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Errori giudiziari: linee guida psicoforensi per un giusto processo

19 febbraio 2014, Fondazione Gullotta

L'obiettivo delle linee guida è quello di stilare delle raccomandazioni volte a garantire la riduzione del rischio che si incorra in errori giudiziari. Ciò, recependo i progressi scientifici maturati nel campo della psicologia giuridica, forense e investigativa, nel rispetto delle vigenti norme del Codice di Procedura Penale anche tenendo conto delle sentenze di legittimità più significative.

 

LINEE GUIDA PSICOFORENSI
Per un processo sempre più giusto

A conclusione del Congresso "La condanna dell'innocente, l'assoluzione del colpevole. Cause e rimedi nella prospettiva psicoforense" - tenutosi a Milano il 23 novembre 2013, organizzato dalla Fondazione Guglielmo Gulotta e dall'Ordine degli Avvocati di Milano, con il patrocinio del Comune di Milano, della Scuola Superiore dell’Avvocatura, dell’Unione Camere Penali Italiana, dell’Ordine Nazionale degli Psicologi e dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia - si è proceduto, con l’apporto interdisciplinare di avvocati, magistrati, psicologi, psichiatri, neuropsichiatri infantili e criminologi, alla stesura delle Linee guida psicoforensi per un processo sempre più giusto.

È umano, dunque, che chi giudica possa commettere errori, tuttavia la scienza psicologica rileva che non sempre si tratta di errori meramente casuali, di difficile previsione, bensì talvolta di errori sistematici insiti nel comune modo di ragionare e decidere in condizioni di incertezza. Questa tendenza è drammaticamente confermata dai dati sconcertanti, riguardanti il nostro Paese, con riferimento alle ingenti somme erogate per la riparazione di errori giudiziari e ingiuste detenzioni.

Sulla base delle indicazioni provenienti dalla più aggiornata letteratura nazionale e internazionale in tema di psicologia giuridica, forense e investigativa - nel rispetto delle vigenti norme del Codice di Procedura Penale e delle sentenze di legittimità più significative - l’obiettivo delle Linee guida è quello di offrire a tutti coloro che sono chiamati ad operare, a diverso titolo, nel processo penale, delle indicazioni psicoforensi di carattere concettuale e metodologico che favoriscano la riduzione del rischio che si incorra in errori giudiziari.

***

SCIENZE PSICOLOGICHE, PROCESSI DECISIONALI E LORO DISTORSIONI

  1. Il libero convincimento del giudice trova una preziosa risorsa nonché un limite invalicabile nelle acquisizioni scientifiche. La valutazione della condotta umana, presente sotto il profilo oggettivo e soggettivo in ogni processo penale, non può affidarsi solo a generiche massime d’esperienza, mutuate dal senso comune. Tale valutazione, ove possibile, dovrebbe:
    a) attingere a studi e ricerche propri delle scienze psicologiche che rispettino rigorosi criteri
    scientifici e che possano rendere le massime d’esperienza verificabili e/o falsificabili;
    b) favorire, nell’ambito considerato, la sostituzione del senso comune con conoscenze proprie delle scienze psicologiche.
    2. La principale distorsione cognitiva sia nella fase investigativa sia nella fase del giudizio è
    rappresentata dalla cosiddetta ?visione a tunnel’. Essa costituisce il punto di confluenza delle
    tendenze sistematiche per le quali gli individui possono incorrere in illusioni cognitive (bias) quandosi trovano a dover decidere in condizioni di incertezza.
    3. Poiché i processi decisionali - siano essi individuali o collegiali - sono esposti a meccanismi psicologici di distorsione, per limitarne gli effetti, si dovrebbe sviluppare una consapevolezza della presenza di influenze emozionali e cognitive che producono errori, a prescindere dal grado di esperienza e competenza professionale acquisita.
    4. Nella fase investigativa occorre assumere un atteggiamento di scetticismo motivato che conduca non solo a vagliare delle ipotesi alternative a quella ?preferita?, ma a considerarle, almeno temporaneamente, come vere. Questo al fine di ottenere un effetto di bilanciamento rispetto alla naturale inclinazione umana al verificazionismo.
    5. Considerare che le analisi di dati di tipo oggettivo, come le impronte digitali e il DNA, sono
    suscettibili di errori umani causati da ragioni psicologiche ed emotive. In tal senso, è auspicabile che
    gli analisti di laboratorio siano chiamati ad operare senza conoscere:
    a) le ipotesi degli investigatori che si occupano del caso in questione;
    b) la natura degli altri elementi di prova;
    c) i risultati delle analisi di laboratorio attesi dagli inquirenti;
  2. d) se i campioni da analizzare possono risultare incriminanti. Tale informazione dovrebbe essere ignota altresì a colui il quale consegna i campioni all’analista (c.d. metodo del doppio cieco). Oltretutto, andrebbero prodotti, ove possibile, più esemplari della medesima tipologia di elemento di prova mescolati ad altri per far sì che la scelta tra i diversi campioni avvenga al buio.
  3. La ricostruzione probatoria deve rispondere a criteri di logicità e coerenza. La mente umana nel richiamare e vagliare episodi del passato li ri-costruisce in quanto storie; in una prospettiva giudiziaria, questo ambito viene chiamato ?narratologia forense?. Le storie per essere credibili (non necessariamente vere) dovrebbero:
    a) presentare i fatti in maniera coerente, plausibile e completa;
    b) essere confrontate con le possibili storie alternative al fine di giungere, tramite un processo comparativo, alla migliore spiegazione possibile.

SCIENZA NEL PROCESSO

  1. All’esperto non deve essere richiesto di esprimersi, nemmeno indirettamente, circa l’accadimento e la dinamica dei fatti. In tal senso, esistono strumenti scientifici finalizzati alla valutazione della qualità del racconto ma non alla veridicità del narrato rispetto al fatto storico.
    8. Nel valutare l’ammissibilità e la fondatezza degli asserti scientifici introdotti dagli esperti, il
    giudice, in quanto peritus peritorum, deve esercitare criticamente il vaglio epistemologico dei
    medesimi. Preliminare attenzione dovrebbe essere orientata al grado di affidabilità della teoria, valutando in che misura la stessa possa fornire concrete e attendibili informazioni a sostegno dell’argomentazione probatoria inerente al caso di specie. Rispetto al metodo, sarà necessario valutare:
    a) l’autorità e l’indipendenza del soggetto che gestisce la ricerca nonché la finalità che lo muove;
    b) la correttezza metodologica (oggettività e rigorosità), vagliando criticamente gli studi che
    sorreggono la tesi premessa nonché gli strumenti e le tecniche utilizzati;
    c) la discussione critica che ha accompagnato l’elaborazione dello studio, soffermandosi sulle diverse opinioni formatesi e tenendo conto del grado di consenso che la tesi raccoglie nella comunità scientifica.

Ove sia presente un dibattito alimentato da posizioni conflittuali, il giudice, nello scegliere tra le tesi emerse, dovrebbe valutare anche le posizioni minoritarie o non ancora consolidate ai fini del superamento del ragionevole dubbio. In ogni caso, la tesi prescelta dovrà essere dotata di un elevato grado di affidabilità facendo riferimento alle ricerche e agli studi più accreditati.

PROVA DICHIARATIVA: ACCURATEZZA DEL RICORDO E FALSE
CONFESSIONI

  1. L’esperienza e la ricerca confermano che esistono oltre a confessioni sincere altre che non lo sono o perché frutto di particolari situazioni psicologiche del dichiarante o perché frutto di pressioni esterne o perché causate dall’attività di interrogazione. Per questo, in linea di principio, ogni interrogatorio investigativo, per i delitti più gravi, andrebbe video o audio registrato, anche nei casi in cui ciò non sia espressamente previsto dalla legge.
    10. Tenere conto che non è possibile evincere dal solo comportamento verbale e non verbale se il dichiarante sia sincero o se stia mentendo.
    11. Diversi protocolli, indicati nella letteratura scientifica di riferimento nazionale e
    internazionale, inerenti la raccolta delle dichiarazioni dei testimoni e delle persone informate sui fatti, suggeriscono, al fine di ottenere risposte quanto più accurate possibile, di:
    a) controllare il proprio comportamento verbale e non verbale (tono di voce, gesti, postura,
    espressioni del volto?);
    b) iniziare con domande aperte, generali, per poi proseguire con quelle più specifiche;
    c) privilegiare domande neutre, evitando domande suggestive, salvo nel controesame
    dibattimentale;
    d) favorire la ricostruzione del contesto in cui il fatto da rievocare è accaduto;
    e) ai fini di un recupero più articolato, domandare al testimone, all’interno dello stesso ascolto, di descrivere più volte i fatti con cronologie differenti (es. prima la fine, poi dall’inizio);
    f) invitare il testimone a distinguere il ricordo dei fatti dalle proprie supposizioni;
    g) evitare di fare domande multiple, in forma negativa o con doppia negazione;
    h) non dominare l’interazione, evitando di interrompere il testimone e di fare troppe domande.
  2. Particolari cautele e specifici accorgimenti vanno adottati nella raccolta e nel vaglio della
    testimonianza di minori, di soggetti portatori di deficit cognitivi e di altri soggetti deboli. Sul punto si faccia riferimento ai seguenti protocolli: la Carta di Noto, le Linee guida nazionali ? L’ascolto del minore testimone, L’ascolto dei minorenni in ambito giudiziario (documento redatto da C.S.M. e Unicef), le Linee guida per l’ascolto del bambino testimone presso la questura di Roma e, in tema di abusi collettivi, il Protocollo di Venezia.
  3. Nella gestione delle udienze dibattimentali è opportuno che il giudice non ponga domande induttive o suggestive.

INDIVIDUAZIONE, RICONOSCIMENTO E TRASCRIZIONI

  1. Durante il riconoscimento personale o fotografico, ove possibile, è opportuno che chi lo conduce non conosca l’identità dell’individuo sospettato e che tutte le dichiarazioni testimoniali rese prima, durante e dopo l’identificazione siano documentate mediante strumenti di riproduzione audiovisiva , quantomeno, fonografica. Sia in sede di individuazione che in sede di ricognizione di persona, si raccomanda che l’operatore, a beneficio di una prassi non contaminante, comunichi al testimone che:
    a) il sospettato potrebbe anche non essere presente tra coloro che vengono mostrati di persona o in fotografia;
    b) l’addetto incaricato di condurre il riconoscimento non conosce l’identità del sospettato.

Durante la procedura di riconoscimento l’operatore dovrebbe considerare che:

  1. a) quando il testimone esprime il grado di sicurezza che ha in merito al riconoscimento
    effettuato è necessario non fornire alcun riscontro né positivo né negativo;
    b) il grado di sicurezza esibito non è in alcun modo connesso con la correttezza del
    riconoscimento e, in generale, con la veridicità delle dichiarazioni del testimone.
  2. La testimonianza circa il riconoscimento di voci udite deve essere vagliata con particolare prudenza poiché risente di numerose variabili contestuali; in particolare, l’esiguità della durata di esposizione allo stimolo spesso non permette la completa attivazione delle modalità proprie del sistema uditivo, necessarie alla corretta codifica di quanto percepito.
  3. Le trascrizioni di intercettazioni ambientali, telefoniche, informatiche o telematiche, soprattutto se di parlato acusticamente degradato, dovrebbero essere decodificate indipendentemente da più trascrittori, ignari del contesto di riferimento e, ove possibile, da un esperto di psicolinguistica.

IMPUTABILITÀ E PERICOLOSITÀ

  1. La valutazione dell’imputabilità non è vincolata ad un inquadramento diagnostico - le cui
    categorie sono tra l’altro mutevoli nel tempo - ma può fondarsi su modelli condivisi del processo decisionale concernenti la possibilità del soggetto di autocontrollarsi e di scegliere tra varie alternative; essa si riferisce altresì alle dinamiche motivazionali che hanno agito al momento del fatto e alla loro natura e qualità in senso psicopatologico, nonché a eventuali disturbi della sfera cognitiva che possono agire sulla capacità dl’intendere e di volere.

Nei casi in cui si sia riscontrato un vizio di mente, la valutazione prognostica della pericolosità sociale dovrà riguardare gli aspetti clinici psicopatologici relativi ai rischi di recidiva (presenza di disturbi del pensiero, perdita dell’esame di realtà, discontrollo degli impulsi, indisponibilità al trattamento) connessi alla natura e alla gravità delle problematiche rilevate.

In merito alla valutazione della capacità di stare in giudizio - indipendente da quella
dell’imputabilità al momento del fatto, essendo riferita alla ?processabilità? - occorre tenere conto che essa attiene alla capacità di difendersi dai fatti contestati nonché alla capacità di prendere decisioni processuali di particolare rilievo, per esempio:

  1. a) rendersi conto della gravità degli addebiti e dei rischi sanzionatori;
    b) avere la capacità di relazionarsi correttamente con il proprio difensore e di prendere
    decisioni processuali ponderate (ad es. scelta del rito, possibilità di sottoporsi o meno a
    interrogatorio e/o esame incrociato, ecc.).
    La valutazione concernente la pericolosità sociale deve tenere conto dei parametri clinici, psicologici e criminologici relativi al rischio di recidiva, connessi a natura e gravità del reato, da vagliare, ove possibile, con l’utilizzo di strumenti specifici.

FORMAZIONE (PROGRAMMI E CORSI DI FORMAZIONE)

  1. Affinché il sistema possa autocorreggersi, è necessario che i magistrati penali conoscano il destino delle loro sentenze quanto alla valutazione che avviene in altri gradi di giudizio.
  2. Tutti gli operatori coinvolti a vario titolo nei procedimenti giudiziari (esperti, avvocati, magistrati, ufficiali di polizia giudiziaria, praticanti, ecc.) sono tenuti alla formazione ed al continuo aggiornamento scientifico e professionale circa gli argomenti oggetto delle presenti Linee guida. Questi corsi potranno essere organizzati anche attraverso la collaborazione di istituzioni, enti di ricerca, università, Scuola Superiore dell’Avvocatura, Scuola Superiore della Magistratura e Ordini Professionali. Nella fattispecie sarebbe necessario:
    a) promuovere la consapevolezza delle problematiche investigative e giudiziarie attraverso l’analisi dei casi;
    b) svolgere ricerche inerenti le fonti umane di errore e porle in stretta connessione a ricerche volte a quantificare e caratterizzare precisamente le diverse tipologie dl’errore;
    c) sviluppare, a partire dai risultati delle suddette ricerche, delle procedure standard - protocolli e linee guida - al fine di minimizzare potenziali bias e fonti di errore;
    d) impiegare le procedure individuate come corrette e idonee in tutti i tipi di indagine forense;
    e) incoraggiare la capacità di posticipare il più possibile le conclusioni fino a che non si è in possesso di tutti gli elementi necessari per decidere;
    f) favorire i processi di identificazione dei segnali "tipici" di una possibile adozione della
    visione a tunnel;
    g) considerare ipotesi alternative e prospettive differenti;
    h) esplorare anche le idee frutto di intuizioni senza però affidarsi ad esse aprioristicamente;
    i) promuovere il confronto al fine di analizzare criticamente tutti gli aspetti implicati nel caso
    oggetto di discussione;
    j) assegnare a qualcuno, all’interno del gruppo di lavoro, il ruolo di "avvocato del diavolo" che si faccia portavoce delle ipotesi "impopolari" o contrarie all’idea prevalente;
    k) abituarsi a chiedersi "come sappiamo ciò che pensiamo di sapere"?;
    l) vagliare criticamente i casi in cui si è appreso di aver assunto decisione errate.
    21. Le presenti Linee guida andranno aggiornate sulla scorta dell’esperienza e del progredire delle acquisizioni scientifiche.

Milano, 24 novembre 2013

Sulla scorta delle numerose Commissioni sorte a livello internazionale,
successivamente alla divulgazione dei dati emersi dall’Innocence Project, gli
autori di questo documento auspicano una ricerca sulla casistica nazionale
inerente ingiusta detenzione, errori giudiziari che hanno comportato una
riparazione pecuniaria e processi conclusisi con sentenza definitiva risultata
errata a seguito di processo di revisione.

IL DOCUMENTO È STATO APPROVATO DA:

Ernesto Aghina, Anna Balabio, Rocco Blaiotta, Cristina Cabras,
Giovanni Battista Camerini, Paolo Cherubini, Vincenzo Comi, Angelo Costanzo,
Antonietta Curci, Luisella De Cataldo, Paolo Della Noce, Antonio Forza, Paolo Giuggioli,
Guglielmo Gulotta, Cataldo Intrieri, Silvestro Lecce, Moira Liberatore,
Maria Luisa Lo Gatto, Laura Lombardi, Gabriele Magno, Maria Beatrice Magro,
Claudia Marceddu, Alarico Mariani Marini, Carmela Parziale, Luisa Puddu,
Irene Rossetti, Rino Rumiati, Ugo Sabatello, Giuseppe Sartori, Claudia Squassoni,
Giorgio Vaccaro, Maria Chiara Zanconi, Georgia Zara, Lorenzo Zirilli, Marco Zuffranieri.

 

PREMESSA alle LINEE GUIDA PSICOFORENSI

Per un processo sempre più giusto

Attualmente, in Italia, l’argomento maggiormente trattato concerne una auspicabile e
dovuta riforma della Giustizia. Questo non è, tuttavia, il tema che si discute in questa sede.
L’obiettivo è quello di stilare delle Raccomandazioni volte a garantire la riduzione del rischio che si incorra in errori giudiziari. Ciò, recependo i progressi scientifici maturati nel campo della psicologia giuridica, forense e investigativa, nel rispetto delle vigenti norme del Codice di Procedura Penale anche tenendo conto delle sentenze di legittimità più significative.

Che giudicando sia possibile commettere errori è un fatto umano. Chiunque di noi, nei
propri giudizi, incappa in qualche errore, ma la scienza psicologica rileva che non sempre si tratta meramente di errori di tipo casuale, di difficile previsione e che sfuggono al controllo del singolo, bensì talvolta di errori sistematici insiti nel comune modo di ragionare e decidere in condizioni diincertezza.

Dal 1992, negli Stati Uniti, alcuni esperti del mondo giuridico hanno dato vita a
un?organizzazione, l’Innocence Project, che ha come scopo principale quello di far emergere, attraverso il test del DNA, i casi in cui degli individui siano stati ingiustamente condannati. Le indagini svolte da questa associazione hanno permesso di individuare un numero impressionante di errori giudiziari, restituendoci un?immagine quantomeno problematica dei metodi e delle prassi investigative e giudiziarie. In particolare, dai molti casi esaminati è emerso in maniera drammatica quanto l’errore umano possa inficiare i processi decisionali, portando degli individui innocenti a languire incolpevolmente in carcere. Nei soli Stati Uniti, dal 1992 ad oggi, son ben 311 le persone ingiustamente condannate - 18 delle quali si trovavano nel braccio della morte in attesa di essere giustiziate - successivamente scagionate, in seguito alle nuove prove emerse grazie all’Innocence Project. Il tempo medio trascorso in carcere per questi 300 innocenti, prima di riuscire ad ottenere la legittima scarcerazione, è stato di 13 anni. Sappiamo inoltre, per certo, che almeno una persona è stata giustiziata prima che la prova del DNA potesse provarne l’effettiva innocenza. Si badi che, contrariamente a ciò che si crede, non sempre, nei casi citati, la colpevolezza è stata determinata da una giuria.

Cosa può portare a condannare o, all’estremo, a giustiziare un innocente? Ed eventualmente ritenere innocente un colpevole?

Nelle condanne prese in esame nell’ambito dell’Innocence Project, le ingiuste detenzioni
sono state determinate da una serie di diverse cause, tutte accomunate dalla preminenza del fattore umano:

  1. Errate identificazioni da parte dei testimoni oculari (riconoscimento sia personale che
    fotografico);
    2. Uso improprio o inaccurato della scienza forense;
    3. False confessioni e ammissioni di colpevolezza da parte dei sospettati;
    4. Condotte fraudolente da parte degli investigatori o della Pubblica Accusa;
    5. Accuse nei confronti del sospettato mosse da un informatore della Polizia;
    6. Inadeguata assistenza legale da parte degli avvocati difensori.

Il fatto che quasi mai nei reati resti una traccia biologica che possa eventualmente
correggere l’errore giudiziario dà il senso di quanto vasto può essere l’ambito su cui intervenire.

Si potrebbe pensare che l’America è lontana e che in Italia le cose vanno diversamente. In
realtà, non è proprio così. Molti sono, infatti, gli esempi giudiziari nostrani che presentano le
medesime problematiche emerse nell’ambito dell’Innocence Project. Volgendo lo sguardo al nostro Paese, il ministro Paola Severino, all’interno della relazione sullo stato della Giustizia in Italia,riferisce che nel solo 2011, sono stati spesi, per ingiuste detenzioni o errori giudiziari, 47 milioni di euro. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze riporta, inoltre, che, dal 1989 ad oggi, la spesa erogata per la riparazione degli errori giudiziari è stata superiore ai 545 milioni di euro per quanto riguarda le ingiuste detenzioni e superiore ai 30 milioni di Euro per quanto riguarda gli errori giudiziari. Si tratta, oltretutto, di cifre che sarebbero potute essere ben superiori qualora il tetto massimo per il risarcimento per ingiusta detenzione non fosse stato stabilito nell’importo di 516 mila euro, circa. Si tratta di cifre sconcertanti - senza far menzione dell'immane sofferenza causata a dei cittadini incolpevoli - sulle quali taluni organi di stampa, spesso nel silenzio degli addetti ai lavori, richiamano periodicamente l’attenzione.

In altri paesi, soprattutto anglosassoni, l’emergere di questi dati ha prodotto intense
reazioni e mobilitazioni da parte di governi e esperti del settore giuridico e forense. Per elencare solo alcune delle Commissioni sorte per indagare le cause di queste problematiche e, conseguentemente, cercare delle possibili soluzioni attraverso la redazione di relazioni, possiamo menzionare:

? Report on the prevention of miscarriages of Justice (Canada) aggiornata al 2011;
? The Morin public inquiry (Canada) del 1996;
? Commission of inquiry into the wrongful conviction of Thomas Sophonow (Canada) del
2000;
? Commission on capital punishment (Illinois, America) del 2000;
? Criminal justice commission (Oregon, America) del 1995;
? Committee on identifying the needs of the forensic sciences community, National research
council (Washington, America) del 2006;
? Criminal cases review commission (Inghilterra, Scozia, Irlanda) del 1997;
? Commission of inquiry into certain aspects of the trial and the conviction of James Driskell
(Canada) del 2005.
? Center of wrongful convictions (Northwestern School of Law - Bluhm Legal Clinic,
Chicago) del 1998;
? Innocence project of Florida (Florida) del 2003;
? The California commission on the fair administration of justice (California) del 2004;
? Final report of the California commission on the fair administration of justice (California)
del 2008;
? Innocence commission for Virginia (ICVA, Virginia) del 2003;
? Report and recommendation regarding wrongful convictions in the Commonwealth of
Virginia (Virginia) del 2005;
? Report of the governor?s commission on capital punishment (Illinois) del 2002;
? Griffith University Innocence Project (Queensland, Australia) del 2002.

Tutte le Commissioni citate, dopo aver individuato la radice umana e scientifica che sta alla
base di ingiuste condanne, hanno prodotto delle raccomandazioni o delle linee guida al fine di adottare le migliori prassi operative possibili per cercare di ridurre il rischio di errori giudiziari.

In Italia, fatta eccezione per la testimonianza di individui minorenni - in ragione della cui
corretta prassi sono stati redatti importanti protocolli quali la Carta di Noto, il Protocollo di
Venezia, le Linee guida nazionali: l’ascolto del minore testimone e le Linee guida per l’acquisizione della prova scientifica nel processo penale - si è preferito, come spesso capita, lamentarsi piuttosto che tentare di comprendere il fenomeno e adottare eventuali soluzioni.

L’amministrazione della Giustizia è cosa umana, così come umani sono gli errori che
stanno alla base delle ingiuste condanne. Decenni di ricerche e studi sperimentali, spesso ignorati dai giuristi, ci hanno dimostrato che quando siamo chiamati a giudicare in condizioni di incertezza, siamo portati a compiere degli errori sistematici. La psicologia può vantare due scienziati premi Nobel, Simon e Kahneman, che proprio dei processi decisionali si sono occupati e dei quali hanno messo in luce funzionamento e disfunzioni. Allo stesso tempo, la ricerca psicosociale, ha indicato alcuni possibili metodi per mitigare gli errori e le distorsioni cognitive cui tutti siamo soggetti.

Le varie Commissioni sorte a livello internazionale hanno fatto proprie queste acquisizioni
scientifiche e lavorano affinché si possano tradurre in buone prassi operative. Tanto i dati emersi nell’ambito dell’Innocence Project, quanto quelli relativi al nostro Paese, hanno evidenziato la questione in tutta la sua drammaticità. Abbiamo scelto di non continuare a maledire il buio ma di accendere una candela.

Valuterà il Governo se investire anche solo parte dell’ingente spesa destinata per la
riparazione degli errori giudiziari, in un progetto teso a superare, anche attraverso una formazione psicoforense degli operatori coinvolti (avvocati, magistrati, forze di polizia) fondata sulle seguenti Linee guida.

Guglielmo Gulotta

tratto da http://fondazionegulotta.org/documenti.php (19 febbraio 2014)

 (scarica le linee guida in formato pdf)

 

Approfondisci:

"Perchè gli innocenti confessano", Stefano Vizio, 11 marzo 2014, Il Posthttp://www.ilpost.it/2014/03/11/false-confessioni-tecnica-reid/ visitato il 11 marzo 2014 (scarica .pdf)

"The confessions of Innocent Men. Why would two suspects caught up in a grisly murder investigation admit to a killing they didn't commit?" M. Bookman, the Atlantic, 6 agosto 2013 http://www.theatlantic.com/national/archive/2013/08/the-confessions-of-innocent-men/278363/