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Ricognizione fotografica inattendibile anche se proviene dalla polizia giudiziaria (Cass. 17747/17)

7 aprile 2017, Cassazione penale e Nicola Canestrini

Il riconoscimento fotografico operato dagli agenti di polizia non gode di uno statuto probatorio privilegiato, ma è compito del giudice valutarne la attendibilità.

La metodologia dell’assunzione del riconoscimento fotografico influenza la sua efficacia dimostrativa: il tempo trascorso, la impossibilità di verificare le foto di raffronto, la mancata previa descrizione dei soggetti poi identificati sono fattori che possono far ritenere inattendibili le ricognizioni informali.

La certezza del riconoscimento fotografico non discende invero dal riconoscimento come strumento probatorio, ma dall’attendibilità accordata alla deposizione di chi si dica certo dell’individuazione. Pertanto, anche nelle ipotesi in cui il riconoscimento sia operato da agenti della polizia giudiziaria, il giudice non è esonerato dalla valutazione della efficacia dimostrativa di tale atto.

L’attività di individuazione attraverso la fotografia è, infatti, stata sempre ritenuta dalla giurisprudenza una mera indicazione in fatto, non avente la stessa forza probante della formale ricognizione di persona, da valutare liberamente seppure con particolare attenzione. La sua forza dimostrativa non risiede, pertanto, nell’atto in sé (come è, invece, per la ricognizione formale) ma nel complesso delle necessarie valutazioni di supporto (quale esplicazione del libero convincimento del giudice) che inducano ad assumerne la sostanziale attendibilità.

Corte di Cassazione,

VI Penale

sentenza 15 febbraio – 7 aprile 2017, n. 17747
Presidente Ippolito – Relatore D’Arcangelo

Ritenuto in fatto

1. Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Napoli, accogliendo l’appello cautelare interposto dal Pubblico Ministero, ha adottato, ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen., la misura coercitiva della custodia cautelare in carcere nei confronti di B.D. e D.R.R. e degli arresti domiciliari nei confronti di C.M. , sottoposti ad indagini, in concorso, per il delitto di cui all’art. 73 D.P.R. 309/90 commesso in (omissis) .
2. La vicenda cautelare trae origine da una operazione di Polizia Giudiziaria finalizzata a reprimere il traffico di stupefacenti posta in essere nella zona di (…) nota come "( omissis) "; in data (omissis) i Carabinieri, dopo aver osservato le consolidate modalità esecutive dello spaccio, intervenivano, provocando la fuga dei correi, ad eccezione di una vedetta, D.R.S. , prontamente tratto in arresto. I soggetti datisi alla fuga risultavano, tuttavia, nell’immediato, ignoti agli inquirenti; la identificazione del B. , quale spacciatore, e del D.R. e del C. , quali vedette, avveniva, infatti, solo successivamente, con la annotazione del 12 maggio 2016, mediante la visione da parte degli inquirenti delle fotografie presenti agli atti dell’ufficio.
3. Il Giudice per le indagini preliminari, investito della richiesta di applicazione di misura cautelare nei confronti del B. , del D.R. e del C. , riteneva, tuttavia, insussistenti i gravi indizi di colpevolezza nei confronti degli indagati, in quanto la attività di indagine svolta non aveva consentito la verifica della correttezza della identificazione effettuata ed, in particolare, la identificazione degli indagati non era stata preceduta dalla previa descrizione delle loro fattezze fisiche.
3.1. In particolare il Giudice per le indagini preliminari rilevava che nella annotazione del 12 maggio 2016 i Carabinieri avevano precisato di aver riconosciuto direttamente B.D. nella fase di osservazione delle attività criminose svoltasi il 7 maggio 2016, ma di tale riconoscimento non vi era alcuna menzione nella relativa annotazione; non vi era, peraltro, una descrizione delle fattezze fisiche del reo che consentisse di operare una comparazione tra il soggetto osservato sul teatro delle attività criminose ed il B. .
3.2. Parimenti il D.R. ed il C. nella nota del 12 maggio 2016 erano direttamente indicati come due delle vedette osservate in data 7 maggio 2016, perché "già note all’ufficio per pregressi controlli", ma di tale circostanza non vi era alcuna menzione nella annotazione originaria. La metodologia investigativa utilizzata, pertanto, sottraeva ad ogni controllo la identificazione operata dagli inquirenti e, segnatamente, precludeva la possibilità di verificarne ex post la attendibilità.
4. Il Tribunale di Napoli, nella ordinanza impugnata, tuttavia, nell’accogliere l’appello interposto dal Pubblico Ministero, ha stigmatizzato la valutazione del Giudice per le indagini preliminari e, richiamandosi alle emergenze probatorie riportate nell’atto di appello, ha adottato la misura coercitiva della custodia cautelare in carcere nei confronti di B.D. e D.R.R. e degli arresti domiciliari nei confronti di C.M. . La previa descrizione somatica degli autori del reato non era, infatti, necessaria, essendosi in presenza di un riconoscimento fotografico operato da agenti di polizia giudiziaria che, pertanto, aveva il valore di atto pubblico fidefacente.
5. I difensori del B. , del D.R. e del C. ricorrono avverso tale ordinanza, chiedendone l’annullamento.
5.1. L’avv. Antonella Regine, difensore di fiducia del B. , deduce la violazione di legge e la illogicità della motivazione in relazione agli art. 192 e 273 cod. proc. pen., chiedendo l’annullamento della ordinanza impugnata. La identificazione posta in essere dagli operanti era, infatti, avvenuta a distanza di giorni dell’operazione, senza che fossero note le fotografie utilizzate per i riconoscimenti e previamente descritte le fattezze fisiche dei soggetti visti sul teatro delle attività criminose. Errata era, inoltre, la valutazione in ordine alla scelta della misura cautelare. La intensità delle esigenze cautelari non poteva essere inferita solo dalle modalità del fatto o dalla asserita appartenenza delle persone sottoposte ad indagini ad un "sistema" criminale.
5.2.Analogamente l’avv. Sergio Mottola, difensore di fiducia del D.R. , ricorre per cassazione, deducendo "la violazione della legge penale e processuale", in quanto l’ordinanza non aveva motivato adeguatamente in ordine alla sussistenza di tutti i presupposti necessari per adottare la misura cautelare, e chiede l’annullamento della ordinanza impugnata.
5.3. Con unico motivo C.M. ricorre personalmente avverso la predetta ordinanza e ne chiede l’annullamento, deducendo la violazione di legge e la illogicità della motivazione in relazione agli art. 192 e 273 cod. proc. pen.. L’appello del Pubblico Ministero era, infatti, fondato esclusivamente su congetture ed il rilievo della natura fidefacente dell’atto di polizia giudiziaria non giustificava alcuna acritica ricezione del valore probatorio della annotazione di polizia giudiziaria redatta in data 12 maggio 2016. Negli atti della polizia giudiziaria, infatti, dapprima si precisava che i soggetti datisi alla fuga non erano noti agli inquirenti e, di seguito, la identificazione dei medesimi era stata operata sulla base di annotazioni relative a pregressi controlli.

Considerato in diritto

1. I ricorsi devono essere accolti in quanto fondati.
2. Fondato è, infatti, il vizio di violazione di legge denunciato dai ricorrenti in ordine alla valutazione operata in ordine ai gravi indizi di colpevolezza.
3. Nella ordinanza impugnata il Tribunale di Napoli, in funzione di giudice di appello, stigmatizzando inopinatamente il sindacato dal Giudice per le indagini preliminari come "inutilmente zelante" e "soprattutto poco corretto laddove finisce con il sindacare le modalità di redazione dei verbali ad opera della PG atti che fanno fede fino a querela di falso", ha ritenuto radicalmente errato il rigetto della richiesta di applicazione delle misure cautelari espresso dal Giudice per le indagini preliminari con la ordinanza emessa in data 27 giugno 2016.
4. Non si trattava, invero, di un censurabile eccesso di zelo, bensì dell’esercizio del doveroso controllo sulla sussistenza della gravità indiziaria, indefettibilmente richiesto al fine di addivenire ad una limitazione della libertà personale in fase cautelare, e di una valutazione legittima e non irragionevole del dato probatorio offerto alla cognizione del giudice.
5. Certamente illegittima è, invece, la valutazione delle ricognizioni fotografiche operata dal Tribunale del riesame di Napoli.
6. Secondo la ordinanza impugnata, infatti, nel caso di riconoscimento operato direttamente dalla polizia giudiziaria non si sarebbe al cospetto di un atto posto in essere da "un qualsiasi denunciante", ma di un atto pubblico fidefacente.
7. Tale valutazione si rivela, tuttavia, in radicale ed insanabile contrasto con il dettato normativo sia in quanto attribuisce al riconoscimento fotografico operato dagli agenti di polizia uno statuto probatorio privilegiato, invero insussistente, sia in quanto determina la abdicazione da ogni forma di sindacato giudiziale su tale atto probatorio.
8. Illegittima, in primo luogo, è la attribuzione al riconoscimento fotografico operato dalla polizia giudiziaria del valore di atto fidefacente.
9. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, in materia di valutazione della prova il giudice può trarre il proprio convincimento da ogni elemento purché acquisito non in violazione di uno specifico divieto. In questa prospettiva interpretativa il riconoscimento fotografico operato in sede di indagini di polizia giudiziaria, ancorché non sia regolato dal codice di rito, costituisce un accertamento di fatto utilizzabile in giudizio ai sensi dell’art. 189 cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 6456 del 01/19/2015, Verde, Rv. 266023).
10. La certezza del riconoscimento fotografico non discende invero dal riconoscimento come strumento probatorio, ma dall’attendibilità accordata alla deposizione di chi si dica certo dell’individuazione (ex multis: Sez. 4, n. 16902 del 04/02/2004, Pantaleo, Rv. 228043). Pertanto, anche nelle ipotesi in cui il riconoscimento sia operato da agenti della polizia giudiziaria, il giudice non è esonerato dalla valutazione della efficacia dimostrativa di tale atto.
11. L’attività di individuazione attraverso la fotografia è, infatti, stata sempre ritenuta dalla giurisprudenza una mera indicazione in fatto, non avente la stessa forza probante della formale ricognizione di persona, da valutare liberamente seppure con particolare attenzione (cfr., ex pluribus, Sez. 6, n. 28972 del 28/05/2013, Luongo, Rv. 257393). La sua forza dimostrativa non risiede, pertanto, nell’atto in sé (come è, invece, per la ricognizione formale) ma nel complesso delle necessarie valutazioni di supporto (quale esplicazione del libero convincimento del giudice) che inducano ad assumerne la sostanziale attendibilità.
12. Acclarato che l’atto di ricognizione fotografica operato dalla polizia giudiziaria non gode di uno statuto probatorio sovraordinato rispetto a quello posto in essere da qualsiasi altro soggetto che abbia assistito al compimento di attività delittuose, deve rilevarsi come il giudice debba motivare in ordine alla attendibilità di tale mezzo di prova anche in considerazione delle specifiche modalità di assunzione di tale atto. Le stesse, infatti, pur non riguardando la legalità di tale mezzo di prova, si riflettono sulla sua efficacia dimostrativa.
13. Secondo alcune pronunce della giurisprudenza di legittimità l’individuazione fotografica non deve essere preceduta dalla descrizione delle fattezze fisiche della persona indagata, trattandosi di adempimento preliminare richiesto solo per la ricognizione di persona (Sez. 2, n. 9380 del 20/02/2015, Panarese, Rv. 263302; Sez. 1, n. 47937, del 09/11/2012, Palumbo, Rv. 253885); altre pronunce rilevano, tuttavia, che le modalità con cui viene effettuato il riconoscimento devono avvicinarsi il più possibile all’analogo mezzo di prova tipico costituito dalla ricognizione di persona (Sez. 5, n. 9505, del 24/11/2015, Coccia, Rv. 267562).
14. Invero, pur non essendo possibile pervenire, stante la atipicità di tale strumento probatorio, ad una compiuta tipizzazione delle cautele procedimentali che devono assistere l’assunzione di tale atto, la metodologia dell’assunzione del riconoscimento fotografico influenza la sua efficacia dimostrativa.
15. La efficacia probatoria dell’atto ricognitivo, in altri termini, è condizionata all’adozione di cautele che consentano alle parti ed al giudice di esercitare la necessaria verifica postuma in ordine al grado di attendibilità di colui che opera il riconoscimento.
16. Il grado di attendibilità di tale atto probatorio, infatti, pur senza addivenire a rigidi automatismi, può mutare in ragione della ricezione, prima dell’atto ricognitivo, della descrizione puntuale delle fattezze dell’autore del reato e della precisazione del contesto della percezione visiva avuta del medesimo, anche nella sua durata e nelle sue modalità, nonché della disponibilità della fotografia o del fotogramma sulla base della quale è operato il riconoscimento.
17. Declinando tali principi nel caso di specie, deve rilevarsi come il Tribunale di Napoli nella ordinanza impugnata abbia integralmente obliterato ogni valutazione della attendibilità del riconoscimento fotografico operato dagli inquirenti, senza considerare che la identificazione posta in essere dagli operanti era avvenuta a distanza di alcuni giorni dall’intervento sul luogo dello spaccio e, per quanto emerge dagli atti disponibili, non risultavano essere state descritte le fattezze fisiche degli spacciatori, né indicata specificamente la fonte delle fotografie utilizzate per tale operazione e la loro datazione.
18. Fondato è, inoltre, anche il difetto di motivazione denunciato dai ricorrenti.
19. La ordinanza impugnata, infatti, si limita a stigmatizzare la valutazione del Giudice per le indagini preliminari in punto di efficacia probatoria del riconoscimento fotografico, obliterando la delibazione di ogni ulteriore presupposto per procedere alla applicazione della richiesta misura cautelare. Nel testo della stessa è, infatti, integralmente assente la disamina della gravità indiziaria e delle esigenze cautelari relativamente a ciascun indagato, la valutazione della adeguatezza e della proporzionalità della cautela applicata e la verifica della insussistenza delle cause ostative alla adozione della stessa.
20. Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità tuttavia, l’impugnazione del pubblico ministero avverso il provvedimento di diniego di emissione dell’ordinanza cautelare per l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza devolve al giudice di appello la verifica di tutte le condizioni richieste per l’adozione delle misure cautelari e dunque questi, qualora intenda accogliere l’impugnazione, è tenuto a pronunziarsi anche in ordine alla configurabilità delle esigenze cautelari non considerate dal primo giudice (ex plurimis: Sez. 6, n. 10032 del 03/02/2010, Picchi, Rv. 246283; Sez. 6, n. 11231 del 28/02/2001, Nardo, Rv. 218618).
21. Alla stregua di tali rilievi l’ordinanza impugnata deve essere annullata senza rinvio.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata.