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Accertamento e trattamento sanitario obbligatorio e stato di necessità: easy peasy lemon squeezy?

31 maggio 2019, Ermanno Arrighini e Fiorella Passerini

A.S.O., T.S.O. e stato di necessità: easy peasy lemon squeezy?
Decisamente no, secondo le recentissime sentenze in proposito

Fiorella Passerini – Ermanno Arreghini

(già pubblicato su Studi e commenti, Il Vigile Urbano, 5 - 2019)

L’articolo rende conto degli aspetti critici dell’attuale legislazione in tema di A.S.O. (Accertamento Sanitario Obbligatorio) e T.S.O. (Trattamento Sanitario Obbligatorio) e dei successivi tentativi di chiarificazione.

Affronta poi le problematiche di confine tra gli aspetti giuridici e le pratiche psichiatriche con riferimento sia all’esecuzione dei suddetti provvedimenti sanitari obbligatori sia alla salvaguardia dei diritti fondamentali del paziente ristretto nella sua libertà per motivi di cura. Conclude, infine, accennando – in un’analisi comparativa – ad una possibile proposta di empowerment del paziente assumendo il punto di vista della recente legge
nordirlandese, che riunisce le competenze in materia di trattamenti psichiatrici obbligatori e in materia di capacità d’intendere e di volere in un unico corpus giuridico.

(scarica l'articolo in .pdf - Il Vigile Urbano, 5 - 2019)

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Quali sono le questioni sulle quali ci interrogano ancora i provvedimenti coercitivi presenti nella l. 833/1978, cioè l’A.S.O. ed il T.S.O., alla luce soprattutto delle più volte citate Raccomandazioni?

Al momento, è consentito allo psichiatra che accerti  in un malato effettivamente sotto la sua osservazione – quindi dopo una valutazione specialistica, al pari di tutte le altre valutazioni
specialistiche mediche – la sussistenza di alterazioni psichiche, cioè di un quadro clinico che si esprime con sintomi e segni, tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, di intervenire in
modo coatto, proponendo (e richiedendone convalida
ad un collega) un T.S.O. in condizione di degenza ospedaliera, se la proposta di cure non viene accettata e non è praticabile fuori  dell’ospedale.

In nessun altro caso un medico può fare altrettanto.

Vale a dire che non si dà il caso di un diabetologo che, visitando un paziente obeso, con una grave ulcera diabetica, scompensato nella
glicemia e negli altri parametri metabolici, con rantoli polmonari ed edema agli arti inferiori, dopo averlo informato delle sue condizioni, prossime alla crisi o alla morte, possa disporne il ricovero obbligatorio in un reparto di medicina, inducendolo in modo coercitivo a delle cure.
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