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Possibilità di riuso non esclude sia rifiuto (Cass., 50309/14)

15 ottobre 2014, Cassazione penale

Dalla nozione di rifiuto non devono escludersi sostanze e oggetti suscettibili di riutilizzazione economica, non rilevando, in tal senso, l'interesse che altri possa avere allo sfruttamento del bene inservibile e non più utile al suo detentore, poiché tale interesse non trasforma il rifiuto in qualcosa di diverso.

La possibilità, contemplata dal legislatore e già riconosciuta dalla giurisprudenza di legittimità, che del rifiuto, in quanto tale, possa farsi commercio ( art. 256, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006), rende chiara la prospettiva adottata dal legislatore nella sua potestà definitoria, peraltro vincolata al rispetto delle direttive dell'Unione Europea. Per valutare se un residuo debba essere designato come rifiuto occorre dunque porsi nell'ottica esclusiva del detentore/produttore del rifiuto, non in quella di chi ha interesse all'utilizzo del rifiuto stesso.

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Sez. III, 15-10-2014, n. 50309


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SQUASSONI Claudia - Presidente -
Dott. GAZZARA Santi - Consigliere -
Dott. ACETO Aldo - rel. Consigliere -
Dott. GENTILI Andrea - Consigliere -
Dott. SCARCELLA Alessio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
R.M., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 26/03/2014 del Tribunale di Bergamo;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Aldo Aceto;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. De Augustinis Umberto, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Il sig. R.M. ricorre, per il tramite del difensore di fiducia, per la cassazione della sentenza del 26/03/2014 con la quale il Tribunale di Bergamo l'ha condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di Euro 8.000,00 di ammenda per il reato di cui al D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 256, comma 1, lett. a), commesso in (OMISSIS).
Si contesta all'imputato di aver, nella sua qualità di amministratore unico della "Erreuno Service S.r.l." e senza alcuna autorizzazione, raccolto, trasportato e recuperato, sottoponendoli a cernita (al fine di distinguere quelli riutilizzabili da quelli rotti o da quelli che presentavano difetti, con successiva attività di riparazione), "pallets usati", in parte provenienti da imprese che li commercializzavano all'ingrosso, in parte acquistati da imprese operanti in altri settori produttivi che, per ragioni aziendali, avevano deciso di disfarsene; imballaggi che, secondo la rubrica e secondo la sentenza impugnata, non potevano essere qualificati come "imballaggi riutilizzabili" ai sensi del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 218, cit., e gestiti quali "sottoprodotti" di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 184, cit., trattandosi, in realtà, di veri e propri rifiuti speciali non pericolosi.
Secondo la ricostruzione operata dal Tribunale di Bergamo, doveva ritenersi provato, in base alle fatture di acquisto relative al periodo gennaio/giugno 2012 acquisite dalla polizia provinciale in sede di ispezione, agli esiti dell'ispezione stessa e alle prove dichiarative, che la "Erreuno Service S.r.l." acquistasse pallets difettati (descritti nelle fatture come "bancali rotti" o "pallet di scarto") dei quali le imprese intendevano disfarsi, che non erano riutilizzabili tal quali e che venivano riparati senza che la cessione fosse avvenuta in conto lavorazione, per essere successivamente venduti dalla stessa Erreuno.
2.Con il primo motivo di ricorso, il R. eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p. , lett. b), inosservanza o erronea applicazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, comma 1, lett. a) ed r).
Il giudice di prime cure non ha considerato che per rifiuto deve intendersi qualsiasi sostanza od oggetto del quale il produttore si disfi, intenda o abbia l'obbligo di disfarsi. Non può essere considerato rifiuto un bene comunque suscettibile di riutilizzo, secondo la funzione per il quale è stato concepito e prodotto, del quale il produttore non intende "disfarsi". Nel caso in cui un bene venga direttamente riutilizzato senza alcuna operazione che ne possa modificare le caratteristiche fisico-chimiche all'interno del medesimo ciclo produttivo o commerciale, non si può desumere la volontà del detentore di disfarsene.
Nel caso in esame non sussiste un solo elemento di prova dal quale poter desumere che sia il produttore che l'imputato avessero mai considerato i "pallets" come rifiuti; nessuno di essi nutriva l'intenzione di disfarsene, tanto è vero che, come affermato dal legale rappresentante dell'impresa conferente (assolto dal medesimo reato) i "pallets" non più utilizzabili venivano accatastati a parte in attesa di essere smaltiti, mentre quelli riutilizzabili erano stati venduti alla "Erreuno Service S.r.l." che si occupava della loro rivendita per il medesimo reimpiego salve, se necessario, minime riparazioni. Si tratta dunque di "riutilizzo" ai sensi del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, comma 1, lett. r).
3. Con il secondo motivo eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p. , lett. e), contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, essendo inconciliabile l'assoluzione di G.M. P., titolare dell'impresa conferente, imputato del medesimo reato, con la formula "perchè il fatto non sussiste", con la condanna del R. per il medesimo reato.
Motivi della decisione
4. Il ricorso è infondato e deve essere respinto con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
5. Il primo motivo è infondato.
5.1. Il Tribunale ha affermato la penale responsabilità dell'imputato sulla scorta delle seguenti considerazioni e circostanze di fatto:
a) in sede di sopralluogo gli operanti avevano notato numerosi "pallets" accatastati in perfette condizioni; altri "pallets", che presentavano rotture che li rendevano inadatti ad un loro immediato riutilizzo (listelli rotti, parti di asse rotti), erano accatastati separatamente;
b) in prossimità di questi ultimi vi era un bancone da lavoro sul quale era posato un "pallet" e personale in corrispondenza di esso, sì da ritenere che fosse in corso un'attività di riparazione;
c) alcune delle fatture di vendita, emesse dalla "ITALCANDITI S.p.a." (industria dolciaria legalmente rappresentata dal G.), recavano come oggetto "bancalirotti" o "palletdiscarto";
d) presso la "VALCANDITI S.p.a." erano state acquisite numerose fatture di vendita dalle quali era emerso che nel 2012 erano stati venduti alla "ERREUNO S.r.l." kg. 4350 di rifiuti da imballaggio in legno, mentre altri kg. 4080 erano stati smaltiti, a partire dal 3/10/2012, mediante conferimento documentato dai relativi formulari;
e) il G., in sede di esame, aveva affermato che i bancali rotti, e comunque imperfetti, non potevano in alcun caso essere riutilizzati nell'ambito dell'industria alimentare; diversamente dai bancali distrutti, avviati allo smaltimento come rifiuti, quelli appena danneggiati erano stati invece venduti alla "ERREUNO S.r.l", essendo riutilizzabili per l'industria meccanica;
f) l'imputato, che aveva ammesso di non effettuare lavorazioni per conto terzi, aveva affermato che i "pallets" rotti rinvenuti nel corso dell'ispezione si erano rovinati durante i vari trasporti, ma il dato era documentalmente smentito dalle fatture di acquisto, che indicavano espressamente come loro oggetto i "pallets" rotti, e da quanto constatato dagli stessi operanti che in sede di ispezione avevano notato la presenza di attrezzatura nuova utilizzata per la loro riparazione;
g) nel mese di aprile 2012 una persona qualificatasi come rappresentante della "ERREUNO SERVICE S.r.l" accompagnata dal commercialista dell'impresa, aveva chiesto in Provincia informazioni sulle procedure da seguire per ottenere l'autorizzazione alla gestione dei rifiuti.
5.2. Così ricostruita la vicenda, è agevole affermare che le censure sono infondate in fatto, prima ancora che in diritto.
5.3.Il Tribunale, infatti, parte da una constatazione di fatto oggettivamente incontestata: la inutilità per la "ITALCANDITI S.p.a." dei bancali anche solo minimamente danneggiati; di qui la necessità (o comunque l'intenzione) di disfarsene.
5.4.Deve intendersi per rifiuto qualsiasi sostanza od oggetto di cui il produttore o il detentore si disfi, o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi, senza che assuma rilievo la circostanza che ciò avvenga attraverso lo smaltimento del prodotto o tramite il suo recupero. E ciò sia in base all'interpretazione della definizione di rifiuto data dal legislatore nazionale, sia per giurisprudenza della Corte di Giustizia della Comunità Europea, le cui decisioni sono immediatamente e direttamente applicabili in ambito nazionale, secondo la quale la nozione di rifiuto non deve essere intesa nel senso di escludere le sostanze e gli oggetti suscettibili di riutilizzazione economica, atteso che la protezione della salute umana e dell'ambiente verrebbe ad essere compromessa qualora l'applicazione delle direttive comunitarie in materia fosse fatta dipendere dall'intenzione del detentore di escludere o meno una riutilizzazione economica da parte di altri delle sostanza o degli oggetti di cui ci si disfa (o si sia deciso o si abbia l'obbligo di disfarsi) (Sez. 3, n. 2125 del 27/11/2002, Ferretti, Rv. 223291).
5.5. Il termine "disfarsi" (da sempre utilizzato dal legislatore europeo) è diverso da quello di "abbandono", inizialmente utilizzato dal legislatore italiano del 1982 per definire il rifiuto ( D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, art.2); e tuttavia per quanto il primo termine evochi meglio il concetto della inutilità della cosa che non risponde più alle esigenze e agli interessi del suo detentore, ciò nondimeno la giurisprudenza di questa Corte non aveva mancato di evidenziare la sostanziale equivalenza dei due termini, nel senso che "oggetto abbandonato o destinato all'abbandono" andava inteso non nel senso civilistico di "res nullius" o di "res derelicta", disponibile all'apprensione di chiunque, sebbene di oggetto ormai inservibile, dismesso o destinato ad essere dismesso da colui che lo possiede, anche mediante un negozio giuridico (Sez. 3, n. 11237, del 16/02/1988, Ridolfi, Rv. 179749; Sez. 3, n. 2607 del 15/01/1991, Lubardi, Rv. 186489).
5.6.Non rileva, pertanto, l'interesse che altri possa avere allo sfruttamento del bene inservibile e non più utile al suo detentore, poichè tale interesse non trasforma il rifiuto in qualcosa di diverso.
5.7.La possibilità, contemplata dal legislatore e già riconosciuta dalla giurisprudenza di legittimità, che del rifiuto, in quanto tale, possa farsi commercio ( D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 256, comma 1) rende chiara la prospettiva adottata dal legislatore nella sua potestà definitoria, peraltro vincolata al rispetto delle direttive dell'Unione Europea.
5.8. Occorre dunque porsi nell'ottica esclusiva del detentore/produttore del rifiuto, non in quella di chi ha interesse all'utilizzo del rifiuto stesso.
5.9.E' la condotta del detentore/produttore che qualifica l'oggetto come rifiuto e che con la sua azione del "disfarsi" pone un "problema", quello della gestione del rifiuto, la cui risoluzione costituisce attività di pubblico interesse ( D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 177, comma 2).
5.10. La nozione di sottoprodotto concorre a meglio circoscrivere l'ambito della condotta del "disfarsi".
5.11. Sottoprodotti son sempre state quelle sostanze o quegli oggetti dei quali sin dall'inizio fosse certa, e non eventuale, la destinazione al riutilizzo nel medesimo ciclo produttivo o alla loro utilizzazione da parte di terzi (D.Lgs. 152 del 2006, art. 183, comma 1, lett. n), nella sua versione originaria; D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, comma 1, lett. p), come modificato dal D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4 ; D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 184 bis, introdotto dal D.Lgs. 3 dicembre 2010, n. 205, art. 12).
5.12. E' questa certezza oggettiva del riutilizzo che esclude a monte l'intenzione di disfarsi dell'oggetto o della sostanza (così espressamente D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, comma 1, lett. p), come modificato dal D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4 ) e che concorre, insieme con le ulteriori condizioni previste dalle norme definitorie che si sono succedute nel tempo, a escluderlo dall'ambito di applicabilità della normativa sui rifiuti.
5.13.La mancanza di certezze iniziali sull'intenzione del produttore/detentore del rifiuto di "disfarsene" e l'eventualità di un suo riutilizzo legata a pure contingenze, impedisce in radice che esso possa essere qualificato come "sottoprodotto" sol perchè il detentore se ne disfi mediante un negozio giuridico.
5.14. Alla luce dei principi che precedono appare agevole constatare che i "pallets" acquistati rotti dall'imputato per essere riparati e reimmessi sul mercato erano rifiuti a tutti gli effetti e che l'attività posta in essere dalla "ERREUNO SERVICE S.r.l." costituiva attività (non autorizzata) di "recupero" di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, comma 1, lett. t).
5.15.1 "pallets", infatti, costituivano oggetti dei quali non era certa sin dall'inizio la loro destinazione e dei quali la "ITALCANDITI S.p.a." si sarebbe disfatta se non fossero stati acquistati dalla "ERREUNO SERVICE S.r.l.".
5.16.A ciò si aggiunga che i "pallets" non erano originati da un processo di produzione di cui costituivano parte integrante. Essi, invece, venivano sottoposti presso l'impresa dell'imputato a trattamento, mediante operazioni di recupero che ne consentissero la futura commerciabilità.
5.17.La condotta posta in essere integra, dunque, l'attività finalizzata alla cessazione della qualità di rifiuto dei "pallets" di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 184 ter, per il cui esercizio è necessaria l'autorizzazione.
5.18. La natura di rifiuto dei "pallets", inoltre, esclude in radice che la condotta addebitata all'imputato possa essere qualificata come "riutilizzo" di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, comma 1, lett. r), che ha ad oggetto "prodotti o componenti che non sono rifiuti".
6.E' palesemente infondato il secondo motivo di ricorso.
6.1. Il G. era stato imputato del medesimo reato ascritto al R. per aver conferito a questi i "pallets" in questione.
6.2. La sua assoluzione ha totalmente prescisso dalla qualifica come rifiuto dei "pallets" conferiti alla "ERREUNO SERVICE S.r.l.", avendo il Tribunale ritenuto credibile la tesi difensiva dell'errore nell'invio dei bancali rotti (che invece avrebbero dovuto essere avviati a smaltimento).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2014.
Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2014