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Agente uccide, Italia condannata (Corte Edu, 47357/11)

17 ottobre 2011, Corte Europea dei diritti dell'Uomo e Nicola Canestrini

Quando vi è stata la morte di una persona in circostanze che possono coinvolgere la responsabilità dello Stato, l'obbligo di proteggere il diritto alla vita gli impone di assicurare, con tutti i mezzi di cui dispone, una reazione adeguata - giudiziaria o altra - affinché il quadro legislativo e amministrativo sopra menzionato sia effettivamente messo in atto e affinché, eventualmente, le violazioni del diritto in gioco siano represse e sanzionate

L’articolo 2 CEDU implica il dovere fondamentale per lo Stato di assicurare il diritto alla vita mettendo in atto un quadro giuridico e amministrativo adeguato che definisca le limitate circostanze nelle quali i rappresentanti delle forze dell’ordine possono far ricorso alla forza e fare uso delle armi da fuoco, tenuto conto delle linee guida internazionali in materia.

Qualsiasi carenza dell’inchiesta che affievolisca la sua capacità a stabilire la causa o i responsabili del decesso rischia di far concludere che essa non soddisfa l’obbligo procedurale derivante dall’articolo 2.

In linea generale, si può ritenere che affinché una inchiesta su una affermazione di omicidio illegale commesso da agenti dello Stato sia effettiva, occorre che le persone che ne sono incaricate siano indipendenti dalle persone coinvolte: ciò presuppone non soltanto la mancanza di qualsiasi legame gerarchico o istituzionale ma anche una indipendenza pratica.

L'inchiesta deve anche essere effettiva nel senso che deve consentire di determinare se il ricorso alla forza fosse giustificato o no nelle circostanze e di identificare e sanzionare i responsabili. Le autorità devono aver preso le misure ragionevoli a loro disposizione per assicurare l’ottenimento delle prove relative ai fatti in questione, ivi comprese, tra altre, le deposizioni dei testimoni oculari e le perizie medico-legali. Le conclusioni dell’inchiesta devono fondarsi su un’analisi approfondita, oggettiva e imparziale di tutti gli elementi pertinenti e devono applicare un criterio paragonabile a quello della “necessità assoluta” enunciato dall’articolo 2 § 2 della Convenzione. Qualsiasi carenza dell’inchiesta che affievolisca la sua capacità di accertare le circostanze della causa o le responsabilità rischia di far concludere che essa non risponde alla norma richiesta di effettività. In questo contesto è implicita una esigenza di celerità e diligenza. E’ giocoforza ammettere che vi possano essere ostacoli o difficoltà che impediscono di progredire in una situazione particolare. Tuttavia quando si tratta di investigare sul ricorso alla forza mortale, in generale una risposta rapida delle autorità può essere considerata essenziale per preservare la fiducia del pubblico nel rispetto del principio di legalità e per evitare qualsiasi parvenza di complicità o di tolleranza verso atti illegali.

Il sistema penale italiano, così come è stato applicato nella fattispecie, non poteva generare alcuna forza dissuasiva idonea ad assicurare la prevenzione efficace di atti illeciti come quelli denunciati dai ricorrenti.

 

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
SECONDA SEZIONE
CAUSA ALIKAJ E ALTRI c. ITALIA
(Ricorso n. 47357/08)
SENTENZA
STRASBURGO
29 marzo 2011

Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite dall’articolo 44 § 2 della Convenzione. Essa può subire modifiche di forma.

Nella causa Alikaj e altri c. Italia,

La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in una camera composta da:

Françoise Tulkens, presidente,
Ireneu Cabral Barreto,
David Thór Björgvinsson,
Dragoljub Popović,
Giorgio Malinverni,
András Sajó,
Guido Raimondi, giudici
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,

Dopo aver deliberato in camera di consiglio l’8 marzo 2011,

Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale ultima data:

PROCEDURA

1. All’origine della causa vi è un ricorso (no 47357/08) diretto contro la Repubblica italiana con il quale quattro cittadini albanesi, sig.ra Antoneta Alikaj, sig. Bejko Alikaj, sig.ra Vojsava Alikaj e sig.ra Anita Alikaj (“i ricorrenti”), hanno adito la Corte il 12 settembre 2008 ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”). I primi due sono i genitori e gli altri due sono le sorelle di Julian Alikaj.
2. I ricorrenti sono stati rappresentati innanzi alla Corte dagli avvocati di Pardo e Scialandrone, del foro di Milano. Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, sig.ra E. Spatafora e dal suo cogente sig. N. Lettieri.
3. Sia i ricorrenti che il Governo hanno depositato delle osservazioni scritte complementari (articolo 59 § 1 del regolamento).
4. Il governo albanese è stato invitato ad intervenire nella procedura ai sensi dell’articolo 36 § 1 della Convenzione e 44 del regolamento della Corte. Non essendo pervenuta alla Corte alcuna risposta alla lettera, si deve ritenere che il governo albanese non intenda avvalersi del suo diritto di intervento.
5. Ai sensi dell’articolo 29 § 3 della Convenzione, la camera ha deciso di esaminare contestualmente ricevibilità e merito della causa.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DELLA FATTISPECIE

6. I ricorrenti, sig.ra Antoneta Alikaj, sig. Bejko Alikaj, sig.ra Vojsava Alikaj e sig.ra Anita Alikaj, sono nati rispettivamente nel 1951, 1948, 1977 e 1982 ed hanno eletto domicilio presso il loro avvocato a Milano.
7. Nella notte fra il 2 e il 3 dicembre 1997, Julian Alikaj ed altri tre giovani circolavano sull'autostrada tra Milano e Bergamo. Poco dopo la mezzanotte, incrociarono un'auto della polizia che intimò loro di fermarsi. I poliziotti hanno affermato che la velocità dell'auto era sembrata loro sospetta.
L'auto si fermò, i suoi quattro occupanti ne uscirono correndo, saltarono il guard-rail laterale e fuggirono attraverso una scarpata che costeggiava l’autostrada ed era delimitata da un muro. Essi scavalcarono una barriera metallica.
8. Il terreno era viscido a causa della pioggia.
9.I poliziotti spararono due colpi in aria a titolo di avvertimento. A.R. si lanciò all'inseguimento dei giovani e sparò un proiettile che colpì Julian Alikaj al cuore. Il giovane decedette sul colpo.
10. Gli altri occupanti, dopo aver visto arrivare l'ambulanza sul posto, fuggirono.

L'inchiesta condotta dalle autorità nazionali

a) Gli atti investigativi

11. Alle ore 00:12, A.R. chiamò i soccorsi.
12. L'ispezione dei luoghi per la ricerca di indizi fu eseguita da agenti appartenenti alla stessa unità amministrativa del poliziotto A.R.
13. G.Z., superiore gerarchico degli agenti e ispettore della polizia stradale si recò sul posto, come pure l'ambulanza.
14. I poliziotti scoprirono che l'auto dei fuggitivi era stata rubata qualche ora prima.
15. Le due armi furono controllate dal superiore gerarchico dei poliziotti, il quale constatò che mancavano due cartucce nel caricatore di A.R. I bossoli non furono ritrovati sulla scena del crimine e non furono ricercati tramite un metal detector.
16. Le armi, come pure i pantaloni del poliziotto A.R., vennero successivamente poste sotto sigillo da un altro poliziotto, G.F.
17.In seguito, verso le ore 1:30 del mattino, arrivarono sul posto il procuratore di Bergamo, il medico legale e la polizia scientifica. Il medico legale poté soltanto constatare il decesso di Julian Alikaj.
18. Dal rapporto dell'autopsia risultò che il proiettile aveva colpito la regione dorsale destra ed era uscito dalla regione toracica sinistra. Secondo il medico, il proiettile aveva seguito una traiettoria dal basso verso l'alto su una distanza superiore a 50 cm.
19. Il proiettile aveva dapprima fracassato una costola poi aveva colpito il cuore dopo aver attraversato l'esofago. Il decesso di Julian Alikaj era dovuto ad un collasso cardio respiratorio.
20. Il poliziotto A.R. dichiarò che aveva cominciato l’inseguimento dei quattro fuggitivi, senza torcia, intimando loro di fermarsi, che aveva sparato un colpo in aria, che, nel momento in cui costoro si apprestavano a scavalcare la rete, aveva sentito un rumore metallico, si era abbassato per proteggersi, era scivolato, era caduto sul lato sinistro e il colpo era partito accidentalmente. Aggiunse che in quel momento non sapeva che l'auto era stata rubata e che lo aveva saputo soltanto dopo.
21. Il 3 dicembre 1997 furono interrogati gli altri tre occupanti dell'auto.
22. M.B. dichiarò che era scivolato durante la fuga e che, dopo aver saltato la barriera, aveva visto i due poliziotti con le torce, uno di loro aveva in mano una pistola. Dichiarò di aver sentito sei spari. Dichiarò anche che, con i suoi amici, aveva atteso Julian Alikaj per una mezz'ora ed aveva visto arrivare sul posto le auto della polizia.
23. B.M. dichiarò che, mentre si apprestava a saltare la barriera, aveva sentito sei o sette colpi sparati dai poliziotti che si trovavano a fianco del guard-rail laterale. Egli affermò che, dopo aver visto arrivare l'ambulanza, lui e i suoi amici erano fuggiti ed avevano preso un treno per Milano.
24. B.A. dichiarò che, nel momento in cui oltrepassavano la barriera, Julian Alikaj era davanti a lui. Disse di aver poi sentito cinque colpi sparati dai poliziotti che erano rimasti vicino all'auto.

b) Le indagini a carico di A.R.

25. In una data non precisata, la procura sottopose ad indagini A.R. per omicidio volontario. Fu fissata l’udienza preliminare ed i ricorrenti si costituirono parte civile.
26.Con sentenza depositata in cancelleria il 21 dicembre 1999, il giudice dell’udienza preliminare (il “GUP”) prosciolse A.R. perché il fatto non costituiva reato. In particolare, il giudice riteneva che non vi fossero abbastanza elementi per poter affermare che A.R. avesse ucciso intenzionalmente vittima. Le prove raccolte mostravano che A.R. era scivolato e che il colpo era partito accidentalmente.
27. L'11 gennaio 2000, il pubblico ministero propose appello avverso quella sentenza. In particolare sosteneva che, secondo alcune perizie balistiche, era impossibile che il colpo fosse partito per una caduta, tanto più che A.R. era distante trenta metri da Julian Alikaj.
28. Il 26 ottobre 2000, la corte d'appello di Brescia accolse parzialmente l'appello del pubblico ministero e rinviò A.R. a giudizio innanzi al tribunale di Bergamo per omicidio colposo.
29. Con sentenza del 25 maggio 2002, ritenendo che gli elementi raccolti permettevano di concludere per un atto intenzionale ma non colpevole da parte di A.R., il tribunale di Bergamo si dichiarò incompetente e indicò nella corte d'assise di Bergamo l'autorità giudiziaria competente. Di conseguenza dispose il trasferimento del fascicolo al pubblico ministero.
30. Il pubblico ministero riqualificò il capo d'imputazione in omicidio volontario e richiese al GUP il rinvio a giudizio. Con decisione del 26 aprile 2004, il GUP rinviò A.R. a giudizio per il delitto di omicidio colposo.
31. La parte civile propose ricorso per cassazione traendo argomento dalla contraddizione tra la decisione resa dal tribunale di Bergamo e quella del GUP. La Corte di cassazione accolse il ricorso e annullò la decisione del 26 aprile 2004.
32. Il 14 febbraio 2005, A.R. fu rinviato a giudizio innanzi alla corte d'assise di Bergamo per omicidio volontario.
33. Con sentenza del 20 aprile 2006, la corte d'assise modificò la qualificazione giuridica dei fatti. Giudicò che A.R. era colpevole di omicidio colposo e che per la sua giovane età e per la sua appartenenza alla polizia dovevano essere tenute in considerazione le circostanze attenuanti. Pronunciò non luogo a procedere in quanto i fatti costitutivi del reato erano prescritti.
34. Il passaggio pertinente della sentenza è così formulato:

(...) A.R. è colpevole di omicidio colposo dal momento che, durante l'inseguimento dei fuggitivi, ha imboccato imprudentemente la scarpata, senza luce e con la sua pistola in mano, pronto a sparare ed è scivolato ed ha sparato un colpo che ha raggiunto la vittima alla schiena, causando così il suo decesso (…)

35. Secondo la corte d'assise, A.R. aveva agito imprudentemente dal momento che aveva deciso di fare uso della sua arma. I quattro uomini a bordo dell'auto non avevano commesso crimini violenti, non erano pericolosi e nulla del loro comportamento poteva far pensare che costituissero una minaccia per i due poliziotti. Inoltre, i poliziotti non sapevano che l'auto era stata rubata. La corte d'assise concluse che il comportamento di A.R. era stato imprudente e pericoloso.
36. La corte d'assise rilevò che le dichiarazioni degli altri tre occupanti dell'auto non erano credibili ed erano contraddette da numerosi altri elementi, in particolare dalle dichiarazioni dei poliziotti, dalla perizia balistica e dalle macchie di sangue sui pantaloni di A.R. Inoltre, i tre passeggeri non avevano partecipato al processo. La corte d'assise rigettò la tesi delle parti civili e del pubblico ministero secondo la quale la scena in cui si erano svolti i fatti era stata alterata dai due poliziotti prima dell'arrivo dell'ambulanza. Per essa, era inverosimile che i poliziotti avessero avuto il tempo di sparare a bruciapelo sui quattro fuggitivi e di spostare subito, con l'aiuto del loro collega, il corpo di Julian Alikaj.
37. Quanto alla tesi del pubblico ministero secondo la quale gli agenti incaricati delle indagini avessero dissimulato le prove e modificato la scena del crimine in modo da favorire il loro collega, la corte d'assise ritenne che queste accuse non erano fondate su alcun elemento oggettivo.
38. Innanzitutto la corte d’assise rilevò che, per quanto riguarda i colpi sparati, le dichiarazioni dei poliziotti arrivati sul posto concordavano con il numero di cartucce rimaste nelle armi dei due poliziotti. Il fatto che i bossoli non fossero stati ritrovati era dovuto, secondo i giudici, alla struttura del terreno che era in forte pendenza e alla dimensione dei bossoli delle pistole automatiche. Per quanto riguarda la traiettoria del proiettile mortale, la corte d’assise ricordò che, secondo i periti nominati da lei e dai ricorrenti, era impossibile determinare la distanza tra A.R. e Julian Alikaj. Inoltre, essa rilevò che A.R. non aveva potuto sparare contro Julian Alikaj dall’autostrada, in quanto il proiettile aveva seguito una traiettoria dal basso verso l’alto.
39. Per quanto riguarda lo stato e la posizione del cadavere, la corte d’assise rilevò che, mentre alcune fotografie scattate mostravano chiazze di sangue sulla bocca, né il dottore che confermò il decesso né il medico che eseguì l’autopsia rilevarono una frattura dei denti. Essa spiegò inoltre che la mancanza di tracce di sangue sul luogo del crimine era dovuta al fatto che lo sparo aveva provocato una emorragia polmonare. Per quanto riguarda le incoerenze tra le fotografie della scena del crimine ed il percorso imboccato da A.R. al momento dell’inseguimento, essa ricordò che la polizia scientifica era arrivata sul posto in ritardo e che era verosimile che i poliziotti avessero fotografato delle tracce in un luogo diverso da quello in cui A.R: era scivolato.
40. Per quanto riguarda gli abiti di A.R. che erano stati sequestrati dopo i fatti, la corte d’assise sottolineò che parecchi testimoni avevano dichiarato che al loro arrivo sul posto, la giacca ed i pantaloni di A.R. erano macchiati di fango sul lato sinistro.
41. Tuttavia, la corte d’assise considerò che la scelta di affidare l’inchiesta ad agenti appartenenti alla stessa unità amministrativa di A.R. non era sensata ed era criticabile.
42. Il pubblico ministero ricorse per cassazione. Traeva mezzo di ricorso dal fatto che la corte d’assise non avesse ritenuto a carico di A.R. la circostanza aggravante di un delitto commesso nell’esercizio delle funzioni di poliziotto.
43. Con sentenza del 20 marzo 2008, la Corte di cassazione, ritenendo che la corte d’assise avesse motivato in maniera logica e corretta tutti i punti controversi, dichiarò inammissibile il ricorso.
44. In una data non precisata, i ricorrenti sporsero denuncia a carico dei medici legali per falso. Questa denuncia fu archiviata.
45. Il 21 agosto 2008, i ricorrenti adirono la corte d’appello di Venezia chiedendo il risarcimento per i danni loro provocati dalla durata del procedimento penale.
46. Con decisione del 31 marzo 2010, la corte d’appello constatò il superamento della durata ragionevole e concesse ai ricorrenti, congiuntamente, 15.000 euro per danno morale.

 

II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

1. L’uso legittimo delle armi

47. L'articolo 53 del codice penale (“CP”) prevede che è punibile "il pubblico ufficiale che, al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio, fa uso ovvero ordina di fare uso delle armi o di un altro mezzo di coazione fisica, quando vi è costretto dalla necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza alla Autorità e comunque di impedire la consumazione dei delitti di strage, di naufragio, sommersione, disastro aviatorio, disastro ferroviario, omicidio volontario, rapina a mano armata e sequestro di persona (…). La legge determina gli altri casi, nei quali è autorizzato l'uso delle armi o di un altro mezzo di coazione fisica”

2. La legittima difesa

48.  L'articolo 52 CP prevede non è punibile “ chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all'offesa.”

3. L’eccesso colposo

49. Ai sensi dell'articolo 55 del CP, soprattutto in caso di legittima difesa o di uso legittimo delle armi, quando l'interessato ha colposamente ecceduto i limiti stabiliti dalla legge, o dal superiore gerarchico ovvero imposti dalla necessità, il suo comportamento è punibile come comportamento involontario, nella misura in cui è previsto dalla legge.

4. Tempo necessario a prescrivere

50. Ai sensi dell'articolo 157 § 1, comma 4, del codice penale, così come era stato formulato prima dell'entrata in vigore della legge no 251 del 5 dicembre 2005, il tempo necessario a prescrivere era di cinque anni se si trattava di delitto per cui la legge stabiliva la pena della reclusione inferiore a cinque anni. Poteva essere prorogato della metà per le diverse interruzioni di natura procedurale che potevano sopraggiungere in pendenza del processo, ma non poteva in nessun caso superare i sette anni e mezzo a decorrere dal giorno in cui il reato era stato consumato.
In base al secondo paragrafo di questo stesso articolo, per determinare il tempo necessario a prescrivere, occorreva tener conto della pena massima prevista e delle circostanze aggravanti e attenuanti, applicando, per queste ultime, l'aumento massimo e la diminuzione minima.

 

III. PRINCIPI E DOCUMENTI INTERNAZIONALI PERTINENTI

Principi fondamentali dell’ONU sull’uso della forza e delle armi da fuoco da parte delle forze dell’ordine

51. Adottati il 7 settembre 1990 dall’8° Congresso delle Nazioni Unite per la prevenzione del crimine e il trattamento dei rei, tali principi, nelle loro parti pertinenti, dispongono:

1. I poteri pubblici e le autorità di polizia adotteranno ed applicheranno delle normative sull’uso della forza e delle armi da fuoco contro le persone da parte delle forze dell’ordine. Nell’elaborazione di tali normative, i governi e i servizi di repressione terranno costantemente presenti le questioni etiche legate all’uso della forza e delle armi da fuoco.
2. I governi e le autorità di polizia predisporranno la più ampia gamma di mezzi possibile e doteranno le forze dell’ordine di vari tipi di armi e munizioni che permetteranno un uso differenziato della forza e delle armi da fuoco. A tal fine, sarebbe opportuno realizzare delle armi non mortali neutralizzanti da utilizzare nelle situazioni appropriate, allo scopo di limitare sempre più il ricorso ai mezzi atti a cagionare la morte o delle ferite. Dovrebbe essere anche possibile, allo stesso scopo, fornire alle forze dell’ordine degli strumenti di difesa come giubbotti antiproiettile, caschi e veicoli blindati affinché sia sempre meno necessario utilizzare armi di qualsiasi tipo.»

(…)

9. Le forze dell’ordine non utilizzeranno armi da fuoco contro le persone se non per autodifesa o per difendere altre persone da una minaccia immediata di morte o di grave ferimento, per prevenire il compimento di crimini particolarmente gravi che comportino seria minaccia alla vita, per arrestare persone che rappresentino tali pericoli e resistano alla loro autorità, o per evitarne la fuga, e comunque soltanto quando metodi meno estremi si rivelino insufficienti al raggiungimento di tali obiettivi. In ogni circostanza, l’uso intenzionale e letale di armi da fuoco potrà essere consentito soltanto quando strettamente inevitabile al fine di proteggere la vita.
10. Nelle circostanze previste dal principio n. 9, gli agenti delle forze dell’ordine dovranno identificarsi come tali ed impartire un chiaro avvertimento della loro intenzione di impiegare armi da fuoco, attendendo un tempo sufficiente perché l’avvertimento venga osservato, a meno che far ciò non li ponga inopportunamente a rischio o non dia origine a rischio di morte o di danno grave per altre persone o non sia chiaramente inappropriato o inutile per le circostanze del caso.
11. Una normativa che regola l’uso delle armi da fuoco da parte delle forze dell’ordine deve comprendere delle direttive volte a:

  1. Specificare le circostanze in cui le forze dell’ordine sono autorizzate a portare armi da fuoco e prescrivere i tipi di armi da fuoco e munizioni autorizzate;
  2. Assicurarsi che le armi da fuoco vengano utilizzate solo in circostanze appropriate e in modo da minimizzare il rischio di danni inutili;
  3. Vietare l’utilizzo delle armi da fuoco e delle munizioni che provocano ferite inutili o presentano un rischio ingiustificato;
  4. Disciplinare il controllo, il deposito e la consegna di armi da fuoco e prevedere in particolare delle procedure conformemente alle quali le forze dell’ordine devono rendere conto di tutte le armi e le munizioni ad esse consegnate;
  5. Prevedere che devono essere fatte delle intimazioni, all’occorrenza, in caso di utilizzo di armi da fuoco;
  6. Prevedere un sistema di rapporti in caso di utilizzo di armi da fuoco da parte delle forze dell’ordine nell’esercizio delle loro funzioni.

(…)

18. I poteri pubblici e le autorità di polizia devono assicurarsi che tutte le forze dell’ordine vengano selezionate mediante procedure adeguate, che presentino le qualità morali e i requisiti psicologici e fisici richiesti per il buon esercizio delle loro funzioni e che ricevano una formazione professionale costante e completa. È opportuno verificare periodicamente se essi continuano ad essere idonei all’esercizio di tali funzioni.
19. I poteri pubblici e le autorità di polizia devono assicurarsi che tutte le forze dell’ordine ricevano una formazione e siano sottoposti a test secondo norme attitudinali appropriate sull’uso della forza. Le forze dell’ordine che sono tenute a portare armi da fuoco devono essere autorizzate a farlo solo dopo essere state specificamente addestrate al loro utilizzo.
20. Per la formazione delle forze dell’ordine i poteri pubblici e le autorità di polizia presteranno particolare attenzione alle questioni di etica di polizia e di rispetto dei diritti dell’uomo, in particolare nell’ambito delle inchieste, e ai mezzi per evitare l’uso della forza o delle armi da fuoco, ivi compresa la risoluzione pacifica dei conflitti, la conoscenza del comportamento delle folle e i metodi di persuasione, di negoziazione e di mediazione, nonché i mezzi tecnici, al fine di limitare l’uso della forza o delle armi da fuoco. Le autorità di polizia dovrebbero rivedere il loro programma di formazione e i loro metodi di azione in occasione di particolari incidenti.
(…)»

 

IN DIRITTO

52. I ricorrenti sostengono che il decesso di Julian Alikaj è dovuto ad un uso eccessivo della forza. Essi ritengono che, poiché i fatti denunciati si sono verificati nell’ambito di un controllo stradale, la condotta del poliziotto non era “proporzionata al pericolo” e che il ricorso ad un’arma da fuoco non era “necessario”. Secondo loro, l'inchiesta condotta non è stata conforme alle esigenze procedurali derivanti dagli articoli 6 e 13 della Convenzione. In particolare, essa non sarebbe stata effettiva né indipendente perché, mentre riguardava un poliziotto, A.R., molti atti sarebbero stati affidati ad alcuni colleghi di questa persona.
I ricorrenti considerano che l'inchiesta condotta sia stata carente. Essi precisano che il fascicolo investigativo non conteneva alcun resoconto di esami dell'arma di servizio di A.R., delle sue munizioni e della cartuccia usata; che le fotografie della scena del crimine non sembravano coincidere con il percorso imboccato da A.R. al momento dell'inseguimento; che cinquantanove foto non erano state inserite nel fascicolo; che il rapporto della perizia non rilevava ferite alla bocca e ai denti seppure visibili sulle foto del cadavere; e la posizione di quest'ultimo non quadra con lo svolgimento dei fatti per come sono stati descritti dai giudici; che non è stata ritrovata alcuna traccia di sangue sul posto del crimine e che non vi è stata una ricostruzione dei fatti, con messa in situazione delle parti coinvolte. I ricorrenti lamentano anche la lunghezza del procedimento che avrebbe portato alla prescrizione del delitto.
I ricorrenti vedono una violazione dell'articolo 6 § 3 d) nel rifiuto opposto dalla corte d'assise di produrre alcune perizie della parte civile in udienza e di sentire alcuni testimoni che avrebbero potuto attestare che il cadavere era arrivato all’obitorio prima che la polizia scientifica si recasse sulla scena del crimine.
Tenuto conto della formulazione dei motivi di ricorso dei ricorrenti, la Corte decide di esaminarli secondo il punto di vista dell'articolo 2 della Convenzione, così formulato nella sua parte pertinente:

«1. Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge. Nessuno può essere intenzionalmente privato della vita, salvo che in esecuzione di una sentenza capitale pronunciata da un tribunale, nel caso in cui il reato sia punito dalla legge con tale pena.
2. La morte non si considera cagionata in violazione del presente articolo se è il risultato di un ricorso alla forza resosi assolutamente necessario:
b)  per eseguire un arresto regolare (...)».

53. Il Governo si oppone a tale tesi.

A.  Sulla ricevibilità

54. La Corte constata che i motivi di ricorso non sono manifestamente infondati ai sensi dell'articolo 35 § 3 della Convenzione. Peraltro essa rileva che il ricorso non contrasta con nessun altro motivo di irricevibilità. Occorre pertanto dichiararlo ricevibile

B.  Sul merito

a)  Sull'aspetto materiale dell'articolo 2 della Convenzione

1. Argomenti delle parti

i) I ricorrenti

55. Secondo i ricorrenti, i poliziotti in causa hanno utilizzato le loro armi senza alcuna necessità. In effetti, lo avrebbero fatto nell'ambito di un normale controllo stradale e i quattro giovani si sarebbero dati alla fuga senza mettere in pericolo la sicurezza degli agenti. I ricorrenti rammentano che l'uso delle armi da parte della polizia non può essere eccessivo e incompatibile con i principi di una società democratica, e non può quindi trovare alcuna valida giustificazione che lo renda compatibile con la norma convenzionale che tutela il diritto alla vita.

ii) Il Governo

56. Il Governo ricorda che il poliziotto A.R. è stato indagato per omicidio volontario e riconosciuto colpevole di omicidio colposo all'esito di un procedimento giudiziario molto complesso. Nella fattispecie, gli elementi fattuali sono stati verificati a sufficienza. Tuttavia, pur volendo supporre che possa sussistere un dubbio in merito ad alcuni di loro, in materia penale è l'accusato e non la vittima che deve giovarsene (in dubio pro reo). Questo principio non può essere rimesso in discussione da un'interpretazione forzata dell'articolo 2. Ad ogni modo, non spetta alla Corte sostituirsi ai giudici nazionali per valutare il carattere concludente di questo o quello elemento di prova.
57. Il Governo ricorda che la Corte non può senza buone ragioni assumere il ruolo di giudice del fatto che appartiene alla prima istanza quando ciò non sia reso inevitabile delle circostanze della causa di cui si trova investita. Certamente, quando vengono formulate affermazioni in base all'articolo 2 della Convenzione, essa deve procedere ad un esame particolarmente attento, quand’anche alcune procedure e investigazioni siano già state condotte a livello interno (Ramsahai e altri c. Paesi Bassi [GC], no 52391/99, § 357, CEDH 2007 ...).
Nel caso di specie, il Governo è dell’avviso che l'inchiesta ufficiale sia stata eseguita in maniera approfondita e le conclusioni di quest'ultima siano dettagliate.
58. Secondo questa inchiesta, la morte non è stata inflitta intenzionalmente, in quanto lo sparo mortale è conseguenza di uno scivolone con l'arma carica. Inoltre, per quanto riguarda l'inseguimento dei fuggitivi con le armi cariche, il Governo sostiene che, secondo le dichiarazioni di uno dei fuggitivi, M.B., i poliziotti avevano scoperto che l'auto era stata rubata, e che essi dovevano pertanto inseguire i quattro uomini in fuga. Secondo il Governo, un principio elementare di prudenza esige che si possa disporre di un'arma pronta all'uso quando si inseguono dei sospettati su un terreno sconosciuto, dove questi ultimi possono nascondersi nell'oscurità totale mentre i poliziotti sono facilmente individuabili grazie all’illuminazione delle luci della strada e delle auto.-
59. Il Governo ritiene che il ricorso involontario alla forza da parte del poliziotto A.R. si sia reso quindi "assolutamente necessario" "per assicurare" la propria difesa e per eseguire un arresto regolare. Basandosi sulla giurisprudenza della Corte (Bubbins c. Regno Unito, no 50196/99, § 139, CEDH 2005 II (estratti)), sostiene che quest’ultima non può sostituire la propria valutazione della situazione a quella dell’agente che, nel fuoco dell’azione, ha dovuto reagire a ciò che egli percepiva sinceramente come una situazione pericolosa. A tale proposito, esso sottolinea che nella sentenza Ramsahai succitata non è stata constatata alcuna violazione a proposito di un episodio in cui la morte fu inflitta intenzionalmente, anche se nessuno dei testimoni aveva dichiarato di aver visto la vittima minacciare il poliziotto con una pistola.
60. In conclusione, nelle circostanze della causa, l'azione dell’agente A.R., benché incresciosa, non può ricadere nel campo di applicazione dell'articolo 2 della Convenzione, tanto più che questo comportamento è già stato sanzionato a livello interno

2) Valutazione della Corte

a) Principi generali

61. L'articolo 2, che garantisce il diritto alla vita, rientra nel novero degli articoli fondamentali della Convenzione e consacra uno dei valori fondamentali delle società democratiche che formano il Consiglio d'Europa. La Corte deve esaminare in maniera estremamente attenta le affermazioni di violazione di questa disposizione. Nel caso in cui agenti dello Stato fanno uso della forza, essa deve prendere in considerazione non soltanto gli atti degli agenti che effettivamente hanno fatto ricorso alla forza, ma anche il complesso delle circostanze che li hanno circondati, in particolare il quadro giuridico o normativo vigente nonché la loro preparazione e il controllo esercitato su di loro (Makaratzis c. Grecia [GC], no 50385/99, §§ 56-59, CEDH 2004-XI).
62. Come mostra il testo stesso dell'articolo 2 § 2, il ricorso alla forza mortale da parte dei poliziotti può essere giustificato in alcune condizioni. Qualsiasi uso della forza tuttavia deve essere reso "assolutamente necessario", ossia deve essere strettamente proporzionato nelle circostanze. Il diritto alla vita assume un carattere fondamentale, le circostanze nelle quali può essere legittimo infliggere la morte richiedono una interpretazione restrittiva (Andronicou e Constantinou c. Cipro, sentenza del 9 ottobre 1997, §§ 171, 181, 186, 192 e 193, Recueil des arrêts et décisions 1997-VI, e McKerr c. Regno Unito, no 28883/95, §§ 108 e segg., CEDH 2001-III).
63. Di conseguenza, e avuto riguardo all'articolo 2 § 2 b) della Convenzione, lo scopo legittimo di eseguire un arresto regolare può giustificare il fatto di mettere in pericolo vite umane soltanto in caso di assoluta necessità. La Corte ritiene che in linea di principio non è possibile avere tale necessità quando si sa che la persona che deve essere arrestata non rappresenta alcuna minaccia per la vita o l'integrità fisica di chiunque e non è sospettata di aver commesso un reato violento, anche se può derivarne una impossibilità di arrestare il fuggitivo (vedere la trattazione adottata dalla Corte nella sentenza McCann e altri, succitata, §§ 146-150 e §§ 192-214, e, più recentemente, nella sentenza Makaratzis, succitata, §§ 64-66 ; vedere anche Streletz, Kessler e Krenz c. Germania [GC], nn. 34044/96, 35532/97 e 44801/98, §§ 87, 96 e 97, CEDH 2001-II, nella quale la Corte ha condannato l’uso delle armi da fuoco contro persone non armate e non violente che tentavano di lasciare la Repubblica democratica tedesca.
64. Oltre a enunciare le circostanze che possono giustificare il fatto di cagionare la morte, l’articolo 2 implica il dovere fondamentale per lo Stato di assicurare il diritto alla vita mettendo in atto un quadro giuridico e amministrativo adeguato che definisca le limitate circostanze nelle quali i rappresentanti delle forze dell’ordine possono far ricorso alla forza e fare uso delle armi da fuoco, tenuto conto delle linee guida internazionali in materia (vedere la sentenza Makaratzis succitata, §§ 57-59 soprattutto le disposizioni pertinenti dei Principi di base delle Nazioni unite sull’uso della forza e delle armi da fuoco da parte delle forze dell’ordine, precedente paragrafo 50). Conformemente al summenzionato principio di stretta proporzionalità, che è inerente all’articolo 2 (McCann e altri, succitata, § 149) il quadro giuridico nazionale che disciplina le operazioni di arresto deve subordinare il ricorso alle armi da fuoco ad una minuziosa valutazione della situazione e, soprattutto, ad una valutazione della natura del reato commesso dal fuggitivo e della minaccia da lui rappresentata.
65. Per di più, il diritto nazionale che disciplina le operazioni di polizia deve offrire un sistema di garanzie adeguate ed effettive contro l'arbitrio e l'abuso della forza, e anche contro gli incidenti (Makaratzis, succitata, § 58). In particolare, le forze dell’ordine devono essere formate per essere in grado di valutare quando è assolutamente necessario utilizzare le armi da fuoco, non soltanto seguendo alla lettera i regolamenti pertinenti, ma anche tenendo debitamente in conto la preminenza del rispetto della vita umana in quanto valore fondamentale (vedere le critiche formulate dalla Corte relativamente alla formazione dei militari che avevano come istruzione quella di "sparare per uccidere", McCann e altri, succitata, §§ 211-214).

b) Applicazione dei summenzionati principi nella fattispecie

66. Julian Alikaj è stato ucciso da proiettili sparati da un membro della polizia che tentava di arrestarlo dopo la sua fuga a seguito di un controllo stradale. Di conseguenza, la causa deve essere esaminata dal punto di vista dell'articolo 2 § 2 b) della Convenzione.
67. La Corte osserva che si trova di fronte a versioni divergenti di alcuni elementi di fatto, in particolare la posizione esatta della vittima e di A.R. al momento in cui è stato sparato il colpo mortale. Tuttavia essa nota che i fatti della fattispecie sono stati stabiliti per via giudiziaria a livello interno (precedenti paragrafi 33 e seguenti) e che nessun elemento del fascicolo di causa è tale da rimettere in discussione quanto constatato dalla corte d'assise e di indurre la Corte a discostarsene (Klaas c. Germania, sentenza del 22 settembre 1993, § 30, serie A no 269).
68. Così, anche se parecchi fatti rimangono incerti, la Corte ritiene, alla luce della totalità dei documenti che le sono stati presentati, che esistano sufficienti elementi di fatto per consentirle di valutare la causa, prendendo come punto di partenza le constatazioni dell’autorità giudiziaria nazionale qui sopra richiamata.
69. La Corte rileva che i giudici interni hanno riconosciuto il poliziotto A.R. colpevole di omicidio colposo in quanto, durante l'inseguimento dei quattro fuggitivi, aveva imprudentemente imboccato una scarpata in pendenza, senza luce e con la sua pistola in mano, pronto a sparare, prima di scivolare e di sparare un colpo che ha colpito la vittima alla schiena, cagionando così il suo decesso. La corte d'assise ha giudicato che A.R. aveva agito imprudentemente dato che aveva deciso di far uso della sua arma. Tuttavia, in ragione della prescrizione, ha pronunciato un non luogo a procedere a carico dell'accusato.
70. La Corte ricorda anche che il poliziotto A.R. ha iniziato ad inseguire Julian Alikaj e le altre tre persone poi ha tirato fuori la sua arma ed ha sparato un colpo di avvertimento allo scopo di fermarli e di controllare la loro identità in quanto costoro si erano rifiutati di ubbidire ai poliziotti e si erano dati alla fuga.
71. La Corte nota poi che dalla sentenza della corte d'assise risulta che l'auto nella quale si trovavano i fuggitivi era stata rubata, ma che al momento dei fatti questa circostanza non era conosciuta da A.R. né dal suo collega. Tuttavia, i due poliziotti hanno affermato che la velocità dell'auto guidata da Julian Alikaj era parsa loro sospetta.
72. Comunque, nel caso di specie non è stato affermato che i poliziotti avessero motivi per pensare che le persone a bordo dell'auto avessero commesso crimini violenti, che fossero pericolosi o che il loro mancato arresto avrebbe avuto conseguenze nefaste irreversibili. I quattro uomini non erano armati e nulla nel loro comportamento poteva lasciar pensare che costituissero una minaccia per i due poliziotti.
73. La Corte ritiene che, in tali circostanze, correndo all'inseguimento dei fuggitivi con la pistola in mano, su un terreno scivoloso a causa della pioggia, in piena notte, il poliziotto metteva in pericolo la loro vita.
Come essa ha detto qui sopra, il ricorso ad una forza potenzialmente mortale non può essere considerato "assolutamente necessario" quando si sa che la persona che deve essere catturata non rappresenta una minaccia per la vita o per l’integrità fisica altrui e non è sospettata di aver commesso un reato violento.
Per di più la Corte nota che il Governo non ha fatto riferimento a disposizioni dettagliate che regolano l'uso delle armi da fuoco durante le azioni della polizia. Al comportamento imprudente dell’agente dello Stato responsabile dell'azione mortale si aggiunge quindi una mancanza di regolamentazione dell'uso delle armi - da parte dello Stato convenuto - che pone problemi rispetto all'articolo 2 della Convenzione.
74. La Corte attribuisce una particolare importanza alle conclusioni della corte d'assise nel punto in cui ha ritenuto che il poliziotto non avesse agito con le dovute precauzioni quando ha inseguito i fuggitivi con la sua arma in mano.
75. In effetti, la Corte ritiene che non fosse strettamente necessario che A.R tenesse la sua arma in mano e mantenesse il dito sul grilletto durante questo inseguimento. Essa ritiene che questo agente non abbia preso tutte le precauzioni sufficienti per preservare la vita di Julian Alikaj. In particolare, viste le circostanze della fattispecie, non può ammettere che il poliziotto abbia potuto ragionevolmente pensare che i passeggeri dell'auto fossero pericolosi e che avesse quindi bisogno di tirar fuori la sua arma per farne un eventuale uso e impedire la loro fuga.
76. La Corte ritiene che, visto come si è svolta l’operazione nel caso di specie, le autorità non abbiano manifestato la vigilanza richiesta dalle circostanze per ridurre al minimo qualsiasi messa in pericolo di Julian Alikaj e delle altre persone che si trovavano sui luoghi dell'incidente. Esse hanno dato prova così di negligenza nella scelta delle misure adottate (vedere, a contrario, Bubbins c. Regno Unito, succitata, §§ 141-150), in un contesto di assenza di una precisa normativa sull'uso delle armi da fuoco da parte delle forze dell'ordine.
77. Ne consegue che a tale proposito vi è stata violazione dell'articolo 2 della Convenzione.

b) Sull'aspetto procedurale dell'articolo 2 della Convenzione

1. Argomenti delle parti

i) I ricorrenti

78. I ricorrenti contestano le affermazioni del Governo e sostengono che dal fascicolo risulta che il primo poliziotto arrivato sul posto era il comandante dell’agente A.R. e del suo collega. Inoltre, questo comandante avrebbe verificato le pistole dei due agenti. Contrariamente a quanto affermato dal Governo, il comandante della polizia stradale di Bergamo è arrivato sul posto una mezz'ora più tardi.
79. I ricorrenti sostengono che i bossoli sono scomparsi e che non è stato fatto nulla per ritrovarli. A sostegno della loro tesi, producono copia dell’audizione dell'ispettore della polizia scientifica, il quale ha affermato che era disponibile un metal detector, ma che i poliziotti avevano ritenuto di non utilizzarlo perché i bossoli erano scomparsi e non vi era nessuna probabilità di ritrovarli. Secondo loro, si tratta di una negligenza da parte degli inquirenti.
80. Quanto ai fatti dell'inchiesta eseguita dagli agenti appartenenti allo stesso servizio di A.R., i ricorrenti si riportano alle conclusioni della corte d'assise su questo punto.
81. Per quanto riguarda il sequestro delle armi, i ricorrenti rilevano che il pubblico ministero è arrivato sul posto all’incirca due ore dopo i fatti e che, benché avesse disposto il sequestro delle pistole, le due armi non sono mai state depositate nella cancelleria del tribunale.
82. I ricorrenti contestano la versione dei fatti data dal Governo. Ricordano che il primo ad essere arrivato sul posto, alle ore 0:35, è stato l'autista dell'ambulanza. I due poliziotti sono rimasti soli per venti minuti. I superiori diretti di A.R. si recarono sul posto verso l'una, ed il rappresentante della procura vi arrivò verso le 2.
83. Quanto all'identificazione del cadavere, i ricorrenti dicono di non aver potuto partecipare all'autopsia perché la sorella di Julian Alikaj è stata informata del suo decesso soltanto il giorno dopo e non ha potuto nominare un medico per partecipare all'autopsia. Contrariamente a quanto dichiarato dal Governo, i ricorrenti ricordano che durante l'udienza del 23 settembre 2002, essi hanno interrogato il medico legale in merito alle ferite alla bocca. Affermano che l'autopsia è stata eseguita in maniera superficiale e incompleta.
84. Per quanto riguarda il luogo in cui si trovava il cadavere, i ricorrenti dicono che non vi è alcun dubbio che sia stato spostato dai due agenti, come mostra la traiettoria del proiettile, dal basso verso l’alto, e per la posizione del cadavere.
85. I ricorrenti affermano che la scena del crimine è stata alterata dagli agenti e dal loro superiore gerarchico per avvalorare la tesi della caduta e dell'omicidio colposo. Dicono di non aver avuto diritto ad un processo equo.

ii)  Il Governo

86. Il Governo sostiene che gli agenti che hanno eseguito l'inchiesta non appartenevano alla stessa unità amministrativa del poliziotto A.R. Afferma che gli agenti che si sono recati sulla scena del crimine per eseguire i primi atti investigativi erano membri della squadra mobile della questura di Bergamo e della sezione della polizia scientifica di Bergamo, dei carabinieri di Grumello del Monte oltre al procuratore della repubblica di Bergamo, mentre i poliziotti coinvolti nel decesso di Julian Alikaj appartenevano all'ufficio della polizia stradale di Seriate.
87. Il Governo afferma che l'inchiesta della polizia è stata condotta sotto la supervisione del sostituto procuratore di Bergamo, che non aveva alcun legame con il corpo di polizia al quale appartenevano il poliziotto A.R. ed il suo collega. In effetti, questi ultimi facevano parte della polizia stradale che ha compiti di polizia amministrativa e non giudiziaria. Secondo il Governo, l'imparzialità del procuratore non può essere messa in discussione perché costui ha sempre sostenuto la tesi dell'omicidio volontario e non quella dell'omicidio colposo che in seguito è stata ritenuta dalla corte d'assise.
88. Il Governo sostiene che tra il decesso di Julian Alikaj e l'intervento degli inquirenti è trascorso un lasso di tempo insignificante, come confermano le dichiarazioni degli altri fuggitivi, i quali hanno testimoniato di aver atteso il loro compagno ma che, vedendo arrivare l'ambulanza e le auto della polizia, avevano preferito fuggire. In questo lasso di tempo , i poliziotti non hanno avuto la possibilità di modificare lo stato dei luoghi trascinando il corpo della vittima, facendo sparire i bossoli e pulendo l’uniforme di A.R.
89. Quanto ai bossoli che non sono mai stati ritrovati, il Governo afferma che all’epoca la polizia non disponeva di metal detector. Per di più ricorda che la denuncia per falso depositata a carico degli agenti della polizia scientifica è stata successivamente archiviata. Alla luce di questi elementi conclude che le investigazioni non hanno mancato di imparzialità.
90. Quanto all’ampiezza ed alla serietà delle investigazioni e all’esigenza di celerità di queste ultime, il Governo osserva che l’autorità giudiziaria non ha fatto economia di mezzi per accertare i fatti e a tal fine ha fatto ricorso ai mezzi tecnologici più avanzati come ai metodi tradizionali. Questa esigenza sarebbe stata rispettata anche per la ricerca delle prove, soprattutto alla luce dei seguenti elementi: immediatamente dopo i fatti la scena del delitto è stata isolata e preservata; subito sono stati identificati e sequestrati gli oggetti pertinenti; l'autopsia è stata eseguita entro le ventiquattro ore; i principali attori e testimoni sono stati ascoltati immediatamente (compresi i fuggitivi che si sono recati alla polizia il giorno dopo); gli altri testimoni sono stati ascoltati successivamente; numerose perizie balistiche, medico-legali o altre (ad esempio sugli abiti o sui luoghi) - sono state eseguite sia durante l'inchiesta che nel corso del dibattimento. A tale proposito, il Governo ricorda che la corte d'assise ha incaricato due periti peri esaminare gli atti e le conclusioni della polizia scientifica.
91. Quanto ai proiettili che non sono mai stati ritrovati, il Governo sostiene che la loro ricerca era difficile ed inutile perché la loro eventuale scoperta non avrebbe apportato alcuna informazione supplementare pertinente che permettesse di trarre una conclusione diversa sullo svolgimento dei fatti. Aggiunge che, ad ogni modo, tale ricerca non è mai stata sollecitata dai ricorrenti.
92. I ricorrenti avrebbero beneficiato di un accesso alle informazioni ed hanno potuto partecipare alla procedura in maniera effettiva facendosi rappresentare da avvocati e periti di fiducia. Peraltro, essi non si sono avvalsi della possibilità che avevano per partecipare all'autopsia e non hanno interrogato il medico legale durante la sua audizione nel corso del dibattimento. Essi hanno dato incarico a periti balistici e al medico legale i cui rapporti sono stati inseriti nel fascicolo.
93. In conclusione, il Governo ritiene che l'inchiesta sia stata effettiva e che gli obblighi procedurali derivanti dall'articolo 2 della Convenzione siano stati rispettati.

2) Valutazione della Corte

a) Principi generali

94. Quando vi è stata la morte di una persona in circostanze che possono coinvolgere la responsabilità dello Stato, l'obbligo di proteggere il diritto alla vita gli impone di assicurare, con tutti i mezzi di cui dispone, una reazione adeguata - giudiziaria o altra - affinché il quadro legislativo e amministrativo sopra menzionato sia effettivamente messo in atto e affinché, eventualmente, le violazioni del diritto in gioco siano represse e sanzionate (vedere, mutatis mutandis, Paul e Audrey Edwards c. Regno Unito, no 46477/99, § 54, CEDH 2002 II). Le esigenze dell'articolo 2 vanno oltre lo stadio dell'inchiesta ufficiale quando nella circostanza quest'ultima ha comportato l'avvio di azioni penali innanzi ai giudici nazionali: è tutto il procedimento, compresa la fase del giudizio, che deve soddisfare gli imperativi dell’obbligo di proteggere la vita da parte della legge (Öneryıldız c. Turchia [GC], no 48939/99, § 95, CEDH 2004 XII).
95. L’articolo 2 non può essere interpretato nel senso che comporti, in quanto tale, un diritto di far perseguire o condannare penalmente terzi, o come un obbligo di risultato che preveda che qualsiasi azione penale debba concludersi con una condanna, addirittura con la pronuncia di una determinata pena. Al contrario, i giudici nazionali non devono in alcun caso lasciare impunite le offese alla vita. Questo è indispensabile per mantenere la fiducia del pubblico e garantire la sua adesione allo Stato di diritto oltre che per prevenire qualsiasi parvenza di tolleranza di atti illegali, o di collusione nella loro perpetrazione (Öneryıldız, succitata, § 96, e Dölek c. Turchia, n no 39541/98, § 75, 2 ottobre 2007).
96. In linea generale, si può ritenere che affinché una inchiesta su una affermazione di omicidio illegale commesso da agenti dello Stato sia effettiva, occorre che le persone che ne sono incaricate siano indipendenti dalle persone coinvolte ( vedere, ad esempio, Güleç c. Turchia, sentenza del 27 luglio 1998, §§ 81-82, Recueil 1998-IV, e Oğur c. Turchia [GC],
no 21954/93, §§ 91-92, CEDH 1999-III). Ciò presuppone non soltanto la mancanza di qualsiasi legame gerarchico o istituzionale ma anche una indipendenza pratica (Ramsahai succitata, § 325, McKerr c. Regno Unito, no 28883/95, § 128, CEDH 2001-III ; Hugh Jordan c. Regno Unito, no 24746/94, § 120, CEDH 2001-III ; Aktaş c. Turchia, no 24351/94, § 301, CEDH 2003-V).
97. L'inchiesta deve anche essere effettiva nel senso che deve consentire di determinare se il ricorso alla forza fosse giustificato o no nelle circostanze (Oğur c. Turchia [GC], no 21594/93, § 87, CEDH 1999 III,) e di identificare e sanzionare i responsabili. Le autorità devono aver preso le misure ragionevoli a loro disposizione per assicurare l’ottenimento delle prove relative ai fatti in questione, ivi comprese, tra altre, le deposizioni dei testimoni oculari e le perizie medico-legali. Le conclusioni dell’inchiesta devono fondarsi su un’analisi approfondita, oggettiva e imparziale di tutti gli elementi pertinenti e devono applicare un criterio paragonabile a quello della “necessità assoluta” enunciato dall’articolo 2 § 2 della Convenzione. Qualsiasi carenza dell’inchiesta che affievolisca la sua capacità di accertare le circostanze della causa o le responsabilità rischia di far concludere che essa non risponde alla norma richiesta di effettività (Kelly e altri c. Regno Unito, no 30054/96, §§ 96-97, 4 maggio 2001, e Anguelova c. Bulgaria, no 38361/97, §§ 139 e 144, CEDH 2002 IV).
98. In questo contesto è implicita una esigenza di celerità e diligenza (Yaşa c. Turchia, 2 settembre 1998, §§ 102-104, Recueil 1998-VI ; Cakıcı succitata, §§ 80, 87 e 106 ; Tanrıkulu succitata, § 109 ; Mahmut Kaya c. Turchia, no 22535/93, §§ 106-107, CEDH 2000-III). E’ giocoforza ammettere che vi possano essere ostacoli o difficoltà che impediscono di progredire in una situazione particolare. Tuttavia quando si tratta di investigare sul ricorso alla forza mortale, in generale una risposta rapida delle autorità può essere considerata essenziale per preservare la fiducia del pubblico nel rispetto del principio di legalità e per evitare qualsiasi parvenza di complicità o di tolleranza verso atti illegali.
99. La Corte ricorda che quando un’agente dello Stato è accusato di atti contrari agli articoli 2 o 3, la procedura o la condanna non può essere resa caduca da una prescrizione e non può essere autorizzata l’applicazione di misure quali l’amnistia o la grazia (vedere, mutatis mutandis, Abdülsamet Yaman c. Turchia, no 32446/96, § 55, 2 novembre 2004, Okkalı c. Turchia, no 52067/99, § 76, CEDH 2006 XII (estratti)).

b) Applicazione dei principi succitati al caso di specie

100. I ricorrenti hanno segnalato parecchie anomalie nell’inchiesta. La Corte non ritiene di doversi dedicare all’analisi di tutti punti sollevati perché; come ha già ricordato, qualsiasi carenza dell’inchiesta che affievolisca la sua capacità a stabilire la causa o i responsabili del decesso rischia di far concludere che essa non soddisfa l’obbligo procedurale derivante dall’articolo 2 (Aktaş succitata, § 300).
101. La Corte sottolinea i seguenti punti. I primi atti dell’inchiesta, ossia l’ispezione tecnica del luogo dell’incidente, la ricerca dei bossoli nonché la verifica ed il sequestro delle armi dei poliziotti, sono stati eseguiti dal corpo della polizia al quale apparteneva l’agente A.R. In particolare, il primo poliziotto ad essere arrivato sul posto era il superiore gerarchico di A.R. E’ evidente che esisteva quindi un legame gerarchico tra gli inquirenti ed il poliziotto coinvolto.
102. La procura, dopo aver assunto la direzione dell’inchiesta, dispose che altri corpi di polizia eseguissero altre indagini. A tale proposito la Corte nota che il procuratore è arrivato sul posto circa due ore dopo i fatti.
103. In una precedente causa, la Corte ha concluso per la violazione dell’articolo 2 considerato sotto il suo aspetto procedurale in quanto una inchiesta su un decesso verificatosi in circostanze che coinvolgevano la responsabilità dell’autorità pubblica era stata condotta dai colleghi diretti delle persone sospettate di essere responsabili del decesso (Aktaş, succitata, § 301). In altre cause, essa ha giudicato che la supervisione da parte di una autorità diversa, per quanto fosse indipendente, non costituiva una sufficiente garanzia di indipendenza dell’inchiesta (Hugh Jordan, succitata, § 120, e McKerr, succitata, § 128).
104. Se è vero che obbligare la polizia locale a restare passiva fino all’arrivo di inquirenti indipendenti rischia di comportare la perdita o la distruzione di prove importanti, il Governo non ha messo in evidenza alcuna circostanza speciale che, nella fattispecie, avrebbe richiesto dalla polizia locale un’azione immediata oltre al mettere in sicurezza i luoghi. Non è tuttavia necessario che la Corte si occupi di questa questione in astratto.
105. La Corte nota anche che la corte d’assise ha condannato la scelta di affidare i primi atti dell’inchiesta ad agenti appartenenti alla stessa unità amministrativa di A.R. (precedente paragrafo 41).
106. Da soli, questi motivi sono sufficienti ad indurre la Corte a concludere per la violazione dell’articolo 2 della Convenzione in ragione della insufficiente indipendenza dell’inchiesta della polizia.
107. La Corte nota anche che, undici anni dopo la morte di Julian Alikaj, la corte d’assise, dopo aver riconosciuto A.R. colpevole di omicidio colposo, ha pronunciato un non luogo a procedere in quanto era intervenuta la prescrizione.
108. La Corte sottolinea che le attività poste in atto nella fattispecie dalle autorità incaricate dell’indagine preliminare a seguito della morte di Julian Alikaj e da parte dei giudici di merito durante il processo non danno adito a controversia. Tuttavia, tenuto conto dell’esigenza di celerità e di ragionevole diligenza, implicita nel contesto degli obblighi positivi in causa (vedere, fra altre, McKerr, succitata, §§ 113-114, e, mutatis mutandis, Yaşa, succitata, §§ 101-103), basta osservare che l’applicazione della prescrizione rientra incontestabilmente nella categoria di quelle “misure” inammissibili secondo la giurisprudenza della Corte in quanto ha avuto come effetto quello di impedire una condanna.
109. La Corte nota tuttavia che i ricorrenti sono ricorsi in cassazione, traendo motivo dal fatto che, nel riqualificare i fatti in omicidio colposo, la corte d’assise aveva applicato delle circostanze attenuanti e non la circostanza aggravante del fatto commesso nell’esercizio della funzione di poliziotto, ma che la Corte di cassazione ha rigettato il loro ricorso.
110. Essa nota inoltre che al poliziotto A.R. non è stata inflitta alcuna sanzione disciplinare.
111. Di conseguenza, la Corte ritiene che, lungi dall’essere rigoroso, il sistema penale così come è stato applicato nella fattispecie non poteva generare alcuna forza dissuasiva idonea ad assicurare la prevenzione efficace di atti illeciti come quelli denunciati dai ricorrenti. Nelle particolari circostanze della causa, essa giunge così alla conclusione che l’esito della procedura penale controversa non abbia offerto una adeguata riparazione della offesa arrecata al valore sancito dall’articolo 2 della Convenzione.
112. Pertanto, vi è stata violazione dell’articolo 2 della Convenzione per quanto riguarda il profilo procedurale.
113. Giunta a questa conclusione, la Corte non ritiene di dover esaminare le altre carenze dell’inchiesta allegate dai ricorrenti.

c) Sulle altre violazioni allegate

114. I ricorrenti vedono una violazione dell’articolo 6 § 3 d) nel rifiuto da parte della corte di assise di produrre alcune perizie di parte civile in udienza e di sentire alcuni testimoni che avrebbero potuto attestare che il cadavere era arrivato all’obitorio prima dell’arrivo della polizia scientifica sulla scena del crimine. Lamentano anche di non aver beneficiato di una inchiesta conforme alle esigenze procedurali derivanti dagli articoli 6 e 13 della Convenzione.
115. Tenuto conto delle circostanze della fattispecie e del ragionamento che l’ha portata a constatare la violazione dell’articolo 2 della Convenzione, la Corte ritiene che non si debbano esaminare ricevibilità e merito del ricorso dal punto di vista di questi articoli.

 

III  SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

116. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,

« Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa. »

A.  Danno

117. I ricorrenti domandano 466.279,95 EURO per il danno materiale che avrebbero subito. Questo ammontare è valutato come segue:

  • 399.187 EURO per la perdita dell’attività agricola derivante dal decesso di Julian Alikaj;
  • 15.750 EURO per la perdita di redditi per la madre di Julian Alikaj; e
  • 15.000 EURO per le spese funebri ;

I ricorrenti reclamano inoltre come danno morale, 100.000 EURO per il padre Julian Alikaj, 150.000 EURO per la madre e 30.000 per ciascuna delle sue sorelle.
118. Il Governo si oppone a tali pretese. Esso sostiene che sono ingiustificate e stravaganti e che i ricorrenti non hanno provato alcun nesso di causalità tra la violazione in questione ed il danno materiale e morale allegato. Secondo il Governo, una eventuale constatazione di violazione costituirebbe di per sé una equa soddisfazione.
119. Innanzitutto, per quanto riguarda il pregiudizio che deriverebbe dalla cessazione dell’attività agricola e da una perdita di reddito per la madre di Julian Alikaj, la Corte non scorge il nesso di causalità tra la violazione constatata ed il danno materiale così allegato e rigetta questa domanda.
120. Per quanto riguarda il rimborso delle spese funebri, in mancanza di giustificativi e decidendo secondo equità, la Corte accorda ai ricorrenti congiuntamente 5.000 EURO a questo titolo.
121. Per quanto riguarda il danno morale, tenuto conto di tutte le circostanze del caso di specie, la Corte ammette che i ricorrenti hanno subito un danno morale che le constatazioni di violazione non possono riparare.
122. Decidendo secondo equità come vuole l’articolo 41 della Convenzione e tenuto conto dei legami familiari esistenti tra i ricorrenti e la vittima, essa ritiene opportuno concedere 50.000 EURO alla prima ricorrente Antoneta Alikaj, 50.000 EURO al secondo ricorrente Bejko Alikaj e 15.000 EURO a ciascuno dei ricorrenti Vojsava Alikaj e Anita Alikaj, per danno morale.

B. Spese legali

123. I ricorrenti domandano anche 24.138 EURO per le spese legali da loro affrontate innanzi ai giudici interni, 5.180 EURO per le spese di soggiorno in Italia e 7.080 EURO per i loro spostamenti in Italia. Come giustificativi essi hanno prodotto molti biglietti di treno e di aereo oltre a molte fatture per onorari. Per quanto riguarda le spese della procedura innanzi alla Corte, essi non presentano alcuna domanda.
124. Il Governo si oppone a queste pretese e fa notare che non sono provate da alcun giustificativo.
125. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle sue spese soltanto nella misura in cui ne vengano provate la loro realtà, la loro necessità e la ragionevolezza del loro ammontare. Tenuto conto dei documenti in suo possesso e dei criteri summenzionati, la Corte giudica ragionevole accordare ai ricorrenti, congiuntamente, la somma complessiva di 20.000 EURO. 

C.  Interessi moratori

126. La Corte giudica appropriato calcolare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ

  1. Dichiara il ricorso ricevibile;
  2. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 2 della Convenzione sotto il suo profilo materiale;
  3. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 2 sotto il suo profilo procedurale;
  4. Dichiara che non si pone alcuna questione distinta sul terreno degli articoli 6 e 13 della convenzione;
  5. Dichiara
    1. che lo Stato convenuto deve versare ai ricorrenti, entro tre mesi a decorrere dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le somme seguenti:
      1. 5.000 EURO (cinquemila euro) ai ricorrenti congiuntamente più qualsiasi importo dovuto a titolo di imposta su questa somma, per danno materiale;
      2. 50.000 EURO (cinquantamila euro) alla prima ricorrente Antoneta Alikaj, 50.000 EURO (cinquantamila euro) alla seconda ricorrente Bejko Alikaj, 15.000 EURO (quindicimila euro) a ciascuna delle ricorrenti Vojsava Alikaj e Anita Alikaj, più qualsiasi importo che potrà essere dovuto a titolo di imposta su queste somme, per danno morale;
      3. 20.000 EURO (ventimila euro) congiuntamente, più qualsiasi importo che potrà essere dovuto dai ricorrenti a titolo di imposta su queste somme, per le spese legali;
    2. che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, queste somme dovranno essere maggiorate di un interesse semplice al tasso pari a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  6. Rigetta la domanda di equa soddisfazione per il surplus.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 29 marzo 2011, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Stanley Naismith
Cancelliere   

Françoise Tulkens
Presidente