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Diritto di critica, verità del fatto, critica politica (Cass. 51619/17)

21 novembre 2017, Cassazione penale e Nicola Canestrini

In tema di diffamazione a mezzo stampa, presupposto imprescindibile per l’applicazione dell’esimente dell’esercizio del diritto di critica è la verità del fatto storico posto a fondamento della elaborazione critica. 

La critica quindi deve pur sempre fondarsi sull’attribuzione di fatti veri, posto che nessuna interpretazione soggettiva, fonte di discredito per la persona che ne sia investita, può ritenersi rapportabile al lecito esercizio di tale diritto, quando tragga le sue premesse da una prospettazione dei fatti opposta alla verità.

 Peraltro, in riferimento all’esercizio del diritto di critica politica, la verità del fatto assume un rilievo più limitato e necessariamente affievolito rispetto al diritto di cronaca, in quanto la critica, ed ancor più quella politica, quale espressione di opinione meramente soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale, che non può, per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica.

La scriminante putativa dell’esercizio del diritto di cronaca è quindi ipotizzabile solo qualora, pur non essendo obiettivamente vero il fatto riferito, il cronista abbia assolto all’onere di esaminare, controllare e verificare quanto oggetto della sua narrativa, al fine di vincere ogni dubbio, non essendo sufficiente l’affidamento riposto in buona fede sulla fonte; il riferimento a fonte attendibile e autorevole rappresenta, infatti, attuazione dell’obbligo di controllo sulla verità della notizia percepita, quale esigibile dall’agente, e correlativamente integra - sussistendo gli altri requisiti della pertinenza e della continenza - gli estremi di un incolpevole ed involontario errore percettivo sulla corrispondenza al vero del fatto esposto che determina l’esenzione da responsabilità.

 

CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE

SENTENZA 13 novembre 2017, n.51619

Pres. Zaza – est. Scotti


Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 21/12/2016 la Corte di appello di Catanzaro, ha confermato, con l’aggravio delle spese del grado della parte civile, la sentenza del Tribunale di Cosenza, appellata dall’imputato, che aveva ritenuto T.G. responsabile del reato di diffamazione ex art.595, n.3, cod.pen., in danno di B.D.A. , Assessore all’Ambiente della (omissis) , effettuato tramite un articolo dal titolo '(omissis) ' pubblicato su '(omissis) ', edizione (...), e, concessegli le attenuanti generiche, ritenute equivalenti alle contestate aggravanti, lo aveva condannato alla pena di Euro 500,00 di multa e al risarcimento dei danni in favore della parte civile, da liquidarsi in separato giudizio, oltre alle spese processuali.
2. Ha proposto ricorso nell’interesse dell’imputato il difensore di fiducia, avv. G.P., svolgendo due motivi interconnessi, proposti, rispettivamente ex art.606, comma 1, lett. e), cod.proc.pen. per denunciare mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione ed ex art.606, comma 1, lett. b), per denunciare violazione della legge in relazione agli artt. 51, 47, 49, 595, comma 3, cod.pen. e 13 della legge 47 del 1948.
2.1. In primo luogo la sentenza impugnata non aveva tenuto conto del fatto che lo scritto del T. era stato redatto e presentato chiaramente come una 'opinione' dello stesso, espressa in veste di membro del 'Coordinamento regionale della (OMISSIS) ' e quindi in qualità di esponente politico; spettava quindi all’imputato l’esimente del diritto di critica di cui all’art. 51 cod.pen..
In tale prospettiva di critica politica, il requisito della continenza e anche quello dell’oggettiva rigorosa obiettività della notizia dovevano essere valutati con minor rigore: il senso dell’intervento del T. era di evidenziare il deprecabile intreccio di politica e affari e denaro pubblico che opprimeva la Regione, messo in luce dall’inchiesta giudiziaria '(omissis)' per stimolare una reazione politica, mentre l’errata notizia del rinvio a giudizio del B. (per cui era stato invece emesso il decreto di chiusura indagini) appariva del tutto ininfluente nell’economia del discorso.
2.2. L’imputato andava comunque assolto, secondo il ricorrente, ai sensi dell’art. 47 cod.pen. per l’errore in cui era incorso il T. , dovuto a errata percezione della realtà, avendo egli erroneamente ritenuto che il B. fosse stato rinviato a giudizio mentre erano state solamente chiuse le indagini preliminari.


Considerato in diritto


1. Il primo motivo è infondato.
1.1. Il ricorrente rimprovera alla sentenza impugnata di non aver tenuto conto del fatto che lo scritto costituiva chiaramente una 'opinione' del T. , espressa in veste di membro del 'Coordinamento regionale della Sinistra Democratica ' e quindi in qualità di esponente politico; spettava quindi all’imputato l’esimente del diritto di critica di cui all’art. 51 cod.pen., nella cui prospettiva, il requisito della continenza e anche quello dell’oggettiva rigorosa obiettività della notizia avrebbero dovuto essere valutati con minor rigore.
1.2. Tale argomentazione tuttavia può valere solo per le parti dell’intervento del T. , che costituivano espressione di commenti e valutazioni politico sociali, con le quali, preso spunto dalla notizia di attualità riferita, l’imputato sottolineava e stigmatizzava il deprecabile intreccio di politica e affari e denaro pubblico che opprimeva la (omissis) , emerso in seguito all’inchiesta giudiziaria '(omissis)' al fine di stimolare una reazione politica della società civile calabrese.
L’esimente del diritto di critica non può invece essere riconosciuta per la parte dello scritto in cui veniva riferita la notizia, errata, del rinvio a giudizio del B. (per cui era stato invece emesso semplicemente il decreto di chiusura indagini), con la frase del seguente tenore 'La chiusura dell’indagine (omissis) con il rinvio a giudizio dell’ex governatore C. , di B. , di dirigenti, funzionari, imprenditori....' che non può beneficiare del rango di opinione e invece attiene all’attribuzione di un fatto storico e per la quale conseguentemente occorre riferirsi, semmai, ai parametri che delineano il diritto di cronaca.
Infatti in tema di diffamazione a mezzo stampa, presupposto imprescindibile per l’applicazione dell’esimente dell’esercizio del diritto di critica è la verità del fatto storico posto a fondamento della elaborazione critica (Sez. 5, n. 7715 del 04/11/2014 - dep. 2015, Caldarola e altro, Rv. 264064); la critica quindi deve pur sempre fondarsi sull’attribuzione di fatti veri, posto che nessuna interpretazione soggettiva, fonte di discredito per la persona che ne sia investita, può ritenersi rapportabile al lecito esercizio di tale diritto, quando tragga le sue premesse da una prospettazione dei fatti opposta alla verità (Sez. 5, n. 7419 del 03/12/2009 - dep. 2010, Cacciapuoti, Rv. 246096).
È pur vero che questa Corte ha ripetutamente aggiunto che il rispetto della verità del fatto assume, in riferimento all’esercizio del diritto di critica politica, un rilievo più limitato e necessariamente affievolito rispetto al diritto di cronaca, in quanto la critica, ed ancor più quella politica, quale espressione di opinione meramente soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale, che non può, per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica (Sez. 5, n. 25518 del 26/09/2016 - dep. 2017, P.C. in proc. Volpe, Rv. 270284; Sez. 5, n. 4938 del 28/10/2010 - dep. 2011, P.M. in proc. Simeone e altri, Rv. 249239; Sez. 5, n. 49570 del 23/09/2014, Natuzzi, Rv. 261340).
Tale affievolimento non può tuttavia estendersi sino a legittimare l’attribuzione di una notizia obiettivamente falsa, e non solo inesatta o imprecisa, che rappresenta il punto di partenza dell’analisi e della censura politica.
1.3. I Giudici del merito hanno correttamente escluso la sussistenza del requisito della verità oggettiva della notizia, perché, al di là delle macroscopica differenza giuridica fra l’avviso di chiusura delle indagini da parte del Pubblico Ministero ex art. 415 bis cod.proc.pen. e il rinvio a giudizio da parte del Giudice per le indagini preliminari ex art. 429 cod.proc.pen., la profonda divergenza fra i due istituti, agevolmente percepibile e percepita anche dall’opinione pubblica, impediva di ravvisare una sostanziale corrispondenza fra notizia e realtà, deformata solo in aspetti marginali.
Anche secondo il comune modo di pensare, un conto, infatti, è riferire che il Pubblico Ministero dopo aver indagato su di un personaggio politico, ha ritenuto di aver completato le attività investigative, altro è che il Pubblico Ministero abbia richiesto il rinvio a giudizio, esercitando l’azione penale, e soprattutto che il Giudice, organo terzo e imparziale, abbia esaminato il risultato di tali attività investigative e abbia ritenuto che sussistessero sufficienti elementi di prova per la celebrazione del giudizio penale a carico dell’indagato.
1.4. Non è poi condivisibile la considerazione del ricorrente secondo la quale la notizia non vera appariva del tutto ininfluente nell’economia del discorso: essa, al contrario, era lo stimolo scatenante dell’intervento e la menzione del rinvio a giudizio, con il crisma di attendibilità delle accuse impresso dall’intervento del Giudice, era tutt’altro che ininfluente.
La chiusura delle indagine e il rinvio a giudizio degli esponenti politici avevano determinato, nella logica della comunicazione in questione e nella visione del commentatore, l’emersione del quadro drammatico e reale degli intrecci perversi fra politica, affari e pubblico denaro.
1.5. È ovviamente del tutto irrilevante che il B. sia stato successivamente rinviato a giudizio, poiché la verità della notizia deve essere apprezzata con riferimento al momento in cui è stata fornita l’informazione non vera; altra cosa, evidentemente, è se tale circostanza possa aver rilievo ai fini della quantificazione del danno risarcibile devoluta al giudizio civile.
2. Il ricorrente sostiene che l’imputato andava comunque assolto ai sensi dell’art.47 cod.pen. per l’errore in cui era incorso il T. , dovuto a errata percezione della realtà, avendo egli erroneamente ritenuto che il B. fosse stato rinviato a giudizio mentre erano state solamente chiuse le indagini preliminari.
La Corte catanzarese ha correttamente risposto al motivo di appello sul punto, osservando che il preteso (e, oltretutto, indimostrato) errore non ricadeva sugli elementi costitutivi della fattispecie, con la conseguente inapplicabilità dell’art. 47 cod.pen..
La liceità del comportamento del T. non può neppure essere legittimamente ritratta dall’esercizio putativo, per errore, del diritto di cronaca perché, allorché venga stigmatizzato un fatto ritenuto obiettivamente vero è necessaria l’esistenza di un errore assolutamente scusabile; non assume invece valenza esimente la verità putativa, cioè solo supposta del fatto diffamatorio, senza previa acquisizione, attraverso le opportune verifiche e controlli, della certezza dell’effettiva sussistenza dei fatti denunciati. (Sez. 5, n. 11199 del 11/08/1998 - dep. 26/10/1998, Mattana P, Rv. 212131).
La scriminante putativa dell’esercizio del diritto di cronaca è quindi ipotizzabile solo qualora, pur non essendo obiettivamente vero il fatto riferito, il cronista abbia assolto all’onere di esaminare, controllare e verificare quanto oggetto della sua narrativa, al fine di vincere ogni dubbio, non essendo sufficiente l’affidamento riposto in buona fede sulla fonte (Sez. 5, n. 7967 del 08/05/1998 - dep. 07/07/1998, Calamita U, Rv. 211539); il riferimento a fonte attendibile e autorevole rappresenta, infatti, attuazione dell’obbligo di controllo sulla verità della notizia percepita, quale esigibile dall’agente, e correlativamente integra - sussistendo gli altri requisiti della pertinenza e della continenza - gli estremi di un incolpevole ed involontario errore percettivo sulla corrispondenza al vero del fatto esposto che determina l’esenzione da responsabilità (Sez. 5, n. 37435 del 09/07/2004, Perna ed altro, Rv. 229337; Sez. 5, n. 1952 del 02/12/1999 - dep. 2000, Latella ed altro, Rv. 216437; Sez. 5, n. 7393 del 14/06/1996, Scalfari ed altro, Rv. 206792).
3. Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente ex art.616 cod.proc.pen. alla rifusione delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.