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Tortura e divieto di estradizione: basta lo sforzo del governo brasiliano (cass. pen., 30087/14)

9 luglio 2014, Cassazione penale

Per dare corso all'estradizione vi deve essere la verifica di condizioni ostative, fra i quali il mancato rispetto dei diritti fondamentali nello stato richiedente (artt. 698, comma 1, e 705, comma 2, c.p.p.): se è vero che la sussistenza dei presupposti per negare l'estradizione può essere desunta anche da documenti e rapporti elaborati da organizzazioni non governative (quali, ad es., "Amnesty International" e "Human Rights Watch"), la cui affidabilità sia generalmente riconosciuta sul piano internazionale, per ritenere superate le perplessità basta che le autorità "si sforzino".

 

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 30 aprile ? 9 luglio 2014, n. 30087
Presidente Agrò ? Relatore Bassi

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 14 novembre 2013, la Corte d'Appello di Roma ha dichiarato sussistenti le condizioni per l'accoglimento della richiesta di estradizione avanzata dal governo del Brasile nei confronti di T.G.G. (con i suoi diversi alias) ai fini della espiazione della residua pena di anni quattro mesi nove giorni sei (parte della maggior pena di anni undici mesi nove di reclusione), inflitta con sentenza del 15 dicembre 2004 della 13a Sezione Giudiziaria Federale di Pernambuco, per i reati di associazione per delinquere e traffico d'organi, commessi in Pernambuco tra il 1 gennaio 2002 e il 31 dicembre 2003, sentenza passata in giudicato il 6 settembre 2010.
La Corte territoriale ha evidenziato che, in data 6 giugno 2013, T.G.G. è stato tratto provvisoriamente in arresto a fini estradizionali in quanto colpito da mandato di cattura internazionale emesso dallo Stato del Brasile per l'esecuzione della suddetta sentenza; che l'arresto è stato convalidato con contestuale applicazione della misura della custodia cautelare in carcere; che l'arrestato ha dichiarato di non acconsentire all'estradizione.
Tanto premesso, la Corte ha evidenziato come nella specie sussistano le condizioni per accogliere la domanda di estradizione: la richiesta è formalmente ammissibile in quanto sono stati trasmessi i documenti richiesti dal Trattato Bilaterale di estradizione con il Brasile firmato a Roma il 17 ottobre 1989 in vigore dal 1993; come si evince dai documenti trasmessi, non è maturata la prescrizione della richiesta; ricorre la condizione di cui all'art. 2 del Trattato Bilaterale di estradizione, atteso che la durata della pena residua è superiore a nove mesi di reclusione; sussistono gravi, precisi e concordanti indizi in ordine ai reati per i quali l'estradando è stato condannato con sentenza passata in giudicato; sussiste il requisito della doppia incriminabilità; non ricorrono ragioni per ritenere che l'estradando sarà perseguitato per motivi di carattere razziale, religioso o politico o che verrà sottoposto a trattamenti in violazione di uno dei diritti fondamentali della persona.
2. Avverso il provvedimento ha presentato ricorso l'Avv. M..I., difensore di T.G. , chiedendone l'annullamento per i seguenti motivi:
2.1. Violazione degli artt. 698 comma 1, 705 comma 2 lett. c) cod. proc. pen., 5 lett. b) del trattato di estradizione Italia - Brasile e 3 della CEDU nonché mancanza di motivazione.
Lamenta il ricorrente che, sulla scorta delle citate disposizioni, v'è tassativo divieto di estradizione in tutti i casi in cui vi sia fondato motivo di ritenere che la persona richiesta possa essere sottoposta a pene o trattamenti che violino i diritti fondamentali dell'uomo, laddove costituisce fatto notorio che le strutture detentive del Brasile non rispettano i livelli minimi di tutela della persona, come riconosciuto dalla Suprema Corte e dalla Corte EDU. La Corte d'Appello avrebbe pertanto dovuto valutare i documenti ed i rapporti elaborati da Amnesty International e Human Rights Watch - organizzazioni la cui affidabilità viene generalmente riconosciuta a livello internazionale -, da cui si evince come, all'interno delle carceri brasiliane, si faccia perdurante utilizzo della tortura fisica e psicologica, nonché tenere conto delle condizioni dell'assistito, soggetto anziano, con accertati e gravi problemi di salute.
2.2. Violazione dell'art. 2.1 e 2 del Trattato di estradizione Italia Brasile, laddove in relazione all'unico reato per il quale sussiste il requisito della doppia incriminabilità - quello punito nel nostro ordinamento ai sensi dell'art. 416 cod. pen. - il condannato ha già integralmente espiato la pena, mentre per le ulteriori condotte non v'è corrispondenza rispetto a reati previsti nel nostro ordinamento.
2.3. Violazione dell'art. 2.2 del Trattato bilaterale di estradizione e dell'art. 704 comma 2 cod. proc. pen. (per omessa acquisizione di informazioni e accertamenti indispensabili ai fini del decidere), nonché mancanza di motivazione sui suddetti profili, avendo la Corte omesso di acquisire la documentazione necessaria al fine di determinare l'entità della pena residua da scontare e trascurato l'espresso riferimento ad un decreto di indulto del 2009, sì da verificare se effettivamente la pena da espiare sia superiore a nove mesi di reclusione, così come richiesto dall'art. 2 del trattato bilaterale.
3. Nei motivi aggiunti con produzione documentale, la difesa di T.G.G. ha ribadito come le condizioni delle carceri brasiliane, ed in particolare quelle dello Stato di Pernambucco dove l'estradando dovrebbe scontare la residua pena detentiva, non siano in grado di garantire il rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo ed ha prodotto una serie di documenti a supporto di tale affermazione.
4. In udienza, il Procuratore Generale ha chiesto che il ricorso sia rigettato, mentre il difensore di T.G.G. ha insistito per l'accoglimento del ricorso.

Considerato in diritto

1. Il ricorso non è fondato e deve essere rigettato.
1.1. Con riguardo al primo motivo di doglianza, deve essere rilevato che, secondo i consolidati principi espressi da questa Corte, è pacifico che, ai fini dell'accertamento delle condizioni ostative previste dagli artt. 698, comma 1, e 705, comma 2, cod. proc. pen., la sussistenza dei presupposti per negare l'estradizione possa essere desunta anche da documenti e rapporti elaborati da organizzazioni non governative (quali, ad es., "Amnesty International" e "Human Rights Watch"), la cui affidabilità sia generalmente riconosciuta sul piano internazionale (Cass. Sez. 6, n. 32685 del 08/07/2010, P.G. e altri, Rv. 248002).
Nondimeno, la pronuncia ostativa all'estradizione non può essere basata sulla documentazione dalla quale si evincano episodi occasionali di persecuzione o discriminazione denunciati in modo tale da non essere ritenuti come peculiari di un sistema (Cass. Sez. 6, n. 2657 del 20/12/2013, Cobelean, Rv. 257852; Cass. Sez. 6, n. 15626 del 05/02/2008, Usurelu Ion, Rv. 239672). In altri termini, il divieto di pronuncia favorevole alla estradizione ove si abbia motivo di ritenere che l'estradando verrà sottoposto ad atti persecutori o discriminatori ovvero a pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti o comunque ad atti che configurano violazione di uno dei diritti fondamentali della persona, opera esclusivamente nelle ipotesi in cui ciò sia riferibile ad una scelta normativa o di fatto dello Stato richiedente, a prescindere da contingenze estranee a orientamenti istituzionali, non rilevando quelle situazioni rispetto alle quali sia comunque possibile una tutela legale (Cass. Sez. 6, n. 49881 del 06/12/2013, Neledva, Rv. 258141).
Sulla scorta della documentazione prodotta dalla difesa non può affermarsi che l'estradando, una volta consegnato allo Stato richiedente, sarà sottoposto ad atti persecutori o discriminatori ovvero a trattamenti disumani, laddove i gravi episodi di violenza da parte delle forze di polizia e di tortura all'interno delle carceri verificatisi nello Stato del Brasile - evidenziati nel rapporto 2013 di Amnesty International - non possono ritenersi generalizzati e peculiari di un sistema, né frutto di scelte istituzionali dello Stato richiedente. Anzi, dal rapporto annuale di Amnesty International 2013 si evince che il governo Brasiliano, dopo avere ratificato il Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, si sta adoperando per prevenire violenze su persone arrestate e detenute, come testimonia quanto si legge nello stesso rapporto in merito agli "sforzi delle autorità federali e di alcune autorità statali per combattere e prevenire la tortura". Ciò impedisce di ritenere che i gravi episodi di violenza registrati dall'organizzazione internazionale siano riconducibili a scelte normative o a disposizioni - anche di fatto - di soggetti istituzionali dello Stato richiedente.
1.2. Sotto diverso profilo, non può non essere rilevato come fra Italia e Brasile operi un trattato bilaterale di estradizione, firmato a Roma nel 1989 ed entrato in vigore nel 1991, con il quale i due Stati contraenti hanno assunto un impegno formale ad estradare gli individui perseguiti per un reato o ricercati per l'esecuzione di una pena o di una misura cautelare, facendo mutuo affidamento sull'effettivo riconoscimento del diritto ad un "giusto processo" in favore dell'estradando e sul pieno rispetto, nei rispettivi istituti di pena, dei diritti fondamentali della persona.
Ne discende una procedura "semplificata" di estradizione che trova giustificazione nel reciproco riconoscimento di una comune cultura giuridica e di un rapporto di affidabilità tra gli Stati aderenti alla convenzione e, quindi, nella "presunzione" che nei rispettivi ordinamenti saranno rispettati gli impegni assunti quanto alla osservanza delle regole processuali, con specifico riguardo alle garanzie a presidio del diritto di difesa, ed alla tutela dei diritti della persona. Presunzione che può essere vinta soltanto in presenza di attendibili e specifici elementi dimostrativi della inosservanza dello Stato richiedente agli impegni assunti, elementi che, sulla scorta di quanto si evince dai documenti prodotti dalla difesa, nella specie non possono ritenersi sussistenti. Ovvero qualora il Ministro di Giustizia, sussistendo situazioni contingenti che inducano a ritenere mancanti o assolutamente insufficienti le garanzie del rispetto dei diritti fondamentali della persona, eserciti i propri poteri discrezionali e rifiuti l'estradizione.
2. Infondato è anche il secondo motivo di ricorso con il quale il ricorrente deduce la violazione del principio della doppia incriminabilità con riguardo al reato di traffico d'organi, in quanto esso non troverebbe riscontro nel nostro ordinamento, non potendo ricondursi al reato di lesioni ex artt. 582 - 583 cod. pen., né alla fattispecie di cui agli artt. 6 e 7 L. n. 458/1967 (in quanto punita con pena non superiore ad un anno, soglia limite prevista dall'art. 2 comma 1 del Trattato bilaterale di estradizione Italia Brasile), né a quella di cui all'art. 1 comma 340 L. n. 228/2012 (in quanto non applicabile retroattivamente).
2.1. Ritiene il Collegio che, contrariamente a quanto assunto dal ricorrente ed in linea con quanto argomentato dalla Corte territoriale con motivazione completa e immune da censure logiche, il requisito della doppia incriminazione sussista in relazione a tutti i reati per i quali T. è stato condannato in via definitiva.
Come correttamente premesso dalla Corte, il principio della doppia incriminazione deve essere inteso nel senso che, fra le figure criminose previste negli ordinamenti dei due Stati, non deve sussistere una piena e perfetta sovrapponibilità, essendo sufficiente che tra le figure penalmente rilevanti dell'una e dell'altra legislazione vi sia solo una equivalenza delle concezioni repressive, essendo inevitabile la modulazione delle varie ipotesi di reato nei rispettivi ordinamenti penali.
Tanto premesso, non è revocabile in dubbio che detto requisito sussista in relazione al reato di associazione per delinquere di cui all'art. 416 cod. pen., come del resto riconosciuto - implicitamente - allo stesso ricorrente. Tale reato è sanzionato dal nostro codice penale con una pena detentiva superiore ad un anno, di tal che è rispettato il disposto dell'art. 2 comma 1 del Trattato bilaterale di estradizione.
2.2. Con riguardo al secondo reato, come condivisibilmente argomentato dal Corte, la condotta di traffico d'organi è riconducibile al reato di cui agli artt. 582 - 583 cod. pen. L'estradando è stato condannato per avere capeggiato un gruppo che adescava persone in condizioni di grave disagio economico proponendo la vendita di un rene in cambio di una somma di denaro vile (circa 10.000 dollari americani), occupandosi poi di accompagnare le vittime in Sud Africa per l'espianto dell'organo, dunque approfittando del loro stato di bisogno per attivare un commercio di beni altamente personali. Tale condotta integra certamente, dal punto di vista oggettivo e soggettivo, il reato di lesioni personali, comportando indubbiamente l'espianto di un rene una lesione della integrità personale, per di più aggravata, in quanto causa dell'indebolimento permanente di un organo.
Ed invero, sebbene nel nostro ordinamento sia possibile - a determinate condizioni previste per legge - la donazione di organi, in particolare del rene, da un lato, è certamente vietato farne commercio a scopo di lucro, dovendo la procedura di espianto avvenire previo consenso informato, a titolo gratuito ed in ambiente ospedaliero pubblico; dall'altro lato, è necessario ed imprescindibile che il consenso prestato dal donante sia non solo informato, ma soprattutto libero, laddove la situazione di grave indigenza nella quale versi una persona indotta a vendere un proprio rene per un prezzo vile configura senza dubbio uno stato di bisogno tale da eliminare, o comunque limitare in modo significativo, la volontà del soggetto passivo, inducendolo a contrattare in condizioni di inferiorità psichica tali da viziarne il consenso. In altri termini, la diminuzione permanente cagionata alla integrità fisica altrui in conseguenza dell'espianto di un organo non può ritenersi scriminata dal consenso dell'avente diritto, allorquando esso sia viziato dal grave stato di bisogno e si inserisca nell'ambito di un turpe commercio come nel caso in oggetto, di tal che correttamente la condotta per la quale T. è stato condannato è stata sussunta nella fattispecie di lesioni personali gravi.
Per tale reato è comminata nel nostro ordinamento una pena detentiva superiore ad un anno, di tal che sussiste la condizioni prevista dall'art. 2 comma 1 del Trattato bilaterale di estradizione.
2.3 In ogni caso, corretta appare la conclusione della Corte territoriale allorché ha ritenuto che, nel caso di specie, sarebbe configurabile anche la tratta di persone sanzionata dall'art. 601 cod. pen..
Ed invero, nella condotta de qua sono ravvisabili sia l'induzione mediante approfittamento di una situazione di necessità delle vittime ed abuso della posizione di vulnerabilità legata alle condizioni finanziarie particolarmente precarie, dietro promessa di una somma di denaro, vile rispetto al valore del bene personale ceduto; sia il passaggio dei donatori da una nazione all'altra, funzionale alla realizzazione degli espianti; sia l'induzione delle persone offese a prestazioni che ne comportavano lo sfruttamento, traendo gli associati rilevanti guadagni dal commercio di organi. Anche per tale reato sussiste la condizione di cui all'art. 2 comma 1 del Trattato bilaterale di estradizione.
2.4. D'altra parte, non può sottacersi come, a norma dell'art. 2 comma 3 del Trattato bilaterale di estradizione Italia - Brasile, "Quando la domanda di estradizione riguarda più delitti distinti per alcuni dei quali non ricorrono le condizioni previste nel paragrafo 1, l'estradizione, se concessa per un delitto per il quale le suddette condizioni ricorrono, potrà essere concessa anche per gli altri. Inoltre, qualora l'estradizione sia domandata per l'esecuzione di pene restrittive della libertà personale inflitte per delitti diversi, sarà concessa se il totale delle pene ancora da scontare sia superiore a nove mesi".
Ne discende che, se anche si dovesse ritenere insussistente il requisito della doppia incriminazione in ordine al reato di traffico d'organi - ma non è così per le ragioni sopra delineate -, ricorrerebbero comunque le condizioni per disporre l'estradizione in relazione al reato di associazione per delinquere, per il quale detto requisito certamente sussiste.
Non risulta da alcun atto del fascicolo, né il ricorrente ha prodotto documentazione a supporto, che T. abbia già interamente scontato la pena per il delitto di associazione per delinquere (unico rispetto al quale - secondo il ricorrente - sussisterebbe detto requisito) e che egli debba scontare soltanto la pena per il secondo reato, sicché - contrariamente a quanto dedotto - non opera la condizione ostativa ai sensi dell'art. 2 comma 2 del Trattato bilaterale di estradizione.
3. Manifestamente infondato è l'ultimo motivo di doglianza con il quale il ricorrente lamenta l'omessa acquisizione di informazioni e accertamenti indispensabili ai fini del decidere, con particolare riguardo ai provvedimenti di indulto rilevanti al fine di determinare l'entità della pena residua da scontare.
Ed invero, nella domanda di estradizione avanzata dallo Stato del Brasile e nella documentazione allegata (segnatamente nel provvedimento della Sezione I Regionale di esecuzione penale dello Stato di Pernabuco del 12 giugno 2013) viene dato atto del fatto che T. deve scontare la pena residua di anni quattro mesi nove e giorni sei di reclusione, essendo stato revocato nei suoi confronti il provvedimento di liberazione condizionale, dal momento che si rendeva latitante, e quindi non considerato come espiazione di pena il periodo nel quale egli si trovava sottoposto a liberazione condizionale.
Secondo quanto previsto dal Trattato bilaterale di estradizione, l'Autorità giudiziaria richiesta non è chiamata a verificare l'efficacia dei titoli esecutivi in base ai quali è richiesta la estradizione, in quanto tale requisito non è menzionato nella convenzione. Ne discende che l'Autorità Giudiziaria italiana non può sindacare la decisione dell'Autorità richiedente di revocare il provvedimento demenziale di indulto nei confronti di chi si sia reso responsabile della violazione del regime di liberazione anticipata e quindi dato alla latitanza - come appunto T. -, potendo, se del caso, tali doglianze essere fatte valere innanzi all'Autorità Giudiziaria brasiliana.
4. Dal rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La Cancelleria dovrà provvedere agli adempimenti di cui all'art. 203 disp. att. cod. proc. pen..

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 203 disp. att. cod. proc. pen..