conto di tutti gli elementi di prova acquisiti in sede penale, al fine di ritenere provato il nesso causale fra la condotta del minore e la lesione subita dall'attore.

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Ord., (ud. 28-11-2018) 13-02-2019, n. 4152


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide - Presidente - Dott. DI FLORIO Antonella - rel. Consigliere - Dott. SESTINI Danilo - Consigliere - Dott. CIGNA Mario - Consigliere - Dott. FIECCONI Francesca - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA sul ricorso 25339/2016 proposto da:

D.B.E., elettivamente domiciliato in R..
- ricorrente -
contro
M.B., considerata domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati..;
- controricorrente -
e contro
D.B.F., P.L.M.L.; - intimati - nonchè da:
D.B.F., elettivamente domiciliato in ..;
- ricorrente incidentale -
contro
M.B., considerata domiciliata ex lege in ROMA, ..
- controricorrente all'incidentale - e contro
P.L.M.L., D.B.E.;
- intimati -
avverso la sentenza n. 140/2016 del TRIBUNALE di URBINO, depositata il 30/03/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 28/11/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi principale e incidentale.

Svolgimento del processo
 
che:
1. D.B.E. ricorre, affidandosi a nove motivi illustrati anche da memoria ex art. 380 bis c.p.c., per la cassazione della sentenza del Tribunale di Urbino che, riformando la pronuncia di inammissibilità della domanda del giudice di pace, lo aveva condannato - rigettando l'appello principale sulla compensazione delle spese di lite ed accogliendo quello incidentale proposto da M.B. - al risarcimento del danno in favore della stessa, bidella di un liceo di (OMISSIS), per le scritte ingiuriose che il figlio B.B.F., minore all'epoca dei fatti, aveva vergato sulla sua scrivania con un pennarello, durante una illegittima incursione nella scuola con altri ragazzi minorenni.

2. Gli intimati hanno resistito e D.B.F. ha proposto ricorso incidentale sulla scorta di otto motivi e memoria.
Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte.

Motivi della decisione
che:
Sul ricorso principale di D.B.E..
1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione e falsa applicazione dell'art. 132 c.p.c., nn. 3 e 4.
Contesta l'impostazione logica della motivazione del Tribunale che aveva dapprima esaminato la capacità di intendere e di volere del figlio minore con riferimento al fatto commesso e, solo dopo, gli aveva attribuito la materiale responsabilità di esso, con percorso argomentativo viziato ed invertito anche in relazione alla fattispecie concreta individuata, ricondotta all'art. 2048 c.c. e non art. 2047 c.c..
1.2. Con il secondo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 115, nonchè del D.P.R. n. 488 del 1988, art. 10, in relazione agli artt. 40, 43 e 594 c.p.: censura la progressione logica della sentenza, fondata sulla erronea applicazione delle norme di diritto richiamate in quanto la dichiarazione "di non doversi procedere" pronunciata in sede penale pur consentendo una complessiva rivalutazione del fatto e della responsabilità del minore non poteva prescindere dall'osservanza dell'ordinario criterio di ripartizione degli oneri probatori in relazione al quale il Tribunale avrebbe dovuto rilevare che la M. non aveva dedotto alcuna prova.

Aggiunge, al riguardo, che la sentenza penale era stata emessa a seguito di udienza preliminare e, quindi, senza un'istruttoria dibattimentale svolta nel contraddittorio delle parti.

1.3. Con il terzo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, il ricorrente deduce la violazione dell'art. 132, n. 4 e D.P.R. n. 488 del 1988, art. 10: lamenta che il giudice d'appello aveva indicato solo genericamente gli elementi su cui era fondato il proprio convincimento ed in base ai quali il figlio F. sarebbe stato autore del fatto.

1.4. Con il quarto motivo, deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2046 e 2697 c.c. e dell'art. 115 c.p.c.: contesta la valutazione del Tribunale circa la sussistenza della capacità di intendere e di volere del minore in assenza di prova.

1.5. Con il quinto motivo,lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione degli artt. 2048 e 2729 c.c. e degli artt. 183 e 115 c.pc.., per l'immotivato rigetto dell'ammissione delle prove da lui dedotte che erano state ingiustamente ritenute superflue.

1.6. Con il sesto motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2059, 2697, 2729, 115 e 132 c.p.c., anche in relazione all'art. 594 c.c.: contesta, al proposito, la valutazione di offensività dello scritto statuita dal Tribunale.

1.7. Con il settimo motivo, lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell'art. 1126 c.c., con riferimento alla liquidazione equitativa del danno, in totale assenza di prova.

1.8. Con l'ottavo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deduce la violazione dell'art. 116 c.p.c., in relazione agli artt. 1126, 2046, 2048, 2059 c.c., ed all'art. 594 c.p.: lamenta la mancata ammissione delle prove dedotte.
 
1.9. Con il nono motivo, infine, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente contesta la violazione dell'art. 91 c.p.c., con riferimento alla condanna alle spese di cui chiede la riforma, in vista dell'accoglimento del ricorso.

Sul ricorso incidentale di D.B.F..

2. Con il primo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente incidentale deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 100 c.c., art. 2047 c.c., comma 2 e art. 2048 c.c.: contesta l'esistenza dell' interesse ad agire della M. nei suoi confronti, visto che era stata ritenuta la sussistenza del presupposto di cui all'art. 2048 c.c., per il quale era sufficiente la vocatio in ius dei genitori; lamenta, inoltre, la violazione dell'art. 2047 c.c., comma 1, perchè la domanda di indennità prevista dalla norma non poteva ritenersi implicitamente ricompresa nella domanda di risarcimento nè poteva intendersi proposta in difetto dell'esperimento dell'azione risarcitoria di cui alla norma testè richiamata.

2.1. Con il secondo motivo, deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione e falsa applicazione dell'art. 132 c.p.c., nn. 3 e 4: contesta l'impostazione logica della motivazione che aveva dapprima esaminato la sua capacità di intendere e di volere con riferimento al fatto e solo dopo gli aveva attribuito la materiale responsabilità di esso.

2.3. Con il terzo ed il quarto motivo, lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell'art. 2697 c.c., art. 115 c.p.c. e D.P.R. n. 488 del 1988, art. 10, anche in relazione agli artt. 40, 43 e 594 c.p.c., nonchè ex art. 360, nn. 3 e 4, la violazione dell'art. 132, n. 4 e del D.P.R. n. 488 del 1988, art. 10: si duole, ricalcando il terzo motivo del ricorso principale, del fatto che il Tribunale aveva reso una motivazione apparente, in quanto non aveva compiutamente indicato gli elementi in base ai quali aveva ritenuto che fosse stato proprio lui l'autore del fatto.

2.4. Con il quinto motivo, deduce la violazione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione degli artt. 2046 e 2697 c.c. e dell'art. 115 c.p.c.: contesta la valutazione del giudice d'appello concernente la sussistenza della sua capacità di intendere e di volere, in assenza di prova e senza alcuna indagine sull'elemento psicologico del reato.

2.5. Con il sesto motivo, lamenta ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell'artt. 2059, 2697, 2729, 115 e 132 c.p.c., anche in relazione all'art. 594 c.c.: assume la totale assenza di valutazione circa la concreta offensività dello scritto ed assume che il Tribunale aveva statuito sul punto sulla base di un "fatto notorio".

2.6. Con il settimo motivo, deduce ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione art. 116 c.p.c., in relazione agli artt. 2046, 2048, 2059 c.c. ed all'art. 594 c.p.: assume che l'affermazione di responsabilità a suo carico era stata fondata non su elementi concreti ma sulla base di un apprezzamento discrezionale ed opinabile.

2.7 Con l'ottavo motivo, infine, lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell'art. 91 c.p.c., in relazione alla liquidazione delle spese a suo carico, non essendo stata avanzata alcuna domanda nei suoi confronti in relazione alla quale potesse essere valutato il principio di soccombenza.

3. Deve essere preliminarmente esaminata l'eccezione di inammissibilità del ricorso incidentale per tardività, sollevata dalla controricorrente M. che, ritenendo che l'impugnazione di D.B.F. abbia natura adesiva, assume che l'ordinario termine per la proposizione del ricorso sarebbe spirato, essendo stato notificato il 5.12.2016, a fronte del passaggio in giudicato della sentenza in data 31.10.2016.

3.1. Il rilievo è fondato.

Il ricorrente incidentale, infatti, con il primo motivo contesta la propria legittimazione passiva, assumendo che la M. non aveva interesse ad agire nei suoi confronti, visto che l'azione, ricondotta dal Tribunale all'art. 2048 c.c., legittimava passivamente solo i suoi genitori; e con gli altri motivi proposti aderisce espressamente alle critiche avanzate dal padre nel ricorso principale, di cui ricalca integralmente i contenuti.
Conseguentemente, deve desumersi che il suo interesse all'impugnazione non sia sorta per effetto del ricorso principale ma abbia natura autonoma.
Il ricorso incidentale doveva, quindi, essere proposto entro il termine di decadenza ordinario, non ricorrendo l'ipotesi di cui all'art. 334 c.p.c..

3.2. Questa Corte ha affermato, sulla specifica questione, che "le regole sull'impugnazione tardiva, sia ai sensi dell'art. 334 c.p.c., che in base al combinato disposto di cui agli artt. 370 e 371 c.p.c., si applicano esclusivamente a quella incidentale in senso stretto e, cioè, proveniente dalla parte contro cui è stata proposta l'impugnazione, mentre per il ricorso di una parte che abbia contenuto adesivo a quello principale si deve osservare la disciplina dell'art. 325 c.p.c., cui è altrettanto soggetto qualsiasi ricorso successivo al primo che abbia valenza d'impugnazione incidentale qualora investa un capo della sentenza non impugnato o lo investa per motivi diversi da quelli fatti valere con il ricorso principale (cfr. Cass. 20040/2015); ed, ancora, che "l'impugnazione incidentale tardiva, da qualunque parte provenga, va dichiarata inammissibile laddove l'interesse alla sua proposizione non possa ritenersi insorto per effetto dell'impugnazione principale" (cfr. Cass. 12387/2016; Cass. 6156/2018).

3.3. Il Collegio intende dare seguito all'orientamento sopra riportato, con la conseguenza che il ricorso incidentale deve essere dichiarato inammissibile.

4. In ordine all'impugnazione principale si osserva che i primi tre motivi proposti devono essere congiuntamente esaminati per la stretta connessione logica e la sostanziale sovrapponibilità di molti argomenti prospettati.
Con essi il ricorrente contesta, deducendo in primis la nullità della motivazione (cfr. il richiamo all'art. 360, comma 1, n. 4, contenuto nel primo e nel terzo motivo), l'illogico percorso argomentativo del giudice d'appello e l'omes a rivalutazione delle emergenze processuali, sia in ordine all'ascrivibilità al figlio F. (allora minore) dell'evento dannoso, sia in ordine all'esistenza di validi e concreti elementi che potessero essere contrapposti alle valutazioni, sostenute dalle relazioni dei servizi sociali e dalle certificazioni mediche, del Tribunale per i Minorenni e del giudice di pace che si era pronunciato in sede civile in primo grado, affermando entrambi la sua incapacità di intendere e di volere al momento del fatto.

4.1. Tutti e tre i motivi sono infondati.

Il ricorrente, infatti, non ha colto la ratio decidendi della pronuncia impugnata che, con motivazione sintetica ma sufficiente, ha affermato che il fatto per il quale era stata avanzata la domanda risarcitoria riguardava la responsabilità dei genitori regolata dall'art. 2048 c.c., ed in particolare del padre convivente con il figlio, tenuto conto della sicura ascrivibilità al minore F. di una condotta ingiuriosa, caratterizzata da disvalore sociale.

4.2. Il Tribunale ha applicato il principio secondo il quale, in sede civile, il giudice di merito ha il potere di rivalutare in piena autonomia il medesimo fatto già vagliato nella sede penale minorile, dove,
 notoriamente, è preclusa la costituzione di parte civile (cfr. D.P.R. n. 448 del 1988, art. 10) e, conseguentemente, non è applicabile la previsione dell'art. 652 c.p.p., riguardante i rapporti fra giudizio penale e giudizio civile nelle cause in cui si controverta di risarcimento danni.

4.3. Al riguardo, questa Corte ha chiarito che "la sentenza penale di non luogo a procedere per concessione del perdono giudiziale nei confronti di imputato minorenne non ha efficacia di giudicato nel giudizio civile risarcitorio, perchè esula dalle ipotesi previste negli artt. 651 e 652 c.p.p., non suscettibili di applicazione analogica per il loro contenuto derogatorio del principio di autonomia e separazione tra giudizio penale e civile. Ne consegue che il giudizio civile deve interamente ed autonomamente rivalutare il fatto in contestazione, sebbene, nel rispetto del contraddittorio, possa tener conto di tutti gli elementi di prova acquisiti in sede penale, al fine di ritenere provato il nesso causale fra la condotta del minore e la lesione subita dall'attore (cfr. Cass. 24475/2014).

4.4. Il Tribunale ha fatto corretta applicazione dei principi sopra richiamati che possono certamente essere estesi al caso in esame in cui la dichiarazione di non doversi procedere è stata determinata dalla mancanza di imputabilità per incapacità di intendere e di volere di un soggetto ultraquattordicenne.

La motivazione criticata resiste, pertanto, alle censure proposte: il giudice d'appello, infatti, dopo aver precisato che la pronuncia del Tribunale per i Minorenni, pur non avendo efficacia di giudicato, è liberamente apprezzabile (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata) afferma anche che "a fronte di precisi riferimenti contenuti nella sentenza e negli altri atti prodotti, le altre parti si sono limitate a contestazioni generiche in ordine " alla sussistenza del fatto"; ed aggiunge che la stessa circostanza "che anche nel presente giudizio si continui a sminuire l'operato di D.B.F. definendolo una "goliardata" testimonia che, rispetto alla specifica condotta contestata, non vi è stata sufficiente educazione del figlio a concetti elementari quali quelli del rispetto del prossimo e dell'intima connessione fra i concetti di libertà e responsabilità" (cfr pag. 10 della sentenza) con ciò desumendo - con una motivazione che, sia pur sintetica, risulta essere logica ed al di sopra della sufficienza costituzionale - che non fosse stato messo in discussione neanche dal genitore che il figlio minore fosse l'autore del fatto dal quale erano derivate le richieste risarcitorie della M..

5. E, tanto premesso in ordine alle prime tre censure, si osserva che quelle formulate dal quarto all'ottavo motivo si risolvono in reiterate ed inammissibili richieste di rivalutazione di merito della controversia su questioni di fatto già vagliate dal giudice d'appello che ha reso una decisione supportata da argomentazioni congrue e logiche, sia in ordine all'imputabilità del minore (quarto motivo, in relazione al quale la sentenza argomenta a pag. 7 u. cpv, pag. 8 e pag. 9 primo cpv.), sia in relazione all'offensività della scritta ingiuriosa (sesto motivo, in relazione al quale cfr. pag. 11, primo, secondo e terzo cpv.), sia in ordine alla liquidazione equitativa del danno (settimo motivo, in relazione al quale cfr. pag. 11 quarto e printo cpv.): quanto, poi, al quinto ed all'ottavo motivo, contenenti censure sulla mancata ed immotivata ammissione delle prove che secondo il ricorrente sono state ritenute "ingiustamente" superflue, si osserva che le doglianze violano il principio di autosufficienza regolato dall'art. 366 c.p.c., nn. 4 e 6, non essendo state specificamente indicate le richieste istruttorie che sarebbero state pretermesse dal giudice d'appello.

6. Infine il nono motivo (concernente la condanna alle spese di lite), condizionato all'esito degli altri, deve ritenersi logicamente assorbito.

7. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza del ricorrente principale e di quello incidentale.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile quello incidentale. Condanna il ricorrente principale e quello incidentale al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente M.B., spese che liquida, a carico di ciascuno, in Euro 1500,00 per compensi
 
ed Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso forfettario spese generali nella misura di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 28 novembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 13 febbraio 2019