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MAE e delitto politico (Cass., 23727/17)

23 luglio 2008, Cassazione penale e Nicola Canestrini

Il delitto può essere politico ai fini repressivi .. ma non ai fini difensivi. Non può ricondursi quindi a un delitto di ispirazione politica rilevante al fine del divieto di estradizione, la partecipazione a un’associazione sovversiva, in qualità di dirigente e di combattente nei campi di addestramento, indipendentemente dalle finalità.

Non vi è divieto di consegna a uno Stato estero, peraltro diverso rispetto a quello nel cui ambito è sorta l’organizzazione separatista Kurda, quando in concreto il delitto abbia determinato un pericolo collettivo per la vita, l’integrità fisica e la libertà delle persone ovvero quando abbia colpito o messo in pericolo persone estranee ai moventi politici che l’hanno ispirato.


Cass. pen., sez. VI 11-06-2008 (10-06-2008), n. 23727

RITENUTO IN FATTO


1. Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Roma ha dichiarato la sussistenza delle condizioni per dare esecuzione ai due mandati di arresto europeo emessi il 13 e 14 settembre 2007, nei confronti del cittadino turco S.N., dalla competente autorità giudiziaria francese per essere sottoposto a procedimento penale in ordine al delitto di partecipazione ad associazione terroristica, in qualità di membro e dirigente, e per utilizzo di esplosivo e ne ha disposto la consegna allo Stato emittente.
La Corte d’appello premette:
– i due mandati d’arresto 13 e 14 settembre 2007 sono stati emessi in epoca successiva all’entrata in vigore della L. 22 aprile 2005, n. 69, attuativa della decisione 13 giugno 2002 del Consiglio dell’Unione europea, per fatti di banda armata, con uso di esplosivo, commessi nel territorio francese dal 1995 al febbraio 2007;
– è pacifica l’operatività della disciplina del mandato d’arresto e, nonostante risulti pendente una richiesta di estradizione da parte della Turchia nei confronti S.N., si è ritenuto di dare la precedenza alla richiesta di consegna presentata dalla Repubblica francese, tenuto conto a norma della L. n. 69 del 2005, art. 20, comma 3, della diversa disciplina dell’ordinamento dei due Stati con riguardo alla successiva rispettiva consegna nonchè della data delle due richieste;
Lo Stato di emissione ha trasmesso la documentazione richiesta dalla quale risulta la sussistenza dei requisiti richiesti dalla L. n. 69 del 2005, art. 1, comma 5, e art. 6, comma 1. Il provvedimento, in base al quale è stato poi emesso il mandato d’arresto europeo, è adeguatamente motivato e contiene in termini dettagliati la descrizione dei fatti oggetto di incriminazione, le fonti di prova consistenti in intercettazioni telefoniche, perquisizioni e deposizioni di numerosi testi. In particolare, si rappresenta che S. e componente di un associazione sovversiva, in qualità di dirigente e di combattente nei campi di addestramento del PKK, organizzazione separatista curda – partecipazione consistente nella raccolta di fondi, con riciclaggio di danaro e nella ricerca in Europa di sostegno logistico e militare a favore di tale organizzazione, alla quale sono addebitabili numerosi attentati e molteplici vittime con uso di bombe, con ampia conoscenza, da parte dello stesso S., nella manipolazione di armi ed esplosivi e rivestendo egli l’incarico di comandante di un gruppo di guerriglieri.
La Corte d’appello pone in rilevo che i fatti ascritti alla persona della quale è richiesta la consegna costituiscono reato per la legge italiana e che integrano la previsione della consegna a norma dell’art. 8, lett. a) della cit. legge.
Non vi sono ragioni ostative previste dalla L. n. 69 del 2005, art. 18. Si precisa, in particolare, che non ricorrono le condizioni ostative di cui all’art. 18, lett. d) ed f) della legge non trattandosi di reati politici e non potendosi ravvisare nei fatti una "manifestazione della libertà di associazione".
Al riguardo, la Corte di merito ha rilevato che l’incriminazione ha ad oggetto attività terroristiche con utilizzo anche di esplosivi, circostanze per le quali può escludersi che si tratti di reato politico ovvero di fatti da ricondurre a libertà di associazione.
Infine, non vi sono ragioni – precisa la Corte d’appello – che la persona da consegnare possa essere sottoposta nello Stato francese a persecuzioni di carattere razziale, religioso o di opinioni politiche e che la stessa posa essere sottoposta a pene e trattamenti contrari a principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano. Tenuto conto della documentazione, è da escludere che possano essere o siano stati violati i principi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e quelli del giusto processo.
2. S.N. impugna la sentenza, dopo la descrizione e delle incriminazione nel procedimento francese consistenti nell’organizzazione in Francia di una rete per la raccolta di fondi a favore del PKK, deduce che occorre valutare non se in Francia si possa determinare una violazione dei principi del giusto processo e delle convenzioni internazionali, ma se l’accusa si risolva in un reato politico. Per effettuare tale valutazione, per il ricorrente, è necessario non fermarsi alla imputazione nel procedimento francese, ma anche e soprattutto alla natura dell’organizzazione PKK e alla situazione della Turchia, del Kurdistan e alla condizione della popolazione di etnia curda nel territorio Turco. In base a tali circostanze, oggetto di memoria già depositata nel giudizio innanzi alla Corte d’appello, debbono essere valutate le disposizioni della L. 22 aprile 2005, n. 69 e se vi siano state violazioni.
Ad avviso del ricorrente, la situazione Kurda, dopo una articolata descrizione storico e giuridica dell’ordinamento turco, non può essere relegata a un affare interno alla Turchia e dunque non di terrorismo si possa parlare in relazione al ruolo del PKK in Turchia, ma di lotta di popolo per la propria auto determinazione e per il riconoscimento dei diritti umani fondamentali. Le ragioni ostative previste dalla L. n. 69 del 2005, art. 18, lett. f) dovevano essere considerate in base a tali circostanze e alla nozione di reato politico ricavabile dall’art. 10 Cost., comma 4, e art. 26 Cost., orientate a un ottica di favor nei confronti del delitto politico del tutto diversa rispetto a quella contenuta nell’art. 8 c.p., che ha risentito del contesto storico-politico in cui fu redatto il codice penale teso a reprimere ogni contestazione dell’ordine costituito.
Deduce il ricorrente che i fatti di terrorismo per i quali va esclusa l’operatività del divieto previsto dalla L. n. 69 del 2005, art. 18 non sono quelli oggetti di contestazione a S.N.: mancano fatti concreti per i quali l’agevolazione in territorio francese dei lavoratori de Kurdistan possa definirsi attività terroristica, come diversamente ritenuto dalle Autorità francesi. Le norme riportate nella legge attuativa della Decisione quadro vanno interpretate in base all’art. 10 Cost., comma 4.
In conclusione, si deduce la violazione della L. n. 69 del 2005, art. 18, lett. f) e dell’art. 10 Cost. nonchè alla lett. d) del cit. art. 18 che vieta la consegna se il fatto è riconducibile a una manifestazione della libertà di associazione.
3. Tale è la sintesi ex art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1, delle questioni poste.


CONSIDERATO IN DIRITTO


1. Il ricorso è manifestamente infondato.
L’ampia e corretta analisi svolta nella sentenza impugnata risponde alle questioni riproposte in questa sede circa la natura politica del reato e la riconducibilità dei fatti alla libertà di associazione.
La qualificazione di un delitto come politico va letta alla luce dell’art. 10 Cost., secondo il quale l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale, tra le quali si pone in particolare la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, che obbliga gli Stati al rispetto di alcuni diritti fondamentali nei confronti di ogni persona sottoposta alla loro giurisdizione.

La nozione di reato politico a fini estradizionali trova fondamento non nell’art. 8 c.p., nel quale il reato politico è definito in funzione repressiva, bensì nelle norme costituzionali, che lo assumono in una più ampia funzione di garanzia della persona umana, finalizzata a limitare il diritto punitivo dello Stato straniero.

Per quanto concerne il cittadino straniero in Italia, la Costituzione non fornisce una nozione rigida di reato politico, ma la subordina alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. Tra tali norme si pongono le convenzioni internazionali sottoscritte e ratificate dallo Stato italiano, ed in particolare la Convenzione europea sul terrorismo del 1977, nella quale, indipendentemente dalle loro finalità, sono definiti non politici determinati atti delittuosi quali quelli la cui condotta di partecipazione ad associazione criminale sia diretta al compimento di atti terroristici diretti all’eversione, con modalità violente comprensive dell’uso di materie esplodenti e attentati alla vita e all’integrità fisica di altri cittadini (Si veda in tal senso, Sez. 6, 19 giugno 2003, dep. 23 luglio 2003, n. 31123; Sez. 6, 17 febbraio 1992, dep. 24 marzo 1992, n. 767).

Come posto in rilievo dalla Corte d’appello, non può ricondursi a un delitto di ispirazione politica rilevante al fine del divieto di estradizione, la partecipazione a un’associazione sovversiva, in qualità di dirigente e di combattente nei campi di addestramento, indipendentemente dalle finalità (nella specie PKK, organizzazione separatista curda) consistente nella raccolta di fondi, con riciclaggio di danaro, e nella ricerca in Europa di sostegno logistico e militante a favore di tale organizzazione, alla quale sono addebitabili numerosi attentati e molteplici vittime con uso di bombe, con ampia conoscenza, da parte dello stesso S., nella manipolazione di armi ed esplosivi e rivestendo egli l’incarico di comandante di un gruppo di guerriglieri.

Non vi è divieto di consegna a uno Stato estero, peraltro diverso rispetto a quello nel cui ambito è sorta l’organizzazione separatista Kurda, quando in concreto il delitto abbia determinato un pericolo collettivo per la vita, l’integrità fisica e la libertà delle persone ovvero quando abbia colpito o messo in pericolo persone estranee ai moventi politici che l’hanno ispirato.

Elementi che lo Stato italiano, nel formulare la riserva all’atto della ratifica della Convenzione europea di estradizione,ratificata dall’Italia con L. 26 novembre 1985, n. 719, riguardo alla convenzione dell’estradizione per reati politici, si è impegnato a considerare.
La nozione di reato politico a fini estradizionali, così ora per la consegna in esecuzione del mandato d’arresto europeo, trova la sua definizione nel bilanciamento tra il valore insito nel principio costituzionale del rifiuto di consentire alla persecuzione dei cittadini e dello straniero per motivi politici e quello dei valori umani primari salvaguardati nella Costituzione.
2. Il ricorso, dunque, è inammissibile e, norma dell’art. 616 c.p.p., l’imputato va condannato, oltre che al pagamento delle spese del procedimento, a versare una somma, che si ritiene equo determinare in Euro 1.000,00, in favore della cassa delle ammende, non ricorrendo le condizioni richieste dalla sentenza della Corte costituzionale 13 giugno 2000, n. 186.

P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 22, comma 5.