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Testimoni trattenuti in caserma: è sequestro di persona (Cass. 36885717)

4 settembre 2017, Cassazione penale

I pubblici ufficiali che trattengono una persona in caserma con la finalità di raccogliere le loro deposizioni rispondono di sequestro di persona aggravato dall'abuso di potere  e non di arresto illegale: si tratta in particolare di alcuni militari della Guardia di Finanza, riconosciuti colpevoli del reato di sequestro di persona aggravato dall’abuso di potere in quanto pubblici ufficiali, per aver trattenuti indebitamente in caserma per circa 12 ore alcune persone non per trarle in arresto, ma in attesa di essere sentite come testimoni nell’ambito di una vicenda che aveva visto coinvolti, stavolta come persone offese, alcuni finanzieri.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

sent. 25.07.2017, n. 36885

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAPALORCIA Grazia - Presidente -

Dott. SABEONE Gerardo - Consigliere -

Dott. PEZZULLO Rosa - Consigliere -

Dott. MICCOLI Grazia - Consigliere -

Dott. AMATORE Roberto - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

V.M.S., nato a (OMISSIS);

A.D., nato a (OMISSIS), anche nella veste di parte civile ricorrente;

D.R.A., nato a (OMISSIS), anche nella veste di parte civile ricorrente;

R.G., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza della Corte di Appello di Salerno del 22.12.2015;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Amatore Roberto;

udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Pinelli Mario Maria Stefano che ha concluso per l'annullamento con rinvio per il ricorso di R.F.G. e per il rigetto per i restanti ricorsi;

udito per le parti civili, Am.Gi. e Al.Ga., l'Avv. Gaetano Tedesco del Foro di Salerno, che ha concluso chiedendo la conferma della sentenza impugnata, con deposito di e conclusioni e note spese;

udito per l'imputato R. l'Avv. Antonio Ferrari del Foro di Salerno, che ha concluso chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata;

udito per l'imputato V. l'Avv. Antonio Calabrese del Foro di Salerno, che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso;

udito gli imputati V., A. e D.R. l'Avv. Amos Benni del Foro di Ancona, che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Salerno, in parziale riforma della sentenza emessa in data 11.7.2007 dal Tribunale di Salerno ed appellata da V., A., D.R. e R. nonchè dalla parti civili A. e D.R., ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di R. in ordine ai reati ascritti ai capi h ed i della rubrica (e cioè i reati previsti dall'art. 40 cpv c.p., art. 110 c.p. , art. 61 c.p. , n. 1 e art. 605 c.p. , comma 2) perchè estinti per intervenuta prescrizione; ha rideterminato la pena inflitta a V., A. e D.R., avendo escluso la circostanza aggravante di cui all'art. 61 c.p. , n. 1; ha rigettato l'appello proposto dalle predette parti civili, in relazione alle fattispecie di reato di cui all'art. 337 c.p. , con conseguenziale condanna al pagamento delle spese processuali; confermando nel resto la impugnata sentenza, comprese le statuizioni civili emesse in primo grado, per il reato di cui all'art. 605 c.p. , comma 2.

Avverso la predetta sentenza ricorrono .. (omissis)


Motivi della decisione

4. Merita accoglimento il solo ricorso del R., in ragione della fondatezza del primo motivo di ricorso riguardante la sollevata eccezione processuale, mentre devono essere respinti i restanti ricorsi degli imputati, anche nella veste di parti civili impugnanti.

4.1 Per ragioni di ordine logico, è dunque preferibile esaminare per primo il ricorso del R..

Va ricordato che la impugnazione è stata presentata dal ricorrente ai soli effetti civili, essendo la fattispecie di reato contestata ai sensi dell'art. 605 c.p. ormai definitivamente estinta per intervenuta prescrizione.

4.2 Come ricordato in premessa, il ricorrente, con il primo motivo, lamentava che l'avviso di conclusioni delle indagini preliminari e quelli successivi non erano stati notificati anche al difensore di fiducia, Avv. G., osservando che tale nomina era evincibile, per facta concludentia, dalla presenza dell'Avv. G.al momento dell'assunzione delle sommarie informazioni del ricorrente, ex art. 350 c.p.p. , e dal successivo deposito di una memoria difensiva da parte dello stesso Avv. G., senza che l'imputato disconoscesse il mandato difensivo conferito al predetto difensore.

La doglianza si ritiene fondata.

4.2.1 Sul punto, è preferibile l'orientamento esegetico secondo cui è valida la nomina del difensore di fiducia, pur se non effettuata con il puntuale rispetto delle formalità indicate dall'art. 96 c.p.p. , in presenza di elementi inequivoci dai quali la designazione possa desumersi per "facta concludentia" (Sez. 4, n. 34514 del 08/06/2016 - dep. 05/08/2016, Saadaoui, Rv. 26787901). Nello stesso senso si segnala l'ulteriore arresto (Sez. 2, n. 31193 del 17/04/2015 - dep. 17/07/2015, Mennini, Rv. 26446501), a tenore del quale, verbatim, "E' valida la nomina del difensore di fiducia, pur se non effettuata con il puntuale rispetto delle formalità indicate dall'art. 96 c.p.p. , in presenza di elementi inequivoci dai quali la designazione possa desumersi per "facta concludentia".

Ne consegue che occorre fornire, anche in questo caso, continuità applicativa al principio secondo cui la nomina del difensore di fiducia, pur se non effettuata con il puntuale rispetto delle formalità indicate dall'art. 96 c.p.p. , è valida purchè ricorrano elementi inequivoci dai quali desumersi la designazione del difensore ed il conferimento del mandato fiduciario (così, anche Sez. 5, n. 35696 del 25/06/2014 - dep. 13/08/2014, Lovecchio, Rv. 26030001; Sez. 6, n. 16114 del 20/04/2012 - dep. 27/04/2012, Briganti, Rv. 25257501) 4.2.2 Orbene, questa Corte non dimentica che, effettivamente nella giurisprudenza della Suprema Corte è rinvenibile altro orientamento, per cui la nomina del difensore di fiducia è un atto che deve rispettare, per essere valido, forme e modalità previste dall'art. 96 c.p.p. (in questo senso, in termini specifici, si sono espresse in tempi recenti, Sez. 1, n. 35127, del 19 aprile 2011, Esposito, Rv. 250783, Sez. 6, n. 15311 del 14 marzo 2007, Floris, Rv. 236683 e Sez. 1, n. 11628 del 2 marzo 2007, Cravotto, Rv. 236162), ma si tratta di indirizzo solo apparentemente in contrasto con quello cui anche questo Collegio intende aderire. Ed invero, il principio illustrato è stato affermato in relazione a fattispecie relative ad atti di nomina non provenienti dall'imputato ovvero disconosciuti dal medesimo e comunque in relazione a casi in cui era in dubbio l'effettiva volontà di quest'ultimo di investire il difensore del mandato professionale o in cui la nomina era stata invalidamente effettuata ad autorità diversa da quella procedente.

E' dunque evidente, come accennato, che il contrasto tra i due orientamenti sia per l'appunto solo apparente, atteso che le pronunzie sunnominate non hanno inteso escludere la rilevanza di comportamenti concludenti inequivocabilmente finalizzati ad accreditare il difensore presso l'autorità giudiziaria procedente.

4.2.3 Orbene, nel caso di specie risulta evidente la volontà dell'imputato di investire l'Avv. G.del mandato difensivo, essendo quest'ultimo stato presente all'assunzione delle sommarie informazioni ex art. 350 c.p.p. dell'indagato, senza che quest'ultimo disconoscesse il detto mandato difensivo ed avendo peraltro il difensore anche depositato una memoria difensiva in favore del suo assistito.

La nomina del difensore come avvocato di fiducia era dunque intervenuta da parte dell'indagato per "facta concludentia" in ragione delle circostanze fattuali da ultimo ricordate, e ciò rendeva valida ed efficace la designazione, anche in mancanza di una formale investitura ai sensi dell'art. 96.

Ne consegue la nullità assoluta ed insanabile delle sentenze di primo e secondo grado, non essendo stato preceduto il giudizio dalla notificazione dell'avviso di conclusioni delle indagini preliminari al difensore di fiducia dell'indagato.

4.3 Sul punto, preme alla Corte precisare che nel giudizio di cassazione, qualora il reato sia già prescritto, non è rilevabile la nullità, anche di ordine generale, in quanto l'inevitabile rinvio al giudice di merito risulta incompatibile con il principio dell'immediata applicabilità della causa estintiva, salvo che la sentenza di merito ipoteticamente affetta da nullità abbia deciso non solo in ordine al reato per cui è intervenuta la prescrizione, ma anche in ordine al risarcimento dei danni da esso cagionati o alle restituzioni, giacchè in tal caso la nullità, ove sussistente, deve essere comunque rilevata e dichiarata riflettendosi sulla validità delle statuizioni civili (fattispecie, nella quale la Corte, rilevate l'incompetenza per territorio del giudice di primo grado e l'estinzione del reato per prescrizione, annullava senza rinvio la sentenza impugnata ed eliminava le corrispondenti statuizioni civili) (Sez. 2, n. 3221 del 07/01/2014 - dep. 23/01/2014, Macchia, Rv. 25881701).

Ed il principio sopra ricordato si attaglia proprio alla fattispecie oggi in esame, giacchè, intervenuta la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, la eccezione di nullità di ordine generale si legittima nella sua presentazione proprio in ragione delle statuizioni civili già determinate nei precedenti gradi di giudizio, statuizioni che, comunque, devono essere revocate perchè non più sorrette neanche dalla sentenza di primo grado, travolta dall'accoglimento del rilievo della menzionata nullità assoluta, rilevabile ai sensi del combinato disposto dell'art. 178, lett. c e art. 179.

Le persone offese dal reato, ormai dichiarato prescritto, potranno trovare tutela eventualmente innanzi al giudice civile.

4.4 L'accoglimento del primo motivo di doglianza sollevato dal R. assorbe l'esame delle ulteriori censure sollevate con il ricorso introduttivo.

5. Va ora esaminato il ricorso presentato per V., A. e D.R., a firma dell'Avv. A.B..

5.1 Il primo motivo di censura risulta infondato.

Ed invero, effettivamente la questione dell'applicabilità alla fattispecie concreta oggi in esame dell'art. 349 c.p.p. , comma 4, come tale legittimante - secondo la ricostruzione della difesa - il trattenimento delle persone offese in caserma, era stata prospettata alla Corte distrettuale nella memoria difensiva del 4.10.2010 e la Corte di merito aveva fornito una risposta solo implicita alla doglianza, attraverso la ricostruzione complessiva della vicenda fattuale nel senso di escludere l'applicabilità della richiamata norma processuale. Ma, al di là di ciò, la infondatezza del predetto motivo di gravame rende comunque inaccoglibile la doglianza anche in questa sede di giudizio di legittimità, nella diversa veste della denunziata omissione di motivazione.

Sul punto, è agevole replicare alle doglianze del ricorrente evidenziando che, nel caso di specie, non emerge da alcun atto probatorio acquisito al patrimonio conoscitivo del giudizio che le due persone offese avessero rifiutato di fornire ai finanzieri le loro generalità ovvero le avessero fornite false. Ed anzi, dalla lettura della sentenza di secondo grado emerge l'esatto contrario, e cioè che il C. ed il P. avevano fornito indicazioni per la loro identificazione già al momento del fermo dell'autovettura in (OMISSIS).

Peraltro, è emerso come dato probatorio pacifico e da nessuno contestato quello secondo cui l'accompagnamento delle due persone offese in Caserma era diretto non già alla loro identificazione, quanto piuttosto a raccogliere le loro informazioni a s.i.t., nell'eventualità che le stesse potessero essere utili per la celebrazione del giudizio di convalida dell'arresto e del contestuale processo per direttissima degli altri due soggetti coinvolti nella vicenda, e cioè di Am. e Al., quest'ultimi sì legittimamente trattenuti in relazione alla procedura di arresto posta in essere dai militari.

Mancano, pertanto, i presupposti fattuali e normativi previsti dall'art. 349, commi 1 e comma 4 per l'applicazione della potestà di trattenimento della polizia giudiziaria e la doglianza si presenta pertanto come tale infondata.

5.2 Anche il secondo motivo di doglianza è infondato.

Non rileva in alcun modo, nei termini di una violazione dell'art. 522 c.p.p. , la denunziata circostanza fattuale secondo cui il P. ed il C., persone offese del reato di cui all'art. 605 c.p.p. , comma 2, sarebbero state picchiate anche in Caserma, e non solo durante il tragitto percorso per arrivare in tale luogo, come invece risulta contestato nel capo di imputazione.

La dedotta circostanza, nella diversa e più dettagliata ricostruzione operata in sentenza, non immuta in alcun modo il fatto contestato nell'editto accusatorio, ed anzi avvalora ancor di più la tesi accusatoria dell'illegittima privazione della libertà personale delle persone offese operata dagli imputati, attraverso la violenta (ed anch'essa illegittima) aggressione continuata nella Caserma, condotta quest'ultima che tuttavia non è stata oggetto di una ulteriore contestazione penale nei confronti degli imputati.

Peraltro, va aggiunto in termini generali che il principio di correlazione fra fatto contestato e fatto ritenuto in sentenza, fondato sull'esigenza di evitare che l'imputato possa essere condannato per un fatto in ordine al quale non abbia potuto difendersi, non deve essere interpretato in senso rigorosamente formale, ma con riferimento alle ragioni che l'hanno dettato ed alle finalità alle quali è diretto. Di conseguenza il principio non può ritenersi violato da qualsiasi modificazione rispetto all'accusa originaria, ma solamente in caso di mutamento sostanziale del fatto in relazione all'oggetto dell'accusa.

Fattispecie evidentemente non ricorrente nel caso di specie, per le ragioni già sopra evidenziate.

Di talchè anche la denunziata omessa motivazione della Corte di merito sulla doglianza da ultimo menzionata non rileva in alcun modo in questa sede, stante la infondatezza della censura così formulata.

5.3 La terza doglianza è invece infondata sia perchè ricalca le argomentazioni del primo motivo in ordine all'applicabilità dell'art. 349 c.p.p. (e per il quale si rimanda alle relative osservazioni svolte nei paragrafi che precedono) sia perchè formulata in fatto e diretta ad una rivalutazione delle prove finalizzata ad una inammissibile "ricostruzione alternativa" della vicenda fattuale, già scrutinata ampiamente dai giudici di merito.

6. Il quarto motivo è invece infondato, lambendo invero l'area di inammissibilità del ricorso per cassazione.

6.1 Come sopra accennato, è necessario precisare che, in relazione al contenuto della doglianza, la Corte di legittimità non può fornire una diversa lettura degli elementi di fatto, posti a fondamento della decisione di merito. La valutazione di questi elementi è riservata in via esclusiva al giudice di merito e non rappresenta vizio di legittimità la semplice prospettazione, da parte del ricorrente, di una diversa valutazione delle prove acquisite, ritenuta più adeguata. Ciò vale, in particolar modo, per la valutazione delle prove poste a fondamento della decisione. Ed infatti, nel momento del controllo della motivazione, la Corte di Cassazione non può stabilire se la decisione del giudice di merito propone la migliore ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una "plausibile opinabilità di apprezzamento". Ciò in quanto l'art. 606 c.p.p. , comma 1, lett. e, non consente al giudice di legittimità una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perchè è estraneo al giudizio di cassazione il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali.

Piuttosto è consentito solo l'apprezzamento sulla logicità della motivazione, sulla base della lettura del testo del provvedimento impugnato. Detto altrimenti, l'illogicità della motivazione, censurabile a norma dell'art. 606 c.p.p. , comma 1, lett. e) è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", in quanto l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali.

Orbene, secondo la giurisprudenza più recente ricorre il vizio della mancanza, della contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione della sentenza se la stessa risulti inadeguata nel senso di non consentire l'agevole riscontro delle scansioni e degli sviluppi critici che connotano la decisione in relazione a ciò che è stato oggetto di prova ovvero di impedire, per la sua intrinseca oscurità ed incongruenza, il controllo sull'affidabilità dell'esito decisorio, sempre avendo riguardo alle acquisizioni processuali ed alle prospettazioni formulate dalle parti (Cass., Sez. 4, 14 gennaio 2010, n. 7651/2010).

6.1.1 Così delineato il perimetro cognitivo del giudizio di legittimità, osserva subito la Corte come la parte ricorrente voglia sollecitarla ad un nuovo scrutinio del contenuto e della valenza probatoria della prova dichiarativa, già filtrata e valutata dai giudici di merito attraverso una motivazione logica e condivisibile in ordine al procedimento probatorio di ricostruzione della vicenda fattuale.

Ma non è neanche possibile, come sopra accennato, rintracciare aporie o contraddizioni nel tessuto argomentativo della motivazione impugnata.

Ed invero, la motivazione impugnata, con ragionamento logico non censurabile, evidenzia, da un lato, che la conferma delle dichiarazioni rese dalle persone offese è riscontrata anche con le dichiarazioni del teste Am. (che riferisce di essersi recato presso la caserma dei finanzieri) e, dall'altro, anche con le informazioni fornite dal padre del C. (e cioè, di uno, delle due persone offese), informazioni da cui si evince che non è stato neanche consentito ad uno stretto congiunto di una persona - che non si trovava in formale stato di arresto, ma solo a disposizione della P.G. per l'assunzione di s.i.t. - di portare un cambio di vestiti al figlio, trattenuto per ore e sine causa in una Caserma.

Vicenda quest'ultima che colora di tratti di ancora maggior gravità l'illecita condotta posta in essere dagli imputati che pur avrebbero dovuto conoscere, per obbligo professionale, le ipotesi in cui è possibile trattenere un cittadino in stato di temporanea privazione della libertà personale (come nelle procedure di fermo o di arresto) e quelle (come quella in esame) ove la restrizione delle facoltà di agire e di movimento si connotano di illegittimità e pervicace abusività.

Nè è possibile, come osservato dalla parte ricorrente, rintracciare lacune argomentative nella sentenza impugnata in riferimento alla valutazione di inattendibilità del teste Cu., giacchè come correttamente rilevato dal giudice di appello - la riferita circostanza secondo cui un finanziere avrebbe detto alle due persone offese che si potevano allontanare dalla caserma, è stata, invero, riferita dal predetto teste solo in un secondo momento, e non già in sede di prima escussione, senza che fosse comprensibile questa iniziale reticenza su una circostanza così decisiva per la ricostruzione della dinamica dei fatti.

6.1.2 Ma anche le restanti doglianze contenute nel quarto motivo risultano formulate in modo da lambire la inammissibilità del ricorso. Si ricordi, come già evidenziato in premessa, che i ricorrenti lamentano, in buona sostanza, la mancata valutazione da parte della Corte di merito di una serie di risultanze probatorie relative a circostanze indicate come ragioni giustificatrici della innocenza degli imputati, e cioè: la legittimità dell'intervento di polizia in (OMISSIS); la correttezza e la legittimità dell'operato dei finanzieri in ordine alla necessità di procedere alla identificazione dei vari soggetti coinvolti in Caserma, anzichè per la strada; la corretta ricostruzione dei fatti in merito al trasporto delle predette persone alla Caserma ed in ordine alle lesioni patite dal C. e dal P.; la legittimità del trattenimento in Caserma delle persone offese per dodici ore; la mancanza di richieste delle persone offese di allontanarsi dalla Caserma.

Tutto ciò in una ottica di censura "atomistica" della prova e della relativa motivazione.

6.1.2.1 La giurisprudenza di legittimità ha chiarito, per quanto qui interessa, che è inammissibile il ricorso per cassazione che, offrendo al giudice di legittimità frammenti probatori o indiziari, solleciti quest'ultimo ad una rivalutazione o ad una diretta interpretazione degli stessi, anzichè al controllo sulle modalità con le quali tali elementi sono stati raccolti e sulla coerenza logica della interpretazione che ne è stata fornita (Cass., Sez. 5, n. 44992 del 09/10/2012 - dep. 16/11/2012, P.M. in proc. Aprovitola).

Ed invero, a tale scopo, una volta indicati gli elementi rilevanti, la motivazione "di merito" deve chiarire per qual ragione e sulla base di quali elementi, sia stata elaborata o condivisa una determinata ipotesi ricostruttiva e, se del caso, per qual ragione ne siano state scartate altre. Ed è su tale "prodotto dell'ingegno" che va sollecitato il sindacato del giudice di legittimità, non certo sul puro e semplice "materiale probatorio" o indiziario raccolto e valutato.

Ciò anche, per la nota ragione, in base alla quale non esiste una prova che possa esser valutata disgiuntamente dalle altre, come avulsa dall'intero quadro ricostruttivo, di talchè la corte di cassazione mai potrebbe pronunziarsi su di essa, ma solo, come anticipato, sui criteri interpretativi e sulle deduzioni logiche che dai predetti dati sono stati tratti nella fase del merito.

In sintesi, quel che alla corte deve esser chiesto, se si ipotizza un vizio dell'apparato motivazionale, è un mero giudizio di congruità logica sulla interpretazione che del materiale probatorio e indiziario è stata effettuata dai giudicanti; solo nei limiti - è il caso di ribadirlo - in cui la riproduzione di detto materiale è funzionale al vaglio di logicità, ne è consentita l'allegazione al ricorso, ovvero la trascrizione all'interno dello stesso.

Conseguentemente, offrire al giudice di legittimità alcuni "frammenti probatori o indiziari" e pretendere che su di essi la corte di legittimità esprima un giudizio comporta un profondo fraintendimento del ruolo e dei poteri della corte stessa. Invero, la motivazione di un provvedimento dovrebbe essere aggredita esclusivamente sotto il triplice profilo della completezza, della logicità e della aderenza del ragionamento ai dati fattuali.

Ciò posto, le doglianze - così proposte in relazione alla frammentaria valutazione (rectius, alla frammentaria mancata valutazione) di una serie di circostanze allegate dalla difesa, senza "aggredire" la complessiva valutazione della prova e della relativa motivazione per la ricostruzione della dinamica della vicenda - risultano inammissibili proprio perchè formulate al di fuori della circoscrizione di giudizio accessibile alla Corte di legittimità.

7. Il quinto motivo, relativo al solo V., è invece infondato.

7.1 Effettivamente nella originaria imputazione era stata contestata al ricorrente la sussistenza del reato omissivo improprio perchè, nella qualità di ufficiale in comando, non aveva evitato, pur rivestendo la relativa posizione di garanzia del bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice, l'evento costituito dalla illegittima sottrazione della libertà delle persone offese; mentre, al contrario, la sentenza di condanna resa in primo grado descriveva una diversa condotta attiva dell'ufficiale che, presente in caserma, avrebbe contribuito materialmente alla commissione del fatto di reato in via concorsuale con gli altri imputati.

Tuttavia, ritiene il Collegio - in aderenza alla corretta motivazione già resa dalla Corte territoriale - come in realtà il nucleo centrale della condotta, incentrato sulla illegittima sottrazione della libertà personale delle persone offese - sia comunque rimasto immutato e che comunque questa diversa forma di contestazione dell'illecito all'imputato V. non abbia in alcun modo influito in senso negativo sull'esercizio delle sue prerogative difensive.

Nè la parte ricorrente ha concretamente dimostrato la lesione del suo diritto di difesa.

8. Anche il sesto motivo si presenta versato in fatto e diretto a perorare una ricostruzione alternativa della vicenda fattuale, e come tale è inammissibile per le ragioni già sopra evidenziate.

Nè è possibile rintracciare un vizio argomentativo della motivazione.

8.1 Come è noto, il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve mirare a verificare che la motivazione della pronuncia: a) sia "effettiva" e non meramente apparente, cioè realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia "manifestamente illogica", in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell'applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente "contraddittoria", ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi del suo ricorso per cassazione) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (Sez. 2, n. 9242 del 08/02/2013, Reggio, Rv. 254988; Sez. 2, n. 18163 del 22/04/2008, Ferdico, Rv. 239789).

Ebbene, la motivazione impugnata ha dato atto della costante presenza dell'ufficiale in tutti i momenti della dinamica delittuosa descritta nel capo di imputazione, così dando ragione della fondatezza del giudizio di penale responsabilità nei confronti del ricorrente.

9. Per il settimo motivo, avanzato dagli imputati A. e D.R., non possono che ripetersi le valutazioni di infondatezza delle relative doglianze già evidenziate sopra, giacchè anche in tal caso si sollecita la Corte, senza l'allegazione di uno dei vizi argomentativi declinati dalla lettera e dell'art. 606 c.p.p. , comma 1, ad una rivalutazione "diretta" del materiale probatorio, richiesta che pone le doglianze al limite della inammissibilità.

10. L'ottavo motivo avanzato dalle parti civili A. e D.R. è invece infondato.

Qui la Corte di merito motiva in modo corretto e condivisibile in ordine alla ricorrenza della esimente di cui al D.Lgs.Lgt. n. 188 del 1944, art. 4, giacchè evidenzia che le persone offese non si erano rifiutate di fornire le loro generalità ai militari, e dunque le condotte di lesioni erano scriminate innanzi ad una azione illegittima e di abuso del pubblico ufficiale.

Non si è, cioè, trattato affatto, come ritenuto dai ricorrenti, della esecuzione di una necessaria attività di polizia giudiziaria diretta alla identificazione dei soggetti coinvolti nella rissa.

Ed invece, emerge che la condotta dei militari era finalizzata al sopruso e alla prevaricazione, come ritenuto correttamente dai giudici di merito.

11. Il nono motivo è invece inammissibile in ragione della sua genericità.

Tra i requisiti del ricorso per cassazione vi è anche quello, sancito a pena di inammissibilità, della specificità dei motivi: il ricorrente ha non soltanto l'onere di dedurre le censure su uno o più punti determinati della decisione impugnata, ma anche quello di indicare gli elementi che sono alla base delle sue lagnanze.

Nel caso di specie il ricorso è inammissibile perchè privo dei requisiti prescritti dall'art. 581 c.p.p. , comma 1, lett. c) in quanto, a fronte di una motivazione della sentenza impugnata logicamente corretta in punto di mancata concessione delle generiche, non indica gli elementi che sono alla base della censura formulata, non consentendo al giudice dell'impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato.

Anche la richiesta di applicazione di indulto avanzata dal V. si presenta come genericamente formulata e dunque per tale motivo inammissibile.

12. Il ricorrente V. avanza, con ulteriore ricorso a firma dell'Avv. An.Ca. , altri tre motivi di doglianza.

12.1 Anche quest'ultimo ricorso è infondato.

12.2 Il primo motivo di censura è inammissibile in ragione della sua genericità.

Sul punto, è necessario ricordare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, è legittima la motivazione "per relationem" della sentenza di secondo grado, che recepisce in modo critico e valutativo quella impugnata, limitandosi a ripercorrere e ad approfondire alcuni aspetti del complesso probatorio oggetto di contestazione da parte della difesa, ed omettendo di esaminare quelle doglianze dell'atto di appello, che avevano già trovato risposta esaustiva nella sentenza del primo giudice (Sez. 2, n. 19619 del 13/02/2014 - dep. 13/05/2014, Bruno e altri, Rv. 25992901).

Ne consegue che nel giudizio di appello, è consentita la motivazione "per relationem" alla pronuncia di primo grado, nel caso in cui le censure formulate dall'appellante non contengano elementi di novità rispetto a quelle già condivisibilmente esaminate e disattese dalla sentenza richiamata (Sez. 2, n. 30838 del 19/03/2013 - dep. 18/07/2013, Autieri e altri, Rv. 25705601; Sez. 4, n. 38824 del 17/09/2008 - dep. 14/10/2008, Raso e altri, Rv. 24106201).

Ne consegue che non si può sic et simpliciter censurare la motivazione impugnata per l'utilizzo della tecnica argomentativa della motivazione per relationem, se son si precisa in modo puntuale ove il giudice dell'impugnazione sia venuto meno ai suoi obblighi motivatori, non rispondendo ad una specifica doglianza sollevata dal ricorrente con il mezzo del gravame, pena la genericità e la inammissibilità, dunque, della doglianza così sollevata in Cassazione, e ciò soprattutto nelle fattispecie processuali ove, come nel caso di specie, la Corte di merito abbia, comunque, fornito una adeguata risposta argomentativa alle censure sollevate dall'imputato.

12.3 Il secondo motivo è invece infondato.

12.3.1 Sul punto, la giurisprudenza di questa Corte è ferma nell'affermare che il delitto di sequestro di persona consumato da un pubblico ufficiale con abuso dei poteri inerenti alle sue funzioni si distingue da quello di arresto illegale perchè, mentre nella prima ipotesi, l'abuso generico dei poteri connessi alle funzioni è un elemento solo circostanziale e quindi occasionale della condotta criminosa, nella seconda ipotesi viene punito proprio l'abuso specifico delle condizioni tassative (commissione di un delitto; stato di flagranza o quasi flagranza) alle quali la legge subordina il potere di arresto (fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da vizi la sentenza che aveva ricondotto all'art. 605 c.p. , comma 2, n. 2, la condotta di alcuni poliziotti i quali, in occasione di gravi incidenti avvenuti nel corso di una manifestazione di protesta, avevano trasportato, trattenuto per ore in caserma e sottoposto a vessazioni coloro che nel corso di quella giornata si erano rivolti ai servizi di Pronto Soccorso, al di fuori di qualunque prospettiva di procedere ad arresto degli stessi) (Sez. 5, n. 11071 del 09/10/2014 - dep. 16/03/2015, Solimene e altri, Rv. 26287401).

E' stato anche affermato da questa Corte che il delitto di arresto illegale si differenzia dal sequestro di persona commesso da un pubblico ufficiale con abuso di poteri inerenti alle sue funzioni ( art. 605 c.p. , comma 2, n. 2) sia quanto all'elemento oggettivo, poichè, nel primo caso, l'abuso deve riguardare specificamente l'esercizio di un potere di coercizione riconosciuto e disciplinato dalla legge, sia quanto all'elemento soggettivo, poichè, per abusare del potere di arresto, è necessario che la volontà dell'agente sia diretta sin dall'inizio a mettere il soggetto illegalmente ristretto a disposizione dell'autorità giudiziaria. (Sez. 5, n. 30971 del 10/04/2015 - dep. 16/07/2015, F. e altri, Rv. 26483701).

In proposito va ricordato come, per il tradizionale orientamento di questa Corte, il delitto di sequestro di persona consumato da un pubblico ufficiale con abuso di poteri inerenti alle sue funzioni e quello di arresto illegale hanno in comune l'elemento materiale (consistente nella privazione della libertà di un soggetto), ma si differenziano per l'elemento soggettivo.

Sul punto, si legga l'arresto rappresentato da Cass., Sez. 5, n. 38247 del 16/10/2002 (dep. 15/11/2002, Liburdi, Rv. 22302301), secondo cui, verbatim, "Il delitto di sequestro di persona consumato da un pubblico ufficiale con abuso di poteri inerenti alle sue funzioni e quello di arresto illegale hanno in comune l'elemento materiale (privazione della libertà), ma si differenziano per l'elemento soggettivo che nel primo caso richiede la volontà dell'agente di tenere la persona offesa nella sfera del suo privato dominio e, nel secondo, quella di metterla, sia pure illegalmente, a disposizione dell'autorità competente".

Di recente si è peraltro rivelato nella giurisprudenza di legittimità anche altro orientamento, per come già sopra ricordato, per cui la fattispecie di cui all'art. 605 si distinguerebbe da quella prevista dal successivo art. 606 c.p. perchè, mentre nella prima ipotesi, l'abuso generico dei poteri connessi alle funzioni è un elemento solo circostanziale e quindi occasionale della condotta criminosa, nella seconda ipotesi viene punito proprio l'abuso specifico delle condizioni tassative alle quali la legge subordina il potere di arresto (Sez. 5, n. 11071/15 del 9 ottobre 2014, cit.; Sez. 5, n. 6773/06 del 19 dicembre 2005, Drago ed altri, Rv. 234001).

In realtà i due orientamenti solo apparentemente risultano in contrasto, risultando in qualche modo complementari. Non è, invero, in discussione il fatto che entrambe le fattispecie si sostanzino nella privazione della libertà personale del soggetto passivo, condotta nella quale si accentra il disvalore delle due incriminazioni. Ulteriore elemento che le accomuna è il connotato modale che caratterizza tale condotta, e cioè l'abuso dei poteri inerenti le funzioni dell'agente, il che consente di affermare che oggetto di tutela in entrambi i casi è altresì l'interesse di natura pubblicistica alla legalità dell'operato dello stesso pubblico ufficiale. L'elemento che caratterizza la fattispecie di cui all'art. 606 c.p. rispetto a quella di sequestro di persona aggravato dall'abuso di potere di cui all'art. 605, comma 2, n. 2 è individuabile nel fatto che l'abuso deve riguardare specificamente l'esercizio di un potere di coercizione riconosciuto e disciplinato dalla legge, come pacificamente si distingue dalla seconda già sul piano dell'elemento oggettivo nel senso in precedenza illustrato.

Ciò però non esclude che, come invece sostenuto dall'orientamento maggioritario, anche sul versante dell'elemento soggettivo si registri una differenza o, più correttamente, si riveli la specialità dell'art. 606 c.p. Ed infatti, per abusare del potere d'arresto è innanzi tutto necessaria la volontà di procedere ad un arresto (pur nell'accezione lata che il termine assume per costante giurisprudenza e dottrina in seno all'incriminazione in esame) e, dunque, quando ad agire sia un ufficiale od un agente di polizia giudiziaria, di compiere un atto che comporta ab origine l'intenzione di mettere il soggetto ristretto a disposizione dell'autorità giudiziaria.

Conclusione che anche in questo caso si ricava agevolmente dalla lettera della norma incriminatrice, che punisce il pubblico ufficiale "che procede ad un arresto".

Non rilevano finalità esterne alla fattispecie, al più in grado di caratterizzare il movente del reato, ma è necessario che l'agente abbia voluto effettuare un intervento coercitivo tipico, qualificato dalle norme procedurali che lo disciplinano e che contestualmente definiscono altresì la connotazione abusiva delle modalità di esercizio del potere attribuito (ovvero non attribuito) al pubblico ufficiale.

12.3.2 Sulla base delle superiori considerazione, non è dubitabile che non ricorra nè l'elemento oggettivo nè tanto meno quello soggettivo del diverso reato reclamato dal ricorrente, e cioè quello disciplinato dall'art. 606 c.p. , giacchè le persone offese erano state trattenute in caserma non già con la finalità di avviare nei loro confronti una procedura di arresto in flagranza di reato (come avvenuto, invero, per gli altri due soggetti sopra indicati), ma con la diversa finalità di raccogliere le loro deposizioni. Peraltro, il trattenimento in Caserma si è caratterizzato anche con modalità violente poste in essere dai militari e connotate da evidente illegittimità ed arbitrio (vedi anche il respingimento del padre del C. per i vestiti), con ciò evidenziando la corretta riconducibilità della fattispecie di reato nel paradigma applicativo dell'art. 605 c.p. , comma 2.

13. Il terzo motivo è invece inammissibile.

13.1 La mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche è giustificata da motivazione esente da manifesta illogicità, che, pertanto, è insindacabile in cassazione (Cass., Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Rv. 242419), anche considerato il principio affermato da questa Corte secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv. 248244).

Ciò detto, la Corte di merito ha fondato il giudizio i merito al diniego della richiesta delle attenuanti atipiche sulla valutazione di oggettiva gravità delle condotte. Nè, come detto, il giudice del merito deve in tal caso dare contezza di ogni ragione ostativa alla concessione delle predette attenuanti.

14. In base al principio della soccombenza, gli imputati V.M.S., A.D. e D.R.A. devono essere condannati, alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, liquidate come in dispositivo.


P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e la sentenza di primo grado nei confronti di RF.G..

Rigetta i ricorsi di V.M.S., A.D. e D.R.A. che condanna singolarmente al pagamento delle spese processuali e, in solido, alla refusione delle spese delle parti civili, che liquida in complessivi Euro 4.200, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 3 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2017