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Agente provocatore: cenni introduttivi

1 marzo 2021, Irene Iannelli

L’“agente provocatore” è figura i cui contorni sono stati compiutamente delineati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la quale ha – in particolare – evidenziato i limiti entro cui l’operato dell’agente provocatore può ritenersi ammissibile, e al di fuori dei quali, al contrario, dovrà ritenersi integrata una violazione del diritto al giusto processo, tutelato dall’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali (e, nell’ordinamento italiano, dall’art. 111 della Costituzione).

La Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, ha evidenziato che deve ritenersi violato il diritto ad un “giusto processo” nel caso in cui un soggetto venga condannato per un reato provocato “in senso stretto” dalle stesse forze di polizia, nel senso che – senza l’apporto dato dall’agente provocatore – l’agente non avrebbe commesso il reato in questione.

Nelle parole della Corte EDU:

“75. La Corte rammenta che se l’intervento di agenti infiltrati può essere tollerabile nella misura in cui esso è chiaramente circoscritto e unito a garanzie, l’interesse pubblico non può giustificare l’utilizzo di elementi raccolti a seguito di una provocazione della polizia. Un procedimento di questo tipo può privare ab initio e definitivamente l’accusato di un processo equo (Ramanauskas c. Lituania [GC], n. 74420/01, § 54, CEDU 2008; si vedano anche Teixeira de Castro c. Portogallo, 9 giugno 1998, §§ 35-36 e 39, Recueil 1998-IV, Vaniane c. Russia, n. 53203/99, §§ 46-47, 15 dicembre 2005, e Sepil c. Turchia, n. 17711/07, § 32, 12 novembre 2013).

  1. Si ha provocazione della polizia quando gli agenti coinvolti – appartenenti alle forze dell’ordine o altre persone che intervengono su loro richiesta – non si limitano a esaminare passivamente l’attività delittuosa, ma esercitano sulla persona che ne è l’oggetto una influenza tale da indurla a commettere un reato che altrimenti essa non avrebbe commesso, per renderne possibile l’accertamento, ossia apportarne la prova e perseguirla (Ramanauskas, sopra citata, § 55, Teixeira de Castro, sopra citata, § 38, e Sepil, sopra citata, § 33; si vedano, a contrario, Calabrò c. Italia e Germania (dec.), n. 59895/00, 21 marzo 2002, e Eurofinacom c. Francia (dec.), n. 58753/00, CEDU 2004-VII).
  2. Inoltre, la Corte ha ritenuto che, quando un accusato sostiene di essere stato provocato a commettere un reato, i giudici penali devono esaminare attentamente il fascicolo, dal momento che, perché un processo sia equo ai sensi dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, ogni prova ottenuta tramite una provocazione della polizia deve essere scartata. Ciò è ancor più vero quando l’operazione della polizia si è svolta in assenza di un quadro legale e di garanzie sufficienti (Ramanauskas, sopra citata, § 60, Khoudobine c. Russia, n. 59696/00, §§ 133-135, CEDU 2006-XII, e Sepil, sopra citata, § 36).” [1][1]

I principi delineati dalla Corte di Strasburgo sono stati ribaditi anche a livello interno, dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, la quale è costante nel ritenere che

non sono lecite le operazioni sotto copertura consistenti nell'incitamento o nell'induzione alla commissione di un reato da parte soggetto indagato, in quanto all'agente infiltrato non è consentito commettere azioni illecite diverse da quelle dichiarate non punibili e di quelle strettamente e strumentalmente connesse. Una simile condotta, oltre a determinare responsabilità penale dell'infiltrato, produce, quale ulteriore conseguenza, l'inutilizzabilità della prova acquisita e rende l'intero procedimento suscettibile di un giudizio di non equità ai sensi dell'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (Sez. 2, n. 38488 del 9 ottobre 2008; Sez. 3, n. 26763 del 3 luglio 2008; Sez. 3, n. 17199 del 7.4.2011, Ediale).

Per potersi ritenere esistente la figura dell'agente provocatore, però, occorre che la condotta del provocatore assuma una rilevanza causale nel fatto commesso dal provocato nel quale venga suscitato un intento delittuoso prima inesistente. […] In sostanza, anche secondo la giurisprudenza CEDU, deve ritenersi che l'attività degli agenti infiltrati deve essere circoscritta e coperta da garanzie anche quando si tratta di reati di particolare gravità e che l'intervento degli agenti provocatori, quando sia determinante per la commissione del reato (nel senso che senza il loro intervento il reato non sarebbe stato commesso), se utilizzato nel processo penale, può falsare irrimediabilmente il carattere equo del processo[2].

 In conclusione, al fine di vagliare nel caso specifico la legittimità o meno della azione dell’agente provocatore, l’interprete sarà chiamato a compiere un giudizio controfattuale al fine di verificare se, in assenza dell’apporto dato dall’agente, l’imputato avrebbe comunque commesso il reato contestato, oppure al contrario se l’agente provocatore abbia instillato nell’imputato un intento criminoso prima inesistente, caso in cui l’intero procedimento penale a carico dell’imputato dovrà considerarsi iniquo per violazione dell’art. 6 CEDU e dell’art. 111 della Costituzione.

[1] Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 19 maggio 2015 - Ricorso n. 55546/09 - Giorgio Sampech c. Italia. Peraltro, tali considerazioni compiute dai giudici di Strasburgo si inseriscono nell’alveo di una consolidata giurisprudenza conforme: si vedano ad es. sent. 9.6.1998, Teixeira de Castro c. Portogallo; sent. 21.2.2008, Pyrgiotakis c. Grecia; sent. 1.7.2008, Malininas c. Lituania, ecc.

[2] Cass. pen., Sez. III, sent. 16.09.2013, n.37805.