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Violazione di corrispondenza fra coniugi: è reato (Cass. 18462/16)

3 maggio 2016, Cassazione penale

E' responsabile del reato di violazione della corrispondenza quel coniuge che apre la posta diretta all'altro che non vive più nella casa familiare, a nulla rilevando peraltro che la busta sia già aperta.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

sentenza V, 3 maggio 2016, n. 18462,

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAPALORCIA Grazia - Presidente -

Dott. SABEONE Gerardo - Consigliere -

Dott. GORJAN Sergio - rel. Consigliere -

Dott. MORELLI Francesca - Consigliere -

Dott. DE GREGORIO Eduardo - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

F.S., N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 6205/2013 CORTE APPELLO di MILANO, del 27/01/2015;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/02/2016 la relazione fatta dal Consigliere Dott. SERGIO GORJAN;

Udito il Procuratore Generale nella persona del Dott. Pasquale Fimiani che ha concluso l'inammissibilità;

Udito il difensore della parte civile avv. Monica Nassisi del foro di Roma, che conclude per l'inammissibilità od in subordine il rigetto del ricorso proposto dall'imputato.

Svolgimento del processo

La Corte d'Appello di Milano, con la decisione impugnata resa il 27.1 - 5.2.2015, ha confermato la sentenza di condanna emessa dl Tribunale di Monza a carico del F. in ordine al delitto di violazione di corrispondenza, ex art. 616 cod. pen. , alla pena di Euro 60,00 di multa oltre la rifusione dei danni in favore della parte civile.

La moglie del F.,allontanatasi dalla casa coniugale ed in corso il procedimento di separazione, a mezzo apposita querela aveva lamentato che, nel maggio del 2010 quando già allontanatasi dalla casa coniugale, il marito, indebitamente invece che rimetterle la missiva al suo nuovo recapito, aveva aperta lettera di una finanziaria a lei diretta presso l'indirizzo della casa coniugale.

La Corte milanese aveva rigettato l'appello interposto dall'imputato poichè non ritenuta concorrente la scriminante putativa dall'aver agito nell'interesse della moglie assente sul presupposto del suo consenso all'apertura di corrispondenza a lei diretta, posto che la querelante, già un mese prima del fatto, aveva comunicato il nuovo recapito, cui rimettere la posta a lei diretta.

Ha interposto ricorso per cassazione il difensore fiduciario dell'imputato rilevando i seguenti vizi di legittimità:

concorreva vizio di motivazione in quanto il Giudice del gravame non ha indicato la presenza in atti di adeguata prova lumeggiante il dolo generico in capo ad esso imputato per il configurarsi del delitto contestato;

concorreva violazione di legge in ordine al mancato riconoscimento della scriminante d'aver agito nella presunzione del consenso dell'avente diritto, poichè non erano al riguardo stati valutati precisi elementi probatori, acquisiti nel corso del procedimento, circa la condotta di ostilità tenuta dalla querelante verso tutti i sui congiunti e la consapevolezza della B. che il marito apriva le missive contenenti le bollette, sicchè era plausibile anche che fosse consenziente alla presa di conoscenza delle lettere di contenuto economico,incidente sul patrimonio familiare;

concorreva carenza di motivazione in ordine alla dedotta condotta tenuta dall'imputato riconducibile all'istituto della negotiorum gestio.

All'odierna udienza pubblica nessuno compariva per l'imputato,mentre il difensore della parte civile chiedeva la declaratoria di inammissibilità od il rigetto del ricorso ed il P.G. concludeva per l'inammissibilità.
Motivi della decisione

Il ricorso de quo è inammissibile.

Con il primo mezzo d'impugnazione il F. lamenta che la Corte lombarda non abbia indicato elemento probatorio lumeggiante il pur necessario dolo nell'azione illecita contestatagli.

Invero il Collegio d'appello sul punto ha specificatamente osservato come il delitto contestato fosse l'ipotesi,di cui all'art. 616 c.p. , comma 1, sicchè era sufficiente la consapevolezza di prendere conoscenza del contenuto di corrispondenza diretta esclusivamente ad altri.

Quindi la Corte lombarda ha sottolineato come il F. aveva riconosciuto di non aver aperto per errore la missiva diretta alla moglie, bensì consapevolmente, sicchè la prova del dolo generico richiesto risulta puntualmente individuata. In effetto la critica sostanziale alla decisione impugnata si fonda sul mancato riconoscimento della scriminante, almeno sotto il profilo putativo, dell'aver agito con il consenso dell'avente diritto.

Al riguardo però parte impugnante non si confronta con la ragione fondante la decisione d'appello,ossia che già nell'aprile 2010 - la missiva giunse nel maggio successivo -,la B. aveva comunicato via posta elettronica al marito il suo nuovo recapito, presso il quale rimettere la corrispondenza a lei diretta.

A fronte di tale fondamentale elemento,il quale lumeggia con chiarezza che l'avente diritto non delegava il marito all'uopo o consentiva una sua iniziativa al riguardo bensì richiedeva l'inoltro a sè della corrispondenza,non assumono rilievo le circostanze enfatizzate dall'impugnante, siccome puntualmente precisato dalla Corte territoriale.

Così non può configurarsi gestio, ex art. 2028 cod. civ. , posto che la B. era in grado di gestire i suoi affari,avendo chiesto l'inoltro della corrispondenza a ben specifico nuovo recapito.

Così a nulla rileva la presa di conoscenza delle missive contenenti bollette afferenti i consumi delle utenze pertinenti la casa coniugale, poichè concorrente specifico interesse in capo anche al marito effettivo occupante della stessa e fruitore dei servizi erogati.

Così i pessimi rapporti intrattenuti dalla B. con la generalità dei suoi congiunti è condotta che contrasta patentemente con il dedotto consenso presunto a leggere la corrispondenza esclusivamente diretta alla stessa.

Dunque le ragioni di impugnazione appaiono aspecifiche rispetto alla reale ragione posta dalla Corte di merito alla base della sua decisione, poichè non sono attagliate sulla stessa.

Alla declaratoria d'inammissibilità del ricorso, ex art. 616 cod. proc. pen. , consegue la condanna del F. alla rifusione delle spese processuali in favore dell'Erario ed al pagamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa per le Ammende.

Inoltre l'impugnante va condannato alla rifusione delle spese di difesa e patrocinio della B. in questo giudizio di legittimità, che si tassano in Euro 1.000,00 - avuto presente il modesto valore della lite - oltre accessori di legge e rimborso forfetario secondo regola di tariffa forense.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 a favore della Cassa per le Ammende, nonchè alla rifusione delle spese di parte civile che liquida in Euro 1.000,00 oltre accessori di legge.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 11 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 maggio 2016

 

 

 

Cfr. anche Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 04/10/2013) 09-01-2014, n. 585

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BEVERE Antonio - Presidente -

Dott. DE BERARDINIS Silvana - Consigliere -

Dott. VESSICHELLI Maria - Consigliere -

Dott. GUARDIANO Alfredo - Consigliere -

Dott. DE MARZO Giusep - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.F. N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 4348/2009 CORTE APPELLO di NAPOLI, del 29/02/2012;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/10/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Sante Spianci, che ha concluso per l'annullamento per prescrizione;

Udito il difensore Avv. Vito Ripullone, in sostituzione dell'Avv. Vincenzo (Ndr: testo originale non comprensibile) per la ricorrente che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.


Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 29/02/2012, la Corte d'appello di Napoli ha confermato la decisione di primo grado che aveva condannato M.F. alla pena ritenuta di giustizia e al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile, in relazione al reato di cui all'art. 616 c.p. , contestato nei seguenti termini: "perchè, pur non essendone destinataria, apriva e prendeva cognizione della corrispondenza - contratto editoriale Società Guida datato 17.3.2005 - destinata a C.M., suo marito non convivente, dal quale è legalmente separata, utilizzandola nella causa di separazione pendente innanzi al Tribunale di Napoli - I sezione civile".

2. Nell'interesse della M. è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai seguenti motivi.

2.1. Con il primo motivo, si lamenta erronea applicazione dell'art. 616 c.p. , e travisamento del fatto. Al riguardo, si rileva che all'imputata era contestato di avere aperto e preso cognizione della corrispondenza chiusa indirizzata al C. e si aggiunge: a) che il destinatario aveva già preso visione e cognizione della corrispondenza incriminata; b) che la busta contenente il contratto di edizione era giunta già aperta a destinazione, come confermato dalla teste C.S.; c) che nella condotta della M. non è neppure ravvisabile l'ipotesi di cui all'art. 616 c.p. , comma 2, - peraltro mai contestata -, in quanto, nella specie, era ricorrente una giusta causa di rivelazione del contenuto dell'atto.

2.2. Con il secondo motivo, si lamentano vizi motivazionali, rilevando che la Corte territoriale aveva omesso di valutare la rilevanza della pregressa conoscenza, da parte del destinatario, del contenuto della corrispondenza.

2.3. Con il terzo motivo, si lamentano vizi motivazionali in ordine all'elemento soggettivo del reato, dal momento che la ricorrente aveva rinvenuto il plico già aperto sulla sua scrivania, talchè, non avendolo ricevuto personalmente, non aveva conoscenza del fatto che il marito non ne avesse preso cognizione.

2.4. Con il quarto motivo, si lamenta mancata assunzione di una prova decisiva, per non avere la Corte territoriale proceduto alla rinnovazione dibattimentale, in merito ai testi, prima ammessi e poi non sentiti dal giudice di primo grado, i quali avrebbero potuto confermare che il contenuto del contratto inviato al C. era ben noto a quest'ultimo, giacchè l'invio del documento, per la formale accettazione, segue alla definizione dell'accordo.


Motivi della decisione

1. In assenza di cause evidenti di inammissibilità, occorre rilevare che, per effetto della sospensione registrata in appello, è maturato, in data 23/01/2013, successivamente alla sentenza di secondo grado (29/02/2012), il termine di prescrizione.

2. Ciò posto, la presenza della domanda risarcitoria avanzata dalla parte civile impone comunque l'esame del ricorso.

2.1. Il primo motivo di ricorso è infondato, giacchè, come emerge dalla sentenza impugnata e dalla lettura complessiva e sostanziale del fatto storico ascritto all'imputata, la condotta contestata si è tradotta nella indebita utilizzazione di corrispondenza sottratta al destinatario e distratta a fini diversi.

Ne discende l'irrilevanza del fatto che il plico fosse chiuso o aperto, essendo evidente che la corrispondenza era destinata ad altri, come pure del fatto che il destinatario ne conoscesse il contenuto, giacchè la norma tutela la libertà individuale e la riservatezza. Va, in conclusione, ribadito che integra il reato di violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza ( art. 616 c.p. ), la condotta di colui che sottragga la corrispondenza bancaria inviata al coniuge per produrla nel giudizio civile di separazione;

nè, in tal caso, sussiste la giusta causa di cui all'art. 616 c.p. , comma 2, la quale presuppone che la produzione in giudizio della documentazione bancaria sia l'unico mezzo a disposizione per contestare le richieste del coniuge-controparte, considerato che, ex art. 210 c.p.c. , il giudice, può, ad istanza di parte, ordinare all'altra parte o ad un terzo, l'esibizione di documenti di cui ritenga necessaria l'acquisizione al processo (Sez. 5, n. 35383 del 29/03/2011, Solla, Rv. 250925).

2.2. L'assoluta irrilevanza, ai fini della configurabilità del reato contesto, della pregressa conoscenza del contenuto della corrispondenza da parte del destinatario, rende inammissibili per manifesta infondatezza i restanti motivi di ricorso.

3. In conclusione, la sentenza impugnata va annullata per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione, mentre il ricorso va rigettato agli effetti civili.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, per essere il reato estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso agli effetti civili.

Così deciso in Roma, il 4 ottobre 2013.

Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2014