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Protestare non è pericoloso (tar Lazio, 8712/15)

14 luglio 2015, TAR

Protestare contro la "macelleria sociale" costituisce espressione del diritto garantito dall'art. 21 della Costituzione di manifestare liberamente il proprio pensiero e non può essere fondamento per un folgio di via per giudizio di pericolosità socaile ex L. n. 1423 del 1956.

 


Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Ter)

sentenza n. 8712

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7904 del 2013, proposto da M.D.F., rappresentato e difeso dall'avv. Ignazio Abrignani, con domicilio eletto presso Ignazio Abrignani in Roma, P.Le delle Belle Arti, 8;

contro

Ministero dell'Interno, Prefetto di Roma, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

previa adozione di misure cautelari,

del decreto del Prefetto della Provincia di Roma n. 61040/2013 del 26.3.2013, notificato il 22.5.2013, con il quale è stato respinto il ricorso gerarchico presentato da D.F.M. avverso il provvedimento di rimpatrio con foglio di via obbligatorio con divieto di tornare nel Comune di Roma per anni 3, emesso dal Questore di Roma in data 3.10.2012; di ogni altro atto presupposto, preordinato, connesso e consequenziale, con particolare riferimento al decreto del Questore di Roma e correlativo Foglio di Via obbligatorio del 3.10.2012.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e della Prefettra di Roma;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2015 il dott. Roberto Proietti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Svolgimento del processo - Motivi della decisione

Con il ricorso introduttivo del giudizio, il ricorrente ha rappresentato che, con decreto del Questore di Roma del 3.10.2012, è stato ordinato il suo rimpatrio con foglio di via obbligatorio a Trieste, con divieto di ritornare nel Comune di Roma senza preventiva autorizzazione per tre anni.

Ciò in quanto, a parere dell'Amministrazione, il 2.10.2012 il D.F., eludendo la vigilanza della Gendarmeria vaticana, aveva esibito uno striscione (del seguente tenore: "Help!! Basta Monti basta Europa basta Multinazionali ci state ammazzando tutti, sviluppo? Questa è solo macelleria sociale") sulla balconata esterna della cupola della Basilica di San Pietro, dopo essersi calato dal tetto del lucernaio della stessa cupola.

Il particolare, il ricorrente - intendendo contestare la legge in discussione in Parlamento che rideterminava l'assegnazione delle aree demaniali marittime in concessione - restava aggrappato alla Cupola della Basilica di San Pietro dalle 17,30 del 2.10.2012 alle ore 21 del giorno successivo.

Il decreto indicato è stato impugnato con gerarchico, ai sensi degli artt. 1 e 2 del D.P.R. n. 1199 del 1971, dinanzi al Prefetto della Provincia di Roma, il quale lo ha respinto con decreto del 26.3.2013.

Ritenendo erronee ed illegittime le determinazioni assunte dall'Amministrazione, il ricorrente le ha impugnate dinanzi al TAR del Lazio, avanzando le domande indicate in epigrafe e deducendo i seguenti motivi di ricorso.

I) - Assenza di potere dell'autorità amministrativa italiana.

Il fatto contestato al D.F. (consistente nell'esibizione di uno striscione sulla balconata esterna della Cupola della Basilica di San Pietro, dopo essersi calato dal tetto del lucernaio della stessa cupola eludendo la vigilanza della Gendarmeria Vaticana) si è svolto in area extraterritoriale appartenente ad altro Stato autonomo e sovrano, il quale non ha adottato alcun provvedimento e non ha chiesto allo Stato Italiano di adottare provvedimenti al riguardo nei confronti del ricorrente.

II) - Violazione di legge; violazione degli artt. 16 e 21 della Costituzione ; violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 1 comma 1 e art. 2; violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 2 della L. 27 dicembre 1956, n. 1423 e successive modifiche; eccesso di potere per abnormità dell'iter logico; incongruenza ed insufficienza della motivazione.

Il decreto impugnato non risulta in linea con quanto previsto dal D.Lgs. n. 159 del 2011 , e, quindi, tale atto è da ritenere illegittimo perchè il comportamento del D.F. non integra condotte penalmente rilevanti ma, costituisce espressione del diritto garantito dall'art. 21 della Costituzione di manifestare liberamente il proprio pensiero.

Inoltre, il provvedimento di rimpatrio non fa riferimento ad elementi di fatto sui quali si basa il giudizio di appartenenza dell'interessato ad una delle categorie di cui all' art. 1 della L. n. 1423 del 1956 e all' art. 1 del D.Lgs. n. 159 del 2011 e non reca riscontri oggettivi che consentono di affermare la pericolosità sociale del ricorrente.

III) - Eccesso di potere; mancanza dei presupposti; erronea valutazione dei precedenti; difetto di istruttoria.

Nel decreto impugnato si citano alcuni "precedenti" del D.F., risalenti nel tempo e, comunque, insufficienti a giustificare il provvedimento adottato.

Invero, il ricorrente non ha riportato alcuna condanna penale e, quindi, risulta incensurato.

L'Amministrazione resistente, costituitasi in giudizio, ha affermato l'infondatezza del ricorso e ne ha chiesto il rigetto.

A sostegno delle proprie ragioni, l'Amministrazione ha prodotto note, memorie e documenti per sostenere la correttezza del proprio operato e l'infondatezza delle censure contenute nel ricorso.

Con ordinanza del 17-18/10/2013 n. 4097, è stata accolta la domanda cautelare proposta dal ricorrente.

Con successive memorie le parti hanno argomentato ulteriormente le rispettive difese.

All'udienza del 28 maggio 2015 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

Il Collegio ritiene che le censure di parte ricorrente siano fondate e debbano essere accolte.

Il decreto impugnato richiama l' art. 1, comma 1, del D.Lgs. n. 159 del 2011, evidentemente ritenendo l'Amministrazione applicabile la lettera c), che fa riferimento a: "coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che offendono o mettono in pericolo la sicurezza e la tranquillitò pubblica".

Tuttavia, nel contestato decreto Prefettizio si fa riferimento a: "coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo la sicurezza e la tranquillità pubblica.".

E' chiaro che quanto scritto nel decreto impugnato non è in linea con la previsione normativa richiamata e, quindi, tale atto è da ritenere illegittimo per contrasto con il D.Lgs. n. 159 del 2011 , che consente di applicare le misure ivi previste nei confronti di soggetti che siano dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo la sicurezza o la tranquillità pubblica: ambito nel quale non rientra il comportamento contestato al D.F., il quale non integra condotte penalmente rilevanti ma, costituisce espressione del diritto garantito dall'art. 21 della Costituzione di manifestare liberamente il proprio pensiero.

Infatti, l'interessato ha esibito uno striscione recante la scritta "Help!! Basta Monti basta Europa basta Multinazionali ci state ammazzando tutti, sviluppo? Questa è solo macelleria sociale", per contestare la legge in discussione in Parlamento che rideterminava l'assegnazione delle aree demaniali marittime in concessione, essendo egli diretto interessato al problema siccome gestore di stabilimento balneare in Trieste, ed intendendo protestare contro i provvedimenti legislativi tesi alla privatizzazione.

In sostanza, il provvedimento di rimpatrio deve fare riferimento agli elementi di fatto sui quali si basa il giudizio di appartenenza dell'interessato ad una delle categorie di cui all' art. 1 della L. n. 1423 del 1956 e all' art. 1 del D.Lgs. n. 159 del 2011.

Inoltre, la misura dell'allontanamento deve esternare, sulla base di riscontri oggettivi, i motivi per i quali la presenza del prevenuto in una determinata località sia pericolosa per la sicurezza pubblica.

Ciò non si rinviene nel provvedimento impugnato, il quale non reca adeguati riferimenti a riscontri oggettivi circa l'appartenenza del D.F. ad una delle categorie indicate nel D.Lgs. n. 159 del 2011 e non indica elementi utili per affermare la pericolosità sociale derivante dalla sua presenza in Roma.

Nel decreto impugnato si citano alcuni "precedenti" del D.F., che avrebbero dovuto essere adeguatamente valutati in relazione alla tipologia di provvedimento da adottare.

I "precedenti" citati attengono (i primi due) a situazioni definite mediante oblazione (risalenti al 2001 e al 2009) che non hanno attinenza con il provvedimento adottato (trattandosi di denuncie per fatti non avvenuti nel Comune di Roma ed aventi ad oggetto, l'una, il disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone a seguito di un controllo presso un pubblico esercizio di cui il D.F. risultava titolare, e, l'altra, l'esecuzione di opere edili in assenza di autorizzazione).

L'ultima delle denunce (del maggio 2012) indicate nell'atto impugnato ha ad oggetto un procurato allarme per essersi il D.F. arrampicato per protesta su di un pontone gru (c.d. "Ursus") sovrastante il porto di Trieste: da tale procedimento (relativo ad una condotta analoga a quella oggetto del presente giudizio) l'interessato è uscito assolto nel luglio 2012 avendo il Giudice rilevato che l'imputato "non ha annunciato disastri, infortuni o pericoli inesistenti ma ha compiuto un eclatante .gesto di protesta dettato dall'esasperazione per la sua situazione lavorativa e personale.".

Dai fatti e dalle circostanze sopra indicate, emerge che l'Amministrazione non ha esternato (negli atti impugnati) adeguati elementi di valutazione circa il comportamento tenuto dal ricorrente nel caso di specie, utili per ritenere che la sua presenza a Roma concreti una pericolosità attuale e specifica, tale da giustificare l'adozione di un decreto di rimpatrio con foglio di via obbligatorio.

Alla luce delle considerazioni che precedono il Collegio ritiene che il ricorso sia fondato e debba essere accolto.

Sussistono gravi ed eccezionali motivi - legati alla particolarità della vicenda e delle questioni trattate - per compensare le spese di giudizio tra le parti in causa.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

- accoglie il ricorso in epigrafe e, per l'effetto, annulla i provvedimenti impugnati;

- dispone la integrale compensazione delle spese di giudizio fra le parti in causa;

- ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla competente Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2015 (dep. 26/06/2015) con l'intervento dei magistrati:

Antonino Savo Amodio, Presidente

Stefania Santoleri, Consigliere

Roberto Proietti, Consigliere, Estensore